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CAPITOLO TERZO PLATONE. Una vita senza ricerca non è degna d esser vissuta

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CAPITOLO TERZO

PLATONE

“Una vita senza ricerca non è degna d’esser vissuta”

1. Introduzione: la questione platonica – 2. La teoria delle idee, fondazione della Metafisica – 3. Conoscenza della verità, Amore, Arte e Retorica – 4. L’Antropologia – 5. La Politica: la

Città-Stato ideale – 6. Per concludere: il mito della caverna.

I. INTRODUZIONE: LA QUESTIONE PLATONICA

1. Vita

1

• PLATONE nacque ad Atene nel 428/427 a.C. da una famiglia aristocratica e morì nel 348/347 all’età di 80 anni. Il suo vero nome è Aristocle; Platone è il soprannome da πλατυς ("largo") probabilmente a causa della larghezza delle spalle (“dalle spalle larghe” titolo che gli avrebbe dato il suo maestro di ginnastica) o, secondo altri, dell’ampiezza della sua fronte. La nobiltà della famiglia lo predestinava ad aspirare a cariche pubbliche, per questo fu avviato ad una educazione adatta a questo scopo quale poteva essere quella offerta dai sofisti, in particolare da Cratilo discepolo di Eraclito. E’ in questo contesto che verso i 20 anni conobbe Socrate – che comunemente era considerato un sofista - e fu, fino alla sua morte, suo discepolo e amico.

• Dopo la democrazia di Pericle, prese il potere il regime oligarchico filospartano dei Trenta Tiranni, alcuni dei quali erano parenti di Platone. Caduti i Trenta Tiranni che erano stati capeggiati dal sofista Crizia (zio della madre), tornò al potere la democrazia, ma molti ne approfittarono per vendicarsi dei nemici: anche i democratici Meleto, Anito e Licone nel 399 riuscirono a far condannare a morte Socrate, “l’uomo più giusto del suo tempo”. Dal Fedone sappiamo che, al momento della morte del maestro, Platone era assente per malattia. Platone si convinse allora che tutti gli Stati erano mal governati: solo la filosofia avrebbe potuto guidare secondo giustizia la vita dello Stato e dei cittadini (Lettera VII).

• Dopo la tragica fine di Socrate, i suoi amici e sostenitori, incluso Platone che dall’Apologia sappiamo aver consigliato a Socrate di aumentare la multa da una a trenta mine per aver salva la vita, per timore si allontanarono da Atene e si rifugiarono a Megara. Disgustato dalla vita politica ateniese all’età di 47 anni, nel 387 a.C., Platone venne in Magna Grecia forse a Crotone e a Taranto per conoscere i pitagorici, quindi nel 388 a Siracusa dove strinse amicizia con Dione, cognato del tiranno Dionigi il Vecchio. Qui tentò invano di realizzare una riforma politica dello stato.

• Tornato ad Atene fondò nel 387 la propria scuola, l’Accademia, fuori dalle mura della città in un parco in cui vi era un tempio dedicato alle Muse. La scuola prese il nome dal ginnasio dedicato all’eroe Accademo dove Platone riuniva i suoi discepoli; purtroppo gli appunti delle sue lezioni sono andati persi. Come nelle scuole pitagoriche anche all’Accademia studenti ed insegnanti facevano vita comune (un “tiaso” il cui lo sfondo religioso probabilmente era dato dal culto delle Muse) e sul frontone del portone aveva fatto scrivere: “chi non è matematico-geometra non entri”. L’Accademia che era un istituto di formazione superiore per giovani aristocratici ateniesi, non tardò a dare ottimi risultati: fornì alla Grecia oltre a grandi filosofi tra i quali Aristotele, anche grandi matematici. Ma il fine principale dell’Accademia era la preparazione all’attività politica per mezzo della filosofia, come attesta Isocrate: questi, rivale di Platone, all’Accademia contrapponeva la sua scuola umanistica, che preparava i giovani alla vita politica per mezzo dell’eloquenza.

• Morto Dionigi il Vecchio, nel 367 Platone fu di nuovo a Siracusa su invito di Dione come precettore di Dionigi il giovane che all’età di trent’anni doveva succedere al trono del padre. All’inizio il

1 Le notizie sulla vita di Platone si ricavano dalla Lettera VII, dalla Vita di Dione scritta da Plutarco e dalla biografia platonica di Diogene Laerzio Vite dei filosofi II.

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giovane monarca seguì le indicazioni politiche di Platone, ma poi deciso di farne a meno e mandò in esilio il cognato Dione e nel 365 fece tornare ad Atene Platone. Qualche anno più tardi - nel 361 – Platone, su insistenza di Dionigi che mandò ad Atene una trireme per prelevarlo e che voleva realizzare la platonica immagine del re-filosofo, tornò all’età di 66 anni e in compagnia di alcuni allievi a Siracusa con l’intento di scrivere la costituzione della città, ma andò incontro a grandi delusioni, oggetto di intrighi, formalmente amico, in realtà ostaggio del tiranno. Grazie all’intervento dell’amico pitagorico Archita, Platone nel 360 potè riavere la libertà e far ritorno ad Atene dove trascorse gli ultimi anni insegnando nella sua Accademia dove nel frattempo era entrato il giovane Aristotele. La scuola fondata da Platone fu aperta per novecento anni, fin quando nel 529 d.C. venne chiusa per sempre dall’imperatore Giustiniano perché considerata una roccaforte del paganesimo.

• Scrive G. Perrotta: “Il valore più prezioso che Platone dette a tutta la sua vita, non fu l’indagine teoretica, e nemmeno la mistica ricerca di Dio, non fu la contemplazione, ma l’azione per il miglioramento del genere umano. Egli volle essere, anche più che un filosofo, un educatore dell’umanità per mezzo di uno Stato retto da giustizia”.

2. Opere

Ci sono giunti tutti i suoi trentasei scritti destinati alla pubblicazione (Apologia + 34 Dialoghi e 13 Lettere non tutte ritenute autentiche).

• si reputa che 26 Dialoghi siano sicuramente autentici.

• si discute sull’ordine cronologico per individuare lo sviluppo del suo pensiero. In genere si ritiene che tutti i dialoghi siano posteriori alla morte del maestro; pare che:

Ø dapprima espone le istanze di Socrate. Nei dialoghi più antichi difende la memoria del maestro: Apologia – la difesa dalle calunnie degli accusatori -;

Critone – cittadino obbediente alle leggi dello Stato -; Eutifrone – cosa sia la santità -; Lachete – cosa sia la vera fortezza -; Liside – cosa sia l’amicizia -;

Libro I della Repubblica – cosa sia la giustizia -; Protagora – cosa sia la virtù e come insegnarla; in questo dialogo si riferisce il mito secondo cui il progresso della civiltà umana sarebbe dovuto al dio Prometeo che avrebbe rubato il fuoco ad Efesto e l’abilità tecnica ad Atena per donarli agli uomini e in questo modo sarebbero sorte le diverse arti; a questi doni si sarebbero poi aggiunti il pudore e la giustizia portati agli uomini da Ermes per incarico di Zeus e così sarebbero sorte le città; Gorgia – Platone paragona la retorica alla cosmetica e alla culinaria, discipline che non si propongono il bene ma solo il piacere, e la considera una specie di arte di adulazione finalizzata a corrompere il popolo.

Ø seguono i dialoghi legati alla “seconda navigazione.” Protagonista è sempre Socrate, ma il pensiero va ormai oltre il maestro. Il dialogo Eutidemo è considerato dagli studiosi il “manifesto” dell’Accademia perché si argomenta attorno alla filosofia come l’unica scienza capace di rendere felice l’uomo2; nel dialogo Menone o della virtù (αρετη) espone la teoria della “reminiscenza”

(αναµνησις), nel Cratilo c’è il primo tentativo di una filosofia del linguaggio (è naturale o è una convenzione?), nel Fedone tratta il tema l’immortalità dell’anima (la più splendida esaltazione della figura del maestro); nel Simposio tratta del significato dell’amore che nel Fedro è concepito come tendenza a contemplare la pura bellezza del mondo delle idee (in questo testo si trova il famoso mito del “carro alato”).

