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Coppia di fatto con figli: eredità

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Coppia di fatto con figli: eredità

Autore: Adele Margherita Falcetta | 13/10/2020

Cosa spetta ai figli di due persone conviventi in caso di morte di uno dei genitori e in quali casi il partner superstite può godere di diritti ereditari.

Oggi, le coppie che convivono sono molto più numerose che in passato. Una volta, una relazione affettiva vissuta senza che i due partner fossero uniti in matrimonio era considerata scandalosa; di questi tempi, invece, si tratta di una scelta come le

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altre.

Tuttavia, se dal punto di vista della considerazione sociale i conviventi vengono considerati alla stessa stregua delle coppie sposate, sotto l’aspetto legale permangono importanti differenze tra le due situazioni. Queste differenze emergono, in particolare, in presenza di particolari avvenimenti come la morte di uno dei due partner. Vediamo, in particolare, a chi spetta l’eredità in caso di coppia di fatto con figli.

Cosa si intende per coppia di fatto?

La nozione di coppia di fatto è stata introdotta nel 2016 dalla “legge Cirinnà” [1].

Quest’ultima stabilisce che le coppie di conviventi non uniti in matrimonio possono godere, a determinate condizioni, di particolari diritti.

Perché due persone maggiorenni formino una coppia di fatto è necessario, innanzi tutto, che siano legate tra loro da un vincolo affettivo, diverso da quello derivante dall’amicizia o dalla parentela. I due, insomma, devono avere tra loro un rapporto che, con un termine latino, viene detto “more uxorio”, cioè analogo a quello intercorrente tra persone sposate.

I due partner, inoltre, devono convivere stabilmente: devono, cioè, avere dato vita a un vero e proprio menage familiare. Infine, è necessario che i due non siano uniti in matrimonio o unione civile con altre persone.

Se ricorrono le condizioni sopra descritte siamo in presenza di una coppia di fatto.

PerchP, tuttavia, alla stessa siano riconosciuti alcuni diritti, è necessario che i conviventi comunichino la loro situazione all’Ufficio anagrafe del Comune di residenza, mediante un’apposita dichiarazione che possono firmare davanti al funzionario addetto a questo servizio, oppure spedire via raccomandata a.r. o Pec allegandovi copia dei documenti di identità di entrambi.

Compiuto tale adempimento, i conviventi di fatto acquisiscono diversi diritti: ad esempio quello reciproco all’assistenza morale e materiale; quello di subentrare nel contratto di locazione della casa nell’ipotesi di morte dell’altro partner; quello di far visita in ospedale al convivente, di assisterlo e di avere notizie sul suo stato di salute, anche visionandone le cartelle cliniche.

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Come sono considerati i figli delle coppe di fatto?

I figli delle coppie di fatto sono considerati dalla legge alla stessa stregua dei figli nati da coppie unite in matrimonio.

Vi è, comunque, una differenza, che deriva necessariamente dalla diversità tra convivenza di fatto e vincolo matrimoniale. I bambini che nascono da una coppia sposata, infatti, si considerano per ciò stesso figli di entrambi i coniugi; a tal fine è sufficiente che uno dei genitori ne dichiari la nascita all’Ufficio anagrafe del Comune di residenza. Diverso è il caso dei bambini nati da coppie conviventi:

per essere considerati figli di entrambi i genitori occorre che questi ultimi ne effettuino il riconoscimento. Ciò può avvenire in diversi modi:

al momento in cui si dichiara la nascita del bambino. In tal caso, è necessario che la dichiarazione venga effettuata da entrambi i genitori;

mediante una dichiarazione resa all’Ufficiale dello stato civile del Comune;

con atto pubblico. In tal caso, i genitori devono recarsi da un notaio;

con testamento. In tale ipotesi, il riconoscimento ha effetto soltanto con la morte del testatore.

Una volta avvenuto il riconoscimento, non vi è alcuna differenza tra i figli dei conviventi e quelli nati da coppie sposate.

Chi eredita alla morte di una persona?

Quando una persona muore, si apre la sua successione; ciò significa che il suo patrimonio viene trasferito a una o più persone, denominate eredi.

Come vengono individuati gli eredi? La legge prevede due tipi di successione:

successione testamentaria. In tal caso il defunto, mentre era in vita, ha fatto testamento designando uno o più eredi e stabilendo le quote del suo patrimonio che devono essere attribuite a questi ultimi (ad esempio la metà, un terzo, un quarto e così via);

successione legittima. Se il defunto (detto anche de cuius, cioè persona della cui eredità si tratta) non ha lasciato testamento, si attua la successione legittima, cioè gli eredi sono quelli stabiliti dalla legge. Il

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codice civile, infatti, individua i familiari e parenti che hanno diritto ad ereditare: principalmente coniuge e figli, ma anche genitori, nonni, nipoti e parenti più lontani, fino al sesto grado. In mancanza di parenti il patrimonio del defunto va allo Stato.

Diverso dall’eredità è il legato. Esso consiste nell’attribuzione a una persona, mediante testamento, non di una quota del patrimonio, ma di un bene specifico.

Quindi, la differenza tra eredità e legato è la seguente:

l’eredità ha ad oggetto una quota del patrimonio del de cuius. Ad esempio:

“Lascio a mio cugino Franco un quarto del mio patrimonio”;

il legato ha ad oggetto un bene o un diritto specifico. Ad esempio: “Lascio a mia cugina Maria l’appartamento al mare”.

