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Verso l'europa o verso un ripiegamento nazionale?

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Academic year: 2022

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Verso l'Europa o verso un ripiegamento nazionale?

Finora il nuovo millennio ha posto l’Europa di fronte a una grande quantità di nuove sfide:

la crisi economica e finanziaria dal 2007, la crisi migratoria nel 2015, inoltre una continua minaccia alla democrazia e allo Stato di diritto in alcuni Stati membri, la Brexit nel 2016 e ora il COVID19 – una pandemia che nel primo trimestre del 2020 ha raggiunto il suo picco in Europa. Ancora una volta si è rispolverata la retorica della crisi, così come le analogie storiche. E, naturalmente, si è parlato ancora una volta di momento del destino per l‘Europa, da cui dipenderà il fallimento o la continuazione di questo progetto unico. Dal mio punto di vista, la retorica della crisi viene abusata, quanto meno quando si discute del progetto europeo. Non voglio mettere in dubbio che il COVID-19 abbia causato prima una crisi sanitaria e ora una massiccia crisi economica. È anche vero che nell‘immediata reazione alla crisi si è osservato un ritorno verso l’ambito nazionale. L‘Europa è stata poco visibile nella prima fase della gestione della crisi, e proprio l’Italia si è sentita abbandonata come primo Stato membro dell’Unione Europea massicciamente colpito dalla pandemia. Al tempo stesso stiamo però osservando uno slancio verso l’Europa, che potrebbe essere uno slancio verso una nuova Europa.

Attualmente faccio ricerca nella città danese di Aarhus e a marzo sono stata invitata come Visiting Professor a Lione. Ero appena partita dalla Danimarca e avevo iniziato a insegnare a Lione quando mi è arrivata la notizia del lockdown a livello nazionale e della chiusura dei confini della Danimarca. La Danimarca è stato il primo Paese UE che ha stabilito unilateralmente la chiusura dei suoi confini e interrotto precocemente la vita pubblica. La Francia si è concessa più tempo prima di imporre severe restrizioni. Inizialmente il Presidente francese aveva affermato che il virus non aveva alcun passaporto, ma poi anche la Francia è ricorsa alla chiusura delle frontiere come altri Stati membri. Nella reazione

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immediata alla diffusione della pandemia in Europa abbiamo osservato un ripiegamento nazionale, che ha reso possibile l’inimmaginabile: dall’oggi al domani i confini nazionali all’interno dell’Unione Europea sono stati chiusi alla circolazione di persone. Anche la libera circolazione di beni e merci è stata fortemente rallentata e complicata dalla chiusura delle frontiere. Inoltre c’è stata, almeno temporaneamente, la richiesta di alcuni Stati membri, fra cui la Germania, di limitare l’esportazione di merci classificate come critiche. Con ciò due pilastri dell’integrazione europea sono stati temporaneamente sospesi. Poiché la chiusura delle frontiere è avvenuta in modo ampiamente scoordinato e unilaterale, per la riapertura vi è stata una forte richiesta di coordinamento tra i partner europei. Tuttavia si vede ancora una volta un‘Europa a diverse velocità, in cui l‘apertura all’interno dei confini non si accompagna necessariamente ad un’apertura verso l‘esterno. Rimaniamo sull’esempio della Danimarca: le restrizioni sono state revocate precocemente a causa della stagnazione della pandemia all’interno del Paese, ma la chiusura delle frontiere è stata mantenuta con poche eccezioni. Un atteggiamento opposto è quello dell’Italia, che rimane maggiormente colpita dal COVID-19, ma ha consentito velocemente l’ingresso agli stranieri specialmente per l’importanza economica del settore turistico.

La storia di queste chiusure e riaperture delle frontiere ha messo alla prova il progetto di Schengen. In questo contesto si pone la questione se si potrà tornare di nuovo pienamente allo spirito delle frontiere aperte in Europa. Come è già accaduto con la crisi migratoria, il ripiegamento nazionale lascia dietro di sé ferite non facili da rimarginare per un progetto sovranazionale. Paradossalmente però le misure nazionali divergenti hanno anche accentuato l’attenzione per i Paesi vicini: come affrontano l‘Italia e la Francia la diffusione rapida del virus, perché il Portogallo e la Grecia sono meno colpiti, quali conseguenze ha decisione controcorrente della Svezia? L’esperienza comune di restare a casa ha anche creato una nuova comunanza: esperienze condivise di lockdown, a partire dal canto dai balconi, sono elementi di unione.

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Il fatto che non ci si possa limitare a risposte puramente nazionali alla crisi è evidente anche considerando il solo interesse economico nazionale. L’economia europea è aperta ed orientata alle esportazioni, e non solo a quelle fra gli Stati membri all’interno del mercato comune. Proprio i cosiddetti “quattro Paesi frugali” sono, come la Germania, economie di mercato aperte, che saranno duramente colpite dalla crisi a medio e lungo termine. A questo crollo economico, che certamente durerà ancora a lungo, si aggiungono i costi per le misure nazionali, che attualmente pesano sui singoli bilanci nazionali che stanno raggiungendo i propri limiti. Perciò le spese aggiuntive per un accresciuto bilancio europeo e per il piano di ricostruzione dell’UE non incontrano sempre il consenso nei Paesi membri, compresa la Germania. Soprattutto le persone che sono state colpite direttamente e duramente dal crollo economico punteranno anzitutto sugli aiuti immediati del proprio governo e riterranno d’importanza secondaria l’indispensabile solidarietà europea. Anche se la Germania ha superato la crisi del coronavirus relativamente bene rispetto ad altri Paesi, le conseguenze sono gravi anche qui e gli sforzi finanziari per superarle sono massicci.

