• Non ci sono risultati.

ALLEGATO 1 DESCRIZIONE DEI REATI RILEVANTI AI SENSI DEL D.LGS. n. 231/01

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "ALLEGATO 1 DESCRIZIONE DEI REATI RILEVANTI AI SENSI DEL D.LGS. n. 231/01"

Copied!
50
0
0

Testo completo

(1)

ALLEGATO 1

DESCRIZIONE DEI REATI RILEVANTI AI SENSI DEL D.LGS. n. 231/01

1 - I reati nei rapporti con la Pubblica Amministrazione

Le tipologie delittuose in questione richiedono, nella maggioranza dei casi, la qualifica di “pubblico ufficiale” o, in alcuni casi, anche quella di “incaricato di pubblico servizio” in capo al soggetto attivo.

Si tratta di definizioni normative desumibili dagli artt. 357 e segg. c.p.: sono “pubblici ufficiali” i soggetti, pubblici dipendenti o privati, che possono o debbono, nell'ambito di una potestà regolata dal diritto pubblico, formare e manifestare la volontà della Pubblica Amministrazione ovvero esercitare poteri autoritativi o certificativi: sono “incaricati di un pubblico servizio” coloro che agiscono nell'ambito di una attività disciplinata nelle forme della pubblica funzione in mancanza dei poteri tipici di quest’ultima.

a) Ipotesi di corruzione

• Corruzione per l’esercizio della funzione (art.318 c.p.): tale ipotesi delittuosa si configura nel caso in cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità.

Il reato di corruzione è considerato reato “a concorso necessario”: perché si configuri il reato di corruzione, è necessario un vero e proprio accordo tra il privato e il pubblico ufficiale finalizzato ad ottenere un reciproco vantaggio.

• Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (art. 319 c.p.c). Tale ipotesi delittuosa ricorre allorquando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa. E’ il caso in cui un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio riceve denaro o altri vantaggi per compiere, omettere, ritardare o rilasciare atti (determinando un vantaggio in favore dell'offerente) da intendersi compresi nei suoi doveri di ufficio.

• Istigazione alla corruzione (art.322 c.p.): tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui, in presenza di un comportamento finalizzato alla corruzione, il pubblico ufficiale rifiuta l'offerta illecitamente avanzatagli. Il reato, pertanto, si configura con la semplice promessa di danaro (o altra utilità) finalizzata ad indurre il pubblico ufficiale ad esercitare in un dato modo la propria funzione, a fronte del rifiuto di quest’ultimo ad accettare l’offerta.

• Corruzione in atti giudiziari (art.319-ter): il reato (che costituisce una fattispecie dotata di piena autonomia giuridica) assume la sua connotazione nel caso in cui l’ente sia parte di un procedimento giudiziario e, al fine di ottenere un vantaggio nel procedimento stesso (processo civile, penale o amministrativo), corrompe un Pubblico ufficiale (non solo un magistrato, ma anche un cancelliere od altro funzionario).

(2)

Il reato di “corruzione” (che configura una violazione del principio di correttezza ed imparzialità cui deve comunque conformarsi l'attività della Pubblica Amministrazione) si differenzia dalla concussione e della induzione indebita a dare o promettere utilità, in quanto tra corrotto e corruttore esiste un accordo paritetico finalizzato a raggiungere un vantaggio reciproco, mentre, nella concussione, il privato subisce la condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato del pubblico servizio e, per lo stato di paura o di timore che ne consegue (metus pubblicae potestatis), vede costretta e coartata la propria volontà; nell’induzione indebita, si ritiene, invece, che il privato sia indotto dalla condotta abusiva del pubblico ufficiale o dell’incaricato del pubblico servizio (priva però del carattere della costrizione) a ritenere di poter evitare un pregiudizio e trarre un vantaggio ingiusto attraverso la dazione o la promessa di denaro o altra utilità.

b) Ipotesi di concussione

Con L. 6/11/2012 n. 190, il reato di concussione è stato novellato, mediante previsione di due distinte fattispecie criminose (concussione per costrizione, art. 317 c.p., e induzione indebita a dare o promettere utilità, art. 319 quater c.p.) in precedenza riconducibili nell’unitaria figura della concussione di cui al previgente art. 317 c.p. Segnatamente, dopo la novella:

• il reato di “Concussione” (art. 317 c.p.) si configura allorquando il pubblico ufficiale e, a seguito delle modifiche introdotte con L. n. 69/2015, anche l’incaricato di pubblico servizio, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità.

• Il reato di “Induzione indebita a dare o promettere utilità” (art. 319 quater c.p.) si configura allorquando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità. Sono puniti con la reclusione sia il soggetto che abusa delle sua qualità o dei suoi poteri, sia colui che dà o promette denaro o altra utilità.