Se il de cuius ha fatto testamento, bisogna fare attenzione che non abbia intaccato una certa quota del suo patrimonio, che la legge riserva necessariamente ad alcuni familiari (coniuge, figli, genitori o altri ascendenti). Questi eredi vengono detti legittimari o riservatari e la quota loro spettante è denominata legittima o quota di riserva. La parte restante del patrimonio viene detta disponibile.

Il coniuge e i figli vengono preferiti rispetto agli altri legittimari. Pertanto, in loro presenza, i genitori del defunto non potranno vantare alcuna pretesa; se il coniuge è morto o divorziato gli unici legittimari saranno i figli.

Se con il testamento (o anche con donazioni fatte in vita) il de cuius ha intaccato la quota di riserva, i legittimari possono rivolgersi al giudice per ottenere quanto loro spettante, mediante un’azione specifica detta di riduzione.

Coppia di fatto: chi eredita alla morte di uno dei partner?

Ora che abbiamo visto, sia pure per sommi capi, come funziona la successione ereditaria, vediamo cosa succede in caso di morte di uno dei due conviventi di fatto.

Va detto, innanzi tutto, che il convivente di fatto, a differenza del coniuge, non ha diritto alla successione nel patrimonio del partner defunto. Diverso è il caso se quest’ultimo ha fatto testamento; egli, infatti, può avere stabilito di attribuire al

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convivente una quota del suo patrimonio oppure beni o diritti specifici. In questa ipotesi, comunque, occorre che le disposizioni testamentarie in favore del partner non ledano la quota di riserva, se vi sono eredi legittimari. A differenza del convivente, i figli ereditano invece il patrimonio del de cuius.

Vediamo, quindi, le varie situazioni che si possono prospettare in una coppia di conviventi con figli.

La prima ipotesi è che uno dei conviventi muoia senza aver fatto testamento. In questo caso, i figli ereditano il patrimonio del genitore defunto per quote uguali [2]. Non vengono presi in considerazione altri parenti. Quindi, se vi è un solo figlio egli erediterà l’intero patrimonio del genitore; se i figli sono due ne erediteranno metà ciascuno; se sono tre, un terzo ciascuno, e così via.

Facciamo un esempio.

Luigi convive di fatto con Maria. La coppia ha tre figli. Luigi muore, lasciando un patrimonio del valore di 900 mila euro. Esso verrà quindi diviso in tre parti, del valore di 300 mila euro ciascuna.

Consideriamo una seconda ipotesi: uno dei conviventi muore lasciando un testamento, che contiene alcune disposizioni in favore del convivente superstite. Potrà trattarsi, secondo quello che abbiamo detto, di eredità o di legato. In ogni caso, queste disposizioni non possono ledere la quota di legittima spettante ai figli. La legge stabilisce che, se il figlio è uno soltanto, egli ha diritto ad una quota di riserva pari a metà del patrimonio ereditario; se i figli sono due o più, hanno diritto a una quota di riserva pari a due terzi del patrimonio, divisa in parti uguali [3].

Facciamo, anche in questo caso, un esempio.

Filippo e Franca, conviventi di fatto, hanno due figli. Muore Filippo, il cui patrimonio ha un valore di 600 mila euro. Filippo ha lasciato un testamento, con il quale ha stabilito che a Franca vada un suo appartamento del valore di 100 mila euro. Poiché i figli sono due, hanno diritto a una quota di legittima pari a due terzi del patrimonio, in questo caso 400 mila euro (infatti un terzo di 600 mila è pari a 200 mila, due terzi sono quindi pari a 400 mila). Se la legittima ha un valore di 400 mila euro, la quota disponibile è quindi pari a 200 mila euro. Dal

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momento che l’appartamento formante oggetto del legato in favore di Franca ha un valore di 100 mila euro, la quota di riserva non è stata intaccata.

Un’altra ipotesi è che il de cuius, mediante testamento, abbia lasciato parte del suo patrimonio al convivente e ad altre persone, oppure a persone diverse dal convivente. Anche in questo caso, essendovi dei figli, occorrerà verificare che non sia stata lesa la quota di riserva loro spettante.

Quando si parla di figli non ci si riferisce soltanto a quelli nati dalla coppia:

all’eredità concorrono, allo stesso modo, anche eventuali altri figli del defunto, nati da un’altra relazione o da un matrimonio, oppure adottati.

Come ereditano i figli minori?

In caso di coppia di fatto con figli, l’eredità in favore dei figli, se questi sono minori, richiede l’osservanza di alcune norme poste a loro tutela. Infatti, va considerato che l’erede succede al de cuius anche in eventuali debiti che quest’ultimo aveva nei confronti di terze persone.

Se il valore del patrimonio del defunto non basta a coprire il pagamento di questi debiti, l’erede dovrà provvedervi intaccando il proprio patrimonio personale.

Per evitare quindi che dei bambini possano trovarsi indebitati, è previsto che essi debbano accettare l’eredità con beneficio d’inventario.

Questa particolare forma di accettazione dell’eredità fa sì che gli eredi rispondano di eventuali debiti soltanto nei limiti del valore del patrimonio ereditario. Se, ad esempio, il de cuius aveva debiti per 200 mila euro e il patrimonio ereditario vale 100 mila euro, gli eredi risponderanno dei debiti nei limiti di quest’ultima cifra.

A tale scopo, il partner superstite deve presentare un’istanza al giudice tutelare del tribunale, chiedendo che i figli siano autorizzati ad accettare l’eredità con beneficio d’inventario. Ottenuta l’autorizzazione egli dovrà poi recarsi da un notaio ed effettuare l’accettazione in nome e per conto dei minori.

Note

[1] L. n. 76/2016. [2] Art. 566 cod. civ. [3] Art. 537 cod. civ.

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