• Non ci sono risultati.

Il Tempio al tempo del IV Grado Dicembre 2011

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Il Tempio al tempo del IV Grado Dicembre 2011"

Copied!
36
0
0

Testo completo

(1)

1

Il Tempio al tempo del IV Grado

LOGOS

Notiziario dell’Ispettorato regionale del Lazio

R S A A

Dicembre 2011

(2)

SUPREMO CONSIGLIO

DEI SOVRANI GRANDI ISPETTORI GENERALI DEL 33° ED ULTIMO GRADO DEL RITO SCOZZESE ANTICO ED ACCETTATO DELLA LIBERA MURATORIA

PER LA GIURISDIZIONE MASSONICA ITALIANA GRANDE ORIENTE D’ITALIA - PALAZZO GIUSTINIANI DEUS MEUMQUE JUS

L U F

ORDO AB CHAO T U P

A U T O S A G

Grandi Dignitari

Sovrano Gran Commendatore: Pot.mo Fr. David Cerniglia 33

Ex Sovrano Gran Commendatore: Pot.mo Fr. Corrado Balacco Gabrielli 33 Gran Comandante del Campo - Luogotenente S.G.C.: Pot.mo Fr. Felice Gerbino 33

Gran Priore - Gran Ispettore - Presidente del STN: Pot.mo Fr. Luigi Milazzi 33 Grande Oratore - Gran Ministro di Stato: Pot.mo Fr. Flavio Balestrero 33 Gran Segretario – Gran Cancelliere: Pot.mo Fr. Leo Taroni 33 Gran Tesoriere Elemosiniere: Pot.mo Fr. Edo Biondo 33 Grande Architetto Revisore: Pot.mo Fr. Giuseppe Bertulu 33 Grandi Dignitari Aggiunti

Grande Oratore - Grande Ministro di Stato Agg.: Pot.mo Fr. Giorgio Gianni 33 Gran Segretario – Gran Cancelliere Agg.: Pot.mo Fr. Andrea Roselli 33 Gran Tesoriere Elemosiniere Agg.: Pot.mo Fr. Ugo Bellantoni 33 Grandi Ufficiali

Gran Guardasigilli: Pot.mo Fr. Angelo Florio 33

Grande Archivista Bibliotecario: Pot.mo Fr. Giovanni Casa 33 Gran Maestro delle Cerimonie,

Grande Esperto Tegolatore, Grande Portaspada: Pot.mo Fr. Enrico Simoni 33 Gran Capitano delle Guardie: Pot.mo Fr. Giovanni A. Puglisi 33 Tribunale del S.C.

Presidente: Pot.mo Fr. Rosario Morbegno 33

Giudice Effettivo: Pot.mo Fr. Vincenzo Bua 33

Giudice Effettivo: Pot.mo Fr. Riccardo Segre 33

(3)

3

r

S

5 Cariche 2011 della Loggia di perfezione Maestri Segreti “Giano”

6 Introduzione

del Pot.mo Fr. Domenico Giancaspro 33 Ispettore regionale per il Lazio R.S.A.A.

Le Tavole del Fr. Oratore Alberto Castelvecchi 9

8 Cosa ci aspettiamo in concreto dal Rito 10 La Camera di IV Grado 11 Fedeltà e Dovere 12 Il Silenzio

13 L’Obbedienza 15 La Discrezione 17 La Chiave Spezzata e l’Urna 19 Gradi e Gradualità nel Rito Scozzese 21 La Superstizione 23 Il Disco Solare

25 I tre viaggi del Maestro Segreto 26 Sette e più Gioie per l’abbellimento del Tempio

28 Allocuzione del Grande Oratore Gran Ministro di Stato, Pot.mo Fr. Flavio Balestrero 33

nella Tornata Nazionale in IV Grado del 15 ottobre 2011

LOGOS

ommario

(4)

4

L ommario

OGGIA DI PERFEZIONE MAESTRI SEGRETI “GIANO”

ORIENTE DI ROMA

CARICHE PER IL 2011 A.D.

(5)

5

Pot.mo Re Salomone Luigi Filippi 32

Ven.mo Fr. Adonhiram Ezio Fadda 30

Fr. Esperto Fabrizio Celani 30

Fr. Oratore Alberto Castelvecchi 9

Fr. Oratore aggiunto Manlio Dalmasso 4

Fr. Segretario Andrea Fiduccia 4

Fr. Segretario aggiunto Claudio Spalvieri 4

Fr. Tesoriere Manlio Lo Presti 4

Fr.Tesoriere aggiunto Roberto Silvi 4

Fr. Maestro delle Cerimonie Domenico Bellantoni 4

Fr. Maestro delle Cerimonie aggiunto Tommaso Lazzari 4

Fr. Portastendardo Luigi Liolli 4

Fr. Capitano delle Guardie Alessandro Bracci 4

I Gradi sono quelli che ciascun Fratello aveva all’atto dell’insediamento

(6)

6

S partecipazione di tanti Fratelli.

Un lavoro che si è tradotto in interventi spesso pregnanti, in silenzi molte volte meditativi e soprattutto in un costante, forte e diffuso desiderio di contribuire a far parte consapevole della robusta catena del Grado.

Ne rendiamo volentieri atto

ai Maestri Segreti, senza dimenticare che la loro catena è solo il primo anello della più grande catena costituita da tutti i Capitoli e le Camere dell’Ispettorato regionale Lazio, e dal lavoro che essi svolgono.

Un lavoro che, sia detto senza presunzione ma con cognizione,

ia dato merito al Fr. Oratore

Alberto Castelvecchi 9, che esse si commentano da sole per lucidità e ricchezza di contenuti, e fanno onore al Rituale del IV Grado laddove ricorda ai nuovi Maestri Segreti che “Noi abbiamo

contratto l’obbligo di studiare la Libera Muratoria nella sua storia, nei suoi simboli (…), nella sua morale”.

Ma queste tavole rappresentano

anche molto più di una

esibizione di buon sapere. Esse sono infatti il punto di avvio di un intenso e proficuo lavoro che la Loggia di Perfezione ha svolto durante l’anno, grazie alla

Presentiamo in questo

fascicolo di “Logos” le Tavole

incise per i lavori della Loggia di Perfezione dei Maestri

Segreti “Giano” all’Oriente di Roma, nell’anno 2011.

Roma, 16 dicembre 2011 A.D.

(7)

7

ci rende orgogliosi di partecipare con

profitto alla magistrale costruzione

rappresentata dal Rito Scozzese Antico ed Accettato.

Gli apprezzabili risultati colti dai

Maestri Segreti non sarebbero nemmeno concepibili se non fossero inseriti in questo contesto straordinario, di cui ciascuno di noi si onora di fare parte.

Di ciò è qui data chiara testimonianza

con la pubblicazione della ricchissima Allocuzione del Grande Oratore

Gran Ministro di Stato, Pot.mo Fr. Flavio Balestrero 33, per l’ultima riunione nazionale del IV Grado svoltasi a Roma sotto la guida e l’impulso del Sovrano Gran Commendatore David Cerniglia 33, che l’Ispettorato regionale Lazio ha avuto il privilegio di organizzare.

Pot Fr. Domenico Giancaspro 33 M.A.

Ispettore regionale per il Lazio R.S.A.A.

(8)

8

Cosa ci aspettiamo in concreto dal Rito

P

otentissimo Re Salomone, c’è un passo indicativo del Rituale di Iniziazione, in cui l’Adonhiram chiede al Maestro delle Cerimonie chi sta conducendo «tra la schiavitù e le tenebre». Il Maestro delle Cerimonie dice che è un Libero Muratore, che sta cercando la Parola Perduta.

L’Adonhiram lo avverte che la Parola non è stata ancora ritrovata, e dice: «cosa chiede questo Libero Muratore?». Risposta del Maestro delle Ceromonie: «Chiede di essere ammesso tra i Maestri Segreti perché è passato dalla squadra al compasso, perché ha visto la tomba di Hiram ed infine perché aspira ad elevarsi».

Ecco, queste sono già le prime indicazioni del tema di lavoro di questo Capitolo: lo frequentiamo di nostra libera e spontanea volontà, perché aspiriamo ad «elevarci».

Adesso io vi chiedo, Fratelli Maestri Segreti: cosa vuol dire questo, per voi?

Eviterò di chiamarvi a rispondere nominalmente, uno ad uno, perché so di poter confidare nella vostra franchezza e schiettezza, e so che vorrete rispondermi. E so anche che una parte di quello che cercate, e soprattutto di quello che troverete, non è comunicabile a parole, ma farà parte del vostro Segreto (secretum) iniziatico.

Tuttavia in concreto vi chiedo: che stimolo di ricerca vi ha mosso? Cosa vorreste ancora realizzare? In poche parole, cosa vi aspettate, adesso, dal Rito Scozzese Antico ed Accettato?

Roma, 21 gennaio 2011 A.D.

(9)
(10)

10

La Camera di IV Grado

P

otentissimo Re Salomone, il colore nero della camera di IV Grado che ci accoglie richiamerà sicuramente per molti di voi l’oscurità del Gabinetto di Riflessione, che è uno strumento iniziatico, non per caso, tipico del- la massoneria francese e dello scoz- zesismo. Il Gabinetto di riflessione, come sappiamo, è un luogo di «ma- cerazione del seme», di separazione, un luogo in cui affrontiamo, prima ancora della concreta Iniziazione, il tema del morire alla profanità per ri- nascere nella Via iniziatica.

Anche la Camera di Mezzo che ci ha accolto prima dell’Elevazione a Ma- estri era una Camera nera, a lutto, in cui siamo entrati di spalle, come ri- percorrendo i nostri passi a ritroso.

