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1.1 Il cancro del colon-retto: un’emergenza sociale

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Capitolo 1

Introduzione al problema medico

1.1 Il cancro del colon-retto: un’emergenza sociale

Il cancro del colon-retto (CCR) è una delle neoplasie a più elevata incidenza nel mondo occidentale, e rappresenta la seconda causa di mortalità per neoplasia in ambedue i sessi sia in Europa che negli Stati Uniti [1,2]. Il CCR rappresenta il 9,4% di tutti i tumori nell'uomo e il 10,1% nelle donne. Il cancro del colon-retto ha un'incidenza sulla popolazione italiana di 34.000 nuovi casi l'anno, con una mortalità elevata che arriva fino a circa 19.000 decessi. Pertanto, il CCR è da ritenersi la seconda causa di morte per tumore dopo il cancro al polmone (30.000 decessi). Questo dato indica che il cancro del colon può essere considerato anche una delle grandi emergenze nazionali, sia in termini di malattia sia in termini di costi sociali ed economici, tanto che nel Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 era stato posto come una delle priorità d'intervento, senza peraltro che fossero dati indirizzi su programmi specifici di prevenzione. A queste prime dichiarazioni d’intenti ha fatto seguito il Piano Oncologico Nazionale del Ministero della Sanità [3], il quale, essendo un piano mirato di prevenzione, indica le linee guida per diminuire l'incidenza del cancro del colon-retto insieme con quello del polmone, della mammella e della prostata.

IL CCR è infatti una tipologia di tumore altamente prevenibile nelle fasi preneoplastiche maligne, sia precocemente diagnosticabile qualora già sviluppato ma non ancora diffuso, poiché la sua asportazione aumenta molto le possibilità di una sradicazione totale senza diffusione metastatica.

1.2 Fattori di rischio

Molti sono i fattori di rischio del CCR da tenere in conto sia per un'eventuale

prevenzione primaria sia per la diagnosi precoce. In primis si trovano l'appartenenza al

mondo occidentale: oltre a generici fattori genetico/ambientali, importante è lo stile di

vita caratterizzato dall'elevato apporto calorico (limitativa sarebbe una dieta adeguata,

povera di grassi e proteine della carne, ricca di vegetali e di vitamine come l'acido

folico), così come l'abitudine al fumo e l’elevato consumo di alcol. Una particolare

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importanza rivestono invece i fattori genetici specifici, soprattutto per le forme di poliposi 1 familiare e di cancro del colon ereditario non poliposico, che quasi invariabilmente sono trasmesse per via ereditaria diretta, mentre un minore impatto sullo sviluppo del cancro hanno malattie croniche infiammatori di lunga durata, come la rettocolite ulcerosa 2 . Per ciò che riguarda l'età, l'incidenza è prevalente oltre i 50 anni, aumentando progressivamente sino a raggiungere il suo picco dopo i 70 anni, con età media d'insorgenza sui 68 anni. Una storia familiare di CCR aumenta il rischio anche nelle fasce d'età tra i 40 ed i 50 anni e questo deve essere tenuto in debito conto nei programmi di screening, i quali, in questi gruppi a potenziale rischio, devono iniziare precocemente.

In circa il 90% dei casi, il tumore del colon insorge in un polipo adenomatoso, con una sequenza mediamente di 10 anni che porta dal polipo adenomatoso al cancro. Per questo, l'identificazione e asportazione di polipi adenomatosi è in grado di interrompere tale sequenza, e questo è documentato anche dalla prova di un'incidenza minore del CCR negli Stati Uniti in questi ultimi anni: infatti tra la popolazione sottoposta a esami di diagnosi precoce, come il sangue occulto fecale e l'endoscopia (esami questi destinati a diventare di routine), si è registrata una diminuzione variabile dal 18 al 33% secondo la sensibilità della tecnica impiegata [4,5]. Da questi dati si può tuttavia concludere che, data l'ancora alta incidenza di questo tipo di tumore, la diagnosi avviene raramente nelle sue fasi iniziali, quando l'intervento potrebbe portare a guarigione il paziente. Quindi lo screening programmato del carcinoma colon-rettale è attualmente l'unico vero mezzo che permetta di ridurre non solo la mortalità, ma anche l'incidenza della neoplasia. Ma

1

Con il termine polipi si indicano lesioni sulla superficie del TGI che si estendono nel lumen. questi tumori sono spesso asintomatici, rendendone molto difficile la diagnosi. Tale patologia ha un’elevata frequenza e può talvolta comportare emorragia e soprattutto trasformarsi in una neoplasia maligna; per questo motivo i medici ne raccomandano l’asportazione immediata tramite polipectomia endoscopica.

Dopo tale intervento, viene raccomandata, annualmente, una colonscopia per individuare altre eventuali lesioni.