2 L’ Eutidemo è stato assunto fin dall’antichità come modello dei testi introduttivi alla filosofia.

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Ø

Infine Platone ripensò tutti gli antichi problemi dando nuove soluzioni e facendone sorgere dei nuovi: sono i dialoghi della maturità. Il dialogo Parmenide – forse il più difficile – mette in dubbio l’unità dell’essere degli eleati, il Timeo espone il mito dell’origine del mondo per opera del Demiurgo, questo dialogo ebbe un’enorme fortuna nella tarda antichità e nel medioevo; nella Repubblica libri II-X si afferma che l’idea vertice è il Bene e col famoso mito della caverna; il Teeteto tratta della conoscenza; il Sofista sul rapporto tra essere e non-essere e le Idee …. L’ultimo scritto di Platone e il più esteso fu Le leggi (12 libri – quasi un trattato più che “dialogo”): è il dialogo che ha luogo nell’isola di Creta tra un Cretese, uno Spartano e un Ateniese, con l’intento di stabilire leggi per la fondazione di una nuovo colonia.

3. Le Dottrine non-scritte

Nella seconda metà del ‘900 due studiosi tedeschi Hans Kramer e Konrad Gaiser della scuola di Tubinga e in Italia Giovanni Reale della Cattolica hanno attirato l’attenzione sulle dottrine non scritte da Platone.

Platone riteneva, infatti, che vi fossero pensieri che si rifiutava di mettere per iscritto perché risultavano difficilmente comunicabili; per questo tenne discorsi su alcuni “temi alti”

che non volle mettere per iscritto, nella Lettera VII si legge: «La conoscenza di queste cose non è affatto comunicabile come le altre conoscenze ma dopo molte discussioni fatte su queste cose, e dopo una comunanza di vita, improvvisamente, come luce che si accende da una scintilla che si sprigiona, essa nasce nell’anima e da se stessa si alimenta» (341c).

Nella parte finale del dialogo Fedro Platone fa raccontare da Socrate il famoso mito del re egiziano Thamus, che, di fronte all’offerta della scrittura da parte del dio Theuth, dopo matura riflessione, prende la decisione di respingere l’offerta, in quanto la scrittura è qualcosa di molto inferiore e limitativo rispetto alla ricchezza della parola.

Il motivo delle dottrine non scritte è allora stato individuato dagli studiosi dell’argomento nel fatto che secondo Platone non era bene divulgare le sue riflessioni attorno ai sommi principi per evitare gli equivoci e i malintesi che sarebbero potuti sorgere dall’interpretazione di un testo scritto ed era inoltre convinto che le realtà supreme (il Bene) non si potessero comunicare se non dopo una preparazione e una comunanza di vita fatta di vivo dialogo tra le persone.

Alcuni discepoli di Platone, tra i quali Aristotele, misero per iscritto alcune di queste lezioni consegnate all’oralità così che nelle linee generali ci sono pervenute.

4. Dialoghi Platonici e Socrate protagonista dei dialoghi

a) Lo scritto filosofico di Platone non è mai un trattato sistematico, ma un dialogo in cui il protagonista Socrate, discute con i suoi interlocutori; in tal modo anche il lettore indirettamente ne è più facilmente coinvolto.

b) Socrate nei dialoghi più che un personaggio storico è un protagonista che presenta sulle sue labbra il pensiero di Platone. Il problema che sorge è capire dove termina il pensiero di Socrate (che non ha lasciato scritti), e dove comincia il pensiero di Platone.

5. Pensiero razionale e mito

La filosofia è nata come affrancamento del logos dal mito, come progressiva affermazione del pensiero razionale sui miti che popolavano le tradizioni (cfr. Omero). Perché allora Platone utilizza il mito? Esistono due tesi:

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1) Hegel: il pensiero platonico è ancora immaturo, prova ne è che non si è liberato dal mito.

2) Heidegger: il mito viene in soccorso al pensiero quando questo si blocca di fronte ai problemi posti esistenza (perché c’è il mondo e vita? C’è una vita oltre la morte?

Perché c’è il male nel mondo? L’anima è immortale?).

Scrive Platone nel Fedone: Pare a me, o Socrate, e forse anche a te, che la verità sicura in queste cose nella vita presente non si possa raggiungere in alcun modo, o per lo meno con grandissime difficoltà. Però io penso che sia una viltà il non studiare sotto ogni rispetto le cose che sono state dette in proposito, e lo smettere le ricerche prima di avere esaminato ogni mezzo. Perché in queste cose, una delle due: o venire a capo di conoscere come stanno; o se a questo non si riesce, appigliarsi al migliore e al più sicuro tra gli argomenti umani e con questo, come sopra una barca, tentare la traversata del pelago. A meno che non si possa con maggiore agio e minore pericolo fare il passaggio con qualche più solido trasporto, con l’aiuto cioè della rivelata parola di un dio (XXXV, 85c-d).

Platone nella sua filosofia rivaluta il mito perché dà spazio alla componente religiosa dell’orfismo; il mito non è allora un pura espressione di fantasia, ma una sorta di fede. Egli è consapevole del carattere non razionale del mito, ma ne afferma ugualmente il valore come unico mezzo che consente di gettare lo sguardo al di là dei limiti della nostra conoscenza.

II. LA TEORIA DELLE IDEE, FONDAZIONE DELLA METAFISICA

A. La Scoperta del Mondo Soprasensibile: la Metafisica

• Platone utilizza la metafora di “seconda navigazione” per indicare il suo apporto alla filosofia. Se, in termini marinareschi, la prima navigazione era quella che si faceva con poca fatica alzando le vele, la seconda navigazione era quella che si compiva a forza di remi una volta caduto il vento. La prima navigazione era quella dei naturalisti che portava fuori rotta poiché volevano spiegare il sensibile con il sensibile, nella seconda navigazione, Platone, invece sostiene che il sensibile va spiegato con ciò che sensibile non è, cioè col soprasensibile, con l’intelligibile. Causa di tutto ciò che è fisico è qualcosa che fisico non è. E’ questa la grande scoperta di Platone che ha segnato la storia del pensiero occidentale aprendo quel capitolo che è designato col termine di Metafisica3.

• Il sensibile si spiega col sovrasensibile: esempi platonici

a) Perché posso affermare che una cosa è bella? la vera causa che ci permette di affermare che una cosa è bella non sono gli aspetti fisici, ma è l’idea di bello, una causa cioè sovrasensibile, intelligibile; concause saranno la forma, il colore… ma la vera causa è l’idea (Fedone 49). Una cosa è bella perché partecipa dell’idea di bellezza, una cosa è vera perché partecipa della verità, una cosa è buona perché partecipa della bontà …

Quindi se esiste il mondo sensibile deve esistere anche il mondo sovrasensibile. Se qui c’è questo banco, questa cattedra, questa sedia, quest’uomo … vuol dire che nel

3 Il termine Metafisica risale ad Andrinico di Rodi che, nel primo sec. a. C., ordinando gli scritti di Aristotele si trovò davanti ad un gruppi di scritti senza titolo che collocò dopo le opere di Fisica, per cui li chiamò “libri che vengono dopo la fisica” (in greco: Metafisica µετα τα ϕυσικα). Il titolo dato in modo così casuale corrispondeva effettivamente alla sostanza!

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mondo sovrasensibile, separato da questo sensibile, in modo sussistente esiste l’idea- essenza de il Banco, la Cattedra, la Sedia, l’ Uomo …

b) Perché Socrate non accettato di pagare una multa ed è finito in carcere? la vera causa secondo l’ Apologia è che Socrate ha giudicato che quello fosse il Bene;

concause potrebbero essere il corpo che detenuto.

• I piani dell’essere sono dunque due e non uno come sosteneva Parmenide:

1. il mondo fisico, fenomenico e sensibile.

2. il mondo soprasensibile, invisibile e intelligibile, che va al di là dell’aspetto fisico,

“metafisico” appunto, e che si può cogliere solo con la mente.

