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Il sindacato e il conflitto con il Governo

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Stampa l'articolo  Chiudi Sabato 19 Settembre 2015

Il sindacato e il conflitto con il Governo

di Lina Palmerini

Ma i sindacati capiscono ancora la società? Il dubbio c’è perché la loro reazione sul caso­Colosseo non sembra in sintonia con cittadini. Una distanza che rischia di penalizzarli nel conflitto con il Governo. E nel rapporto con il Paese.

A leggere le dichiarazioni di Susanna Camusso a difesa dei lavoratori riuniti in assemblea – lasciando in coda  per  ore  i  turisti  ­  viene  in  mente  che  la  questione  di  fondo  del  sindacato  è  che  non  sembra  più integrato nella società, che non capisce le esigenze dei cittadini, e che rincorre solo pezzi di corporazioni perdendo  la  visione  d’insieme.  E,  così,  non  avendo  comprensione  della  realtà  ritorna  ai  vecchi  schemi, come quelli usati ieri dai leader sindacali che hanno agitato la parola “democrazia” o “diritti” dei lavoratori per dare forza e legittimità a una scelta.

Ma  prima  quelle  parole  avevano  un  senso  –  e  tante  battaglie  meritorie  sono  state  vinte  –  ma  oggi scomodare  la  parola  “democrazia”  per  una  assemblea  di  lavoratori  pubblici  sul  rinnovo  contrattuale  è onestamente troppo. E anche un po’ falso. Vuol dire allora che quelli in coda per ore in attesa di entrare al Colosseo, turisti italiani e stranieri, sono cittadini di una democrazia minore a cui tocca programmare le vacanze seguendo il calendario delle scadenze contrattuali.

Tra  l’altro  non  siamo  più  nemmeno  in  quelle  stagioni  dense  di  rivendicazioni  nelle  fabbriche  ma  più modestamente  parliamo  di  lavoratori  pubblici  nei  Beni  Culturali.  Che  dovrebbero,  tra  l’altro,  essere  i primi e i più sensibili nella promozione dell’immagine dell’Italia, delle sue bellezze storiche e artistiche. E invece  –  dal  Colosseo  a  Pompei  –  sono  disposti  a  metterla  a  rischio  per  tre  ore  di  assemblea  durante l’orario di lavoro. Difficile poi ascoltare la retorica, anche sindacale, di quanto i governi e il Paese non scommettano sul patrimonio artistico.

Un  danno  per  la  reputazione  dell’Italia,  dicevano  ieri  Renzi  e  Franceschini,  ma  un  danno  per  lo  stesso sindacato che con queste scelte mostra di aver perso una visione d’insieme. Eppure, anni fa, il sindacato rivendicava la titolarità ad averla ed esprimerla. E la ottenne, fu negli anni ’90 nella stagione della politica dei redditi inaugurata dall’ex premier Ciampi. Quella scelta portò alla concertazione e metteva il sindacato – e le associazioni di imprese – a uno stesso tavolo con il Governo a discutere di interesse generale. Ieri dell’interesse  generale  non  c’era  traccia  in  nessuna  dichiarazione  dei  leader  sindacali.  E  serve  a  poco accusare il Governo di aver estromesso il sindacato dalla concertazione perché la loro fragilità nasce prima e  viene  dal  fatto  di  aver  perso  una  forza  di  gravità  sulla  società.  L’unico  baricentro  resta  il  “ricco” segmento  dei  pensionati.  Che  però  non  basta  per  dare  ragione  d’essere  a  un  sindacato  confederale.  Ci sarebbero dei nodi veri per cui varrebbe una battaglia: i giovani e l’Europa ma sono ignorati. Eppure in Europa ci sono 23 milioni di disoccupati, di cui 12 milioni di lunga durata. Eppure la politica economica non si fa più a Roma, che deve spedire in Europa la sua legge di stabilità, ma ormai si decide tra Bruxelles e Francoforte. Lì i sindacati sono del tutto assenti.

Ci sarebbero parole nuove da dire ma si preferisce difendere un’assemblea di lavoratori in nome della democrazia.  E  alla  fine  il  Governo  ha  avuto  gioco  facile  a  spiazzare  il  sindacato  con  un  decreto  in  cui  i musei vengono inclusi tra i servizi pubblici essenziali, con annesse nuove regole sullo sciopero. Della scelta era  stato  avvisato  il  Quirinale  e  –  quindi  –  Renzi  e  Franceschini  sono  andati  dritti  approfittando dell’ennesima volta in cui il sindacato ha perso la sua occasione di mettersi in sintonia con la società.

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