2

La colite ulcerosa è una malattia cronica, dalla causa ignota, caratterizzata da infiammazione della

mucosa e della sottomucosa dell’intestino crasso. La flogosi coinvolge normalmente il retto, fino al

margine anale, e si estende fino al colon, per tratti variabili. Tale patologia ha un’incidenza stimata di 2-7

casi su 100˙000 abitanti e colpisce soprattutto la popolazione bianca; la mortalità è pressoché trascurabile,

tuttavia esiste un lieve rischio di degenerazione in cancro al colon.

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quali sono in pratica gli esami più efficaci per rendere utile uno screening per il CCR e quando devono essere eseguiti, e in quali soggetti?

Per rispondere a queste domande dobbiamo innanzitutto distinguere tra soggetti a rischio normale medio, moderato ed elevato.

Per soggetti a rischio normale medio si intendono le persone sopra i 50 anni che non hanno altri fattori di rischio oltre all'età; per soggetti a rischio moderato si intendono invece quelle persone in cui sono stati riscontrati adenomi o che abbiano parenti di primo grado a cui sia stato diagnosticato un tumore al colon o un adenoma prima dei 60 anni; infine per soggetti a rischio elevato si intendono quelle persone afflitte da poliposi familiare, da cancro in poliposi non familiare o da malattie croniche infiammatorie del colon (colite ulcerosa, malattia di Crohn 3 ).

Il percorso diagnostico e il tipo di esame da utilizzare variano ovviamente a seconda del soggetto da trattare. In tabella 1 e in tabella 2 sono riportati rispettivamente i principali fattori di rischio dello sviluppo del cancro colon-rettale e i programmi di screening del cancro del colon-retto da utilizzare a seconda del tipo di soggetto da trattare [6].

Tabella 1. Principali fattori di rischio dello sviluppo del cancro colon-rettale Età superiore ai 50/55 anni

Dieta ricca di grassi e povera di fibre Presenza di polipi adenomatosi

Anamnesi familiare di cancro colon-rettale Poliposi familiare (FAP)

Cancro del colon ereditario non poliposico (HNPCC)

Malattie croniche infiammatorie del colon (Colite ulcerosa, m. di Crohn) Anamnesi di tumori della mammella, ovarico o endometriale

3

La malattia di Crohn consiste in un processo infiammatorio acuto e cronico, dalla causa ancora

sconosciuta, che può interessare qualunque parte del TGI ed in particolare l’ileo, il colon e la regione ano-

rettale; come la colite ulcerosa, il morbo di Crohn è più comune nell’Europa del Nord e negli Stati Uniti. I

tratti di intestino malato hanno pareti ispessite e, nei casi più avanzati, un’architettura della mucosa

alterata dalla presenza di ulcerazioni multiple.

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Tabella 2. Programmi di screening del cancro del colon-retto Rischio normale medio (età>50 anni)

Ricerca annuale del sangue occulto nelle feci e rettosigmoidoscopia con strumento flessibile o colonscopia ogni 5 anni

Rischio moderato

Riscontro di adenoma: colonscopia

Parenti di primo grado con tumore del colon: colonscopia all'età di 40 anni, o 10 anni prima se tumore familiare in giovane età

Parenti di primo grado con adenoma prima di 60 anni: colonscopia all'età di 40 anni

Rischio elevato

Poliposi familiare: colonscopia sui dieci anni e valutazione genetica

Cancro in poliposi non familiare: colonscopia sui 20 anni e valutazione ogni 2 anni; dopo 40 anni, ogni anno; valutazione genetica

Malattie infiammatorie del colon: colonscopia ogni 2 anni in colite totale della durata 8 anni; se colite sinistra, dopo 12 anni

Di seguito vengono descritte le tecniche oggi disponibili per attuare un eventuale screening programmato.

1.3 Tecniche di Screening

Si distinguono due tipi di test di prevenzione per il carcinoma colorettale:

• i test per la ricerca del sangue occulto nelle feci (FOBT), che mirano a ridurre la mortalità per CCR consentendo il trattamento di tumori invasivi in fase asintomatica, ma che agiscono anche sulla incidenza di CCR portando alla diagnosi di lesioni pre-invasive;

• i test endoscopici che mirano a ridurre l’incidenza di CCR, attraverso la rimozione di lesioni pre-invasive (polipi adenomatosi) e alla diagnosi di carcinomi asintomatici.

1.3.1 Ricerca del sangue occulto fecale (Fecal Occult Blood Test)

Il test si basa sul presupposto che le neoplasie maligne e i polipi sanguinino più

facilmente della mucosa normale, e che quindi la scoperta del sangue occulto nelle feci

porti alla diagnosi in una fase precoce. Il sanguinamento di solito è intermittente e il

sangue è distribuito in maniera non uniforme nelle feci. La quantità di sangue tende ad

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aumentare con le dimensioni della lesione ed il suo stadio di sviluppo. I polipi più piccoli sanguinano raramente, mentre quelli di dimensioni superiori sanguinano spesso.