B. Il Mondo delle Idee

q Le idee platoniche (da ειδο

ς

= “figura”, “aspetto”, “forma” – la radice ιδ risale al verbo οραω che significa “vedere”, le idee sono dunque “visibili” con gli occhi dell’intelletto) non sono dei semplici concetti, ma sono il vero essere, l’essere delle cose, ciò che fa sì che una cosa sia proprio quella, l’essenza, la sostanza (Platone usa il termine ουσια) della cosa. Le Idee sono descritte da Platone con queste proprietà: sono realtà semplici, incorporee, immateriali, insensibili, incorruttibili, invisibili, eterne, divine, immutabili, autosufficienti, trascendenti, senza colore, senza figura.

q La realtà “autentica” sono le Idee, non le cose presenti nel mondo, “essenze contemplabili solo dall’intelletto, pilota dell’anima”. Le idee esistono “in sé e per sé”, dice Platone, sono cioè forme di per sé sussistenti senza bisogno d’altro per esistere, in questo senso sono

“assolute”; tali idee sono quindi la vera sostanza (ουσια) o essenza delle cose. Allora anche per Platone i sensi ingannano ed è l’intelletto che “vede” la verità che sono le idee.

q Contro il relativismo sofistico (Protagora: “homo mensura”), Platone sostiene che le idee non sono relative al soggetto, ma si impongono al soggetto; non conoscono il divenire, sono eterne, stabili, immutabili, imperiture, assolute (sono le caratteristiche dell’ “essere”

di Parmenide, ora trasferite alle idee). A tutte le Idee si possono applicare le proprietà che nel Simposio si assegnano alla Bellezza: «Sempre ella è; non diviene, non perisce;

non s'accresce, non diminuisce. Non in un senso è bella, in altro brutta. Inoltre questa Bellezza non si può pensare come fornita di volto e di mani: essa non ha nulla di ciò che al corpo appartiene. Essa non è fatta di parole e neppure di pensieri. Non esiste in alcun'altra cosa; non in esseri viventi; non nella terra, non nel cielo, non in qualsiasi altro elemento. Questa Bellezza, è da sé, con sé, per sé, nella pura oggettività sua, in un unico aspetto per l'eternità. Invece le altre cose belle, tutte di quella misteriosa Bellezza, per misterioso modo, hanno partecipazione. Ma le cose belle nascono e periscono: Bellezza nulla soffre; per nulla più grande o più piccola diventa»4.

q Le idee hanno sede “oltre” la mente e “oltre” le cose sensibili: non hanno sede nella mente dell’uomo perché l’intelletto non le produce, ma si limita a scoprirle, a “vederle”;

non hanno sede nelle cose sensibili perché non esiste cosa sensibile che possa esaurire il contenuto dell’idea. Le idee hanno invece una loro mitica dimora che sta al di là del cielo, cioè del mondo sensibilie, nell’iperuranio (υπερ−ουρανος = “oltre il cielo”, così si esprime nel dialogo Fedro): un luogo che non è luogo, le idee sono dunque trascendenti. È questo l’approdo della seconda navigazione.

4 Simposio, 210-211.

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C. La struttura del Mondo delle Idee

ü Il mondo delle idee non è una caotica molteplicità, ma una struttura ordinata gerarchicamente. Pur avendo le stesse proprietà, non tutte le Idee hanno lo stesso valore dal punto di vista ontologico: alcune (ad esempio: Bene, Unità, Essere, Bellezza) hanno priorità rispetto alle altre. C'è, quindi, fra le Idee una certa gerarchia. Ma Platone non è mai arrivato ad una dottrina definitiva su questo punto e questi temi, secondo Aristotele, eran quelli trattati nelle “dottrine non scritte”.

ü La struttura piramidale passa dalle idee particolari inferiori come quelle dei manufatti (libro, sedia, cattedra …), a quelle degli enti naturali (albero, lago, montagna, sasso …), a quelle sempre più universali (come ad esempio le idee matematiche e della geometria, gli enti matematici di quiete e movimento, di identità e di diversità, di uguaglianza e di disuguaglianza – vedi Filebo), per poi raggiungere le idee di valore (come Temperanza, Giustizia, Amore …) sopra le quali sta l’idea di molteplicità (“diade”) e al vertice l’idea- valore universale per eccellenza che nel Fedro e nel Simposio è indicata col nome di Bellezza (ricorda l’endiadi greca καλος και αγαθος; “bello e buono”), nel Filebo col termine Uno; nel Sofista col termine Essere, nella Repubblica col termine di Bene che “è la causa universale di tutto ciò che è buono e bello” (VII, 517c)5.

ü Dunque, le idee inferiori implicano quelle superiori fino all’idea vertice che è condizione di tutte e non è condizionata da nulla: si tratta – per stare con la Repubblica 6 - dell’idea di Bene che “non è sostanza o essenza, ma ancora al di sopra della sostanza, essendo a questa superiore in dignità gerarchica e in potenza”. Ma, come dirà Aristotele, a quest’idea assoluta Platone riservava l’oralità7, per questo nei dialoghi non si trova una esauriente trattazione del tema.

ü Il Bene non crea le altre idee che sono eterne, ma le fa più o meno partecipi (“metessi” – vedi sotto) della sua perfezione, rimanendo “superiore” ad esse. Il Bene è paragonato da Platone al sole: ciò che è il sole nel mondo visibile, lo è il Bene nel mondo intelligibile.

ü Secondo l’interpretazione di G. Reale delle dottrine non-scritte, per Platone esisterebbero due principi primi detti Uno e Diade. Se l’Uno rappresenta il definito inteso come fondamento dell’essere e del bene, la Diade invece rappresenterebbe la potenza indeterminata/infinita/indefinita/il-caos su cui agisce l’Uno che così determina, delimita e ordina, dando origine agli enti nei loro specifici livelli, dalle idee alle cose sensibili che così si presentano come armoniche e ordinate, buone. Inoltre per Platone tutto ciò che è generato dall’azione dell’Uno sulla Diade è strutturalmente conoscibile, così che se Protagora era l’uomo la misura di tutte le cose, per Platone è invece l’Uno. Questa affermazione avvicina il pensiero platonico a quello di Pitagora, del resto è verosimile che nei soggiorni a Siracusa, Platone abbia potuto conoscere e studiare il pensiero dei pitagorici.

5 Questo principio supremo in Platone non si identifica con Dio, ma più genericamente con qualcosa di divino come lo sono la “chora”, le altre idee, l’anima, le stelle …

6 Nella Repubblica il Bene è paragonato al sole che tutto fa essere e rende visibile tutte le cose.

7 Vedi sopra “Le dottrine non scritte”.

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D. Genesi e struttura del mondo sensibile

a) Ma tornando alle “dottrine scritte”, per Platone il mondo sensibile si spiega solo ricorrendo al soprasensibile, il mobile all’immobile, il relativo all’assoluto, il corruttibile all’eterno, il contingente al necessario. In termini diversi, per Platone il mondo fisico troverebbe origine dal mondo delle idee. Come? In che modo? L’origine del mondo sensibile è ampiamente descritta da Platone nel Timeo e accennata nel Filebo e nella Repubblica.

b) Nel Timeo Platone fa narrare dal personaggio omonimo8 l’origine dell’universo con un racconto da lui stesso definito “verosimile” (εικος λογος). Il mito cosmogonico parla dell’esistenza di un Demiurgo, un “artigiano” divino, eterno, incorruttibile, perfetto, pensante e volente che avendo come modello (παραδειγµα) il mondo delle idee plasma la

“chora” (lett. “spazialità”), cioè la materia informe come ricettacolo sensibile delle idee e dà origine al nostro mondo sferico e ruotante su se stesso. Poi il Demiurgo plasma il cielo come sfera esterna alla terra contenente i diversi astri e ruotante con questi attorno alla terra, posta al centro dell’universo9. Per Platone la “chora” che è eterna, è il disordinato ricettacolo dei quattro elementi della tradizione (acqua, aria, terra e fuoco “che si agitano senza proporzione né misura”) che per essere informe lo rende simile all’ απειρον, così nel Filebo. L’influsso pitagorico si sente anche quando Platone attribuisce a ciascuno dei quattro elementi la forma di un solido geometrico regolare (tetraedro, cubo, ottaedro e icosaedro) e sostiene che tutte le cose siano dotate di forme riconducibili a solidi geometrici, scomponibili in triangoli, linee e punti. Anche colori, sapori, odori, caldo e freddo saranno ricondotti nell’Accademia a rapporti matematici.