Entrambi i reati sopra indicati si qualificano per la presenza di una condotta di abuso della qualità o dei poteri del soggetto pubblico. L’abuso della qualità si realizza allorquando il soggetto pubblico fa valere il proprio status, strumentalizzandolo al fine di conseguire un indebito vantaggio, a prescindere dal fatto che stia esercitando i poteri correlati alla sua funzione. L’abuso dei poteri ricorre, invece, allorquando l’uso dei poteri è finalizzato al conseguimento di uno scopo diverso da quello cui i poteri sono destinati.

Con sentenza del 24/10/2013 n. 18 la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha precisato che la fattispecie dell’induzione indebita di cui all'art. 319-quater cod. pen. è caratterizzata da una condotta di pressione, da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, che lascia al destinatario della stessa un margine significativo di autodeterminazione e si coniuga con il perseguimento di un suo indebito vantaggio. Nella concussione di cui all'art. 317 cod. pen., invece, si è in presenza di una condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che limitano

(3)

radicalmente la libertà di autodeterminazione del destinatario.

La concussione per costrizione appare suscettibile di un'applicazione meramente residuale nell'ambito delle fattispecie considerate dal D.Lgs. n. 231/2001; in particolare, tale reato potrebbe assumere rilievo, ai fini del Decreto, qualora un soggetto riconducibile all’ente concorra nel reato del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che, approfittando di tale qualifica o dei suoi poteri, richieda a soggetti terzi prestazioni non dovute1. Per contro, assume significativo rilievo, ai fini della responsabilità amministrativa di una società, l’ipotesi in cui un esponente aziendale sia indotto dalla condotta abusiva di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio a ritenere possibile evitare un pregiudizio ed ottenere un vantaggio ingiusto per l’ente attraverso la dazione o la promessa di un’utilità. Condotta che, diversamente dal passato, è penalmente rilevante anche per l’esponente aziendale, ex art. 319 quater c.p., e può, dunque, comportare, in presenza dei relativi presupposti, la responsabilità amministrativa dell’ente.

Con L. 27 maggio 2015 n. 69 (G.U. n.124 del 30-5-2015), in vigore con decorrenza 14/6/2015, sono state introdotte nuove “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”. Il Capo I della lg. n. 69/2015 (artt. da 1 a 8) prevede un generale inasprimento delle pene per i reati contro la pubblica amministrazione (peculato, corruzione, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita, concussione, etc.). A tale maggiore severità nella irrogazione delle sanzioni fa da contrappeso l’introduzione, nell'articolo 323-bis c.p., di una nuova attenuante - cfr. lettera i) dell’art. 1 lg. n. 69/2015 - il c.d. "ravvedimento operoso": per talune fattispecie è ammessa una diminuzione della pena da un terzo a due terzi a beneficio di “chi si sia efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite”.

L’art. 6, lg. n. 69/2015, modifica poi la disciplina del patteggiamento prevedendo che, per talune fattispecie di reato contro la PA, la concessione di tale rito speciale (che comporta benefici per l'imputato) sia subordinata alla restituzione integrale del prezzo o del profitto conseguito.

L'art. 7, lg. n. 69/2015, modifica l'art. 129 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale introducendo l'obbligo del PM di informare il Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) nel caso di esercizio dell'azione penale per una serie di reati, tra cui quelli contro la PA.

Inoltre, con L. 9/1/2019 n. 3 è stato introdotto il comma 5-bis dell’art. 25 D.lvo 231/01, che ha ridotto le sanzioni interdittive in caso di “ravvedimento operoso” dell’ente: “Se prima della sentenza di primo grado l'ente si é efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individuazione dei responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite e ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l'adozione e l'attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie

1Sempre nel presupposto che, da tale comportamento, sia stato posto nell’interesse dell’ente o che allo stesso sia derivato un vantaggio.

(4)

di quello verificatosi, le sanzioni interdittive hanno la durata stabilita dall'articolo 13, comma 2”.

c) Traffico di influenze illecite.

Con l’art. 1, comma 9, lett. b), n. 1), della L. 9 gennaio 2019, n. 3, è stato modificato l’art. 25 del D.vo 231/2001 nel senso dell’introduzione, tra le fattispecie di reato rilevanti ai fini della responsabilità amministrativa dell’ente, dell’art. 346-bis c.p., che punisce “Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319-ter, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio”.

Il traffico di influenze illecite è una norma diretta a garantire il buon andamento e l’imparzialità della P.A., incriminando condotte che si pongono in una fase antecedente rispetto a possibili contatti illeciti con pubblici agenti.

