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Molteplici erano le attività da svolgere e c’era spazio lavorativo per ogni tipo di abilità.

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Academic year: 2021

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9 Conclusioni

Anche se nell’immaginario collettivo, l’attività agricola è vista come quella pratica che si occupa della produzione di alimenti e talvolta della loro trasformazione, in realtà il mondo agricolo è un insieme di azioni multifunzionali che vedono come luogo di intervento il territorio, inteso come contesto spaziale che sociologico.

La secolare attività dell’uomo sul territorio gli ha consentito di plasmarlo e organizzarlo sulla base di esigenze legate agli ordinamenti produttivi, costruendo paesaggi agrari, i quali oggi rappresentano oggetto di forme di tutela sia legislative che culturali.

La società rurale, prima dell’avvento dei processi di inurbamento e industrializzazione, era organizzata su un modello autogestionale nel quale, se pur scarseggiava la circolazione del denaro, non mancava quasi nulla per soddisfare le esigenze fondamentali della vita quotidiana.

Molteplici erano le attività da svolgere e c’era spazio lavorativo per ogni tipo di abilità.

Sulla base di queste semplici considerazioni, tentare di riproporre un modello per la riabilitazione socio-lavorativa nel contesto agrario non appare anacronistico ne tantomeno svilente per quei soggetti che rischierebbero di passare gran parte della loro vita in condizioni di inattività sia fisica che psichica.

L’attività lavorativa all’aperto consente l’esplicazione di molteplici attività, calibrate in funzione delle specifiche attitudini personali, tese al raggiungimento di risultati tangibili sia dal soggetto coinvolto che da chiunque abbia modo di entrare in contatto con questo mondo.

L’organizzazione lavorativa di una azienda agricola ad

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programmi di lavoro in cui ogni soggetto possa trovare una sua specifica mansione; addirittura nei casi più felici, è possibile attuare veri e propri progetti di lavoro che, a partire da un singolo seme, passando per un processo di coltivazione guidato,permettano di arrivare ad ottenere una vera produzione che sarà poi destinata agli utenti finali che la utilizzeranno. I risultati ottenuti non porteranno il segno di una eventuale disabilità, come talvolta può accadere con attività di altro genere. I ritmi di lavoro sono, in questo caso, determinati proprio da colui che si applica e non da una macchina o da un supervisore.

Partecipare ad un processo di produzione significa impegnarsi quotidianamente al lavoro, per raggiungere un risultato concreto, ovviamente con l’aiuto di persone tecnicamente competenti, che sarà destinato alla commercializzazione e dalla quale si potrà ottenere una traduzione monetaria, che costituirà il compenso per coloro che si sono faticosamente impegnati nel raggiungere il risultato programmato.

Nel moderno contesto di riassestamento del welfare, sembra quanto mai attuale consentire a soggetti di bassa contrattualità lo svincolo dal sistema puramente assistenzialistico, favorendo un approccio graduato al sistema sociale del proprio sostentamento attraverso il lavoro.

Gli aspetti tecnici e gestionali per offrire concrete realtà,

operative e visibili, non possono essere messe in atto da

soggetti pubblici, per via della peculiare natura dell’azione

produttivistica. Unità Sanitarie e Autonomie Locali devono

svolgere procedure di altro tipo, tipicamente di cura e

tutela amministrativa dei soggetti e delle condizioni che li

riguardano. In questo contesto, seguente o contestuale al

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trattamento terapeutico, la figura di un soggetto terzo, che sappia dedicarsi in maniera completa e specifica all’applicazione di progetti rivolti ai soggetti bisognosi, risulta fondamentale.

Questi soggetti terzi, possono essere anche gli stessi agricoltori che, sensibili alle tematiche del coinvolgimento di soggetti con bisogni speciali, si adoperano direttamente nell’accoglierli. Ma una figura, che sicuramente potrebbe ottenere apprezzabili risultati, è quella di soggetti “no profit” e, nello specifico, le cooperative sociali, che spesso nascono dietro l’impulso di una richiesta anche forte, per l’inclusione di persone con difficoltà.

A questo punto, una volta inquadrati soggetti e ruoli, è possibile provare ad organizzare un modello gestionale, che sappia collegare le risorse disponibili, i bisogni delle persone e che sia autosostenibile, almeno in larga misura, senza rivolgersi continuamente alle forme consuete di finanziamento pubblico o peggio, fallire negli intenti e nei risultati. Se è vero che nella fase iniziale è necessario il contributo diretto e indiretto di soggetti che forniscano beni e capitali per iniziare il processo di avvio, successivamente, la gestione ordinaria deve autosostenersi, non soltanto con l’entusiasmo di chi promuove l’iniziativa, ma anche con il supporto tecnico specializzato, sia di persone che di istituzioni.