Effettuare più prelievi e ripetere il test negli anni aumenta la probabilità di rilevare lesioni. In caso di positività il paziente viene avviato all'indagine di II livello che è rappresentata dalla colonscopia che permette la diagnosi, il prelievo bioptico e l'asportazione del polipo. Sono disponibili diversi tipi di test per la ricerca del sangue occulto nelle feci [7]: quello immunologico e quello al guaiaco (Hemoccult);

quest’ultimo è quello più usato perché più pratico e di più facile esecuzione anche se lievemente meno sensibile. Ricordiamo che il test non fornisce informazioni sulla quantità di sangue perso e che non è specifico per polipi o neoplasie maligne, perché altre lesioni dell'apparato digerente (lesioni gengivali, emorroidi eccetera) possono causare sanguinamento e quindi positività all'esame. Il test può risultare positivo anche perché alcune sostanze (carne rossa, batteri, alcuni tipi di verdura e frutta) possono dare falsa positività. Inoltre, anche l'assunzione di alcuni farmaci - quali l'aspirina - può causare sanguinamento e quindi positività del test in assenza di tumore. Sono possibili anche falsi negativi (test negativo in presenza di tumore), perché le lesioni sanguinano in maniera intermittente e imprevedibile, e il sangue potrebbe non essere presente nel campione nel momento del prelievo (questo è il motivo per cui si consigliano prelievi diversi e ripetuti). Anche la vitamina C e l'assunzione di ferro possono essere causa di falsi negativi, proprio perché la vitamina C interferisce con la reazione chimica del test, mentre il ferro ne rende difficile la lettura.

Ricordiamo che la sensibilità del test è definita dal numero di soggetti che sono stati identificati correttamente dal test di screening (veri positivi. La sensibilità della ricerca del sangue occulto fecale per il CCR varia dal 40% al 60%. La specificità di un test è, invece, il rapporto tra il gruppo dei soggetti sani correttamente identificati dal test di screening (veri negativi) e il numero totale dei soggetti senza malattia (veri negativi + falsi negativi). La specificità del sangue occulto fecale per il CCR varia dal 70% al 99%. Se il test è troppo sensibile diminuisce la sua specificità, portando a un incremento eccessivo nel ricorso alla colonscopia.

I vantaggi di questa tecnica sono legati a una buona accettabilità da parte del soggetto (dovuta soprattutto alla non invasività del test) e alla sua facile ripetibilità nel tempo.

Gli utenti con sangue occulto positivo vengono avviati ad approfondimento diagnostico:

colonscopia totale e, se incompleta, clisma opaco a doppio contrasto.

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1.3.2 Test endoscopici: rettosigmoidoscopia e colonscopia

Due sono i test endoscopici presi in considerazione per un utilizzo di programmi di screening: la rettosigmoidoscopia, che permette di esplorare solo il retto-sigma e la parte terminale del discendente (in cui sono localizzati i 2/3 dei cancri e degli adenomi), e la colonscopia, che permette una esplorazione completa dell’intestino.

Di seguito viene riportata una breve descrizione dell’intestino e degli strumenti endoscopici utilizzati per gli esami diagnostici [8-9].

Il tratto gastrointestinale (TGI) è lungo approssimativamente 9 metri e si estende dalla bocca all’ano. Si suddivide in cavità orale, faringe, esofago, stomaco, intestino tenue, intestino crasso, retto e ano (figura.

1.1). La sua funzione è quella di espellere il cibo ingerito dalla bocca dopo averne estratto le sostanze nutritive necessarie al funzionamento della macchina-uomo.

Prende il nome di intestino quella porzione del canale alimentare che si estende dallo stomaco sino all'orifizio anale. In esso si distinguono fondamentalmente due parti che si diversificano per morfologia e funzione:

l'intestino tenue posto in diretta continuazione allo stomaco, e l'intestino crasso che rappresenta il tratto inferiore e terminale dell'intero tubo digerente.

L’intestino tenue (o piccolo intestino) presenta un diametro di 2.5 cm ed una lunghezza approssimativa di circa 6 metri; si estende dallo stomaco alla parte dell’intestino crasso chiamato cieco. All’interno della cavità addominale, l’intestino crasso circonda la

“matassa” del tenue (Fig. 1.2).

Il duodeno costituisce i primi 25 cm del piccolo intestino. Il digiuno è lungo circa 2.5 metri e l’ileo 3.5 metri.

L’intestino crasso, detto anche colon dal nome del segmento principale, è lungo approssimativamente un metro e mezzo, presenta un diametro medio di circa 6.3 cm e si estende dall’ileo del tenue all’ano.

Fig. 1.1: Tratto Gastrointestinale

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Il primo tratto è costituito dal cieco ed alla sua congiunzione con l’ileo si trova la valvola ileocecale: un restringimento che svolge una funzione analoga a quella di uno sfintere. La chiusura di tale valvola evita il reflusso di materiale fecale verso il tenue.