Il colore nero che ci accoglie qui non è però la stessa cosa: quello che dob- biamo «macerare» qui è ben altro, e fin dall’ingresso nella Camera, in sede di Iniziazione, ci viene fatto ca- pire che il buio in cui viaggiamo è la profondità della nostra mente, della nostra meditazione interiore, che noi dobbiamo diradare conquistando un nuovo silenzio e una nuova scintilla di consapevolezza.

E dunque, facciamo bene attenzione:

a dispetto dei paramenti neri e della presenza di un’Urna, la nostra Came- ra non è una Camera di contrizione luttuosa, ma è un luogo di interiorità in cui, visibilmente, sta maturando una trasformazione rivoluzionaria. Le colonne bianche, segno visibile del nostro lavoro, si elevano squarciando la tenebra. Il cielo è aurorale – come dice il Rituale di Apertura «le tenebre si sono dileguate davanti all’aurora e la grande Luce risplende sulla nostra Loggia» – anche nel senso di un’an- nunciazione alchemica: da questo cielo cadono stille argentee.

Adesso chiediamoci, fratelli: nella vita di tutti i giorni sappiamo rico- noscere (e attivare) i segni della tra- sformazione dove gli altri vedono la stasi, lo sgomento, il lutto? Da cosa capiamo che dobbiamo cambiare, prendere una decisione, trasformare la nostra vita? Sappiamo essere uo- mini della trasformazione, a partire dall’analisi dei pensieri della nostra interiorità?

Roma, 4 febbraio 2011 A.D.

(11)

11

Fedeltà e Dovere

P

otentissimo Re Salomone, nella vita di tutti i giorni nel nostro Paese, il tatticismo prevale sui princìpi. Lo abbia- mo sotto gli occhi con la politica: i patti vengono conti- nuamente riscritti, le alleanze sono sempre fluide, tutto (o quasi) è negoziabile. L’interesse transitorio prevale, insomma, sulla visione d’insieme. Ma la Fedeltà, l’Alle- anza, il Dovere di cui ci parla questo Grado non sono negoziabili.

È vero che ogni verità umana – ce lo ricorda uno speci- fico passo del Rituale – è relativa. Ma ciò non vuol dire assumere un relativismo totale: noi cerchiamo una di- mensione della Verità che non è relativa. Cerchiamo una realizzazione che è interiore e segreta, e solo dopo potrà essere esteriore e pubblica. Fedeltà, dunque all’impegno che abbiamo assunto, prima di tutto verso noi stessi, con la Promessa Solenne. E Fedeltà verso i princìpi di tradi- zione e ritualità che sostengono una Via iniziatica.

Proviamo ora a vedere il lato puramente massonico (e scozzese) della questione: i Maestri Segreti sono al cor- rente di una evoluzione della leggenda di Hiram che non è nota agli altri massoni. Hanno visto la tomba di Hiram, essendo Maestri. Ma ora sanno che esiste un Sanctum inviolabile, una profondità della coscienza che è rap- presentata dalla seconda sepoltura di Hiram, da un’Ur- na che testimonia l’accensione di una scintilla, un’Urna che si dice conservi le ceneri di Hiram. Ma le ceneri di Hiram non sono solo “cenere”: sono l’essenza, la fonte, la scaturigine verso cui indirizziamo la nostra ricerca per trasformare noi stessi.

In quanto Maestri Segreti noi siamo i guardiani perime- trali, i custodi, i portatori e i garanti dell’inviolabilità del nostro Sancta Sanctorum interiore. Le passioni dei tre cattivi Compagni, che sono ancora in circolazione, la superstizione, il pregiudizio qui non debbono entrare.

Vediamo ogni giorno che catastrofi provoca – anche tra fratelli, spiace dirlo – un atteggiamento fazioso e passio-

nale, al limite del fanatismo, e forse dettato dall’ambizione. Ecco perché i Maestri segreti sono vincolati a una Fedeltà e a un dovere implacabili

“come la morte”, dice il Rituale: per- ché se della parte più profonda della nostra coscienza si facesse scempio e mercato profano tutto il Rito Scozze- se ne verrebbe ferito e danneggiato. E il Rito Scozzese, che ci ha cooptato, ci affida una prova difficile: quella di misurare, nelle nostre vite di ogni giorno, quanto di questi princìpi, di questa Fedeltà alla nostra coscienza, di questo sentimento profondo del Dovere sia vivo e operante.

Chiedo allora un intervento schietto e sincero ai Maestri di questa Ca- mera: se abbiamo capito che qui, di fronte a quell’Urna, si mette in gioco davvero la nostra autenticità di Ma- estri, la nostra volontà di conseguire l’Iniziazione, cosa ne sarà ora delle nostre vite? Esiste un “punto di vista”

scozzese da cui ora possiamo “ri- lanciare” il nostro progetto di vita? È cambiato qualcosa, da quando siamo qui? E soprattutto: a cosa ci sentiamo fedeli, ora?

Roma, 4 marzo 2011 A.D.

(12)

12

Il Silenzio

P

otentissimo Re Salomone, ogni Gra- do della ricerca massonica ha un suo Silenzio, perché ogni Grado

cerca di sciogliere, risolvere impacci diversi, metalli diversi.

Bene, cosa deve tacere in questo Gra- do? Conosciamo il silenzio dell’ap- prendista, e sappiamo quanto sia im- portante lavorare in quel Grado.

Nell’Iniziazione a compagno il piano dei sensi fisici deve tacere, per poter essere riordinato e trasceso in una sfera di sensibilità sottile, animica.

Per il maestro massone, poi, il silen- zio è d’obbligo di fronte ai tre cattivi compagni che cercano di conquista- re la Parola senza avere le necessarie qualifiche. Quei tre cattivi compagni sono una “rumorosa” parte di noi su cui dobbiamo lavorare a lungo.

Ricordiamo che noi Maestri Segreti siamo Leviti, siamo anche un corpo di guardia: i tre impostori sono ancora in circolazione e una loro ricompar- sa sulle soglie di questa Camera, alla ricerca del Sancta Sanctorum, non è da escludere. A chi ci chiedesse una chiave d’accesso dobbiamo dunque opporre una chiave spezzata.

Al Maestro Segreto viene ricordato, nel Rituale di iniziazione, che il Rito Scozzese mira all’elevazione dello Spirito.

Guardiamo al disco solare sopra il trono del Potentissimo Re Salomo- ne, vediamo cosa si “sprigiona” da quell’Urna (in senso letterale, di usci- ta dalle prigioni dell’anima). Stiamo assistendo alla nascita di un nuovo stato di coscienza. Comincia qui, dunque, il lungo percorso di compi- mento dell’Opera: dopo essere pas- sati già dal fisico all’animico (“Ho visto la tomba di Hiram”), ora ci pro- iettiamo dall’animico allo spirituale, e poi ancora guarderemo all’Univer- sale. Dal denso al sottile, dai piccoli ai grandi Misteri.

Il silenzio ha dunque il valore di una nuova tecnica di meditazione su cui avviarci nel Rito: deve tacere la parte ancora non risolta delle passioni ani- miche, ma deve anche tacere quel la- vorio mentale, quel mentalismo che rischia di fuorviarci.Il Maestro mas- sone dovrebbe sviluppare al massi- mo la sua individualità realizzativa come Uomo già nel terzo Grado. Il Tempio è compiuto, ci viene detto quando entriamo nel Rito. Ma ora gli si fa capire che quell’individuali- tà stessa, anche quella più educata e profonda, rischia di essere un metal- lo spirituale.

Come uno dei tanti “idoli di metallo”

dice il Rituale di iniziazione, che ci

Roma, 18 marzo 2011 A.D.

(13)

13 facciamo da soli, l’ego compiuto in

cui abbiamo creduto di specchiarci è d’impaccio, appunto, nell’elevazio- ne dello spirito.

Poi c’è il silenzio come sigillo di fe- deltà iniziatica a questa Camera e, con essa, a tutto il Rito Scozzese. Noi sappiamo che c’è curiosità da parte del mondo profano, verso la Masso- neria e spesso verso il Rito Scozzese.

E anche i Fratelli massoni non scoz- zesi, tra cui sediamo nelle Logge az- zurre, talvolta ci guardano con fare interrogativo: ma di cosa si occuperà questo Rito scozzese? Cosa mai ci sarà da sapere, da scoprire, oltre la leggenda di Hiram nel terzo Grado?

“Nulla e Tutto” potremmo risponde- re, se fossimo in vena di indovinelli esoterici. Invece noi dobbiamo tace- re, tacere per il bene del Rito e dei Fratelli stessi.

Come potremmo ritrovare, nelle no- stre vite quotidiane, un esempio del silenzio che stiamo cercando di con- seguire in questo Grado? Cosa deve tacere, affinché possiamo elevarci spiritualmente? Con una formula for- se un po’ semplice, potremmo dire che si tratta di passare dall’Ego all’Io?

Dall’attaccamento alle cariche e ai riconoscimenti e allo status, al sem- plice spirito di servizio e di dovere?

Ma noi siamo capaci “mettere da parte” una parte così importante di noi stessi in vista di una maggiore apertura umana?

P

otentissimo Re Salomone, come Ma- estri Liberi Muratori possiamo giusta- mente ritenere di avere conquistato una grande libertà interiore, una ca- pacità di autodeterminarci e di spin- gerci autonomamente lungo la Via iniziatica tradizionale. (Però sappia- mo anche che il nostro concetto di Libertà trova nei Landmarks, per tutti noi, la sua Regola e il suo confine).

Il Rito Scozzese ci pone ora di fronte a un nuovo concetto di Obbedienza, e sulle prime molti Fratelli ne sono stupiti, quasi contrariati.