La norma in questione punisce – con la reclusione da uno a tre anni – chi, salvi i casi di concorso nei reati di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio o in atti giudiziari, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente si faccia dare o promettere, per sé o per altri, “denaro o altro vantaggio patrimoniale”, come prezzo della propria mediazione illecita nei confronti del pubblico agente o per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o all’omissione o ritardo di un atto del suo ufficio.

Il secondo comma prevede il medesimo trattamento sanzionatorio per colui che indebitamente compia la dazione o promessa.

Il primo comma dell’art. 346 bis c.p. prevede due distinte ipotesi: nella prima la retribuzione, data o semplicemente promessa, è destinata al mediatore come compenso per la sua attività illecita nei confronti del pubblico agente (c.d. “mediazione remunerata”); la seconda si caratterizza invece per il fatto che la mediazione viene svolta a titolo gratuito, mentre la dazione o promessa è destinata a remunerare il pubblico agente (c.d. “mediazione gratuita”).

In ogni caso, a differenza di quanto avviene per altri delitti contro la p.a. (quali la corruzione, la concussione o il millantato credito), il legislatore ha inteso attribuire rilevanza penale ai soli casi in cui venga corrisposto denaro o altro vantaggio patrimoniale. Ciò comporta, quindi, che tutte le ipotesi in cui il vantaggio consista in utilità di diversa natura non possono essere ricondotte alla norma in esame.

Il reato prevede tre circostanze a effetto comune: due aggravanti e un’attenuante. La prima circostanza aggravante è prevista al terzo comma e prevede un aumento fino a un terzo della pena nel caso in cui il “mediatore” sia un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio. La seconda, disciplinata nel comma successivo, è invece relativa all’ipotesi in cui il traffico di influenze riguardi l’attività giudiziaria. Il quinto comma prevede invece che la pena sia diminuita fino a un terzo per i casi di

(5)

particolare tenuità.

d) Ipotesi di malversazione e di indebita percezione di erogazioni

• Malversazione a danno dello Stato o dell'Unione Europea (art.316-bis c.p.): tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui, dopo avere ricevuto finanziamenti, sovvenzioni o contributi da parte dello Stato italiano, di altri Enti Pubblici o dell'Unione Europea destinati alla realizzazione di opere o allo svolgimento di attività, non si procede all'utilizzo o alla destinazione delle somme ottenute per gli scopi cui erano destinate (la condotta, infatti, consiste nell'avere distratto, anche parzialmente, le attribuzioni di denaro, senza che rilevi che l'attività programmata si sia comunque svolta). Tenuto conto che il momento in cui viene considerato consumato il reato trova coincidenza con la fase esecutiva, il reato stesso può configurarsi anche con riferimento a finanziamenti già ottenuti in passato e che ora non vengano destinati alle finalità per cui erano stati erogati.

• Indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato o dell'Unione Europea (art. 31 6-ter c.p.):

tale ipotesi di reato ha luogo qualora, mediante l'utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o mediante l'omissione di informazioni dovute, si ottengono, senza averne diritto, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo concessi o erogati dallo Stato, da altri Enti Pubblici o dalla Unione Europea. In questa fattispecie a nulla rileva l'uso che venga fatto delle erogazioni, in quanto il reato viene a realizzarsi nel momento dell'ottenimento dei finanziamenti. Infine, va ancora sottolineato che tale ipotesi di reato assume natura residuale rispetto alla fattispecie della truffa ai danni dello Stato2.

e) Le ipotesi di truffa

• Truffa in danno dello Stato di altro Ente Pubblico o dell'Unione Europea (art. 640, comma 2, n.

1, c.p.): tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui, per realizzare per l’ente un ingiusto profitto, siano posti in essere degli artifici o raggiri tali da indurre in errore e conseguentemente da arrecare un danno allo Stato (oppure ad altro Ente Pubblico o all'Unione Europea). Il comportamento attraverso il quale si realizza il reato di truffa consiste in qualsivoglia attività che possa trarre in errore l'ente che deve effettuare l'atto di disposizione patrimoniale. A titolo esemplificativo tale reato può realizzarsi qualora, nella predisposizione di documenti o dati per la partecipazione a procedure di gara, si forniscano alla Pubblica Amministrazione informazioni non corrispondenti al vero (come, ad esempio, utilizzando documentazione artefatta che rappresenti anche la realtà in modo distorto), al fine di ottenere l'aggiudicazione della gara stessa. Si ravvisa, altresì, il reato di truffa qualora si nascondano, sempre attraverso artifizi e raggiri, informazioni che, se conosciute dall'ente erogante, lo avrebbero indotto a determinarsi in un modo diverso.

• Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art.640-bis c.p.): tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui la truffa sia posta in essere per conseguire in modo indebito erogazioni pubbliche. "Per erogazione pubblica" va intesa "ogni attribuzione economica

2In forza della clausola di riserva posta nell’incipit della norma.

(6)

agevolata erogata da parte dello Stato, di Enti Pubblici o dell'Unione Europea". Tale fattispecie può realizzarsi qualora si pongono in essere artifici o raggiri idonei ad indurre in errore il soggetto erogante, come, a titolo esemplificativo, nel caso di trasmissione di dati non corrispondenti al vero oppure predisponendo una documentazione falsa, sempre con l'intento di ottenere l'erogazione di finanziamenti, contributi, mutui agevolati per individuati impieghi o di altre erogazioni concessi dallo Stato o da altri Enti Pubblici o dalla Unione Europea.

• Frode informatica in danno dello Stato o di altro Ente Pubblico (art. 640-ter c.p.): tale ipotesi di reato si configura nel caso in cui, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o manipolando i dati in esso contenuti, si ottiene un ingiusto profitto, così arrecando un danno a terzi. In concreto, può integrarsi il reato in esame qualora, una volta ottenuto un finanziamento, venga violato il sistema informatico al fine di inserire un importo relativo ai finanziamenti deliberati superiore a quello ottenuto legittimamente. Detto reato si differenzia dal reato di truffa in quanto l'attività fraudolenta riguarda il sistema informatico e non la persona e può concorrere con il reato di "accesso abusivo a un sistema informatico o telematico"

previsto dall'alt. 615-ter c.p.

2 – I delitti di criminalità organizzata

L’art.2 della legge 15 luglio 2009 n.94, con l’introduzione dell’art. 24 ter del Decreto, individua quali reati presupposto della responsabilità dell’ente alcune fattispecie comunemente riconducibili alla criminalità organizzata.

a) Reati di associazione

• Associazione per delinquere (art.416 c.p.): il reato si perfeziona laddove tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti. Anche il solo fatto di partecipare all’associazione costituisce reato. Il medesimo articolo prevede, poi, delle aggravanti, qualora (i) gli associati scorrono in armi le campagne e le pubbliche vie; (ii) il numero di associati è superiore a 10; (iii) l’associazione è diretta a commettere i reati di riduzione o mantenimento in schiavitù e servitù, tratta di persone, acquisto e alienazione di schiavi.

• Associazione di tipo mafioso (art.416–bis c.p.): tale ipotesi criminosa si perfeziona laddove il fenomeno associativo è di tipo mafioso. Ai sensi dell’articolo 416 – bis, un’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali. Essendo, dunque, la nozione di associazione di tipo mafioso svincolata da qualsivoglia connotazione geografica, essa si riferisce a tutti i sodalizi criminali, comunque localmente denominati, che abbiano struttura organizzata e che, valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo, perseguano scopi

(7)

corrispondenti a quelli delle associazioni mafiose. Anche l’articolo 416 bis c.p. prevede delle aggravanti; segnatamente: (i) se l’associazione è armata, ovverosia, quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento delle finalità dell’associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito; (ii) se le attività economiche di cui gli associati intendono mantenere il controllo, sono, in tutto o in parte, finanziate con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti.

• Scambio elettorale politico mafioso (art.416-ter c.p.): La condotta tipica di tale fattispecie di reato si sostanza nell’erogazione di danaro da parte di un candidato in consultazioni elettorali o di terzi in cambio della promessa del voto, a sé o ad altri, laddove tale attività sia svolta e/o supportata da un’associazione a delinquere di tipo mafioso, ovvero, con i metodi di cui all’articolo 416 – bis c.p. Le modalità attuative di questo reato presuppongono che sussista o si instauri un rapporto tra la Società ed un’associazione di tipo mafioso, dovendo fungere quest’ultima quale leva per il procacciamento di voti in cambio di erogazioni di denaro da parte di esponenti aziendali. La provvista di tale rapporto è rappresentata proprio dall’elargizione effettuata a vantaggio del candidato, normalmente allo scopo di ottenere, anche successivamente, vantaggi e favori dall’esponente del partito politico.

• L’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74, DPR 9 ottobre 1990, n. 309): fattispecie che punisce tre o più persone che si associano allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dal precedente articolo 733. Tra le possibili modalità attuative rientrano tutte quelle condotte che si sostanziano in una agevolazione della organizzazione criminale, mediante l’individuazione, la creazione e la corresponsione di fonti finanziamento e di sostentamento, in modo da contribuire al commercio di sostanze stupefacenti o psicotrope e, dunque, di sostenere l’associazione criminale medesima. Sono suscettibili di essere considerate rilevanti anche tutte quelle attività poste in essere in violazione delle regole aziendali, finalizzate, direttamente o indirettamente, a creare una provvista per finanziare l’associazione criminale.

b) Reati contro il patrimonio

3Chiunque senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17 detiene sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall’ articolo 14 al fine di cederle a terzi e di ricavarne un profitto è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 2.500 a euro 25.000.