Nella regione cecale è collocata l’appendice: un prolungamento vermiforme a fondo chiuso, ricco di tessuto linfatico, lungo dai 6 agli 8 centimetri. Questo è un organo vestigiale o

residuo strutturale, cioè non svolge nessuna funzione apparente. Il resto del colon è formato dal colon ascendente, dal colon traverso e da quello discendente, che circondano l’intestino tenue; il colon sigmoideo (o sigma) decorre all’interno della fossa iliaca sinistra ed all’indietro nello scavo pelvico; il retto, composto dal canale anale e dall’ampolla rettale, è lungo circa 12 cm. (figura 1.3).

Per esaminare e trattare le patologie del TGI sono utilizzati diversi tipi di endoscopi.

Questi variano in lunghezza (da 30 a 185 cm) e diametro (dai 3.7 mm per il più piccolo gastroscopio di uso pediatrico fino ad oltre 12 mm per un colonscopio) a seconda della parte che vanno ad ispezionare. Il gastroscopio, che viene introdotto attraverso la bocca, è utilizzato per ispezionare l’esofago e lo stomaco. Per analizzare il duodeno si utilizza il duodenoscopio mentre per il tenue, che raggiunge una lunghezza di 7.5 m, si utilizza uno speciale enteroscopio della lunghezza di 300 cm che permette di ispezionarne solo il primo tratto. Il colonscopio, inserito attraverso l’ano, ispeziona l’intero colon. Il sigmoidoscopio è una versione più corta del colonscopio che giunge fino al tratto sigma del colon.

Questi strumenti sono generalmente flessibili e sono dotati di una punta orientabile dall’operatore, mediante la quale è possibile indirizzare lo strumento all’interno della

Fig. 1.2: La “matassa” del tenue

Colon Trasverso

Colon Discendente

Colon Sigmoideo Retto

Appendice Cieco Colon Ascendente

Fig. 1.3: Schema dell’intestino crasso

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cavità in esame. La zona in esame viene illuminata con fonte esterna di luce ad alta intensità e ripresa con un sistema a fibre ottiche che riporta l’immagine direttamente all’occhio dell’operatore oppure, mediante una digitalizzazione dell’immagine, ad un monitor. Un canale interno permette il passaggio di strumenti chirurgici come pinze per biopsie, strumenti per

polipectomia, aghi per iniezioni e sonde laser per elettrocoagulazione. Tale canale permette inoltre il passaggio di acqua per la pulizia delle lenti dello strumento ed anche l’aspirazione per la pulizia e la raccolta del materiale scisso mediante gli strumenti di taglio (vedi figura 1.4).

1.3.2.1 Rettosigmoidoscopia

La rettosigmoidoscopia, eseguita con un rettosigmoidoscopio di circa 50 cm di lunghezza come screening del cancro del colon retto, è raccomandata in quanto studi epidemiologici hanno mostrato che la maggior parte delle neoplasie si localizza nel retto-sigma e nell'ultima parte del discendente. Tuttavia, è stato dimostrato che solo in pochi casi si è verificata un’effettiva riduzione della mortalità tramite rettosigmoidoscopia come esame di screening e limitatamente al tratto di colon esaminato (la tecnica è inefficace laddove la neoplasia sia localizzata in sedi non raggiungibili con il rettosigmoidoscopio) Tale strategia di screening raccomandata negli Stati Uniti, in quanto la rettosigmoidoscopia può essere eseguita dai medici di medicina generale e in alcune realtà anche da infermieri con particolare training, pare poco proponibile nel nostro paese; infatti, gli operatori che di norma eseguono l'esame endoscopico sono gli stessi che effettuano comunemente negli stessi servizi la colonscopia. I vantaggi del suo impiego sono quelli di dover fare una preparazione più semplice e di non richiedere necessariamente una sedazione.

Non conosciamo ancora quale sia l'intervallo di tempo migliore per sottoporre pazienti al la rettosigmoidoscopia flessibile. Inoltre, la rettosigmoidoscopia deve essere seguita dalla colonscopia totale quando venga riscontrato un adenoma ad alto rischio, oppure un

Sensore CCD

Sorgente Illuminazione

Canale acqua/aria Canale biopsie

Fig. 1.4: Punta di un video-colonoscopio

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numero di polipi maggiore di 3 o un polipo a istologia villosa, con diametro maggiore di 1 cm. L'American College of Gastroenterology raccomanda questa procedura a intervalli di cinque anni, ma è verosimile che nel futuro gli intervalli possano essere di maggiore durata.

I limiti della tecnica sono rappresentati dalla mancata esplorazione di tutto il colon e dal fatto che una parte considerevole dei carcinomi e degli adenomi (fino al 40%) può sfuggire all'indagine; è stata dimostrata, infatti, una progressione della neoplasia verso il colon prossimale con l'evolvere dell'età.

1.3.2.2 Colonscopia

La colonscopia è considerata il più importante mezzo per lo studio del colon, quindi la tecnica più efficace per lo screening del CCR.