c) Scrive nella Repubblica “Il Demiurgo … è artefice di ogni sorta di oggetti; terra, cielo, dei, e gli astri tutti del firmamento e quello che c’è sottoterra col suo lavoro egli produce”

(596). Nelle Leggi – ultimo suo scritto in ordine cronologico – Platone condanna coloro che non tenendo conto del finalismo presente nel mondo mettono in dubbio l’esistenza del Demiurgo, questo può solo essere un atteggiamento mentale provvisorio, perché troppo evidenti sono gli indizi della sua esistenza: “Terra e sole, stelle, l’universo tutto quanto parla di lui! E questo ritmo perfetto e ordinato delle stagioni come si svolgono, distribuite secondo anni e mesi. Ma poi tutti, greci e stranieri, ritengono che siano gli dei” 10.

d) Il Demiurgo “fattore e padre dell’universo”, contemplando le Idee e quindi prendendo le Idee come modello ha plasmato la materia informe e il nostro mondo per bontà, per amore di bene, scrive: “volendo che tutte le cose fossero buone e, per quanto possibile, nessuna cattiva” ; il male che è restato nel mondo (ad es. il terremoto) dipende da una certa irriducibilità, da una certa resistenza opposta della “chora” ad essere perfettamente plasmata.

e) Il mondo è, dunque, l’opera più bella possibile (affermazione ripresa nel ‘700 da Leibniz) perché plasmata nel modo migliore possibile dal Demiurgo avendo come modello la perfezione ultra-terrena. Il mondo come è uscito dalla mani del Demiurgo è un “cosmo”, cioè un ordine universale vivente (vedi influssi Pitagorici), proprio per questo è una sorta

8 Probabilmente identificabile col pitagorico leggendario astronomo Timeo di Locri.

9 E’ questo il modello pitagorico del cosmo composto da moti circolari concentrici. Questa visione del mondo sarà destinata a durare quasi due millenni.

10Leggi, 886.

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di “Dio visibile” che, una volta plasmato, mai più perirà, dunque anche il Mondo è eterno11.

f) Inoltre il Mondo è stato dotato dal Demiurgo di un’anima vivente (scrive: “come un essere vivente, dotato di anima e di intelligenza”) che ha lo scopo di conservare in vita il mondo senza bisogno di un continuo intervento del Demiurgo stesso (questa concezione, in termini diversi, sarà ripresa nel 1500 da Giordano Bruno e nel 1800 dall’idealista Schelling).

g) Il mondo delle idee è eterno e immobile (= Parmenide), quello fisico è diveniente (=

Eraclito) perché è lo svolgimento dell’“è”, dell’“era” e dell’“sarà”; il primo è perfetto, il secondo imperfetto. Il tempo e lo spazio dunque sorgono dopo che il Demiurgo ha plasmato la “chora”. Platone definisce il tempo come l’immagine mobile dell’eterno immobile.

h) Platone nel Fedone afferma che tra le Idee e le cose presenti nel mondo c’è un rapporto che deve esser descritto in termini di:

imitazione o “mimesi” (µιµησις). La dottrina del Demiugo insegna che tutto quanto c’è nel mondo è copia della perfezione del mondo delle idee; per cui, ad esempio, l’albero / il frutto imitano l’essere perfetto dell’idea di Albero / di Frutto e quindi ne sono una “copia”.

Tutte le cose presenti in questo mondo sono una imitazione della perfezione del mondo delle idee. Quindi questo mondo è un inganno perché la vera realtà, il vero essere è quello delle idee.

partecipazione o “metessi” (µηϑεξις; in altri testi Platone parla di “parusia”

παρουσια cioè di "presenza"; in altri di χοινονια cioè di “comunanza”): tutto quanto esiste in questo mondo terreno partecipa della corrispondente idea perfetta presente nel mondo ultraterreno, sovrasensibile, nell’Iperuranio (es. albero, cane, gatto …) per cui, ad esempio, la neve partecipa all’idea di neve, ma anche all’idea di “freddo”, di “bianco” … e quella di fuoco all’idea di “caldo” …

Tutto quanto esiste fa necessariamente riferimento, cioè “partecipa”, al mondo delle idee;

niente sfugge al mondo delle idee.

Inoltre, per Platone la “metessi” - partecipazione è presente anche all’interno dello stesso mondo sovrasensibile, perché se un’idea è più o meno buona, lo è proprio perché partecipa (chi più, chi meno), in definitiva, dell’idea suprema di “Bene” che irraggia di sé tutte le idee.

E. Osservazioni

1) La distinzione dei due piani dell’essere supera l’antitesi fra Eraclito (il divenire è presente nel mondo fisico) e Parmenide (le idee presenti nel mondo sovrasensibile sono immobili ed eterne). L’unità dell’essere parmenideo non può essere pensata in modo assoluto, ma è tale in riferimento al mondo delle idee che sono il vero essere, nel quale ogni idea nella sua unicità (es. l’idea di Albero) dà ragione del molteplice nel diveniente (es. i diversi possibili alberi); scrive Giovanni Reale “l’uno non è senza i molti, così come i molti non sono senza l’uno”.

11 Per parlare dell’intervento del divino nella storia, Platone nel Politico narra un mito secondo cui il Dio Crono farebbe periodicamente girare il mondo in un senso e questa è l’epoca d’oro in cui tutti i bisogni sono soddisfatti, poi una volta abbandonato a se stesso, il mondo girerebbe in senso contrario, è questo il “tempo di Zeus” nel quale prevale la penuria e la guerra.

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2) Platone mette a tema la ridefinizione dei termini “essere” e “non-essere” e il loro rapporto e cerca di superare le aporie derivanti dal dualismo della scuola di Elea.

Contro Parmenide, Platone pensa infatti che:

a) l’essere può essere detto (“predicato”) in due modi, come sensibile e sovrasensibile, e b) se è vero che il nulla è inconoscibile, il non-essere invece può esistere come

“diversità”, come “alterità”. Ogni idea per essere quell’idea deve non essere tutte le altre, deve cioè essere diversa da tutte le altre; anche il nostro mondo esiste, benché diverso dal vero mondo.

Platone nel dialogo Sofista fa dire al personaggio “lo Straniero di Elea”: Lo sai che noi abbiamo abbandonato Parmenide e siamo andati assai al di là del suo divieto? [...] non solo abbiamo dimostrato che sono le cose che non sono, ma siamo giunti persino a scoprire quel genere che è proprio di ciò che non è.

A questo proposito Platone ha parlato di “parricidio” nei confronti di Parmenide.

3) Platone presenta comunque il divino in linea con tutta la tradizione greca antica; il divino è molteplice: divino ed eterno è il Mondo delle idee (Iperuranio), divina è l’idea di Bene, divino è il Demiurgo, divina è la “chora”, divino è il Mondo sensibile.

4) Per Platone il Demiurgo ha caratteri personali perché conosce le idee e vuole il bene, ma è gerarchicamente inferiore al mondo delle idee; non crea (creare significa “fare dal nulla”, concetto estraneo a tutta la riflessione greca antica) né la “chora”, né il mondo, ma plasma il mondo con la “chora” che esiste eternamente. Il Demiurgo assomiglia al Dio biblico per il carattere “personale”, ma se ne distingue perché non è creatore, cioè non fa il mondo dal nulla. Per queste rassomiglianze il Timeo è stato uno dei dialoghi più studiati nell’Antichità e nel Medioevo soprattutto dai filosofi cristiani.