Chiunque, essendo munito dell’ autorizzazione di cui all’articolo 17, al fine di trame profitto cede illecitamente le sostanze o le preparazioni indicate nel comma 1 è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 50.000.

Le stesse pene si applicano a chiunque al fine di cederle a terzi e di ricavarne un profitto coltiva, produce o fabbrica sostanze stupefacenti o psicotrope diverse da quelle stabilite nel decreto di autorizzazione.

Se taluno dei fatti previsti dai commi 1, 2 e 3 riguarda sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle II e IV previste dall’articolo 14, si applicano la reclusione da sei mesi a due anni e la multa da euro 1.000 a euro 10.000.

Quando, per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entità, si applicano le pene della reclusione da sei mesi a 3 anni e della multa da euro 1.000 a euro 10.000, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall’art. 14, ovvero le pene della reclusione da 3 mesi al anno e della multa da euro 500 a euro 2.500, se si tratta di sostanze di cui alle tabelle II e IV.

Se il responsabile dei fatti di cui al comma 1 e 4, è tossicodipendente, come certificato da una struttura pubblica in base ad adeguata anamnesi, si applicano, comunque, le pene di cui al precedente comma.

Nei casi di cui al comma 5 bis, quando i fatti sono di lieve entità ai sensi del comma 5, se si presume che l’ulteriore svolgimento del procedimento, nonché la successiva esecuzione delle pene detentive previste, pregiudichino lo sviluppo di interventi riabilitativi dalla tossicodipendenza nei confronti dell’interessato, il giudice, sentite le parti, pronuncia sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto.

(8)

• Sequestro di persona a scopo di estorsione (art.630 c.p.): fattispecie che sanziona la condotta di colui il quale, al fine di ottenere nell’interesse od a vantaggio della Società un ingiusto profitto come prezzo della liberazione, sequestra una persona.

c) Reati in materia di armi

• Illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo escluse quelle previste dall’articolo 2, comma terzo, della legge 18 aprile 1975, n. 110 (art. 407 comma 2, lett. a), n.5), c.p.p.): la fattispecie, reato comune a forma libera considera armi comuni da sparo quelle denominate “da bersaglio da sala”, o ad emissione di gas, nonché le armi ad aria compressa o gas compressi, sia lunghe sia corte i cui proiettili erogano un’energia cinetica superiore a 7,5 joule, e gli strumenti lanciarazzi, salvo che si tratti di armi destinate alla pesca ovvero di armi e strumenti per i quali la commissione consultiva di cui all’articolo 6, escluda, in relazione alle rispettive caratteristiche, l’attitudine a recare offesa alla persona.

3 - I delitti contro la fede pubblica in materia di monete e bolli

I reati di seguito descritti sono stati introdotti con l'inserimento dell'art. 25-bis del D.Lgs. 231/01 ad opera dell'art. 6 del D.L 25 settembre 2001 n. 350, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001 n. 409 Elemento costitutivo della condotta è sempre la finalità di vantaggio o di interesse per la Società.

• Falsificazione di monete, spendita e introduzione nello Stato, previo concerto, di monete falsificate (art.453 c.p.): la norma punisce la contraffazione ovvero l'alterazione di monete (nazionali o straniere), l'introduzione nello Stato di monete alterate o contraffatte, l'acquisto di monete contraffatte o alterate al fine della loro messa in circolazione.

• Alterazione di monete (art.454 c.p.): la fattispecie colpisce chiunque altera monete scemandone in qualsiasi modo il valore, ovvero, rispetto alle monete in tal modo alterate, commette uno dei fatti indicati nell' articolo precedente.

• Spendita e introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate la norma (art.455 c.p.):

la norma punisce chiunque fuori dei casi previsti dagli articoli precedenti introduce nel territorio dello Stato, acquisto o detiene monete contraffatte o alterate al fine di spenderle o metterle comunque in circolazione.

• Spendita di monete falsificate ricevute in buona fede (art.457 c.p.): il dettato normativo sanziona chi spende o mette altrimenti in circolazione monete contraffatte o alterate ricevute in buona fede.