Come può un percorso di perfezio- namento massonico, in cui libera- mente e spontaneamente ho scelto di lasciarmi cooptare, passare di nuovo per la porta stretta dell’Obbedienza?

Obbedienza a chi, o a cosa?

Chiariamo innanzitutto una cosa:

l’Obbedienza di cui ci parla questo Grado non contraddice affatto, ma in qualche modo affina e “specializza”

l’ispirazione generale dell’Obbedien- za massonica.

Dobbiamo, però, con la franchezza dei Maestri e ancor più con il rigo- re degli Scozzesi, intenderci bene.

Quando diciamo “Io sono Maestro,

L’Obbedienza

Roma, 1 aprile 2011 A.D.

(14)

14

ne, in ogni momento. Il reale conse- guimento di questo principio richie- de di mettere da parte quei residui di egoismo, personalismo, attaccamen- to alle nostre passioni, al nostro ca- rattere, al nostro status. Residui che rallenterebbero o addirittura impedi- rebbero il nostro percorso iniziatico.

C’è una vignetta di Altan, il famoso disegnatore satirico, che dice: “spes- so mi chiedo chi sia il Mandante di tutte le scemenze che faccio”. Ecco, a questa domanda dovremmo saper rispondere con sempre maggiore sin- cerità e rigore.

E poi c’è l’Obbedienza al Rito in sé e per sé: questa è una cosa che, in un modo o nell’altro, dobbiamo ca- pire. Il Rito ci imporrà dei compiti, ci chiederà di fare delle “cose”, an- che in relazione al mondo profano.

Già adesso ci sta assegnando il più delicato e urgente dei compiti: pro- teggere l’Urna di Hiram, che poi è la nostra capacità di rigenerazione spi- rituale, dall’Ignoranza, dal Fanatismo e dall’Ambizione.

Domani compiti gravosi e sfidanti seguiranno, ma essi saranno prove, prove che devono servire al bene del Rito da un lato, e al progresso dell’Iniziato dall’altro.

Ormai sappiamo che la distinzione stessa tra mondo reale, o profano, e mondo iniziatico, che viviamo qui nel Capitolo, è illusoria: per il Mae- stro scozzese tutto è sacro, in quanto egli tutto vive e trasforma, giorno per giorno, seguendo i dettami dell’Ob- bedienza. È inutile chiederci se sia- mo pronti, se questo ci piace o non ci piace. Ricordiamoci solo che se ci inchiniamo alla dignità di una sciarpa lo facciamo in onore di una funzio- ne, di un Grado della vita spirituale, non in cieco ossequio a questo o a quel Fratello. Nello Scozzese siamo gli unici dettami che devo ascoltare sono quelli della mia

coscienza”, dobbiamo stare attenti a una cosa sola: cosa intendiamo, cosa sentiamo quando diciamo “Io”?

Il Rito Scozzese lavora per l’elevazione dello Spirito, e allora è bene che sappiamo che non tutti gli attributi, le prerogative, i privilegi e le acquisizioni di quel nostro af- fezionato pronome “Io” ci serviranno a granché, se vo- gliamo intraprendere il cammino verso lo Spirito.

Una volta costruito il Tempio della nostra interiorità, ora dobbiamo capire come abitarlo, e soprattutto cosa cerca- re, adesso che siamo alle porte del Sancta Sanctorum.

Noi cerchiamo un “Io” più profondo, che ci permetta di tentare il salto dal particolare all’universale, e per fare questo abbiamo di fronte a noi tutta la declinazione dei Gradi Scozzesi. l’Obbedienza del Rito ci chiede dunque un atto di coraggio e di rinuncia: se ci attacchiamo alle nostre prerogative di Maestri, se crediamo a quello che siamo stati e non a quello che saremo, il Rito ci riserverà non poche amarezze.

Ma se capiamo di cosa si parla, quando si parla di ele- vazione dello Spirito, allora l’Obbedienza ci apparirà in primo luogo come strumento, come metodo e come op- portunità di lavoro su noi stessi.

La gerarchia, per esempio: nella vita profana, come pure qui al Rito, ciascuno di noi è portato a viverla secondo le proprie inclinazioni personali. C’è chi per sua natura è più scettico e ironico, e se ne ride di Gradi e Onori, e c’è chi, magari per i suoi trascorsi militari o per caratte- re, tende a sbattere i tacchi e mettersi all’ordine appena vede un una persona di Grado superiore. C’è chi ama ragionare per via gerarchica e chi male si adatta a qual- siasi gerarchia.

Ma tutti questi atteggiamenti hanno in sé qualcosa di profano. Consultiamo un buon dizionario, e vediamo da cosa viene “Gerarchia”. Viene dal greco “Hierarches”,

“Gerarca, in quanto Capo (archos) delle Sacre Funzioni (hierà)”.

Ecco, noi ci occupiamo di una gerarchia che è una diver- sa scala di “priorità”: in quanto Massoni non cerchiamo un gerarca o un sacerdote “esterno” che faccia le cose per noi. Cerchiamo un sacerdote interno, un nostro “Capo delle funzioni Sacre” che deve guidare ogni nostra azio-

(15)

15 tutti Maestri, e tutti obbediamo a un

principio di unità: il Rito.

Certo, in quanto Massoni e Maestri, non dobbiamo dubitare dell’affidabi- lità e della purezza di un nostro Fra- tello Maestro, sul piano di una rela- zione “orizzontale e paritaria”.

In quanto Scozzesi, però, non pos- siamo dubitare della gerarchia, sul piano di una relazione “verticale e spirituale”: quello di un Grado su- periore è un Fratello Scozzese che come noi, sta applicando inflessibil- mente la sua capacità di Obbedienza per il conseguimento di una trasfor- mazione di tutto il suo essere, per il Bene del Rito e per l’Umanità.

Il Rito ci chiede di batterci contro la superstizione, e di difendere la liber- tà dello Spirito. Questa battaglia di libertà, però, richiede spiriti tempra- ti nell’Obbedienza. Spiriti che non tremano, e che non esitano. Qui sta l’efficacia e la natura essenzialmente iniziatica del principio “gerarchico”

(sacro) della “nostra” Obbedienza.

La Discrezione

Roma, 15 aprile 2011 A.D.

P

otentissimo Re Salomone, “Siate discreti, silenziosi, fedeli”, questa è l’esortazione che Voi ci rivolgete nel rituale. Cosa vuol dire essere discre- to, per un Maestro segreto? A prima vista, se giudichiamo la discrezione secondo il senso comune, come “ri- servatezza”, basterebbe una applica- zione del Silenzio (“siate silenziosi”), e basterebbe il fatto stesso di essere definiti Maestri “segreti” a garanti- re la “riservatezza” stessa. Invece il rituale aggiunge proprio questa rac- comandazione, l’esercizio della di- screzione, tra i primi compiti di uno Scozzese in questo Grado.

Vediamo in primo luogo di appro- fondire il senso di questa parola.

“Discreto” e “discrezione” vengono da “discernere”, un verbo italiano (e ancor prima latino, dis-cernere) che vuol dire all’origine “scegliere separando”, e quindi “vedere distin- tamente”, “differenziare”, “distin- guere”, “saper riconoscere”. E poi di conseguenza, “saper giudicare”.

Giudicare quindi come attività vol- ta a determinare come sono le cose, o come dovrebbero essere. Ora, già per la filosofia classica noi abbiamo un giudizio secondo realtà, cioè che le cose “SONO o NON SONO così”, e un giudizio secondo valori, cioè

(16)

16

che le cose “SONO o NON SONO buone”. Devo sapere come stanno le cose, ma devo anche sapere se le cose, così come stanno, sono buone per me, per gli altri Fratelli, per l’Isti- tuzione, per l’Umanità. Questa capa- cità di “separazione e valutazione”

della discrezione, dunque, sembra rivolgersi in primo luogo alla nostra attività interiore. È quel lavoro del solitario che nel silenzio analizza i suoi pensieri, di cui ci parla il rituale d’Iniziazione al IV Grado.

Vediamo in secondo luogo di capi- re, in senso esoterico e iniziatico, che rapporto c’è fra la discrezione e il segreto. Dunque, se “discreto”

viene da “discernere”, “segreto” (“se- cretum”) viene da “secernere”. Dun- que le due parole, se le osserviamo in profondità, ci appaiono molto più vicine l’una all’altra, come due parti consequenziali della nostra attività di ricerca dello spirito, di estrazione del sottile dal denso: in senso alchemico, ma anche in senso umano, morale, e operativo, nella mia vita non pos- so “secernere”, “estrarre il succo, l’es- senza, l’aziz” se prima non riesco a

“discernere”, “distinguere, separare, giudicare secondo realtà e secondo valori”. Credo che questo lo sappia molto bene il nostro Segretario, fra- tello Fiduccia, per le tavole magistrali che ci fa ascoltare, ma che lo sappia- mo ancor meglio noi, in questo IV Grado, se tacitando le cattive passio- ni e i rumori della mente cerchiamo di attivare, dentro di noi, il nostro Se- gretario interiore, la nostra capacità di dis-crezione e se-crezione.

C’è poi un valore operativo del Grado che richiama anche il valore di “di- screzione” nel senso comune: ogni giorno siamo a contatto con profani, e siamo a contatto anche con Fratelli che non sono Scozzesi. Questo non

implica, si badi, necessariamente un giudizio di valore negativo verso gli altri: ci sono ottimi Fratelli che si perfe- zionano ogni giorno con metodologie diverse da quella del Rito Scozzese Antico ed Accettato. E ci sono ottimi profani, che nella loro vita affermano virtù e capacità di perseveranza tali che dovremmo ammirarli: uno dei principali metalli in cui ci impastoiamo è proprio la pre- sunzione che, ipso facto, essere stati cooptati qui al Rito ci renda superiori a qualcun altro. Questa distinzione fra noi Scozzesi e gli altri, “tutti gli uomini che Scozzesi non sono”, deve invece servire soprattutto come stimolo al NOSTRO perfezionamento.