III. CONOSCENZA della VERITA’, AMORE, ARTE e RETORICA

A. La conoscenza come ricordo

o Platone è il primo filosofo a porre in termini chiari il problema della conoscenza12. Per PLATONE “conoscere è ricordare” (così nei dialoghi: Menone, Fedone, Fedro, Filebo), la conoscenza, altro non è che “ricordo”, “reminiscenza”, “anamnesi” (αναµνησις) di ciò che esiste da sempre sepolto nella nostra anima.

o Già Socrate sosteneva che la Verità è dentro ciascuno di noi e con l’arte della maieutica si cerca di farla venire alla luce. Ma come mai la Verità è già dentro ciascuno di noi? Nel dialogo Menone Platone ne dà la spiegazione: la nostra anima preesisteva al nostro corpo e viveva disincarnata nel mondo delle idee dove ha potuto contemplare i modelli perfetti delle cose (= le idee), ogni anima cioè prima di incarnarsi ha vissuto nell’iperuranio, qui ha visto e conosciuto tutta la verità, poi prima di incarnarsi in un corpo ha bevuto al fiume Amelete della dimenticanza (vedi più avanti il mito di Er). E’ evidentemente che si tratta di una spiegazione mitica di origine orfico-pitagorica della metempsicosi…

o Sempre nel dialogo Menone dà la prova di questa spiegazione: con un esperimento maieutico Socrate fa dimostrare ad uno schiavo – che notoriamente non ha conoscenze matematico-geometriche – un problema complesso che implica la conoscenza del teorema di Pitagora. Questo significa che se lo schiavo è riuscito a risolvere il problema è perché ha tratto le conoscenze matematico-geometriche dalla propria anima che grazie alla maieutica le ha ricordate.

12 Prima il problema della conoscenza era stato affrontato dai Fisici pluralisti.

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In ognuno di noi esistono dunque conoscenze innate sepolte nella nostra anima.

o Nel Fedone, invece, dimostra come ogni anima in occasione del sensibile ricorda il sovrasensibile: quindi, la nostra anima anche di fronte ad una apparente novità, per conoscerla non deve far altro che “ricordare”. Conoscere è in realtà ricordare, perché nella nostra anima, che è eterna, sono già presenti tutte le idee che in questo senso sono

“innate”: la nostra mente in occasione dell’imperfetto ricorda il perfetto. La funzione di sollecitazione del ricordo spetta al mondo sensibile: se le idee sono la causa o il modello del mondo sensibile, allora il mondo sensibile per il fatto che partecipa, ne diventa un continuo richiamo. La conoscenza delle idee non può derivare dai sensi, perché tra i dati dell’esperienza sensibile e le idee che noi abbiamo (l’idea di cerchio, quadrato, perfetto …) esiste un sempre dislivello: l’esperienza sensitiva ci mostra sempre l’imperfetto, le idee invece hanno sempre un plus rispetto all’esperienza che è, in una parola, la perfezione. La conoscenza delle idee che sono immutabili ed eterne e quindi perfette non potrà dunque venire dall’esperienza; conoscenza è invece anamnesi di quanto già in noi in modo innato13.

o

Per Platone, dunque, il pensiero riflette l’essere e l’essere vero è il mondo delle idee: la mente è come uno specchio [con memoria] dentro cui prima si è specchiato il mondo delle idee e poi il mondo sensibile. Questa teoria passa sotto il nome di realismo gnoseologico il cui slogan è: “Quale l’essere, tale il conoscere”.

B. La ricerca della Verità: i gradi della conoscenza La scienza vertice della conoscenza

1) Il livello più basso di conoscenza è rappresentato dall’opinione (δοξα) la quale è una forma di conoscenza imperfetta perché potrebbe rivelarsi fallace in quanto si ferma al mondo sensibile, alle qualità mutevoli e imperfette dell’esperienza. Al suo interno Platone distingue poi l’ “immaginazione” o “fantasia” (εικασια) e la “credenza” (πιστις). Secondo la Repubblica solo il nulla è inconoscibile (cfr. Parmenide), la δοξα rivestirebbe così una posizione intermedia.

2) La Verità (αληϑεια) si può invece raggiungere solo col livello più alto della conoscenza che permette di raggiunge la certezza del vero: si tratta della “scienza”14 o episteme (επιστηµη), che Platone sostiene essere di due tipi:

Ø la conoscenza di tipo matematico-geometrica che chiama diànoia (διανοια): si intende il procedimento razionale che avanza derivando conclusioni da premesse, cioè attraverso successivi e concatenati passaggi logici di pensiero. E’ questo il metodo dimostrativo che permette di raggiungere le verità matematiche-geometriche le quali hanno valore universale (es. il teorema di Pitagora vale a tutte le latitudini e in ogni secolo). Non per nulla Platone volle che sul frontone della porta d’ingresso dell’Accademia che vi fosse scritto: “Chi non è geometra, non entri”.

Ø ma per Platone (nella Repubblica) la via della verità si trova nella conoscenza noetica, (da nòesis νοεσις), che si dirige verso le idee-valore, andando oltre la conoscenza dianoetica. Il vertice della conoscenza della Verità, cioè la conoscenza pura delle idee e della loro gerarchia interna, la si raggiunge solo col metodo dialettico che porta fino

13 Nel 1600 Cartesio riprenderà questa argomentazione per sostenere l’esistenza di Dio e delle idee innate.

14 Non si tratta della Scienza intesa con le moderne categorie. Per Platone Scienza è un sapere concettuale che ha i caratteri dell’immutabilità e della perfezione per questo è rivolta più che mondo sensibile al mondo delle idee.

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alla conoscenza del principio primo e supremo (Bene/Bello o Uno o Giustizia). Questa conoscenza noetica corrisponde alla ricerca filosofica.

C. La via logica all’Assoluto: la Matematica e la Filosofia

1. Nell’Accademia di Platone vi era un recupero di alcune dottrine del Pitagorismo.

Matematica e Filosofia sono dunque i due gradi maggiori di conoscenza della Verità e rappresentano il sapere scientifico (επιστηµη). Ma, mentre il metodo della matematica-geometria è dimostrativo (διανοια), quello tipico della νοεσις, del procede filosofico del pensiero, è dialettico. Il filosofo dell’Accademia dovrà prima passare attraverso l’esercizio su operazioni puramente mentali (matematica e geometria), poi potrà approdare allo studio della dialettica ascensiva e discensiva.

2. Il termine dialettica non ha in Platone il significato generico che aveva in Socrate di

“arte del dialogo”, ma acquista un preciso significate tecnico legato alla teoria delle idee. La dialettica consiste nel saper cogliere i legami logici tra idea ed idea (ogni idea è legata ad alcune e non a tutte)15, come avviene nei dialoghi socratici, fino a risalire – al limite - all’idea suprema, al Bene. Questa via logica al principio supremo (Bene - Assoluto) è la dialettica ascensiva che dal particolare risale sempre più su verso le idee universali. La dialettica potrebbe anche essere discensiva, quando dall’universale si raggiunge un’idea particolare. Così il giudizio vero, sarà quello che riproduce fedelmente i legami ontologici delle idee che sono il vero essere. I rapporti tra le idee saranno studiati soprattutto dal discepolo Aristotele nell’Organon16 che nei primi anni del suo insegnamento ebbe la cattedra all’interno dell’Accademia platonica.

3. La dialettica rappresenta però per Platone la penultima tappa del cammino formativo culturale del filosofo dell’Accademia. Il fine ultimo della παιδεια platonica doveva portare alla contemplazione della perfezione del mondo ideale, cioè alla contemplazione di ciò che la filosofia successiva chiamerà l’Assoluto, con l’intellettiva intuizione dell’idea vertice di Uno-Bene-Bello che irraggia di sé, della propria perfezione, tutte le idee.

D. L’amore come via alogica all’Assoluto

Platone lega la tematica della bellezza non alla trattazione dell’arte, come ci aspetteremmo, ma al tema dell’amore, dell’eros (ερος = amore): amore è infatti sete di bellezza.

Platone espone la sua filosofia attorno all’amore nei due dialoghi Liside, ma soprattutto nel Simposio.