Per eseguire l’esame il medico deve far penetrare il colonscopio attraverso l’ano e fargli percorrere un tragitto che presenta curve molto acute, nonché differenziate tra paziente e paziente. Durante l’avanzamento viene pompata dell’aria all’interno del colon per favorire la distensione dei tessuti normalmente collassati ed aiutare così la risalita del dispositivo; un’eccessiva quantità di aria pompata può però provocare dolore al paziente o, in casi estremi, provocare la perforazione dell’intestino. Per far avanzare il colonscopio, il colonscopista, oltre che spingerlo, deve spesso ritrarlo e scuoterlo in modo da allineare il colon allo strumento, onde evitare che si formino delle spirali che possono provocare dolore e rendere difficoltosa la manovra della punta orientabile durante le eventuali operazioni di biopsia o polipectomia.

Spesso, per facilitare la risalita e diminuire il dolore, il medico preme sull’addome del paziente per orientare dall’ esterno la posizione del colon. Quando la punta dell’endoscopio incontra una curva particolarmente acuta, può accadere che essa prema contro la parete del colon; in tal modo tutto il campo visivo è occupato dal tessuto, e si ha la scomparsa del lumen che normalmente permette di riconoscere il percorso da far seguire all’endoscopio. Quando ciò accade, un endoscopista con poca esperienza può essere disorientato ed avere difficoltà nel ritrovare il lumen; questo può provocare perfino la perforazione di una parete intestinale patologica a causa di movimenti maldestri operati dal medico (2-3 casi per 1000 esami).

I movimenti basilari per muovere la punta del colonscopio attraverso le curve del colon

richiedono manualità e diversi anni di addestramento per il colonscopista.

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Le procedure endoscopiche odierne dipendono molto dall’abilità del medico. Un endoscopista con esperienza riesce ad eseguire l’esame con una maggiore efficacia rispetto ad uno dotato di meno esperienza ed inoltre esegue l’esame in minor tempo (generalmente dai 10 ai 25 minuti), e con conseguente minor disagio per il paziente.

La colonscopia viene proposta ogni 10 anni a partire dai 50 anni di età come opzione di screening nell'ambito del rapporto medico-paziente. Questa procedura, proposta dai gastroenterologi americani come possibile strategia preferenziale, ma per la quale non vi sono ancora dati di efficacia, sembra poco proponibile nel nostro paese, almeno in questo momento, per problemi organizzativi, anche se può essere offerta su campioni selezionati.

Analoghe condizioni valgono per la strategia di una sola colonscopia nell'arco della vita, attualmente oggetto di un trial di fattibilità in USA. Non sono disponibili studi sulla riduzione della mortalità usando la colonscopia. Gli argomenti a favore dello screening colonoscopico sono indiretti. Se la rettosigmoidoscopia, che esamina meno della metà del colon, consente una riduzione della mortalità del 50%, la colonscopia, esaminando tutto il tratto dell’intestino crasso dovrebbe consentire risultati più soddisfacenti con un modesto disagio addizionale rispetto alla rettosigmoidoscopia.

Secondo i dati del National Polyps Study, la colonscopia ha dimostrato di ridurre del 76% l'incidenza del CCR in una popolazione sottoposta a sorveglianza perché affetta da polipi e ha quasi azzerato la mortalità. Uno studio multicentrico italiano in corso di pubblicazione mostra una riduzione di incidenza del 66% rispetto a quella attesa nella popolazione generale, in soggetti sottoposti a colonscopia e polipectomia tra il 1980 e il dicembre 1996 [10].

1.4 Difficoltà nello sviluppo di programmi di screening

Dal confronto fra tutti i fattori che dovrebbero spingere ad un'azione forte nella

prevenzione dei tumori del CCR e la realtà degli impegni praticamente messi in atto

nelle varie regioni italiane, appare carente sia la valutazione adeguata del fenomeno sia,

di conseguenza, una vera politica che spinga a prendere le misure necessarie a prevenire

il CCR nei cittadini. Per questo ci si deve chiedere quali siano le vere difficoltà che per

ora impediscono una diffusione dei programmi di screening sul CCR in tutto il territorio

nazionale come, per esempio, i programmi già esistenti e consolidati sul cancro

dell'utero o della mammella.

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Si possono individuare due cause principali che frenano la diffusione di un programma di screening efficace:

• la prima causa è dovuta ad una visione culturale negativa del problema, poiché non esiste nella popolazione una vera e propria coscienza della sua gravità (al contrario di quanto è avvenuto per il cancro alla mammella e dell’utero); questo è aggravato dal fatto che il colon con le sue deiezioni è spesso considerato un organo poco nobile e che per il suo studio sono necessari esami poco gradevoli, come la raccolta delle feci o l'introduzione nel retto di una sonda più o meno dolorosa, preceduta da una pulizia fastidiosa.