Essa è già una forma di dis-crezione. Perché se sappiamo dire “cosa o chi NON È Scozzese”, forse andando avanti nella frequenza del Rito riusciremo anche a dire e capi- re “COSA È Scozzese”, ovvero cominceremo a ESSERE Scozzesi, non a parlarne e basta.

Se sapremo essere discreti, dunque, sapremo distinguere nella nostra interiorità. E poi sapremo cosa dire e cosa non dire in presenza di altri: la circospezione è d’obbligo per il Maestro Levita. Con la discrezione e la circospe- zione (circum-spicere, “guardare e perlustrare tutto at- torno”) sapremo realizzare quella cintura di protezione tutto intorno al Sancta Sanctorum, quella impenetrabile guardiania perimetrale che difende l’Urna, la Camera, il Rituale e il Rito Scozzese stesso.

I tre cattivi Compagni sono ancora in circolazione, non dimentichiamolo.

E da ultimo sapremo “distinguere, giudicare e separare”, cioè individuare e scegliere, quali Fratelli hanno le quali- fiche, le attitudini, le capacità di sacrificio personale e il fuoco di ricerca per essere cooptati nel Rito. Così come nel giudizio sulle cose, non mi basterà sapere che quel Fratello è “così o così”, ma dovrò anche distinguere se è

“buono”, cioè “adatto, qualificato”, per il particolare tipo di lavoro che facciamo qui. Ma questo lo posso fare, lo possiamo fare, Potentissimo Re Salomone, solo se lavore- remo incessantemente su noi stessi.

Solo se, esercitando la discrezione, sapremo separarci dalle nostre passioni e inclinazioni animiche, dai nostri personalismi, potremo meritare quel “privilegio terribile”

dell’essere Scozzesi, che è anche una altissima respon- sabilità: la responsabilità di cooptare nel Rito, a nostra volta, altri Fratelli Maestri.

(17)

17

La chiave spezzata e l’Urna

Roma, 20 maggio 2011 A.D.

P

otentissimo Re Salomone, il com- pito dell’Oratore sarebbe quello di dare ragguagli e indicazioni precise, come pure di fungere da punto di riferimento dottrinalmente solido e (possibilmente) inattaccabile sui Temi che di volta in volta ci proponiamo.

Ma qui nel Rito Scozzese ci riuniamo tra Maestri, e sappiamo che nessun Fratello è titolare di un Magistero di Infallibilità. Noi siamo tutti in cam- mino, siamo tutti cercatori sulla Via della Parola Perduta.

Dico questo perché la Chiave Spez- zata e l’Urna, per chi entra nel Rito Scozzese, sono un bellissimo terreno di prova: simboli fecondissimi, per se stessi, e ancor più nella loro combi- nazione dinamica e di meditazione.

Ma simboli che rischiano di diventa- re un enigma, perfino un rompicapo iniziatico, se non cerchiamo di aprire la nostra mente.

Quindi proporrò ai Maestri Segreti una serie di questioni aperte, spe- rando che soprattutto quelli entrati da poco in questo Capitolo vogliano intervenire: le Vostre riflessioni, le Vostre perplessità, Fratelli, sono linfa vitale per i lavori di questo Grado.

Dunque: c’è una Chiave Spezzata e c’è un’Urna. Siccome vengo da un

percorso costruttivo e massonico, e ho ancora la sindrome del capoma- stro muratore, il primo impulso che mi prende è questo: “Cerchiamo di aggiustarla alla svelta, questa chiave, e sbrighiamoci ad aprire l’Urna, per verificare se dentro possiamo trova- re la scintilla divina, la scaturigine di una vera Resurrezione umana”. Poi mi guardo intorno. E vedo che sono in buona compagnia. Questa chiave spezzata al collo ce l’hanno in mol- ti, e chissà se la mia è quella giusta.

E la mente, in assoluta buona fede, non si arresta. Mi chiedo: come si è spezzata, questa chiave? Qualcuno ha provato a usarla, ed essa non ha sostenuto lo sforzo? Oppure è stata volutamente spezzata, perché il Se- greto custodito nell’Urna non venga violato?

Poi, appena esco un po’ da una men- talità puramente

“causa-effetto”g”Chiave-Urna da aprire”, forse mi accorgerò che la spezza- tura, la scissione di questa chiave è un indizio di lavoro molto fecondo:

prima di usarla per aprire qualcosa, forse devo riflettere su “cosa” o “chi”

è scisso. Come Maestro, nel rito di risveglio hiramico mi è stata indicata la possibilità di una rinascita che è sì la separazione da uno stato di cose, ma è anche un “ricongiungimento”

sul piano animico e spirituale.

(18)

18

L’origine della parola “simbolo” stes- sa indica “due metà da ricongiun- gere”. La chiave sembra dunque il simbolo per eccellenza. Il simbolo perfetto. Però io sulle prime, ancora preso dallo zelo di appropriarmi di questa nuova grammatica scozzese, vorrei affrettarmi a ripararlo. Perché mi sembra strano che, per la prima volta nella mia vita, la Massoneria mi abbia consegnato un simbolo spez- zato. Uno strumento rotto.

Invece la chiave è parte di me. È un simbolo, ma quel simbolo ora sono io. E questo mi porta dritto dentro la mia situazione hiramica di Maestro:

la Parola è perduta, si è interrotto, si è spezzato l’asse del cammino, e forse è importante, forse è PIÙ importante, che io prenda atto una volta per tutte, che per ricongiungermi alla Parola devo prima andare fino in fondo alla mia natura umana, e capirla. Forse è PIÙ importante capire che il Rituale di IV Grado ci dice che dobbiamo elevarci spiritualmente. Ma il percor- so di elevazione, il SALTO di qualità, ora, non è più così ovvio. NATURA NON FACIT SALTUS, si è detto una volta, la natura non fa salti. Infatti: il salto che mi si richiede non è “natu- rale” sul piano dell’ingegno e della realtà umana.

Vi faccio una domanda, perché è qualche tempo che la faccio a me stesso: chi l’ha detto che quell’Ur- na vada, banalmente, aperta con la chiave, come un baule? E chi l’ha detto che, ammesso che non vada la- sciata chiusa, si apra dall’esterno? Se per un attimo faccio silenzio dentro di me, e mi libero da questa mania da scassinatore, da Arsenio Lupin iniziatico, forse potrò considerare che anche il Segreto dell’Urna sono io. È il MIO Segreto, e forse va più PENETRATO, nell’interiorità, piutto-

sto che aperto girando una chiave in una toppa. Allora forse comincerò a sentire che questa Chiave è la Chiave di una Conoscenza. Ma il mio livello di Conoscenza, soprattutto sul piano spirituale – e anche su quello profa- no – è ancora inadeguato. Questo il Rituale di Iniziazione al IV Grado me lo dice MOLTO chiaramente.

Qualche tempo fa, in questo stesso Tempio, un Potentissimo Fratello del XXXIII Grado ci ha rivolto una consi- derazione che suonava così: “Guar- date Fratelli, che noi parliamo tanto di questa Chiave e di questa Urna da aprire, ma io sono in Massoneria e nel Rito Scozzese da anni, da tanti anni, e non mi risulta che qualcuno abbia mai riferito di esserci riuscito”.

Quelle parole mi hanno fatto mol- to riflettere: è più importante l’ansia di arrivare alla mèta oppure il fatto che sono in cammino? Certo, se non prendo una direzione VERSO una mèta, vagherò nella tenebra. Ma una volta iniziato, e iniziato al Cammino, forse è bene che io mi concentri, qui e ora, su quello che devo fare. Cosa si dischiuderà, nel Segreto di quell’Ur- na, e quando, per adesso non mi è dato di sapere.

Ecco, forse questo possiamo dirlo proprio perché qui siamo tra Mae- stri: quando sono stato iniziato ap- prendista, ho chiesto la Luce. Come Maestro, ho imparato che il conse- guimento di un po’ di Luce, di una qualche Luce della Coscienza, è uno stimolo a cercare ancora. Come Ma- estro scozzese, cerco la Luce, nel senso che cerco e cercherò sempre PIÙ Luce di quella che, fino ad oggi, imperfettamente e umanamente, sono riuscito a conseguire.

(19)

19

P

Gradi e gradualità nel Rito Scozzese

Roma, 3 giugno 2011 A.D.

lavoro e nuove responsabilità, il non frequentare con assiduità i lavori, è indice che non stiamo lavorando.

Dovremmo trovare un ragionevole punto di mezzo fra questi due atteg- giamenti estremi.

Un Maestro sa che quando si parla di Gradi, non è tanto il tempo che dovrebbe preoccuparci, ma il tem- po opportuno, quello che i Greci chiamavano kairòs. Ogni Grado va vissuto al momento opportuno, non troppo presto, non troppo tardi. Ogni Grado illumina di una luce nuova e di una nuova energia le vicende e i simboli dei Gradi precedenti. Ogni Grado è pre-liminare, cioè si spinge fino alla soglia, e precede la soglia del Grado successivo. Ogni Grado è con-sequenziale, evolve e sviluppa il nostro lavoro in una sequenza, in una progressione continua.