• L’amore è mancanza, insufficienza, bisogno e nello stesso tempo, desiderio di acquisire e conquistare ciò che non si ha. L’amore è infatti desiderio di bellezza la quale altro non è che l’annuncio del bene, ed è quindi in definitiva desiderio del bene. Per l’uomo greco il

15 Esempio. Nel Politico Socrate deve definire “cosa è” la scienza politica. Le scienze vengono allora anzitutto distinte in conoscitive e pratiche e quella politica rientrerebbe nelle prime. Poi le conoscitive a loro volta sono divise in scienze che comandano e quelle non-comandano e quella politica rientrerebbe nelle prime; vengono poi distinte le scienze che comandano direttamente e quelle comandano indirettamente …

16 La dialettica “ascensiva”, che passa cioè dal particolare all’universale, con Aristotele nella sua opera di Logica, l’Organon, prenderà il nome di “induzione”; quella discensiva, cioè dall’universale al particolare, prenderà il nome di “deduzione”. Sempre Aristotele nel Protrettico a difenderà l’ideale della vita scientifica coltivato dalla παιδεια dell’Accademia.

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Bello coincide sempre con il Buono (καλος και αγαϑος

-

è una endiadi), allora la via che conduce verso la Bellezza, la via dell’amore, condurrà verso il Bene.

• Platone pensa che l’Amore abbia una natura mediana, poiché da un lato non possiede la bellezza e il bene (e in ciò sta la sua carenza), ma dall’altro lato li desidera (e in ciò risiede la sua nobiltà). Tant’è vero che il mito dice che l’amore è figlio dell’ingegno- astuzia (Πορος

)

e di Povertà (Πενια) e quindi è a metà strada tra la sapienza e l’ignoranza.

Il dialogo Simposio è costruito attorno alla figura di Socrate, il quale si reca ad un banchetto offerto dal poeta Agatone per festeggiare la sua vittoria al concorso di tragedia. Tema del simposio è l’amore; i discorsi che gli interlocutori del convito pronunciano uno dopo l’altro in lode di Eros esprimono i caratteri subordinati e accessori dell’amore, introducendo l’intervento di Socrate, il quale non espone una propria teoria sull’amore, ma riporta ciò che, in un precedente colloquio, gli aveva riferito Diotima, sacerdotessa di Mantinea. Quando nacque Afrodite, gli dei festeggiarono la nascita con un sontuoso banchetto presso il giardino di Zeus. Tra gli altri era presente anche Poros, il dio dell’astuzia e dell’espediente, che nel corso del banchetto finì con l’ubriacarsi di nettare. Al termine del banchetto giunse anche Penia, la dea della povertà, che nella sua miseria sperava di ottenere qualcosa da quel sontuoso banchetto. Vedendo Poros, obbro di nettare e assopito nel giardino di Zeus, pensò di avere un figlio da lui e si distese al suo fianco. Resto incinta e nacque così Eros, figlio dell’astuzia e della povertà, servitore della bellissima Afrodite, perché concepito nel giorno della sua nascita. La natura e il carattere dell’amore hanno ragion d’essere proprio dalle condizioni che ne hanno determinato la nascita: è al servizio della dea dell’amore ed è amante della bellezza.

Dunque Eros non è né bello, né buono, ma è sete di bellezza e di bontà; non è un dio, ma nemmeno un uomo …

• Eros non è un dio, ma un semidio, un demone (in senso socratico) ed è filosofo (ϕιλια = amore − σοϕια = sapienza) perché aspira, non possiede, la sapienza; solo gli dei posseggono la sapienza. Il termine “Filosofia” è così strettamente connesso da Platone al mito di Eros. La filosofia è propria di chi non è né ignorante, né sapiente, non possiede il sapere, ma è a conoscenza della sua esistenza e aspira ad esso, è sempre in cerca della verità.

• Nel Simposio Socrate sostiene anche che l’amore sia aspirazione all’immortalità, teoria che attribuisce a Diotìma, sacerdotessa di Mantinea. L’amore, infatti, è desiderio d’immortalità come dimostra l’istinto della procreazione, che altro non è che desiderio di vincere la morte lasciando dietro di noi una posterità.

• Platone distingue poi diverse forme di amore, secondo una scala gerarchica delle forme del bello, per cui l’animo umano, di grado in grado, s’innalza fino alla contemplazione della bellezza / bene supremo.

Ø Il grado più basso è l’amore fisico legato alla bellezza dei corpi, amore che è comune anche agli animali

Ø Il grado intermedio è quello di chi è fecondo nello spirito: gli amanti dei valori, della giustizia, delle leggi, della “scienza” (matematica-filosofia)

Ø Il grado più alto è nell’amore consiste nella spirituale visione dell’idea di Bello / Buono, dell’Assoluto. L’amore platonico è dunque nostalgia dell’Assoluto.

(Vedi Manuale Cioffi Luppi Vigorelli … - Eros ed Educazione p. 252-253).

Focus: l’amicizia

L’amicizia per Platone è condizione essenziale per la buona riuscita dell’educazione. Il gruppo di studiosi che frequentava l’Accademia erano compagnie di amici che facevano anche vita comune (abitazione, pasti, conversazioni …). Platone nel Dialogo Liside parla dell’amicizia in termini di affinità di carattere tra le persone. Scrive:

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- Socrate: Non è allora necessario che, o noi abbandoniamo questa strada o giungiamo ad un principio che non rimandi più ad un’altra cosa amica, ma sia esso stesso il Primo amico [cioè il Bene] in vista del quale diciamo che sono amiche anche tutte le altre cose?

- Menesseno: E’ inevitabile […]

- Socrate: E se qualcuno desidera un altro o lo ama, non potrebbe desiderarlo né amarlo né essergli amico, se non si trova ad essere in qualche modo affine all’amato, nell’anima, o in qualche carattere dell’anima o nei costumi o nell’aspetto.

- Menesseno: E’ indiscutibile. Ma Liside tacque.

- Socrate: E sia; ci è parso dunque inevitabile che l’amicizia nasca per ciò che, per natura, ci è affine”.

E. Le diverse forme artistiche non sono scienza perché allontanano dal Vero

1. Platone nei suoi dialoghi dà, in genere, un giudizio negativo dell’arte, non tanto però per

il significato estetico dell’opera d’arte, ma per il valore educativo-morale che comunicano ricco di fascino e di suggestione. Se è vero che la matematica e la filosofia sono un progressivo avvicinamento al vero, l’arte, invece, che si rivolge infatti alle facoltà arazionali dell’anima, altro non è che un allontanamento dal vero e non può certo avanzare la pretesa di essere una scienza (επιστηµη), perché l’arte si rivolge al sentimento che è facilmente suggestionabile.

2. L’arte figurativa, in particolare, è IMITAZIONE “mimesi” (µιµησις

=

“mimo”) delle cose sensibili che a loro volta sono una imitazione, una copia, delle Idee, di sua natura è quindi ingannatrice. La pittura e la scultura sono dunque allontanamento dal Vero.

Famoso è l’esempio portato da Platone nella Repubblica: quando un pittore dipinge un letto, egli imita un letto esistente nella realtà sensibile, quello costruito dal falegname, il quale a sua volta è stato fatto ad imitazione del letto ideale, cioè dell’idea di letto.

Abbandonata a sé stessa l’arte – secondo il Libro X della Repubblica - andrebbe addirittura bandita dalla πολις ideale vagheggiata da Platone perché diseducativa, a meno che non si metta al servizio del Re filosofo. La musica, in particolare, può invece trovare posto nella città ideale quando è ispirata ad un senso di bellezza e di armonia e purché susciti un senso di fermezza e di serenità e non toni languidi e molli.

3. Anche la poesia di Omero è diseducativa perché rappresenta gli dei e gli eroi con tutti i difetti di noi uomini così da essere un pessimo esempio dal punto di vista morale.

Negativa è giudicata anche la tragedia e la commedia perché la prima è costruita sui sentimenti di compassione e di pianto per le sventure altrui, e la seconda spinge alla ilarità, sentimenti che invece andrebbero frenati e controllati.