• la seconda causa è legata alla mancanza di una sensibilità delle istituzioni che sovrintendono la prevenzione e di un'azione propositiva per lanciare programmi di screening che sono temuti perché molto complicati o molto costosi, o per ambedue i motivi. Si è calcolato, infatti, che la proposta di eseguire la ricerca del sangue occulto nella popolazione oltre i 50 anni di età e con un'adesione del 50% richiederebbe l'esecuzione di più di 400.000 colonscopie l'anno (che sono all'incirca tutte le colonscopie che si eseguono in Italia, molte delle quali, bisogna dirlo, hanno già una valenza di screening) con un conseguente dispendio economico da parte delle istituzione preposte.

1.5 Motivazione e scopi della trattazione

Da quanto esposto nei paragrafi precedenti, risulta chiara, ai fini della prevenzione dei tumori a carico del TGI, l’importanza dell’esecuzione di esami diagnostici ripetuti nel tempo; sono però altrettanto palesi i motivi per cui un programma di screening generalizzato del CCR riscuota per ora una ridotta accettazione da parte della popolazione (negli USA soltanto un terzo della popolazione ha risposto alle campagne di screening).

Risulta allora naturale chiedersi quale siano i fattori che possano favorire una più larga diffusione dello screening del CCR.

Innanzitutto potrebbe essere utile avviare delle campagne di sensibilizzazione pubblica mirate a creare nella popolazione una maggiore consapevolezza sull’importanza della prevenzione (alimentare in primo luogo) e della diagnosi precoce.

In secondo luogo sarebbe opportuno sviluppare delle tecniche diagnostiche meno

invasive, dolorose, complicate e costose di quelle attuali.

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Riguardo a quest’ultimo aspetto, già da diversi anni, molti centri di ricerca nel mondo stanno lavorando alla realizzazione di capsule endoscopiche miniaturizzate e ingeribili che possano sostituire gli attuali endoscopi, garantendo una minore invasività e quindi un maggior sollievo per il paziente.

L’utilizzo di tali dispositivi, in grado di esplorare in modo autonomo o semi-autonomo i vari organi che compongono il TGI, potrebbero risolvere alcuni dei problemi (oltre quelli già citati) relativi alle tecniche di endoscopia classiche.

Infatti:

• un endoscopio robotico autonomo non necessiterebbe di un operatore particolarmente addestrato per eseguire l’esame, e quindi tutti i pazienti sarebbero soggetti al medesimo trattamento, sia come comfort che come tempo impiegato;

• il training dell’endoscopista potrebbe essere ridotto alla sola diagnosi e trattamento delle anormalità riscontrate nel TGI, senza la necessità dell’abilità manuale che è richiesta per l’uso di un endoscopio tradizionale;

• con una procedura automatizzata l’operatore potrebbe seguire più esami contemporaneamente, dovendosi limitare soltanto alla fase di diagnosi o di cura.

In tal modo si ridurrebbero notevolmente anche i costi della diagnosi;

• con l’utilizzo di una capsula endoscopica sarebbe possibile esplorare quei tratti di intestino normalmente non raggiungibili dalle tecniche endoscopiche classiche, come l’intestino tenue;

• infine una caratteristica ulteriore sarebbe rappresentata dalla possibilità di utilizzare la capsula per eseguire diagnosi senza la presenza diretta del medico (tele-diagnosi).

Questa tesi, sviluppata nell’ambito del progetto E.MI.LOC. (Endoscopic Microcapsule Locomotion and Control) presso la Scuola Superiore Sant’Anna, con il supporto dell’Intelligent Microsystem Center di Seoul (istituzione del Korean Institute of Science

& Technology) che ha attivato un progetto decennale teso allo sviluppo di una capsula endoscopica miniaturizzata ed ingeribile, ha lo scopo di individuare e testare un sistema di locomozione in grado di far avanzare autonomamente il dispositivo all’interno del TGI.

Nel panorama scientifico attuale (vedi paragrafo successivo) esistono solamente

dispositivi dotati di locomozione passiva, ossia che sfruttano i movimenti peristaltici del

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canale alimentare per avanzare lungo il TGI; tali dispositivi non sono quindi in grado di focalizzare l’indagine su punti prestabiliti o di particolare interesse medico, essendo incapaci di arrestare, rallentare o invertite la loro corsa lungo il canale.

Da quanto detto si capisce l’importanza di sviluppare un efficiente meccanismo di locomozione controllabile da un operatore esterno, in grado di portare gli strumenti d’indagine, presenti nella capsula, nei siti di maggior interesse diagnostico.

Di seguito viene presentata una breve descrizione delle pillole endoscopiche presenti attualmente nel panorama scientifico mondiale.

1.5.1.Pillole Endoscopiche

La più importante realtà nel campo delle capsule per endoscopia è rappresentata attualmente dalla Given (GastroIntestinal Video ENdoscopy) Imaging Ltd [11], azienda nata nel 1998 e impegnata nel campo della diagnostica, con sede in Israele, che sviluppa produce e commercializza il

“Sistema per la Ripresa di Immagini Diagnostiche Given®”, una tecnologia non invasiva per la diagnosi dei disturbi del tratto gastrointestinale.