Queste erano le considerazioni di ordine generale. Adesso cerchiamo di addentrarci nel tema specifico, che riguarda Gradi e Gradualità nel Rito. Tutti noi abbiamo vissuto, per qualche giorno o per qualche mese, lo «choc» scozzese: come Maestri ci sentiamo compiuti e realizzati nel Terzo Grado, che è Grado di vertice, otentissimo Re Salomone, noi tutti,

in quanto Massoni e Maestri, sap- piamo già che ogni Grado è finito e compiuto in sé, in quanto ha linea- menti e compiti suoi propri. Sappia- mo anche che alcuni Gradi hanno origini e motivazioni diverse. Questo non dovrebbe meravigliarci: la Mas- soneria come Istituzione umana ha declinazioni storiche e geografiche variabili, eppure l’evoluzione dina- mica delle nostre vicende non toglie nulla al carattere universale della no- stra ricerca. D’altro canto ogni Gra- do, oltre che finito, è in-finito. Nel senso che il lavoro su questo o quel Grado, per noi, non avrà mai fine.

Chi di noi può dire di avere comple- tato, una volta per tutte, il suo lavoro di Apprendista? Siamo sinceri: non saremmo veramente Maestri se di- cessimo così.

Se veramente vogliamo parlarci da Maestri, diciamo che la fretta nel vo- ler passare di Grado, o ancor peggio la convinzione che questo accada per automatismo burocratico, è un abba- glio diffuso e ricorrente sotto ogni sole. E diciamo anche che, all’oppo- sto, l’eccessivo indugiare e crogiolar- ci in un Grado, la non disponibilità a farci carico di nuove dimensioni del

(20)

20

ma qui ci ritroviamo alla BASE di un nuovo percorso, che si preannuncia lungo e articolato. Perdipiù, sulle prime scambiamo il tono un po’ asciutto e perentorio di certi comportamenti scozzesi per autoritarismo quasi militare- sco, e il continuo richiamo alla fedeltà e all’obbedienza completa il quadro di una via ostica, dura, dove dobbia- mo mostrarci inflessibili. Questo sulle prime non piace.

Come Maestro non accetto facilmente che qualcuno mi dica quello che devo fare.

E qui sta il primo inciampo: se ci facciamo forti di quella che consideriamo una Maestria acquisita, non progredi- remo granché. Ma se viviamo la Maestria come stimolo e vocazione che non ha altri limiti che la ricerca della verità, allora il Rito ci riserverà non poche soddisfazioni.

Le nuove configurazioni simboliche che ci verranno pro- poste ad ogni passaggio di Camera proprio a questo ser- vono: a darci la possibilità di lavorare sul serio in quanto MAESTRI TRA MAESTRI.

Il Venerabile Ispettore Adonhiram, ci dice il Rituale, siede

«a Occidente, tra le Luci». Ecco, prendiamo spunto da questa frase. Adonhiram altri non è che il nostro Vene- rabile interiore, un Venerabile che ha compiuto una ro- tazione su sé stesso: nella Loggia azzurra egli si trova ad Oriente, qui egli si RUOTA E SI VOLTA VERSO ORIENTE, guardando più in là, o meglio, guardando più dentro. Ciò non contraddice la direzione Occidente-Oriente del no- stro percorso, ma la arricchisce di una nuova tensione, di nuovi stimoli, di nuovi traguardi.

La caratteristica più visibile dei Gradi Scozzesi è che essi, a partire dalla cooptazione stessa, sono Gradi di «chia- mata». Prima di entrare qui, il nostro comportamento da Uomini e da Maestri ha dato buona prova. Siamo stati contattati dal Rito. Abbiamo risposto sì. Adesso, se Scoz- zesi vogliamo rimanere, non potremo tirarci indietro.

Verremo chiamati a nuovi compiti, e quando ciò sarà, dovremo essere pronti. L’enfasi dei rituali sulla fedeltà e l’obbedienza vuol dire proprio questo.

Lo Scozzese si può soffermare a lungo su ogni simbolo, e meditare a fondo, ma se e quando chiamato, non induge- rà. La trasformazione da uomo di pensiero massonico in uomo di azione massonica è una delle finalità di questo percorso. Ciò non vuol dire uccidere il nostro senso cri- tico, la nostra ricchezza interiore di Uomini del Dubbio.

Però non dobbiamo soffermarci troppo a parlarne e ba- sta. Dobbiamo ESSERE quello che diciamo e pensiamo.

Dobbiamo ESSERE all’altezza della Maestria di cui ci fregiamo. Ogni passaggio sarà una chiamata nuo- va. Verremo continuamente osser- vati dai Gradi superiori, non perché qualcuno voglia ostacolare il nostro cammino, ma perché si scrutano in noi i sintomi, le movenze, le azioni di chi è pronto per un nuovo Grado.

Se posso esprimermi con un termine a noi tutti noto, quella del Rito Scoz- zese è una tegolatura perenne. Sono io che, in quanto Maestro, continua- mente tegolo me stesso, mi vaglio in profondità, uccido i miei idoli e i miei pregiudizi. Sono gli altri Fratelli che sentono in me questa continua ricerca di libertà, e lavorano ciascu- no sul suo versante per meglio indi- rizzarmi.

Un’altra caratteristica, che non balza solo agli occhi per via delle sciarpe, ma alle orecchie, è l’enunciazione meticolosa per ogni Grado delle pre- rogative, funzioni, attributi, onori.

Quando ascoltiamo la Tavola del Se- gretario ce ne rendiamo subito conto.

Io devo confessarlo, sulle prime mi chiesi: ma siamo matti? Come farò a ricordarmi tutte queste litanie che sembrano blasoni nobiliari un po’ an- tiquati, Gran questo e Gran quest’al- tro, Cavaliere, Ispettore, Commen- datore, Sovrano? Ma facciamo bene attenzione, Fratelli, anche perché nel Capitolo dei Maestri Segreti abbiamo la chance di vederli e sentirli tutti, dal 4° al 33°, questi Gradi.

Man mano che andremo avanti, ci accorgeremo che anche quegli onori sono «chiamate», sono richiami agli specifici compiti e alle specifiche re- sponsabilità che ciascun Fratello ha assunto verso sé stesso e verso tutti noi. La catena di trasmissione della Tradizione e del Rituale deve essere

(21)

21

La Superstizione

Roma, 7 ottobre 2011 A.D.

otentissimo Re Salomone, come sappiamo il nostro Rituale di Iniziazione ci indica che siamo entrati in questo Capitolo con il fine di elevare il nostro spirito, ci esorta a combattere l’ignoranza e il pregiudi- zio, ci prescrive di migliorare in ogni momento la nostra cultura iniziatica e profana.

Tra i punti fermi della nostra Inizia- zione Scozzese c’è la lotta contro ogni superstizione. Il riferimento è importantissimo per inquadrare la nostra condizione di Maestri “Levi- ti”. “Superstizione” vuol dire letteral- mente “ciò che rimane” – il “residuo superstite” di vecchie credenze e usanze religiose o magiche. La Tribù dei Leviti secondo il racconto biblico è l’unica che si rifiutò di adorare il vitello d’oro e mantenne fede al pat- to con Mosè durante la sua ascesa al monte.

I Leviti scelgono la fedeltà al patto, quella che sarà l’Arca della nuova Alleanza, piuttosto che ripiegare su vecchie abitudini di venerazione e idolatria.

L’Arca presuppone un atteggiamento nuovo e diverso: vuol dire “rifonda- sempre vigilata, e allora ci sono gli

Ispettori. La coesione e l’operatività del Rito e dei nostri valori deve esse- re propugnata, e allora ci sono i Ca- valieri. E così via dicendo.

Se ben intendiamo, le sciarpe e le ca- riche indicano specifiche evoluzioni del nostro lavoro e delle nostre ca- pacità. Nel Rito gli attributi di ogni Grado fanno parte essenziale del Lavoro, e della struttura piramidale del Rito stesso. Nel Rito la forma è meticolosa, sostanziale ed essenzia- le, perché di quelle cariche ed onori saremo tenuti ogni giorno a dare pro- va tangibile e concreta. Nonostante le apparenze, il Rito non ha tempo per orpelli e coreografie puramente decorative.

Altra caratteristica visibile dei Gradi Scozzesi è la loro sequenza in catena piramidale e ascensionale. Teniamo presente che questo è per così dire un NOSTRO punto di vista, dal bas- so, perché da un punto di vista inizia- tico è la cuspide della Piramide che genera il Rito, e non viceversa. Quel- lo che tiene insieme questa catena è Amore, è dedizione, ma è anche un senso cavalleresco di servizio.

Veniamo da ultimo al Grado di Ma- estro Segreto: i Maestri segreti, ad esempio, non dovrebbero sentirsi

«Fratelli minori del Rito». Il IV è un Grado d’ingresso, ma nel contempo altissima è la nostra responsabilità:

noi difendiamo la soglia del Rito, vi- giliamo sulla soglia del Sancta San- ctorum, tuteliamo il segreto su dove si trovi la seconda sepoltura hirami- ca, sosteniamo la piramide scozzese tutta. Vi chiedo: vi sembra poco?

P

(22)

22

re il proprio presente e scegliere il proprio destino”, piuttosto che sem- plicemente affidarsi alla religiosità primaria e tribale.

Il messaggio per noi Maestri è ab- bastanza chiaro: nel rapporto con il sacro, noi non ci aspettiamo l’in- tercessione di un sacerdote o la me- diazione di un idolo. Nessuno deve

“agire per noi”. I simboli sono stru- menti, non idoli. Siamo noi a dover trovare il sacro, la scintilla, l’allean- za con il divino nella nostra ricerca interiore. Quindi quell’Urna che il Maestro Scozzese trova qui, appe- na viene ammesso nel vestibolo del Sancta Sanctorum, non è un oscuro segno della volontà divina da vene- rare: è un simbolo attivo di ricerca dell’Iniziazione. Se qualcosa c’è, dentro questa Arca, c’è anche den- tro di noi. Ci attende una diversa di- mensione del silenzio, non più fisico come nell’Apprendista, ma animico e mentale, perché possa cominciare a dischiudersi un nuovo cammino.