4. Però nel dialogo Ione - rapsodo contemporaneo di Socrate - che ha a tema “che cos’è” la poesia e nel quale Platone non si interroga sugli aspetti etico-educativi ma sul valore in sé della poesia, si esprime in modo positivo sull’attività dei poeti affermando che la loro arte è una specie di potere concesso a loro dalla Musa che ispirandoli li invade, simile alla forza d’attrazione di un magnete. La divinità in questo modo priva i poeti dell’intelletto per poterli usare come suoi tramiti, in tal modo i bei poemi cantati dai rapsodi sono opera più degli dei che degli uomini.

5. Un giudizio negativo formula Platone anche verso l’arte Retorica insegnata dai Sofisti e ritenuta da Gorgia l’arte superiore a tutte le altre per il potere ammaliante che porta con

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sé la parola. Un discepolo di Gorgia, il retore Isocrate, contemporaneo di Platone la cui scuola aperta nel 390 rivaleggiava con l’Accademia si proponeva di impartire un’educazione stilistico-formale al fine di rendere abili nell’arte del discorso, sia un’educazione etico politica. Volutamente Isocrate prese le distanza nel dibattito sulla παιδεια sia dai dialettici tra cui Socrate e i platonici, come anche dagli oratori improvvisati e immorali, sia dai sofisti, termine che per lui indicava soprattutto Protagora. Platone nel dialogo Gorgia accusa però la retorica di Isocrate d’essere un’arte formale, moralmente priva di contenuti e quindi strumentalizzabile anche per fini ingiusti, non avendo come suo scopo la ricerca della Verità come invece si insegnava all’Accademia. Isocrate rispose vantando di aver formato molti uomini politici che, a differenza dei platonici, si erano poi inseriti in modo attivo e positivo nella vita della città.

IV. L’ANTROPOLOGIA = LO STUDIO DELL’UOMO

1. Visione “dualista” dell’uomo: l’uomo è la propria anima

Nell’uomo non solo c’è distinzione tra anima e corpo (= Socrate), ma c’è opposizione: il corpo è inteso in linea con l’orfismo come “involucro dell’anima”, “carcere dell’anima”,

“tomba dell’anima”17. L’anima (ψυχη) è commessa strutturalmente all’idea di vita, scrive infatti Platone nel Cratilo “ciò che, quando è presente nel corpo, è causa per esso del vivere, dandogli la possibilità di respirare e di refrigerarsi, ma appena essa si allontana, il corpo viene meno e muore” (399e). Il corpo è visto come il luogo in cui l’anima deve espiare gli errori della vita precedente, perché l’anima – che è eterna – si reincarna in continuazione. Il corpo è visto come la radice di ogni male nell’uomo, in quanto mortifica l’anima: solo con la morte del corpo l’anima potrà liberarsi da questo luogo di espiazione, da questo carcere, e raggiungere la “pianura della Verità”, l’iperuranio.

Ne emergono dagli scritti platonici due paradossi18:

• occorre “fuggire dal corpo”

• occorre “fuggire dal mondo”.

L’uomo non deve cedere alle tentazioni del corpo e del mondo perché deve preoccuparsi anzitutto del bene della propria anima: non bisogna curarsi19 primariamente del proprio corpo (che sia bello, forte, agile … la ginnastica e la musica) e delle cose di questo mondo (ricchezza, onori, potere …) perché tutto questo distoglie l’uomo dalla sua “parte” migliore – per la quale val la pena di preoccuparsi – che è la propria anima. La morte sarà la liberazione dalla tomba (σηµα) del proprio corpo (σοµα) e dai lacci del mondo terreno (vedi Fedone); per questo motivo Socrate non vivrà la morte con drammaticità, ma con profonda serenità e compostezza perché ritiene che la fine del corpo sia l’inizio della vita vera per l’anima.

Ma, in questa vita come bisogna prendersi cura della propria anima? Attraverso la Virtù.

2. L’uomo perfetto è l’uomo virtuoso, colui che cura la propria anima

Preoccuparsi e aver cura, ricercare la salute della propria anima significa esser virtuosi.

L’uomo virtuoso cercherà di purificare l’anima “fuggendo dal corpo” e “fuggendo dal mondo”, cioè non deve farsi prendere e conquistare dalla sensualità e dalle cose mondane,

17 Vedi il dialogo Alcibiade primo.

18 Paradosso, dal greco παρα δοξα − lett. “contro l’opinione comune”, “contro l’apparenza”.

19 Nel ‘900 Martin Heidegger sosterrà che conduce una vita inautentica e banale chi si lascia dominare dalla

«cura» per le cose, dalla situazione, dall’essere-nel-mondo. La Cura è la struttura fondamentale dell’essere dell’uomo «gettato-nel-mondo» e della sua esistenza.

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ma deve ricercare di congiungersi al puro intelligibile, alla conoscenza suprema, ai valori assoluti, al Bene. Purificazione in Platone è dunque sinonimo di conoscenza; per Platone come per Socrate basta “sapere” per poi vivere bene di conseguenza. Moralità è sinonimo di “salute dell’anima” che è indispensabile per vivere una vita piena e felice.

(Sull’identificazione di virtù con sapere e il problema educativo vedi testo Cioffi Luppi p.

250-251).

3. La tripartizione dell’anima

Mentre nel Fedone la funzione dell’anima è descritta solo come conoscitiva, nella Repubblica e nel Fedro l’anima è descritta con una natura tripartita a secondo delle funzioni che presiede: conoscenza, volontà, sentimento e nel Timeo Platone assegna a ciascuna delle tre parti dell’anima una propria sede nel corpo. La parte razionale dell’anima (logistikòn) conosce e sa calcolare, ha sede nel cervello e sua virtù è la sapienza; quella irascibile (lo thymòs) che risiede nel petto presiede alla volontà, corrispondente alle virtù del coraggio e dell’eroismo; quella concupiscibile (epithymetikòn) è arazionale e è la sede degli istinti, aspira a legarsi agli oggetti corporei e a godere “senza riflessione”, va continuamente alla ricerca del piacere (mangiare, bere, erotismo) e risiede nei visceri e negli organi sessuali. Sua virtù è la temperanza. Questa parte dell’anima doveva essere costantemente controllata dall’anima razionale in alleanza con l’anima irascibile, perché solo con l’imposizione di un comportamento moderato essa avrebbe potuto contribuire al buon equilibrio dell’individuo. Come si legge nel libro VIII della Repubblica (559 ss), infatti, il venir meno di questa azione di controllo porrebbe sullo stesso piano tutti i desideri umani (da quello della conoscenza, il più nobile, a quello del potere, della ricchezza, fino al più pericoloso di tutti, quello dell’eros) e porterebbe all’anarchia nell’individuo e di conseguenza all’insorgere della tirannia nella città, come vedremo.

4. Immortalità dell’anima

La dottrina della reminiscenza esposta nel Fedone postula l’immortalità dell’anima ed anzi ne costituisce in un qualche modo una “prova”. Se ricordiamo le idee è perché “un tempo”

abbiamo potuto conoscerle per poi dimenticarle al momento della nascita (cfr. Mito di Er).

Questo apprendimento avvenuto prima della nascita implica che la nostra anima esisteva già prima che noi nascessimo.

Nel Fedone20 Platone porta altre tre prove dell’immortalità dell’anima:

1) La prima prova è detta dei contrari: in ogni coppia di contrari ci sono due processi generativi opposti come in natura ogni cosa si genera dal suo contrario così il freddo genera il caldo, il caldo genera il freddo, così il sonno e la veglia …. Ma allora anche tra l’essere vivo e l’essere morto ci devono essere due processi generativi opposti: uno lo conosciamo (il vivo diventa morto) così per analogia dobbiamo ammettere anche l’altro (che dal morto si generi il vivo). La morte si genera dalla vita e la vita si genera dalla morte, dunque l’anima vive dopo la morte del corpo.

20 Pascoli prenderà spunto da un passo del Fedone, dove a Socrate che ha parlato dell’immortalità dell’anima, Cebète e Simmia dicono che essi, pur convinti delle parole del maestro sull’immortalità dell’anima, hanno però paura della morte, come se in essi ci fosse “un fanciullino che ha di questi sgomenti”.

