5) CONCLUSIONI
I lingotti sono dei manufatti che forniscono molte preziose informazioni sulle dinamiche della produzione di metallo e degli scambi commerciali durante l’Età del Bronzo nel Mediterraneo. È infatti attraverso questo tramite che veniva trasportato il metallo grezzo dal luogo di estrazione e fabbricazione fino a destinazione. Nella Tarda Età del Bronzo la tipologia più attestata nel Mediterraneo è quella del lingotto oxhide, che è attestato in contesti geografici molto distanti tra di loro. La mappa di distribuzione degli oxhide mostra quanto fosse estesa e complessa la rete di scambi di metallo in questo periodo.
I lingotti oxhide sono diffusi approssimativamente dal XVI secolo all’XI secolo a.C. I più antichi lingotti sono quelli ritrovati a Creta, in contesti TM I, nei siti di Ayia Triada, Tylissos, Kato Zakro e Gournia. I più recenti, che provengono da siti nuragici sardi, non risalgono a oltre l’XI secolo, anche se la loro esatta cronologia rimane un po’ incerta.
Il Catalogo di tutti i ritrovamenti di lingotti oxhide rivela una notevole diffusione di tali manufatti, prevalentemente in siti costieri e nelle grandi isole di Cipro, Creta e Sardegna. Più precisamente, la mappa dei ritrovamenti dei lingotti oxhide, integri o frammentari, si estende dalla costa Sirio-Palestinese fino alla Sardegna e al Mediterraneo centrale, raggiungendo a nord le coste della Bulgaria sul mar Nero, e a sud il Delta del Nilo.
Nel valutare il commercio del metallo, non si può prescindere da
considerare anche i traffici di altra natura, che mettevano in comunicazione i
diversi stati del bacino dell Mediterraneo. La rete di contatti e relazioni
commerciali assume durante l’Età del Bronzo un’ intensità variabile,
dipendentemente dalle situazioni politiche favorevoli o svantaggiose. È durante
la Tarda Età del Bronzo che diventa particolarmente ricca e complessa,
collegando tra di loro regioni del Mediterraneo centrale, dell’Egeo e del bacino orientale. Attraverso rotte marittime consolidate, le navi in questo periodo trasportavano merci pregiate di vario genere, legname, vino e olio, beni di uso comune, ceramiche e materiali semi-lavorati. Ne è una testimonianza diretta l’eterogeneità e abbondanza di materiali rinvenuti in alcune città portuali, mete preferite dai mercanti del tempo. Ugarit in Siria, che si presenta come un importante snodo commerciale già nel Medio Bronzo, fino al XIV-XIII secolo svolge un ruolo di primo piano nei traffici del Mediterraneo;
contemporaneamente le città costiere cipriote si affacciano ai traffici internazionali, e dal XVI fino al XII secolo Cipro assume un’importanza primaria nel commercio a lunga distanza, grazie anche alla ricchezza mineraria dell’isola; l’Egeo presenta attestazioni sempre più numerose di contatti sia con l’Oriente che con l’Occidente, e alcuni siti (Kommos a Creta, Micene e Tirinto nel continente) rappresentano mete sicure i mercanti; anche la Sardegna, la Sicilia e l’Italia meridionale in quest’epoca ormai sono entrate nella rete di contatti internazionali, dimostrando ulteriormente che il mar Mediterraneo nel Tardo Bronzo era fondamentalmente un mare “aperto” ai commerci.
I relitti del Tardo Bronzo confermano ancor di più la quantità e la varietà
delle merci trasportate via mare, tra le quali spicca il metallo (rame e stagno) in
forma di lingotti. Per la loro unicità e ricchezza i relitti di Ulu Burun e Capo
Gelidonya, risalenti rispettivamente alla fine del XIV e del XIII sec., hanno
rappresentato una fonte ricchissima di informazioni a questo riguardo. Essi
forniscono infatti la più grande concentrazione di lingotti finora ritrovata, e
dimostrano che il rame nella Tarda Età del Bronzo veniva in massima parte
commerciato in forma di lingotti oxhide. Questi ormai famosi relitti seguivano le
usuali rotte, che possono essere ricostruite dal Vicino Oriente verso il
Mediterraneo centrale. Tali rotte partivano dall’Egitto, dalla costa Sirio-
Palestinese e da Cipro, e raggiungevano Creta lungo le coste dell’Asia Minore
attraverso Rodi, o anche lungo la costa libica. Da Creta, le navi si indirizzavano
verso la Grecia, il Peloponneso in particolare, per poi continuare il viaggio verso le coste italiane, la Sardegna e la Sicilia.