• Falsificazione di valori di bollo, introduzione nello Stato, acquisto, detenzione o messa in circolazione di valori di bollo falsificati (art.459 c.p.): la norma punisce i comportamenti previsti dagli artt. 453, 455 e 457 c.p. anche in relazione alla contraffazione o alterazione di valori di bollo e alla introduzione nel territorio dello Stato, acquisto, detenzione e messa in circolazione di valori

(9)

di bollo contraffatti.

• Contraffazione di carta filigranata in uso per la fabbricazione di carte di pubblico credito o di valori di bollo (art.460 c.p.): la fattispecie incrimina la contraffazione della carta filigranata che si adopera per la fabbricazione delle carte di pubblico credito o di valori di bollo, nonché l'acquisto, la detenzione e l'alienazione di tale carta contraffatta.

• Fabbricazione o detenzione di filigrane o di strumenti destinati alla falsificazione di monete, di valori di bollo o di carta filigranata (art.461 c.p.): la norma punisce la fabbricazione, l'acquisto, la detenzione o l'alienazione di filigrane, strumenti informatici, o strumenti destinati esclusivamente alla contraffazione o alterazione di monete, valori di bollo o carta filigranata, nonché di ologrammi o di altri componenti della moneta destinati alla protezione contro la contraffazione o l'alterazione.

• Uso di valori di bollo contraffatti o alterati (art.464 c.p.): la fattispecie sanziona colui il quale, non essendo concorso nella contraffazione o nell’alterazione, fa uso di valori di bollo falsi o contraffatti.

4. I delitti contro l’industria ed il commercio nonché delitti di falsità in segni di riconoscimento L’art.15 comma 7 lett.b della legge 23 luglio 2009 n.99, con l’inserimento nel Decreto dell’art. 25 bis.1, ha previsto la responsabilità diretta dell’ente per alcuni delitti contro l’industria ed il commercio tipizzati dal codice penale quando commessi nel suo interesse od a suo vantaggio.

Per ragione di completezza, si illustrano di seguito anche i delitti di contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni nonché di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, previsti dall’art. 25 bis comma 1 lett. f-bis dalla legge 23 luglio 2009 n.99 con l’art. 17, comma 7, lettera a) n.3.

• Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni (art.473 c.p.): la norma incrimina chiunque contraffa o altera i marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, delle opere dell'ingegno o dei prodotti industriali, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati. Alla stessa pena soggiace chi contraffa o altera brevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati. Le disposizioni precedenti si applicano sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.

• Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 c.p.): la fattispecie sanziona chiunque, fuori dei casi di concorso nei delitti preveduti dall'articolo precedente, introduce nel territorio dello Stato per farne commercio, detiene per vendere, o pone in vendita, o mette altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali, con marchi o segni

(10)

distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati. Si applica la disposizione dell'ultimo capoverso dell'articolo precedente.

• Turbata libertà dell’industria o del commercio (art.513 c.p.): punisce, qualora il fatto non costituisce più grave reato, chiunque adopera violenza sulle cose ovvero mezzi fraudolenti per impedire o turbare l'esercizio di un'industria o di un commercio.

• Illecita concorrenza con minaccia o violenza (art. 513-bis. c.p.): punisce chiunque nell'esercizio di un'attività commerciale, industriale o comunque produttiva, compie atti di concorrenza con violenza o minaccia. La pena è aumentata se gli atti di concorrenza riguardano un'attività finanziaria in tutto o in parte ed in qualsiasi modo dallo Stato o da altri enti pubblici.

• Frodi contro le industrie nazionali (art. 514 c.p.): sanziona chiunque, ponendo in vendita o mettendo altrimenti in circolazione, sui mercati nazionali o esteri, prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi contraffatti o alterati, cagiona un nocumento all'industria nazionale. Se per i marchi o segni distintivi sono state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà industriale, la pena è aumentata e non si applicano le disposizioni degli articoli 473 e 474 c.p.

• Frodi nell’esercizio del commercio (art.515 c.p.): sanziona, qualora il fatto non costituisca più grave reato, chiunque nell’esercizio di una attività commerciale ovvero in uno spaccio aperto al pubblico consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità diversa da quella dichiarata o pattuita.

• Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine (art.516 c.p.): prevede la punibilità di chiunque pone in vendita o mette altrimenti in commercio come genuine sostanze alimentari non genuine.

• Vendita di prodotti industriali con segni mendaci (art.517 c.p.): punisce, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull'origine, provenienza o qualità dell'opera o del prodotto.

• Fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriali (art.517- ter c.p.): sanziona, salva l’applicazione degli articoli 473 e 474 c.p., chiunque, potendo conoscere dell’esistenza del titolo di proprietà industriale, fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso, ovvero chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i beni di cui sopra.

• Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari (art.517-quater c.p.): punisce chiunque contraffa o altera indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari e chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o

(11)

mette comunque in circolazione i medesimi prodotti con le indicazioni o denominazioni contraffatte.

5. - I reati societari

L’art.25-ter del Decreto, introdotto dall’art.3 del decreto legislativo 11 aprile 2002 n. 61 così come modificato dalla legge 27 maggio 2015 n. 69 (G.U. n.124 del 30-5-2015), in vigore con decorrenza dal 14/6/2015, prevede la responsabilità diretta dell’ente per specifiche fattispecie delittuose commesse4 da amministratori, direttori generali o liquidatori o da persone sottoposte alla loro vigilanza qualora il fatto non si fosse realizzato se essi avessero agito e vigilato in conformità agli obblighi inerenti alla loro carica.

In particolare, i reati che rilevano ai fini delle sanzioni di cui trattasi sono riconducibili a:

a) Ipotesi di falsità

• False comunicazioni sociali (artt. 2621, 2621-bis e 2621-ter, c.c.): in relazione alle società diverse da quelle emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione Europea, si realizza il delitto di false comunicazioni sociali, secondo il novellato art. 2621, c.c., qualora un soggetto investito di una carica sociale (amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori) o il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, espone consapevolmente nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo alla quale appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore. Analogo reato si configura se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi. A riguardo è necessario precisare che:

1. i fatti materiali falsi o omessi non sono da considerarsi “rilevanti” quando non alterano la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società oggetto di comunicazione ai soci o a terzi soggetti, dovendosi, pertanto, escludere le mere violazioni formali ma anche le comunicazioni interne rivolte esclusivamente ad organi sociali, della società o di società appartenenti al medesimo gruppo, o all’amministrazione finanziaria; non sono più previste soglie predeterminate di non punibilità; la fattispecie si configura come “reato di pericolo” anziché di danno, scomparendo ogni riferimento al requisito del danno patrimoniale causato alla società;

2. la comunicazione dei fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero (o la loro omissione)

4 Sempre nell’interesse o a vantaggio dell’ente.

(12)

oltre a possedere concreta idoneità ingannatoria (sono escluse, dunque, le condotte che non si traducono in una effettiva offesa del bene giuridico tutelato, fermo restando che non è più richiesta l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico) deve riguardare i fatti e gli accadimenti aziendali; è dubbio se riguardi anche le poste in bilancio che siano esito di processi valutativi, non più esplicitamente menzionati nel novellato art. 2621, c.c., pur dovendosi rilevare l’orientamento espresso da Cass. n. 23955 del 12 novembre 2015 circa la perdurante inclusione, nella fattispecie di reato, dei c.d. falsi valutativi. In ogni caso, vi deve sempre essere consapevolezza, da parte dell’agente, della non rispondenza al vero dei fatti materiali comunicati.

3. nel termine "comunicazioni sociali" sono anche comprese le dichiarazioni trasfuse nella gestione contabile con la finalità di alterare la verità;

4. si tratta di un “reato proprio” (in quanto realizzabile unicamente da soggetti qualificati sopra indicati), estendibile a soggetti diversi solo in caso di concorso di persone.

Il nuovo art. 2621-bis, c.c., prevede, poi, uno specifico regime attenuato del reato per lieve entità dell'illecito nonché uno specifico caso di non punibilità. Viene infatti prevista una sanzione inferiore

"se i fatti sono di lieve entità". La lieve entità viene valutata dal giudice, tenendo conto "della natura e delle dimensioni della società e delle modalità o degli effetti della condotta".

La stessa pena ridotta si applica nel caso in cui il falso in bilancio riguardi le società che non possono fallire (ovverosia, che non superano i limiti indicati dall'art. 1 co. 2 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267).

Il nuovo art. 2621-ter,c.c., stabilisce invece che, ai fini dell'applicazione della nuova causa di non punibilità per “particolare tenuità del fatto” di cui all’art. 131-bis, c.p., il giudice valuta "in modo prevalente l'entità dell'eventuale danno cagionato alla società, ai soci o ai creditori conseguente ai fatti di cui agli artt. 26121 e 2621-bis".

Si evidenzia, infine, che la L. n. 69/2015, modificando l'articolo 25-ter del d.lgs. n. 231 del 2001, è intervenuta sui criteri soggettivi di imputazione della responsabilità sopprimendo la precedente limitazione della cerchia dei possibili autori del fatto, da cui può discendere la responsabilità dell’ente, ai soli amministratori, direttori generali, liquidatori o persone sottoposte alla loro vigilanza;

con il superamento di tale limitazione assumono rilievo, anche ai fini del d.lgs. n. 231/2001, tutti i soggetti indicati dalla norma sostanziale di cui all’art. 2621, c.c.

