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Academic year: 2021

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CONCLUSIONI

Il presente studio si pone l’obiettivo di analizzare il fenomeno del cash holdings, ossia dell’investimento delle imprese in liquidità. Viene svolta un’accurata indagine empirica su un campione di più di 4000 imprese europee per un periodo che va dal 1995 al 2006.

Prima di presentare il lavoro empirico, nel primo capitolo vengono evidenziate le teorie che si trovano alla base del cash holdings. Partendo da Keynes (1936), il quale sostiene l’esistenza di due motivi fondamentali per l’accumulo di cash, il motivo dei costi di transazione e quello precauzionale, l’analisi teorica si sofferma sul fenomeno dei financial constraints (Fazzari, Hubbard e Petersen (1988) e Almeida, Campello e Weisbach (2004)). Gli studi sulle costrizioni finanziarie sono basati sulla teoria che vede l’esistenza di una gerarchia di finanziamento, introdotta in letteratura da Myers e Majliuf (1984). Le imprese secondo gli autori preferiscono liquidità interna e capacità di credito per finanziare le opportunità future d’investimento rispetto alle fonti esterne.

Nel primo capitolo è inoltre riportata la teoria degli agency, e i conflitti tra chi controlla l’impresa e gli azionisti di minoranza. Gli studi teorici ammettono una notevole influenza di questi problemi nelle scelte d’investimento, tra cui anche la scelta relativa l’investimento in liquidità.

Il secondo capitolo riporta invece la letteratura empirica in tutte le sue dimensioni: è analizzata la maggior parte dei metodi empirici utilizzati in letteratura per comprendere a fondo le ragioni per cui un’impresa investe in liquidità e per rispondere ad un quesito comune in letteratura: se tale investimento incrementi o meno valore per chi lo mette in atto.

Il terzo capitolo rappresenta il fulcro del lavoro, in quanto viene svolta un’analisi empirica su un panel di imprese europee. La selezione del campione avviene principalmente attraverso un criterio dimensionale. Vengono incluse solamente le imprese che possiedono nell’anno 2000 total assets per un valore superiore ai 100

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milioni di euro. Si tratta di imprese industriali europee, quotate e non quotate, reperite mediante il database AMADEUS, che ci fornisce i dati economico finanziari delle medesime imprese.

Nel corso del lavoro si provvede alla suddivisione del campione sulla base di un modello di scoring (Barontini 2000), in modo da poter discernere tra imprese finanziariamente costrette e imprese non costrette. Il motivo di questa ripartizione è quello di poter osservare le politiche di cash differenti a seconda dei sottogruppi.

L’analisi inizia con un meticoloso studio descrittivo. Viene innanzitutto analizzata in tutte le sue componenti e in tutte le sue sfaccettature la variabile dipendente del nostro modello di regressione, il cash ratio, data dal rapporto cash and equivalent su attività al netto del cash. I risultati di questa parte esplorativa rendono subito l’idea di quello che sarà l’output della regressione.

Attraverso il metodo degli effetti fissi si stima una regressione del cash holdings sulle caratteristiche d’impresa. Il quadro che ne viene fuori è piuttosto chiaro: le imprese che fanno registrare livelli di cash holding maggiori sono quelle più forti, più profittevoli e con una maggiore stabilità finanziaria. Ciò viene spiegato da una forte influenza positiva della variabile cash flow, della variabile capitale proprio su capitale investito. Inoltre le imprese quotate, a parità di altre condizioni, mostrano livelli di cash elevati. Infine, suddividendo il campione, in base al rischio d’insolvenza, in imprese costrette e imprese non costrette, si nota un coefficiente del cash flow negativo e non significativo per le imprese che presentano un rischio di credito maggiore (imprese costrette). Si suppone che tali imprese presentino un costo del capitale molto elevato, e dunque non ritengono conveniente detenere liquidità in azienda, poiché una tale politica determinerebbe un aggravio del costo del capitale.

I risultati sono in linea con la teoria di Myers e Majluf (1984): le imprese detengono cash al loro interno, trattenendolo in larga parte dal cash flow dopo aver ripagato i debiti a breve termine (si registra un coefficiente negativo e significativo). Tale

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maggiore flessibilità per poter mettere in atto in futuro investimenti profittevoli, come un progetto di acquisizione, o per coprire possibili perdite.

Interessanti sono poi i risultati sul debito bancario: questi incidono negativamente, a parità di altre condizioni, sul livello di liquidità delle imprese. Il debito bancario infatti non è rischioso dal punto di vista della ricontrattazione e inoltre riduce le asimmetrie informative, facendo venir meno il motivo precauzionale a detenere liquidità.

Il lavoro poi prosegue con l’analisi del cash in eccesso. Dopo aver avuto la conferma, attraverso un modello autoregressivo, che esiste all’interno delle imprese un livello target di cash, questo viene individuato mediante una regressione simile a quella utilizzata in precedenza. Nell’equazione si controllano gli effetti fissi, ma non sono inserite le variabili che controllano lo status di quotata e l’appartenenza al gruppo (le variabili dummy inserite invece nella regressione originale).

Il cash in eccesso è dato dai residui della regressione. Questo viene analizzato nella sua persistenza, con risultati davvero molto forti. Delle imprese che entrano nel quarto quartile della distribuzione dell’excess cash (il quartile più alto), circa il 75% si mantiene all’interno di quel quartile un anno dopo, il che significa uno scarso utilizzo del cash in eccesso da parte delle imprese.

Viene successivamente studiato l’impatto del cash in eccesso sul investment cash flow sensitivity. La variabile d’interazione con il cash flow impatta negativamente sull’investimento, il che induce a pensare che un alto livello di cash allenti la sensibilità dell’investimento al cash flow.

Infine, sono stati ottenuti riscontri importanti per quel che riguarda la realtà dei gruppi.

I nostri risultati evidenziano, dapprima attraverso le statistiche descrittive, poi attraverso la regressione che le imprese maggiormente indipendenti, a parità di altre condizioni, detengano maggiormente liquidità. Inoltre nell’analisi sull’investment cash flow sensitivity, le imprese indipendenti mostrano un fortissimo impatto del cash flow sulle politiche d’investimento. Questi risultati portano alla conclusione che le imprese che appartengono ad un gruppo possono usufruire di un mercato dei capitali creatosi

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all’interno, in cui i flussi di liquidità circolano tra le divisioni a seconda del fabbisogno che ciascuna unità all’interno del gruppo presenta.

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