Soprattutto se si parte da zero, scegliere quali produzioni

mettere in atto, con quali tecniche, come commercializzare

la produzione, non è cosa di poco conto. Trarre spunto

dalle realtà che già operano e che hanno per conto loro

condotto queste esperienze, può risultare non proficuo, in

quanto ogni realtà si è evoluta nel proprio specifico

contesto e che può essere assai diverso da situazione a

situazione. Una regola di base deve animare lo spirito di

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iniziativa: iniziare ponendosi dei target certamente raggiungibili!

Nell’organizzare l’ordinamento produttivo per la fattoria sociale da realizzare presso il centro C.I.M. “La Badia” di San Miniato, proprio considerando il trascorso storico di questo complesso e la potenziale vocazione attuale dei terreni messi a disposizione dell’ AUSL 11, la soluzione di ricorrere all’ordinamento orticolo (e successivamente orto- frutticolo) è parsa la strada più percorribile.

Con questo ordinamento si possono raggiungere i seguenti obiettivi:

1. modesti investimenti iniziali;

2. attività lavorative distribuite su tutto lo spazio temporale dell’anno;

3. ampia possibilità di opportunità di lavoro;

4. possibilità di responsabilizzare i soggetti impegnati con progetti individuali;

5. scegliere specie e cultivar della tradizione locale;

6. adozione di tecniche di coltivazione a basso imput energetico;

7. ottenere una produzione vendibile per almeno 20 settimane;

8. offrire un’offerta diversificata dei prodotti;

9. ottenere prodotti di largo consumo e facilmente vendibili;

Scegliere di coltivare antiche varietà o locali, sta a

significare non solo il tentativo di mantenere una

continuità culturale con la storia del territorio, ma anche

di adottare la scelta del materiale vegetale che consenta

una eventuale adozione di una tecnica colturale di tipo

biologico, sia per assecondare una richiesta commerciale

sia per evitare l’uso di presidi sanitari per la difesa delle

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coltivazioni, che, considerato il contesto, sarebbe bene ridurre al minimo.

Iniziare un’attività agraria ex novo, e per di più rivolta a persone disabili, non può prescindere dall’adesione ad una rete istituzionale che raccordi le varie realtà presenti in un determinato territorio, L’ARSIA e la Regione Toscana hanno promosso iniziative volte al riconoscimento di pratiche di agricoltura sociale, evidenziando una certa vitalità del sistema agricolo toscano nell’offrire servizi a soggetti bisognosi, anche se in modalità eterogenea.

Il programma di governo della Regione Toscana ha previsto, e prevede anche per il futuro, piani volti a rafforzare la coesione sociale, mirando ad ottenere l’inclusione sociale delle fasce emarginate.

Il progetto coordinato dal Centro Interdipartimentale di Ricerche Agro-Ambientali “E. Avanzi”, dell’Università di Pisa, si pone l’obiettivo di assumere la centralità per l’innovazione socialmente responsabile in agricoltura, istituendosi come network fra soggetti locali, regionali, nazionali e internazionali. Su questo substrato si inserisce l’azione del Centro che per la sua vocazione di ricerca, sperimentazione e divulgazione delle conoscenze acquisite mira a consolidare le evidenze scientifiche rispetto all’efficacia di pratiche di agricoltura sociale rivolte a soggetti a bassa contrattualità, organizzare il trasferimento di pratiche di agricoltura sociale, capaci di promuovere inclusione e offrire supporto alla creazione di reti mediante il collegamento e lo scambio di esperienze tra la molteplicità di soggetti.

Se per le realtà imprenditoriali già affermate, l’adesione a

progetti di inclusione sociale diventa un elemento

innovativo, per quelle situazioni nelle quali occorre iniziare

ex novo il progetto per l’inclusione e l’inserimento, si

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incontrano due ostacoli: l’incertezza economica nel riuscire nella missione e la questione del capitale necessario al processo di avvio, capitale che sempre più raramente potrà pervenire da istituzioni pubbliche (salvo parziali coperture iniziali garantite da piani regionali) e che dovrà essere ricercato nel contesto privato in via privilegiata da fondazioni bancarie, quest’ultime impegnate attivamente in programmi di integrazione sociale.

Un ultimo aspetto, ma non per importanza, che va tenuto

in debita considerazione per la riuscita dei progetti, è il

ricorso a figure esperte nei processi gestionali delle fattorie

sociali, una figura sussidiaria a quella del medico, che

possa assumere responsabilità tecniche sulla scelta degli

ordinamenti colturali sulla base di valutazioni

pedoclimatiche, commerciali e vocazionali dei soggetti

coinvolti nei processi inclusivi.

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