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La Roma di Noack. Paesaggi e spaesamenti

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Academic year: 2022

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Visitando la bella mostra dedicata a Friedrich Noack, nella Casa di Goethe (fino al 17 aprile 2022), si respira l’aria romana dei tempi in cui il poliedrico tedesco soggiornò nella capitale. Erano gli anni a cavallo tra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento, quando Roma – lo vediamo nelle fotografie e negli acquerelli di Noack – sconfinava nella campagna quasi senza soluzione di continuità, una campagna che a sua volta era come vi entrasse dentro, dentro la città

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Quando sono arrivato per la prima volta a Roma sedici anni fa, camminavo proprio nello stesso posto per i viali ombrosi di Villa Ludovisi e, dietro siepi di alloro, sentivo frusciare sonnolente fontane e tubare i piccioni.

Così scrive Noack in un articolo per il supplemento domenicale della Kölnische Zeitung, il giornale del quale è corrispondente da Roma dopo che anni prima l’aveva visitata da studente, per restarne ammaliato.

È una città che sta cambiando volto rispetto al tempo di quel primo viaggio, sotto la pressione delle

inesorabili necessità di una popolazione in crescita e una speculazione edilizia, prodotta da quelle necessità, non meno priva di scrupoli, che hanno distrutto molte cose belle, un tempo apprezzate dagli animi sensibili.

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È una città che già prefigura quel che diventerà nei decenni successivi – una metropoli modellata in gran parte dai palazzinari – ma che tuttavia conserva il suo carattere peculiare e durevole di centro accogliente e vivibile.

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Mentre per l’abitante di una metropoli tedesca la strada è principalmente un mezzo di

comunicazione che collega il punto di partenza con il punto d’arrivo, per l’italiano la strada è soprattutto un luogo di soggiorno dove ama trascorrere il tempo e rilassarsi,

osserva il giornalista tedesco. La Roma di quegli anni, nonostante l’incombente speculazione edilizia, sembra la città ecosostenibile che oggi vorremmo, con i suoi cinque “circoli ciclistici”,

“sette piste ciclabili” e sessantaquattro “negozi specializzati”.

Una realtà urbana che affascina l’ospite tedesco, ma che non smette di spiazzarlo. Le tante cose che non vanno – molte incredibilmente uguali a quelle di adesso -, dalla sciatteria dei suoi abitanti all’anarchia del traffico, dal culto della bella figura all’assalto da pezzenti ai buffet nei ricevimenti aristocratici, non suscitano in lui indignazione o disprezzo quanto una sorta di sconsolato

spaesamento.

Mèta obbligata del Grand tour dei giovani nordeuropei, la città eterna è anche luogo ideale per risiedervi. Cosmopolita più di quanto non s’immagini, accoglie tanti stranieri. Anche molti tedeschi, fin dal Medioevo, delle più diverse professioni. C’è una comunità tedesca folta e vivace

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negli anni di Noack, c’è pure una consolidata associazione degli artisti tedeschi, di cui diventa membro attivo.

È una presenza che incuriosisce Noack e a cui egli dedica tempo ed energie, realizzando un meticoloso resoconto e registro dei “tedeschi a Roma”, parte rilevante dell’enorme mole di scritti e carte, venti scatole d’archivio custodite presso l’Archivio della Bibliotheca Hertziana: lo

schedarium Noack, una schedatura sistematica e manoscritta eseguita con il Gabelsberger, uno dei primi sistemi stenografici, decodificato oggi solo da pochi.

Un prezioso tesoro di storia e di storie a cui ha attinto la compianta Dorothee Hock per la

realizzazione della mostra romana, voluta dalla direttrice della Casa di Goethe, Maria Gazzetti, e con la collaborazione di Claudia Nordhoff.

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Ma a rendere particolarmente interessante l’iniziativa è soprattutto il ritrovamento – frutto della tenacia e della passione di Dorothee Hock ma anche del “caso” – del lascito di Noack custodito dai suoi discendenti, nella loro casa di vacanza nella Foresta Nera. È adesso in esposizione a Roma, un viaggio a ritroso scandito da acquerelli, molto belli, di pittore dilettante ma talentuoso, fotografie, manoscritti, documenti e oggetti personali, anche pennelli, colori, un seggiolino

portatile, cose perfettamente collocate ed esposte nel percorso della mostra che, nelle parole delle organizzatrici,

raccontano il talento poliedrico di un uomo che come pochi altri capisce e ama l’Italia e la sua

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allora giovane capitale.

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il manifesto

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