CONCLUSIONI
E’ possibile dichiarare con certezza se è meglio far parte di una banca locale o di un gruppo più vasto, di portata nazionale o, addirittura, internazionale? La risposta è senza dubbio negativa.
In un periodo storico come quello che stiamo attraversando oggi, pieno di insidie e pericoli, dove tutto è instabile, diventa una prerogativa fondamentale e di vitale importanza essere pronti al cambiamento.
Gli istituti locali esulano dalle logiche delle banche di grandi dimensioni, dedicano maggiore attenzione alla relazione con il cliente e si pongono come obiettivo durante l’erogazione di finanziamenti, quello di aiuto alla realtà locale, cooperando per la valorizzazione del territorio stesso. Contemporaneamente, però, non hanno i mezzi per rispondere alle esigenze sempre più sofisticate dei clienti, non hanno sbocchi nei mercati internazionali, sono meno competitive, hanno una ridotta gamma di servizi a disposizione e, spesso, sono finanziariamente più deboli.
E allora si prospetta la possibilità di un cambiamento. Il cambiamento mette in crisi la cultura che ha evidenti difficoltà ad assimilare ciò che cambia e perciò a cambiare essa stessa, appropriandosi in particolare dell’innovazione che per sua natura determina discontinuità e impone uno sforzo costante di superamento del presente e di apprendimento del nuovo. La cultura aziendale è in larga parte il prodotto, elaborato, sedimentato, tendenzialmente stabile e purtroppo parzialmente inconscio, dell’esperienza.
I modelli consolidati di pensiero e di azione tendono a perpetuarsi e oppongono, finché possibile, resistenza al cambiamento perché quest’ultimo mette in crisi la loro coesione e condivisione. Il cambiamento rende obsoleto gran parte del passato, delle cose e delle idee e quindi distrugge utilità e valore delle conoscenze possedute e dei modelli, validati dall’esperienza, per pensare e agire nella realtà. La cultura al cambiamento è difficile e costosa perché deve necessariamente accettare di non recuperare i costi sostenuti per la produzione e l’apprendimento delle conoscenze precedenti e consolidate, ormai obsolete e non più utilizzabili.
E, in alcuni casi, il cambiamento è l’unica strada percorribile. Le alleanze strategiche, la creazione di gruppi, le operazioni di fusione e di incorporazione, possono essere faticose e non essere redditizie nel breve termine, ma possono portare alla creazione di valore nel medio e lungo periodo.
Le banche stanno diventando più grandi, quanto a dimensioni e più complesse, quanto a numerosità
e diversità dei business presidiati. Tutto ciò mette in evidente tensione la struttura organizzativa,
portando una sfida formidabile alle capacità del management di governare l’accresciuta
complessità.
Difficile affermare quale modello sia migliore. Vero è che una banca di piccole dimensioni, locale, ha la possibilità di avere una struttura più semplice e flessibile, in modo tale da prendere decisioni con velocità. E questo abbiamo visto essere un punto fondamentale nella soddisfazione della clientela. Difficilmente, però, potrà utilizzare economie di scala o di scopo, ed è maggiormente esposta a rischi di una minore diversificazione dei rischi.
Una banca del territorio, poi, potrà contare sui benefici attesi in termini di vantaggi informativi, derivanti dal radicamento, ma dovendosi guardare dai costi attesi derivanti dai condizionamenti che rappresentanze locali forti e consolidate possono esercitare a discapito dell’autonomia della banca.
Le banche locali, come la vecchia “Cassa di Risparmio di Firenze”
1, sono banche di relazione, che tendono a privilegiare rapporti stretti e di lunga durata con le imprese ed un approccio al credito basato sulla conoscenza diretta e approfondita del cliente.
Ma essere banca locale significa anche e soprattutto qualificarsi per un atteggiamento di reale prossimità. Vuol dire identificarsi nell’economia locale, appartenere al territorio e ad esso essere strettamente legata. Una banca locale è consapevole che la sua crescita è strettamente legata allo sviluppo, non solo economico, del territorio in cui insiste. Ne condivide, per così dire, le sorti.
Altro connotato che caratterizza una banca locale è l’organizzazione operativa e gestionale, tale da garantire che i centri decisionali siano collocati nelle aree di insediamento. In particolare, la responsabilità di concedere credito non è solo “sul territorio” con la rete degli sportelli, ma anche e soprattutto “nel territorio” attraverso la conoscenza della realtà socio-economica e le relazioni con le categorie produttive locali.
Diverso è per un gruppo come quello di Intesa San Paolo, dove tutto è in continuo movimento, un gruppo vicino al territorio, ma quello nazionale, attraverso la promozione e lo sviluppo di macro iniziative a favore dell’intero Paese.
L’obiettivo della nostra banca, ormai Cassa di Risparmio di Firenze nel gruppo di Intesa San Paolo, è quello di essere un grande gruppo a livello nazionale e internazionale e, al tempo stesso, essere profondamente radicata nel territorio locale, attraverso le numerose ramificazioni delle banche del gruppo. Banca locale e gruppo nazionale contemporaneamente, questa è la grande sfida del futuro.
Una sfida molto difficile, ma possibile. Diventare un importante punto di riferimento per tutto il territorio di Firenze e della Toscana, utilizzando la struttura e i canali di tutto il gruppo. E per arrivare a tale obiettivo, come ha dichiarato in un suo discorso il Direttore Generale di Banca CR Firenze, Luciano Nebbia, serve “la consapevolezza delle nostre forze, delle nostre capacità, una sincera fiducia reciproca e tanto, tanto dinamismo, determinazione e impegno.”
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