Tradizionalmente, il ruolo di Cipro è sempre stato considerato dominante nella produzione di rame nel Mediterraneo durante il Tardo Bronzo, sulla base dei documenti scritti relativi al regno di Alashiya (XVIII-XIV sec.), e della ricchezza economica dell’isola, associata proprio al boom dell’industria metallurgica di questo periodo.
Grazie alla collaborazione tra scienziati ed archeologi, da quasi trenta anni si è potuta ulteriormente rafforzare la teoria della centralità di Cipro, tramite lo studio archeometrico sulla provenienza dei metalli. Le indagini sugli isotopi del piombo (Lead Isotope Analysis, LIA) sono infatti diventate dagli anni ’80 un punto focale della ricerca archeologica inerente la produzione e il commercio del metallo durante l’Età del Bronzo. La metodologia si è rivelata molto promettente, ed è l’unica che finora abbia prodotto dei risultati nella determinazione d’origine dei metalli.
Le prime pubblicazioni dei risultati delle analisi isotopiche presentano però alcune lacune nel grado di “scientificità”, e alcuni aspetti del LIA sono rimasti controversi e ancora fonte di dibattito. In tanti anni di articoli e pubblicazioni di dati LIA, la prima cosa che si può rimarcare è che spesso non sono state realizzate forme di collaborazione tra i vari gruppi di lavoro, nel tentativo di affinare tale metodologia fino al completo sfruttamento delle sue indubbie potenzialità. Il dibattito tra i vari gruppi di ricerca impegnati, l’Isotrace Laboratory di Oxford (N.H. Gale, Z. Stos-Gale), the Smithsonian\Brookhaven teams (E.V. Sayre, K.A. Yener), il gruppo di Bradford (P. Budd, A.M. Pollard, B. Scaife, R.G. Thomas), il gruppo Heidelberg\Mainz (F. Begemann, E.
Pernicka) e il gruppo della Pennsylvania (J.D. Muhly), a volte risulta
eccessivamente condizionato dalla convinzione che le proprie posizioni siano
inattaccabili. Forse, come sostiene J.D. Muhly
1, se il dibattito ha assunto a volte le sembianze di una vera e propria competizione, è perché “... it was too often centered … on the ability to raise large sums of money in order to support major research project”.
Andando a ripercorrere le varie tappe del dibattito sul LIA, si percepisce da parte di alcuni autori una certa sfiducia nei risultati ottenuti, dovuta alla mancanza di un’adeguata giustificazione delle basi scientifiche sulle quali è impostata la metodologia analitica. Anche il metodo statistico utilizzato nell’interpretazione dei dati isotopici (come la linear discriminant function analysis) è stato spesso criticato, in quanto avrebbe presentato carenze nella trattazione teorica, nonostante che sia stato presentato come un infallibile strumento di discriminazione.
Inoltre è da sottolineare che la stessa pubblicazione dei dati isotopici sui giacimenti è stata più volte poco chiara, al punto che alcuni valori campionati allo scopo di definire il campo isotopico di alcune regioni minerarie sono stati in alcuni casi scartati, ma a volte anche riutilizzati in pubblicazioni successive, senza esaurienti giustificazioni. Questo atteggiamento lascia al lettore l’impressione che in alcuni casi l’autore fosse più interessato a fornire una conferma delle proprie teorie, piuttosto che ad affinare la metodologia dell’analisi degli isotopi del piombo e renderla fruibile al meglio.
Nonostante tutte le questioni che hanno messo parzialmente in dubbio l’effettiva affidabilità dei risultati LIA, questa metodologia ha continuato ad essere utilizzata ampiamente, arricchendosi progressivamente di dati su gran parte dei giacimenti minerari del Bacino del Mediterraneo e del mondo antico, e fornendo risultati sulla provenienza di manufatti di rame e bronzo provenienti da numerosi contesti geografici di varie epoche.
1 Muhly 1995, 57