Detto questo, va detto anche che a certe vecchie superstizioni noi do- vremmo guardare non tanto con indulgenza e senso di superiorità, quanto con il dovuto rispetto. Spesso dietro un’usanza, una sopravviven- za di un vecchio spezzone formu- lare, un rituale, uno scongiuro, un proverbio, un rimedio, un farmaco non sta semplicemente l’ingenuità un po’ rozza di una mente primitiva.

I cosiddetti usi primitivi, se abbiamo la pazienza di studiarli e se riuscia- mo a fare uno sforzo di ascolto, ri- velano una mentalità cosmologica raffinatissima, una vicinanza ai cicli e ai ritmi della natura, perfino delle intuizioni iniziatiche profonde. Se banalizziamo ogni cultura diversa dalla nostra di moderni e razionali, perdiamo la possibilità di riconnet-

terci con strati molto profondi non solo dell’animo uma- no, ma della Tradizione.

In altre parole: quello che noi chiamiamo “superstizio- ne” spesso è la rimanenza superstite, la testimonianza preziosa di antiche forme di ricerca e interazione col sa- cro. Siamo noi che non le capiamo.

Del resto, forzando un po’ i termini del ragionamento, un osservatore esterno potrebbe dirci che noi Massoni altro non siamo che la rimanenza di un vecchio ordine mura- torio, non più operativo ed efficace, perché non costruia- mo neanche mezzo muretto. Una “superstizione” su cui si sono innestati i residui di altre rimanenze, gnostiche, cavalleresche, alchemiche, e quant’altro. Noi magari ci sentiamo superiori a quell’osservatore, lo chiamiamo

“profano”, ché la “costruzione” e poi “l’abbellimento”

del Tempio si riferiscono alla nostra interiorità. Però, pro- prio perché siamo tra Maestri e dobbiamo parlarci con franchezza, è bene che su questa cosa noi riflettiamo: se pensiamo che mettersi un grembiule o pagare una ca- pitazione, far parte di una società di mutuo soccorso o di una consorteria d’affari sia la Massoneria, allora quel profano ha ragione. La nostra ritualità così diventa una forma vuota, e il corredo di cappucci, spade, sciarpe ci rende grotteschi più delle maschere primitive che sfilano nelle feste di paese.

Se invece vogliamo rifondare il nostro presente e sceglie- re il nostro destino, al pari dei Leviti del racconto bibli- co, possiamo vivere nella Ritualità e nella Tradizione un principio di ricerca attivo e quotidiano: nella Massoneria e nel Rito Scozzese Antico ed Accettato la Tradizione, la scintilla vitale è “qui e ora”. Vista in questo modo, la Li- bera Muratoria non è semplicemente una sopravvivenza di antiche usanze, ma è il piano di lavoro su cui possia- mo riconnettere quel “qui e ora” con il “da sempre e per sempre”. Mettere in contatto il tempo presente con ciò che è sempre stato e sempre sarà, dentro e fuori di noi.

È un progetto ambizioso, ma si comincia dalle picco- le cose. Per esempio, proviamo a parlare dei rischi di

“superstizione” nostri, piuttosto che di quelli degli altri.

È importante che tutti i Fratelli Maestri Segreti presenti questa sera, e in particolare quelli di recente iniziazione a cui rinnoviamo il benvenuto in questo Capitolo “Gia- no”, ci diano un loro contributo. Cosa vuol dire per noi vivere concretamente la ricerca? Cosa vuol dire combat- tere la superstizione, oggi, per un uomo libero, per un Maestro?

(23)

23 cui emergiamo, ma in parte l’oscu-

rità protegge anche il perimetro del Sancta Sanctorum da coloro che non hanno le qualifiche iniziatiche per addentrarsi qui.

Un altro segno di annunciazione: la tenebra delle pareti è squarciata da colonne di luce bianca che si eleva- no verso il cielo. Colonne che par- tono dalla Terra, 7 per lato. Il 7 è un numero importante, e in questa ca- mera serve a “criptare” un altro nu- mero: 1+6: il 16 simboleggia che i 4 lati di questo perimetro sono circon- dati simbolicamente da 16 colonne, 4 per lato. 4 è il simbolo della Terra, è il numero della nostra batteria, è il quadrato di base su cui poggia la nostra Piramide Scozzese, è la “base terrena” di realizzazione da cui noi, Maestri iniziati ai Piccoli Misteri, veniamo avviati a quello che sarà un nuovo traguardo: l’Iniziazione ai Grandi Misteri.

Dal 4 della Terra al 3 del Triangolo, all’1 del Cerchio: ecco il percorso indicatoci dal Disco Solare sopra il Vostro Scanno, Potentissimo Re Salo- mone.

Ed ecco quindi, una volta che i no- stri occhi si sono abituati a penetrare

Il Disco Solare

Roma, 21 ottobre 2011 A.D.

P

otentissimo Re Salomone, questa sera noi Maestri Segreti ci impegne- remo in un lavoro di meditazione attiva su un simbolo complesso e af- fascinante, quel Disco Solare che il- lumina il Vostro Trono, e annuncia un nuovo Grado di Luce a quanti, viag- giando attraverso la tenebra, sono fi- nalmente giunti in questa Camera dei Maestri Segreti. Vi prego, Fratelli, di dedicare alcuni istanti di silenzio alla contemplazione di questo simbolo [SEGUONO ALCUNI SECONDI DI SILENZIO]

Le annunciazioni di Luce sono sem- pre affascinanti: l’idea di una riscos- sa imminente, di una Rinascita dello Spirito dell’Uomo ci entusiasma e ci fa trepidare.

In questa Camera i Segni dell’An- nunciazione sono evidenti e insisti- ti: ad esempio, cominciamo i Lavo- ri nell’ora in cui “le tenebre si sono dileguate dinnanzi all’Aurora”. Il momento “aurorale” della nostra co- scienza è rilevato dal cielo stellato sopra la nostra volta, un cielo che si va schiarendo e da cui gocciano stille argentee, quelle stesse che pos- siamo vedere, qui, sulle pareti nere intorno a noi. Le pareti sono nere, simboleggiano la tenebra densa da

(24)

24

nella tenebra, il simbolo declinato: L’Urna di Hiram, una Z, un triangolo, un Cerchio, e un’annunciazione di Ener- gia Radiante. Da Maestri conosciamo già una parte di questi simboli: sappiamo ad esempio che il triangolo con la cuspide rivolta in alto è un segno di fuoco: ricordiamo?

“Possa il vostro cuore infiammarsi d’Amore”, nella prima iniziazione ad Apprendista, o la Stella Fiammeggiante che abbiamo intravisto nell’ultimo Viaggio del Compa- gno d’Arte.

Qui però le figure geometriche sono composte in modo nuovo, il Pentalfa è declinato in altra forma: la Z, secon- do l’interpretazione più corretta è un simbolo di “splen- dore”, è quella Zizà di cui ci parla la tradizione come momento di realizzazione massima e trasformazione del- lo spirito. Dalla Stella fiammeggiante, che è il processo iniziale e attivo della trasformazione, qui si passa a una

“Stella risplendente”, che è il compimento di quel fuoco su un piano superiore: non è più la componente animi- ca e individuale a bruciare, dissolversi e trasformarsi, ma è una Luce perenne e non individuale che si annuncia.

Una Luce che arde senza consumarsi.

Questa Luce di Splendore Perenne irradia dall’Urna. Ma quell’Urna è chiusa e la Chiave è spezzata, segno che noi Maestri segreti ne percepiamo l’Annunciazione, ma non siamo ancora in grado di conseguirla. Ne capiamo (forse) la Potenza, ma non la viviamo ancora. E chissà se dopo Hiram vi sia stato qualche Maestro, tra tutti noi Massoni, a riuscirci. Noi possiamo intendere la sfida, se vogliamo intenderla, ma sappiamo che solo sottomettendoci al do- vere e conseguendo un nuovo silenzio potremo incam- minarci. Sappiamo però ora dov’è racchiusa la Scintilla, e custodiamo questo Segreto con inflessibile Fedeltà.

Facciamo allora insieme un istante di meditazione silen- ziosa, osserviamo il disco solare...

[SEGUONO ALCUNI SECONDI DI SILENZIO]

Ecco, la domanda di questa sera: se quel Disco mi parla, qui e ora, della mia condizione di Maestro Segreto, cosa vuol dire quel Triangolo iscritto in un Cerchio? Sono io? È il mio “Io”? Come vivo questa condizione? A quale nuova sfida vi state preparando, Fratelli Maestri Segreti? Cosa sta cambiando, in questi giorni, nella Vostra vita? Cosa sentite, adesso che quella Z, quell’Urna, quella chiave le trovate non solo sul disco davanti a voi, ma sui paramenti che vestite?

(25)

25

Roma, 4 novembre 2011 A.D.

I tre viaggi del Maestro Segreto

otentissimo Re Salomone, i tre viag- gi dell’iniziando Maestro Segreto sono il tema di questa Tornata. Come sappiamo si svolgono sotto la guida del MDC, in velocità crescente, tra

“la schiavitù e le tenebre”. E la loro velocità crescente forse, come primo significato di base, ha proprio quello di sforzarsi di varcare questa spessa ombra, per addentrarsi verso una nuova luce.

Naturalmente, ci vengono in mente i 3 viaggi che il profano iniziando compie nel Tempio, dopo aver com- piuto un primo viaggio di terra nel Gabinetto di Riflessione. Solo che qui il contesto è un altro. Siamo Ma- estri, abbiamo visto l’Acacia e siamo già stati elevati in una Camera di Mezzo.