Approvato dalla U.S. Food and Drug Administration nell'agosto 2001, il Sistema Given è attualmente autorizzato alla vendita negli Stati Uniti, nell'Unione Europea, in Canada, Australia, Nuova Zelanda e Israele.

Il sistema è composto da:

Capsula M2A™: una capsula monouso brevettata per la ripresa di immagini video a colori che, una volta ingerita, attraversa passivamente l'apparato digerente per essere infine espulsa.

Data Recorder Given®: sistema di ricezione che, indossato su una cintura intorno alla vita, riceve i segnali trasmessi dalla capsula attraverso un sistema di

Fig. 1.7: Sistema Given per endoscopia

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sensori posizionati sul corpo del paziente. Durante un tipico esame, della durata di sette ore, la capsula M2A trasmette circa 50.000 immagini al registratore dati portatile.

RAPID™ Workstation: equipaggiata con software applicativo proprietario RAPID™ (Reporting and Processing of Images and Data - Presentazione ed Elaborazione di Immagini e Dati) di Given Imaging, elabora i dati e produce un filmato video con le immagini dell'intestino tenue. La RAPID™ Workstation permette ai medici di visualizzare, modificare, archiviare ed inviare per e-mail il filmato video, nonché di salvare singole immagini e brevi videoclip.

Lo sviluppo della micro capsula M2A è stato reso possibile dal veloce progresso degli ultimi anni di tre tecnologie chiave: lo sviluppo di videocamere CMOS 4 ., la miniaturizzazione dei processi realizzativi di ASIC e l’ottimizzazione dei LED bianchi utili all’illuminazione .

Sono stati inoltre fondamentali aspetti come la riduzione delle dimensioni delle batterie ed il progresso nel campo dei circuiti optoelettronici. In particolare l’aggiunta di un buffer per ciascun pixel riesce a ridurre il rumore d’uscita associato al sensore di immagini CMOS, permettendo al chip di raggiungere una qualità di immagine comparabile a quella di un sensore CCD, nonostante si abbia una minor potenza assorbita. Il progresso nell’ASIC design ha permesso l’integrazione nella capsula di un trasmettitore video di sufficiente larghezza di banda, efficienza e potenza di uscita. Le immagini video vengono trasmesse tramite radio-telemetria nella banda UHF con frame-rate di due immagini al secondo.

Dai primi esperimenti condotti sull’uomo è stato notato che la pillola attraversa l’intero TGI in un tempo che varia dalle 18 alle 48 ore, con un tempo medio di transito dello stomaco e dell’intestino tenue che è, rispettivamente, di 63 e di 194 minuti; ciò porta alla conclusione che una durata delle batterie di otto ore consente una soddisfacente visualizzazione dell’intero TGI superiore e del tenue.

4

Ad esempio la Samsung e la Sony stanno attualmente producendo videocamere CCD aventi un diametro

di 8 mm.

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Come si vede dalla figura 1.6 le dimensioni della capsula sono di 11 mm di diametro per 26 mm di lunghezza, in modo da esser piccola abbastanza per essere ingerita con facilità, senza alcun disturbo per il paziente durante l’esame, ma con lo spazio opportuno per collocarvi l’elettronica precedentemente descritta.

Inoltre il contatto della capsula con il liquido intestinale, nel tenue, garantisce una continua pulitura del dispositivo durante il movimento peristaltico.

Per la localizzazione della pillola all’interno del TGI viene sfruttato un array di 8 sensori attaccati al corpo del paziente in posizioni prestabilite; le loro uscite vengono gestite da un software che lavora sfruttando le seguenti assunzioni: il sensore che riceve con maggiore intensità il segnale emesso dalla capsula è quello più vicino ad essa; se due sensori ricevono un segnale di uguale intensità la capsula si trova a metà strada tra i due. I risultati che si ottengono sono soddisfacenti, considerando anche la semplicità dell’algoritmo usato( vedi figura 1.17, per il sistema completo).

Fig. 1.6: Diagramma schematico di M2A: (1) Cupola trasparente; (2) Lente a lunghezza focale corta; (3) LED bianchi; (4) Sensore CMOS; (5) Batterie; (6) Trasmettitore; (7) Antenna

Fig. 1.7: (A) Sistema completo Given Imaging Ltd; (B) Immagine gastrica con sospetta lesione

ripresa da M2A

(16)

Un altro esempio di micro-capsula endoscopica dotata di locomozione passiva è rappresentata dalla NORIKA 3 [11], sviluppata presso il laboratorio RF System in Giappone.

Fig. 1.4: Meccanismo interno della Norika 3 (tratto da: http://www.rfnorika.com) Il sistema nel suo complesso è costituito da:

una micro-capsula munita di un sensore di immagine CCD;

un sistema di controllo “wireless” esterno che permette di realizzare operazione di messa a fuoco della camera, di rotazione della capsula e di regolazione dell’illuminazione;

un giacchetto da far indossare al paziente munito degli avvolgimenti magnetici necessari per la trasmissione dell’energia e per il controllo della rotazione della capsula;

L’involucro esterno della capsula è realizzato in resina e presenta un diametro di 9 mm ed una lunghezza di 23 mm.