Per Platone il fanciullino era il simbolo delle superstizioni e dei terrori della morte e dell’oltretomba che sopravvivono in noi anche da adulti, nonostante le persuasioni contrarie della ragione; per Pascoli, invece, il fanciullino è simbolo dell’irrazionale, del suo modo si sentire che coglie stupore, bellezza e fascino anche nelle piccole cose.

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2) La seconda prova è detta della somiglianza: l’anima può conoscere le idee che sono immutabili ed eterne; occorre allora come “conditio sine qua non”, in forza di questa affinità di natura tra idee e l’anima (somiglianza), che anche l’anima debba essere immutabile ed eterna.

- «Considera anche in questo modo. Quando l’anima e il corpo sono insieme, la natura prescrive all’uno di servire ed essere dominato, all’altra di comandare e di dominare.

Anche sotto questo aspetto, quale dei due ti pare simile al divino e quale al mortale?

Non ti pare che il divino per natura sia tale da comandare e dirigere e il mortale da essere comandato e servire?».

«A quale dei due, dunque, l’anima somiglia?».

- «È chiaro, Socrate, che l’anima somiglia al divino e il corpo al mortale».

- «Osserva, Cebete, se da tutte le cose dette ricaviamo la conseguenza che l’anima è del tutto simile a ciò che è divino, immortale, intelligibile, uniforme, indissolubile, costante e immutabile in se stesso; mentre il corpo è del tutto simile all’umano, al mortale, al multiforme, al non intelligibile, al dissolubile e sempre mutevole in se stesso. Abbiamo altro da dire, oltre a questo, caro Cebete, per cui non sia così?».

- «Non l’abbiamo».

- «Allora, se è così non tocca forse al corpo dissolversi rapidamente e all’anima, invece, essere del tutto indissolubile o quasi?»

Fedone 80a-b; trad. G. Cambiano 3) La terza prova è detta della vitalità: l’anima, in quanto è ciò che dà vita al corpo, ha come attributo essenziale la vita, così come il fuoco ha come suo attributo essenziale il calore. Ora come il fuoco non potrà mai accogliere in sé il contrario del caldo, cioè il freddo, così il principio vitale non potrà mai accogliere in sè il contrario della vita cioè la morte. Scrive: “Quando all’uomo sopravviene la morte, la parte dell’uomo che è mortale, come ovvio, muore, ma l’altra che è immortale, sana, salva e incorrotta se ne va via e si allontana, lasciando il posto alla morte” (Fedone 106e).

5. Destino dell’anima dopo la morte

Circa il destino dell’anima, Platone si muove nell’ambito dell’Orfismo dal quale riprende la dottrina della metempsicosi. Nei suoi scritti troviamo due tipi di descrizione:

- ciclo individuale (Gorgia e parte conclusiva del Fedone)

del destino delle anime dopo la morte Platone ne parla per la prima volta nel Gorgia dove afferma che le anime degli uomini giusti andranno nelle “isole dei beati”, dove vivranno felici, mentre le anime che hanno commesso azione malvagie, come omicidi e tradimenti, finiranno nella prigione eterna detta Tartaro. Ritorna sul tema nel Fedone: dopo la morte le anime vagolano vicino ai sepolcri e poi si reincarnano attratte dal desiderio corporeo. Le anime che in terra hanno coltivato la sapienza, la purezza, la temperanza giungeranno sempre attraverso successive reincarnazioni in corpi umani nella parte più alta del cielo detta Etere, dove vivono gli dei. In linea con l’orfismo le anime si reincarnano in corpi di animali o di uomini a secondo della bassezza del loro tenore di vita spirituale tenuto nella vita precedente: l’uomo è dunque responsabile della propria sorte.

- ciclo cosmico (Repubblica e Fedro)

dopo la morte le anime vengono giudicate e hanno un premio o un castigo ultraterreno per la durata di 1.000 anni; poi le anime che sono un numero limitato si reincarnano.

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Platone nei suoi scritti presenta due miti del ciclo cosmico:

1) MITO DI ER narrato nelle conclusioni della Repubblica (Repubblica, libro X 614-621 in:

Tutti gli scritti, pag. 1322-1328).

Er è un soldato morto in battaglia, che tornato in vita dopo dodici giorni racconta agli uomini la sorte che li attende dopo la morte. Una volta terminata la vita terrena, vi è una adunata generale delle anime nella “pianura della Verità” (l’iperuranio). Tutte devono iniziare un nuovo ciclo esistenziale, dove ciascuna deve scegliere tra i diversi “paradigmi”

di vita umana. L’ordine cui le anime sono chiamate è stabilito dalla sorte dalla parca Lachesi21 figlia di Necessità: chi è favorito dalla sorte, ha maggior libertà di scelta di quelli che presentandosi per ultimi, hanno davanti a sé un numero inferiore di “paradigmi” di vita, ma anche questi potrà fare una sua scelta. I Paradigmi delle vite future sono in numero molto superiore a quello della anime, così che anche l’ultima anima potrà scegliere una vita buona. Ma le scelte verranno fatte in base alle esperienze fatte nelle vite precedenti. Ulisse ad esempio, privo ormai di ogni ambizione, scelse una vita trascurata da tutte le anime che lo avevano preceduto, una vita modesta, serena ed oscura. Una volta fatta la scelta, questa è irrevocabile. Dopo che si è bevuto al fiume della dimenticanza Amelete le anime si reincarnano scendendo nei corpi.

Il significato del mito rovescia la credenza greca tradizionale sul destino inteso come necessità cieca o decisione incomprensibile degli dei. Per Platone ognuno è responsabile della propria scelta che è libera e dipende dalla conoscenza22.

2) MITO DEL CARRO ALATO narrato nel Fedro. Dialogo molto bello in cui si parla dell’amore e dell’immortalità dell’anima – (Fedro 246a-b; 253c-e, in: Tutti gli scritti, pag. 555-562).

Le anime in origine vivono presso gli dei, volano come un carro alato trainato da due cavalli guidato da un auriga nell’iperuranio, verso la pianura della verità, nel quale brillano, come stelle ideali, le forme pure di tutte le cose che sono le idee, “l’essere che realmente è”. L’auriga (la ragione, la parte più alta dell’anima, l’anima “razionale”) nel reggere la biga sente il contrasto tra i due cavalli: quello bianco si lascia docilmente guidare (si tratta della forza della volontà, l’anima “irascibile”), mentre quello nero recalcitra (l’anima “concupiscibile”), e tende a tirar il cocchio verso il basso, verso la terra.

Le impennate danno al carro alato sbalzi e scosse che, secondo l’abilità dell’auriga, non permettono di scorgere se non zona maggiore o minore del cielo delle idee, finché la biga si appesantisce e scontrandosi con altri cocchi “perde le ali”, si ha così la caduta delle anime nei corpi. La distinzione tra le diverse categorie di uomini dipende dalla qualità e quantità di idee viste nell’iperuranio.

6. Conclusioni circa il destino dell’Anima dopo la morte

L’uomo è sulla terra di passaggio e la vita terrena e il corpo sono una continua prova per l’anima e il luogo dell’espiazione delle colpe della vita precedente.

L’escatologia platonica insegna che la vera vita è nell’aldilà, dove l’anima verrà giudicata e riceverà un premio o un castigo (Tartaro) per 1.000 anni, poi finalmente l’anima si reincarnerà.

21 Le “Parche” o “Moire”: Lachesi la “distributrice” è colei che assegna all’uomo il proprio destino la quale afferma però la libertà delle anime: “Non sarà un demone a scegliere per voi, ma voi sceglierete il vostro demone … La responsabilità è di chi sceglie, il Dio non è responsabile”. L’altra Parca è Cloto la “filatrice”, fila il filo della vita di ciascuno; la terza Parca è Atropo, l’ “inflessibile”, colei che recide il filo.

22 Al termine di questo mito Platone commenta: “e così s’è salvato il mito e non è andato perduto … e potrà salvare anche noi se gli crediamo. Se mi darete ascolto e penserete che l’anima è immortale , che può soffrire ogni male e godere ogni bene, sempre ci terremo alla via che porta in alto e coltiveremo in ogni modo la giustizia insieme con l’intelligenza, per essere amici a noi stessi e agli dei”.

Riferimenti

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