La dimensione di nuova elevazione su cui lavoreremo qui, e questo il Ri- tuale di Iniziazione ce lo dice molto chiaramente, è quella di “elevare il nostro Spirito”. Cosa vuol dire que- sto, e perché i 3 viaggi si svolgono in velocità crescente?

Ogni grado, se lo analizziamo per sé, ha un suo elemento fisico, uno animi- co, uno spirituale. I 3 viaggi indicano qui 3 gradazioni di lavoro spirituale che il Maestro dovrà compiere nel suo percorso scozzese. Un percorso che, lo ricordiamo, è suddiviso nelle 3 fasi spirituali e alchemiche di Mas- soneria Nera, Rossa, Bianca.

Vi è una prima dimensione più densa e più spessa di lavoro dello Spirito, che è quella che manifestiamo trami- te la nostra complessione, il nostro corpo, le nostre movenze: è quella che un grande psicologo, Alexander Lowen, chiamava la “spiritualità del corpo”.

Da questa dimensione si vede se, come Maestri, stiamo manifestando qualcosa del nostro lavoro spirituale anche dalla nostra esteriorità: da uno sguardo, dalla nostra voce, dal nostro comportarci dovrebbe trasparire, a chi sa intendere, che siamo Maestri.

Il Maestro dovrebbe avere, in alcune cose, quella che i latini percepivano come “gravitas”, che non è esatta- mente lentezza, ma ponderatezza, equilibrio profondo. Forse essa in parte corrisponde a quella che il no- stro Rituale chiama “circospezione”.

Come Maestri Segreti, tempriamo il nostro spirito nel Silenzio, nell’Ob- bedienza, nella Fedeltà, nella Discre- zione.

Vi è una seconda dimensione, più leggera e mossa – ed ecco il secondo viaggio, che accelera – in cui la no- stra spiritualità investe la dimensione dell’anima, del sentire individuale, comincia a trasformarla e crea le pre- messe per cui, un giorno, potremo forse liberarci, elevarci, trascendere l’anima stessa. Qui siamo ancora sul piano del nostro io individuale. Lo spirito non è ancora completamente

P

(26)

26

Sette

e più Gioie per l’abbellimento

del Tempio

otentissimo Re Salomone, alla fine di ogni Tornata di questo Capitolo dei Maestri Segreti, una volta passato il Sacco della Beneficenza, l’Oratore dice che esso ha fruttato “Sette e più Gioie per l’abbellimento del Tem- pio”.

Ogni punto del rituale, se letto atten- tamente, contiene indicazioni pre- ziose, e questo passo non fa eccezio- ne. I Maestri entrati da poco nel Rito Scozzese noteranno innanzitutto la differenza con l’espressione “Tre e più mattoni per la costruzione del Tempio” che per anni hanno sentito pronunciare dall’Oratore delle Log- ge azzurre. Prima osservazione uti- le: lì si “costruisce” il Tempio, qui si

“abbellisce”. Cosa vuol dire? Ovvia- mente escludiamo da questo “abbel- limento” ogni significato puramente decorativo in senso artistico, anche se questa è una funzione importan- tissima, per lo sviluppo del gusto e della sensibilità, in cui già ci siamo esercitati e ci esercitiamo quando lavoriamo in Grado di Compagno d’Arte. Il significato qui è un altro:

il Tempio in cui ci troviamo nel Rito

Roma, 2 dicembre 2011 A.D.

P

“estratto” dall’animico, ma se voglia- mo progredire dobbiamo alleggerir- ci dalle passioni, dai pregiudizi, da quei metalli della mente che ancora ci rallentano.

Il terzo viaggio scorre come un refo- lo di vento: è una meta di spiritualità libera, non condizionata da pulsioni individuali e attaccamenti, e il moto a questo punto non è più trattenuto da alcun gravame. Si può dire forse che tutto il nostro programma di vita iniziatica, come Scozzesi, è raffigu- rato in questi 3 viaggi.

Aggiungerei solo che essi, probabil- mente, non si svolgono su un unico piano, ma, visto che di elevazione spirituale parliamo, sono come 3 curve spiraliformi, 3 rotazioni su noi stessi, e dentro noi stessi, che com- piamo in senso ascendente.

Chiederei a questo punto ai Fratel- li Maestri Segreti, e in particolare a quelli di recente ingresso in questo Capitolo, il loro contributo proprio su questo tema: vita dello spirito, superamento degli attaccamenti in- dividuali, superamento degli attac- camenti animici. Come ci confron- tiamo ogni giorno, da Maestri, con questo lavoro?

(27)

27 Scozzese non è il Tempio in costru-

zione perenne della Massoneria Az- zurra. Qui si intende un Tempio che è già costruito, e adesso va “abbelli- to”. In termini di lavoro massonico, questo vuol dire che nella nostra in- teriorità ci sono ormai tutti gli stru- menti operativi, le fondamenta e le arcate, il tetto è posato.

Il Tempio insomma è ben costituito nella nostra coscienza, le figure del Venerabile e dei Sorveglianti e le al- tre cariche sono ben interiorizzate, il grado di Maestro è acquisito e ora dobbiamo procedere in un’opera, anch’essa infinita come la “costru- zione” della Loggia azzurra: il “per- fezionamento”, il lavoro su noi stessi in Grado di Maestro, e l’”elevazione dello Spirito”, come dice il Rituale di Iniziazione al IV Grado.

La nostra vita, se parliamo di abbel- limento, dovrebbe essere investi- ta da una nuova forma di bellezza, non estetica ma interiore, quella che si riflette negli occhi dell’uomo che cerca di vivere tutto, anche la Profa- nità, da persona che fa una ricerca spirituale.

Poi c’è una notazione specifica, sul gesto che compiamo nel deporre queste gemme nel Sacco. Quando nella Loggia azzurra deponiamo il nostro obolo nel Tronco della Ve- dova, come si sa, ritiriamo la nostra mano con il pugno chiuso: segno che, nella Loggia Azzurra, lavoriamo per dare ma potremmo anche “pren- dere” – non solo sotto il profilo di una nostra eventuale disgrazia ma- teriale, ma proprio per il soccorso e l’aiuto, il sostegno che troviamo nei Fratelli più esperti, nei Sorveglianti, nel Venerabile. Nel Rito, siamo, in- vece, in qualche modo, Venerabili di noi stessi. Infatti, ritualmente, qui

dovremmo ritirare la mano aperta dal sacco. Segno che, almeno come attitudine e spirito di lavoro scozzese, sia- mo venuti solo a “dare”.

L’indicazione è chiara: nello spirito di Iniziazione, di obbedienza e di servizio del Rito, noi dobbiamo porci il problema ogni giorno di cosa stiamo facendo di buo- no, per il Rito innanzitutto, ma anche per i nostri Fratelli Massoni. E col tempo, dovremo concretamente verificare se nella società civile, in quanto Massoni, esercitiamo un’azione benefica. In quanto Massoni, e Scozzesi, si badi: l’iniziativa è sempre individuale, e la Massoneria non ci darà mai indicazioni di comportamenti, di politi- che o di affari “collettivi”.

Le “gioie”, i “gioielli”, sono perspicui, cioè lasciano pas- sare la luce: questo vuol dire che siamo ogni giorno più aperti a lasciarci attraversare dalla Luce dell’Iniziazione, e anche dalla Luce che è presente in ogni angolo del mondo, se sappiamo dove e come guardare. E inoltre abbiamo gli schermi e i filtri necessari (le “sfaccettature delle gemme”) per deviare e respingere le energie impro- prie.

Mentre il lavoro dell’Apprendista produce materiali di scarto, di risulta, schegge, quello del Compagno leviga e sparge la calcina, e quello del Maestro traccia sulla Tavola da Disegno, il lavoro del Maestro Segreto è volto all’Interiorità, si condensa e si solidifica in «gemme». Le gioie sono dunque il condensato di un’attività meditativa della Camera.

Ma soprattutto, questi gioielli spirituali con cui abbellia- mo il Tempio sono i nostri occhi. Dai nostri occhi, da un tipo particolare di Luce che emanano, si dovrebbe vede- re, nel corso degli anni, se il Rito Scozzese ci ha permes- so di lavorare veramente sulla Via del perfezionamento e dello Spirito. L’Ispettore Adonhiram, ricordiamolo, è il Venerabile che compie una rotazione su se stesso, e con le spalle volte a Occidente ora guarda più in là, cioè verso un Oriente più profondo e verso l’interiorità. Il tema degli occhi e della Luce lo conosciamo fin dall’Iniziazione di Apprendista. Ma ricordiamoci che siamo entrati in que- sto Capitolo con una bendatura opaca, e che ne siamo stati liberati. Adesso i nostri occhi, abituatisi all’oscurità, possono guardare verso nuovi gradi di Luce e abbellire il Tempio riflettendo, ognuno con la sua energia e con il suo particolare percorso di perfezionamento, questa Ca- mera e il Rito.

(28)

28

Dovremmo pensare a tante gemme diverse, per forma e colore. Come quelle di cui si serviva la Massoneria operativa nell’abbellimento dei suoi splendidi manufatti. Tante gemme di- verse che però contribuiscono a un lavoro comune.

Chiediamo ora ai Maestri segreti di darci il contributo della loro riflessio- ne, una loro personale gemma: come vivete questo nuovo spirito di servi- zio, questo “dare e restituire”?

Cosa vuol dire, per voi, questa nuova meditazione su un altro tipo di bel- lezza, a cui ci chiama il Rito?