All’interno della capsula si trovano i seguenti componenti:

• 3 avvolgimenti rotorici disposti ad intervalli di 60° l’uno dall’altro: essi hanno la funzione di permettere il controllo della rotazione della capsula attorno al suo asse longitudinale;

• un sensore di immagine CCD con una risoluzione di 410000 pixel e con un frame rate di 30 immagini al secondo;

• un meccanismo di messa a fuoco della camera; il movimento della camera per la

messa a fuoco viene realizzato mediante un meccanismo analogo a quello degli

altoparlanti (vedi figura).

(17)

Fig. 1.5: Meccanismo di messa a fuoco della lente (tratto da http://www.rfnorika.com) La lente è posta al centro di un avvolgimento elettrico (voice coil) ed il tutto è sostenuto da un cono di carta; facendo passare corrente nell’avvolgimento elettrico, si genera un campo magnetico e quindi delle forze di attrazione o di repulsione (a seconda del verso di circolazione della corrente) con il magnete permanente posto dietro alla camera. Controllando l’intensità della corrente si riesce a regolare lo spostamento della lente e quindi la messa a fuoco dell’immagine.

• quattro LEDs disposti attorno alla camera CCD: due LED a luce bianca e due ad infrarosso (o con un’altra lunghezza d’onda a seconda delle necessità, vedi fig. 1.5). La luce emessa da ogni LED è regolabile dall’operatore esterno in modo da ottenere le migliori condizioni di luce per l’osservazione della parete digestiva.

Fig. 1.5: (A) Vista frontale della camera e dei LED; (B) possibili regolazioni dei LEDs

• nello spazio centrale della capsula sono alloggiati 2 serbatoi muniti di valvole

per il rilascio di farmaci, etc;

(18)

• infine nella parte posteriore della capsula sono presenti un condensatore per l’immagazzinamento dell’energia e un trasmettitore video (a microonde);

Secondo quanto riportato nel sito ufficiale, sarebbero attualmente in corso gli studi clinici necessari prima della messa in produzione del dispositivo; non sono quindi disponibili ulteriori informazioni rispetto a quanto sopra riportato.

L’unica informazione supplementare riguarda il possibile prezzo di acquisto della pillola che si aggirerà sui 40$ una volta avviata la produzione di massa.

Altro progetto degno di nota nel campo delle radio-pillole è quello partito presso The Institute for System Level Integration (Livingstone, UK), di nome IDEAS, acronimo che sta per Integrated Diagnostic for Analytical Systems [13].

Secondo David Cumming (University of Glasgow, UK), project leader di IDEAS, la peculiarità di questo piano di lavoro sarà l’integrazione in un unico microchip di tutti i vari sottocircuiti adatti a pilotare sensori chimici, di pH e di temperatura ed a trasmettere esternamente i dati acquisiti.

Questo dispositivo potrà dunque essere utilizzato per analisi del TGI non solo visuali. Il fine ultimo è quello di realizzare un lab-on-a-chip, cioè un laboratorio di analisi contenuto interamente in un chip (vedi figura 1.8), che sia complementare alla M2A della Given Imaging Ltd, definita da Cumming camera-on-a-pill, cioè telecamera integrata in una pillola. Anche IDEAS non è dotata di un sistema di locomozione attiva in quanto sfrutta la peristalsi del tratto gastrointestinale per avanzare.

Un ultimo esempio degno di nota è rappresentato dalla capsula autonoma telemetrica proposta all’inizio degli anni ’80, nell’ospedale di Strasburgo; l’obbiettivo del dispositivo era quello di diagnosticare e, eventualmente, curare alcune malattie tipiche dell’intestino [14]. Le ricerche furono affidate ad Alain Lambert, ingegnere presso l’INSERM (Istituto Nazionale della Sanità e della Ricerca Medica).

Dopo alcuni anni, nel 1986, fu realizzata la prima capsula autonoma telemetrica.

L’immagine seguente (figura 1.9) illustra la capsula, con la sua estremità intercambiabile.

Fig. 1.8: IDEAS Research project

(19)

A seconda del tipo di estremità montata sulla capsula è possibile:

1. effettuare alcune misure di interesse pratico, ad esempio il tratto di intestino percorso dalla capsula (estremità neutrale);

2. rilasciare quantità programmate di una determinata sostanza.

all’interno del corpo (estremità per il rilascio di farmaci);

3. prelevare campioni di succo gastrico in punti di interesse (estremità per l’aspirazione di liquidi);.

4. effettuare prelievi del tratto gastro- intestinale (estremità per la biopsia).

È evidente quindi che, finora, pochi sono stati gli sforzi diretti alla realizzazione di dispositivi realmente autonomi, teleoperati e controllabili nei movimenti e nell’avanzamento.

Fig. 1.9: Capsula autonoma telemetrica

Fig. 1.10 : Componenti della capsula

autonoma telemetrica

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