In questa situazione è necessaria una comunicazione politica efficace, che può avere successo se presenta gli interessi economici nazionali nel contesto europeo. Questo è ciò che ha fatto per esempio di recente Angela Merkel, scontrandosi evidentemente anche con un’opposizione interna. In ogni Stato membro che attualmente non dispone della capacità fiscale necessaria per mettere in atto misure di salvataggio globali, lo sguardo si rivolge verso l’Europa, ancora speranzoso o già deluso. Anche in questo caso una politica responsabile svolge un ruolo importante, e talvolta è difficile reimpostare un discorso politico e mediatico che è già stato avviato in una certa direzione.

L‘Italia ne è una dimostrazione preoccupante. Anche se il Paese era già caratterizzato in passato da una crisi di fiducia nella classe politica, soprattutto quella nazionale, la maggioranza della popolazione italiana era però europeista e l’Europea era percepita come un correttivo. Ora ciò è cambiato massicciamente, poiché dalla prima crisi economica e finanziaria di questo millennio anche la fiducia verso l’ambito sovranazionale è diminuita in

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maniera significativa. In questo contesto sarà decisivo il modo in cui l’élite politica italiana comunicherà le misure europee, ma non solo questo: i loro effetti dipenderanno anche dalla capacità politica e amministrativa dell’Italia di utilizzare e spendere effettivamente i fondi europei disponibili. In effetti l’esperienza, ad esempio, della scarsa utilizzazione dei fondi strutturali europei disponibili indica problemi di deficit strutturale.

In generale possiamo constatare che in poche settimane e mesi il rapporto tra economia e politica a livello nazionale ed europeo è ampiamente cambiato. L’ordinamento europeo di fondo si basa su uno Stato snello e il diritto europeo ha imposto la liberalizzazione degli ex monopoli di Stato. Proprio questo ordinamento economico potrebbe divenire oggetto di dibattito dopo la crisi, a maggior ragione considerando che già da un po‘ di tempo il liberalismo economico (e politico!) come principio dell’ordinamento europeo e internazionale è messo in discussione. Anche per questo motivo non sarà possibile tornare semplicemente alla situazione pre-crisi. Ci sarà una più forte domanda di intervento politico, probabilmente assisteremo a un nuovo decennio di nazionalizzazioni. A questo proposito c’è da chiedersi se l’ordinamento economico, ancorato alla dimensione europea attraverso la primazia del diritto europeo su quello nazionale, sopravvivrà nella sua forma attuale a medio e lungo termine. L’attuale sviluppo nel settore degli aiuti di Stato autorizzati dalla Commissione europea mostra, ad esempio, che è necessaria una comprensione molto politica del concetto di concorrenza indipendente per permettere la realizzazione delle estese misure di aiuto.

La proposta congiunta di Emmanuel Macron e Angela Merkel apre la porta ad una nuova fase dell’integrazione europea. Se la proposta avrà successo, saranno messe a disposizione degli Stati membri nuove risorse finanziarie nell’ambito del Fondo di Ricostruzione, allo scopo di evitare grosse disparità nella gestione della crisi. Questioni centrali come quella sull’ammontare del fondo, la sua esatta composizione e i meccanismi di controllo

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applicabili dovranno essere negoziate durante la Presidenza tedesca del Consiglio europeo.

Ciò dimostra che la crisi sta creando nuove possibilità e che si stanno superando blocchi durati a lungo. È questa ambivalenza che caratterizza anche l’Europa: la tensione tra il radicamento politico nazionale e l‘apertura verso una comunità europea.

La ricostruzione offre opportunità per un nuovo orientamento, ad esempio nel senso del Green Deal o della digitalizzazione. La ricostruzione può essere trasformante e l’Europa può contribuirvi come potenza trasformatrice. I tabù che abbiamo conosciuto finora possono essere rotti, in senso positivo. Molto di ciò che diamo per scontato, o che ci sembra irrinunciabile, può essere messo improvvisamente in discussione. Questo può essere l’inizio di una nuova Europa. Dal 1° luglio la Germania ha assunto la Presidenza del Consiglio europeo. Questo è un colpo di fortuna sotto molti aspetti. Nessun altro Stato membro è attualmente in grado quanto la Germania di assumere un ruolo guida e una responsabilità paneuropea. Con l’iniziativa franco-tedesca Angela Merkel, come nuova Presidente del Consiglio, ha indicato già a maggio il corso di questo nuovo inizio. Insieme alla Presidente tedesca della Commissione Ursula von der Leyen e alla Presidente francese della Banca Central Europea Christine Lagarde plasmerà il destino dell’Europa per il prossimo decennio.

Sandra Eckert

Questo articolo è apparso su "Frankfurter Allgemeine Zeitung" in data 13 luglio 2020 per la serie dei “Goethe Vigoni Discorsi”.

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