V Considerazioni

sul IV Grado

enerabilissimo e Potentissimo Sovra- no Gran Commendatore, Venerabilis- simo e Potentissimo ex Sovrano Gran Commendatore, Venerabilissimi Luo- gotenente Sovrano Gran Commenda- tore e Gran Priore, Potentissimi Sovra- ni Grandi Ispettori Generali Membri Attivi ed Emeriti del Supremo Con- siglio, Potentissimi Grandi Ispettori Generali Membri Onorari, Aggiunti e Liberi, Elettissimi Sublimi Principi del Real Segreto, Illustrissimi Grandi Ispettori Inquisitori Commendatori, Illustri Cavalieri Kadosh, Illustri Prin- cipi Rosa+Croce, Rispettabilissimi Cavalieri Eletti dei 9, Rispettabilissimi Maestri Segreti, questa tornata rituale nazionale in IV Grado è una splendi- da occasione per vedere riuniti insie- me tutti i Gradi della piramide rituale del R.S.A.A.

Avete ascoltato le qualifiche un po’

altisonanti attribuite a ciascun livel- lo della nostra Gerarchia, appellativi che ad orecchie profane sembrereb- bero ridondanti e antiquati, ma noi sappiamo che ognuno di questi Gra- di non è solo un titolo onorifico che dà il diritto di indossare una determi- nata fascia o collare, ma una Dignità che corrisponde, o almeno dovreb- be corrispondere, alla effettiva con- quista di una stazione importante del

(29)

29

nella Tornata Nazionale in IV Grado del 15 ottobre 2011

Allocuzione del Grande Oratore Gran Ministro di Stato,

Pot.mo Fr. Flavio Balestrero 33

nostro cammino iniziatico. Ora, la base di tutta questa imponente Gerarchia è il IV grado del nostro Rito, il Ma- estro Segreto, la cui Loggia di Perfezione costituisce non solo la porta di ingresso nel Rito, ma anche la sede in cui vengono impartiti insegnamenti fondamentali, indispen- sabili non solo per il lavoro della Camera, ma anche per ogni ulteriore avanzamento.

Parlando di questo Grado, ovviamente, dirò cose ben note ai Fratelli dei Gradi superiori.

Mi rivolgerò quindi soprattutto ai fratelli Maestri Segreti, che vivono adesso l’esperienza di questo Grado, anche se penso che ognuno di noi, io per primo, possa trarre giova- mento a ripassare concetti e simboli fondamentali.

Naturalmente ci sarebbe moltissimo da dire, ma il tempo a disposizione è limitato e quindi tratterò solo alcuni temi e farò delle brevi considerazioni finali. Innanzi tutto è evidente che il grado di Maestro segreto esercita un ruolo di raccordo nei confronti dell’Ordine; la stessa dizione

“quarto” lo colloca automaticamente come passo succes- sivo a quello di Maestro.

In effetti, si entra nella Loggia di Perfezione del IV° Grado con le stesse prerogative del Maestro Libero Muratore, infatti, il nostro Rituale recita:

“Sono passato dalla squadra al compasso: ho visto la tomba di Hiram”.

Questa necessità di riallacciarsi ai Gradi precedenti, è evidente negli antichi rituali che ci sono pervenuti. Ad esempio nel manoscritto Franken troviamo che durante l’Iniziazione, il candidato doveva dare al Potentissimo Re

i Segni di Apprendista, Compagno e Maestro.

Una situazione analoga si riscontra nella Massoneria Adonhiramitica del 1736.

In questo sistema di Alti Gradi, dove però il quarto grado era quello di Maestro Perfetto (che nel R.S.A.A. di- verrà il V°), leggiamo, nel catechismo del Grado, il seguente dialogo:

D: Come siete pervenuto a tanta perfezione?

R: Tramite i Tre Gradi d’Apprendista, Compagno e Maestro.

L’ingresso nel RSAA non implica quindi una rottura con il passato, come avviene nell’Iniziazione ad Apprendista, che comporta un netto stato di separazione tra il mondo pro- fano e quello iniziatico, mentre, con il grado di Maestro Segreto non vi è soluzione di continuità tra Ordine e Rito.

Da un punto di vista simbolico, infat- ti, il Tempio dei Maestri Segreti coin- cide con il Sancta Sanctorum della Camera di Mezzo. In questa prospet- tiva, tutti i FF. MM.SS. si colloca- no, idealmente, all’Oriente. Questa

(30)

30

interpretazione simbolica, oltre a sottolineare l’elevata sacralità del Grado, rende visibilmente ragione della funzione di difesa del Tempio che costituisce una delle caratteristi- che del IV grado. Qualità che viene simboleggiata sia dall’appellativo di Guardiano della Soglia conferito al M.S. che dall’Occhio Aperto che compare sulla bavetta del grembiule e nell’emblema araldico del Grado.

Infatti una delle peculiarità del Gra- do è quella di:

“…istruire e sorvegliare gli operai…”.

In altri termini, riversare nelle Log- ge Azzurre ogni sforzo volto ad in- crementare il livello iniziatico dei Fratelli e valutare, con discrezione e ponderatezza, quali Fratelli Maestri possiedano le necessarie prerogative per entrare a far parte del R.S.A.A. e, specialmente, la loro determinazione ad intraprendere un ulteriore e diffi- cile lavoro di perfezionamento.

Nel rituale del Grado troviamo nu- merose esortazioni che sono innan- zi tutto di carattere morale, ma non solo.

Sono indicazioni importanti dal pun- to di vista iniziatico operativo, perché sono finalizzate alla eliminazione di ostacoli che è necessario superare per progredire nel cammino verso la verità. Ad esempio, durante l’Inizia- zione, il Potentissimo Re Salomone invita il neofita a sforzarsi di liberare il proprio essere dalle passioni che ancora lo avviliscono e che gli im- pediscono di gioire della serenità del Saggio.

Questo può sembrare un discorso morale, ma non è soltanto questo.

Consideriamo che ognuno di noi, a suo tempo, ha affermato di entrare

in Tempio per libera e piena volontà, in altri termini, ab- biamo rivendicato la nostra libertà d’azione, ma a quale libertà si fa riferimento? E’ solo di natura morale?

Personalmente ritengo che la vera libertà sia quella da se stessi, ossia spezzare le catene con le quali sia il corpo che la mente ci tengono imprigionati.

Come viene ripetuto nel rituale, bisogna liberare lo spiri- to, liberare la nostra vera natura, ovvero l’essenza divina, dalla schiavitù della materia. Solo così Hiram sarà vera- mente risorto e ritroveremo la Parola Perduta. In questa prospettiva, il primo passo è divenire padroni di noi stes- si, caratteristica tipica del Maestro Massone, condizione che non può chiaramente manifestarsi in chi è schiavo delle proprie passioni.

Quindi non si esprime, dal punto di vista morale, un giudizio sulla liceità di un atto, ma se ne valuta l’utilità, o meno, in funzione del raggiungimento del traguardo prefissato.

Durante il primo viaggio l’Oratore dice: “Non farti mai, per adorarle, immagini scolpite. Non farti degli idoli di metallo. Quando tu volgi gli occhi al cielo e contempli il sole, la luna, le stelle, non rendere loro alcun culto.”

Chiaramente questo rientra nella concezione monoteista ebraica a cui il rituale si ispira, e conserva sempre il suo valore, ma volendo estendere il concetto di idolatria al di là dell’ambito religioso, potremmo benissimo riferirci ad aspetti caratteristici della nostra attuale civiltà dove il consumismo esasperato porta molti uomini a delle forme di idolatria assurde, nei confronti di oggetti, denaro, po- tere ecc…. E’ necessario ridimensionare l’attaccamento che proviamo verso tutto ciò che ha il possessivo “mio”

davanti. E proprio allora che l’uomo, nella sua mente, perde la propria libertà. Quando il possesso non è più un godere delle cose, ma un disperato bisogno, una vera dipendenza che condiziona il nostro stesso esistere.

È un grave ostacolo sul nostro cammino.

Il Re Salomone ad un certo punto afferma: “Ciò che ave- te udito traduce la suprema e perpetua preoccupazione della Libera Muratoria che è l’abbattimento di tutti gli idoli, di tutti i pregiudizi, di tutte le superstizioni, di tut- te le menzogne…l’ideale dei Liberi Muratori è la verità.

Ogni concezione dell’uomo è progressiva e di conse- guenza relativa, la Libera Muratoria non ammette alcuna

Riferimenti

Documenti correlati

Anche nel passaggio dalla dimensione aristo- cratica ed esclusiva dei primi anni ai fallimenti del primo cambio di dire- zione, questo longevo evento (atti- vo fino al 2004) ha

Tutte le ragazze dodicenni, in tutte le Regioni d’Italia, ricevono dalla Azienda Sanitaria una lettera di invito a presentarsi al Servizio Vaccinale per usufruire gratuitamente

Alle dipendenze dei sacerdoti c’è una moltitudine di persone: funzionari che contano e controllano le scorte, architetti, muratori e carpentieri e altri artigiani che si

Organizzata in collaborazione con la Lega Italiana per la lotta contro i tumori (LILT) ed il patrocinio del Comune di Rivoli, affronterà argomenti quali la prevenzione primaria

L'anno duemiladodici, il giorno ventinove del mese di ottobre, a Tempio Pausania e nell'ufficio del Dirigente del Settore dei Servizi al patrimonio ed al

È il caso del parapetto in vetro Extrachiaro, che nasce direttamente dal pavimento, nascondendo alla vista i sistemi di fissag- gio del parapetto stesso alla soletta; quello

Vediamo così che Gesù porta a compimento i precetti dell’antica alleanza, radicalizzandoli, facendo cioè arrivare fino in fondo la chiamata ad essere figli di Dio, ad avere gli

Se il tuo elenco delle ordinanze del tempio non contiene i nomi degli antenati che hanno bisogno di ordinanze, puoi trovarne alcuni nella sezione Albero genealogico.. L’elenco