• Falso in prospetto (art. 173-bis, d.lgs. 58/1998, come modificato dal d.lgs. n. 51/2007)

Tale fattispecie criminosa viene integrata, laddove, allo scopo di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei prospetti richiesti per l’offerta al pubblico di prodotti finanziari o l’ammissione alla quotazione nei mercati regolamentati, ovvero nei documenti da pubblicare in occasione delle offerte pubbliche di acquisto o di scambio, vangano esposte false informazioni od occultati dati o notizie in modo idoneo a indurre in errore i destinatari e con l’intenzione di ingannarli. Tale reato è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

Si tratta di un reato comune, che, dunque, può essere commesso da chiunque.

(13)

A tal riguardo, si segnala che l’articolo 2623, c.c. – come modificato nel 2002 – è stato abrogato dalla legge 262/2005 – che ha introdotto l’articolo 173-bis del d. lgs. 58/1998 – ma che, al contempo, l’articolo 25 ter – che all’articolo 2623, c.c. rinviava – non è stato testualmente aggiornato con il rinvio alla nuova fattispecie di “Falso in Prospetto” ex articolo 173 bis del d.

lgs. 58/1998.

Tuttavia, in via prudenziale, si ritiene che la previsione del decreto possa operare un rinvio recettizio all’ipotesi delittuosa di “Falso in Prospetto” e, dunque, automaticamente a quella di cui all’articolo 173 bis, del d. lgs. 231/2001.

b) Tutela del capitale sociale

• Formazione fittizia del capitale (art. 2632 c.c.): tale ipotesi si ha quando il capitale sociale risulta formato o aumentato fittiziamente mediante attribuzione di azioni o quote sociali per somma inferiore al loro valore nominale; oppure quando vengono sottoscritte reciprocamente azioni o quote; oppure quando vengono sopravvalutati in modo rilevante i conferimenti dei beni in natura, i crediti ovvero il patrimonio della società, nel caso di trasformazione.

La norma tende a penalizzare le valutazioni irragionevoli sia in correlazione alla natura dei beni valutati sia in correlazione ai criteri di valutazione adottati.

• Indebita restituzione dei conferimenti (art.2626 c.c.): il reato riguarda la tutela della integrità del capitale sociale e si compie allorché gli amministratori in assenza di legittima riduzione del capitale sociale, provvedano alla restituzione, anche simulata, dei conferimenti ai soci o alla liberazione degli stessi dall'obbligo di eseguirli.

• Illegale ripartizione degli utili e delle riserve (art.2627 c.c.): allo scopo di garantire l'integrità del patrimonio sociale la norma prevede alcune precise limitazioni circa la distribuzione di utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti.

Il reato consiste nella ripartizione di utili o acconti sugli utili non effettivamente conseguiti o destinati per legge a riserva, ovvero ripartizione di riserve, anche non costituite con utili, che non possono per legge essere distribuite.

La restituzione degli utili percepiti o la ricostituzione delle riserve indisponibili prima del termine previsto per l'approvazione del bilancio estingue il reato5.

• Illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante (art.2628 c.c.): il reato si perfeziona con l'acquisto o la sottoscrizione di azioni o quote sociali, quando tale condotta cagiona una lesione all'integrità del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge. La stessa pena si applica agli amministratori che, fuori dei casi consentiti dalla legge, acquistano o sottoscrivono azioni o quote emesse dalla società controllante, cagionando una lesione all'integrità

5 E’ bene sottolineare come la norma non indica chi debba concretamente provvedere alla restituzione. Con la riforma societaria, dal 1° gennaio 2004, è previsto che l'ammontare degli acconti su utili non deve superare il minore importo tra quello degli utili conseguiti dall'inizio dell'esercizio, al netto delle somme da destinarsi a riserva, e quello delle riserve disponibili

(14)

del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge.

Se il capitale sociale o le riserve sono ricostituiti prima del termine previsto per l'approvazione del bilancio, relativo all'esercizio in relazione al quale è stata posta in essere la condotta, il reato è estinto.

• Operazioni in pregiudizio dei creditori (art.2629 c.c.): la norma, che sanziona le azioni societarie in pregiudizio dei creditori, è posta a tutela della effettività ed integrità del capitale sociale, visto come garanzia patrimoniale nei confronti dei terzi.

Il reato, perseguibile a querela della persona offesa, si realizza con l'effettuazione, in violazione delle disposizioni di legge a tutela dei creditori, di operazioni di riduzione del capitale sociale o di operazioni di fusione con altra società o scissioni, che cagionano un danno ai creditori.

Il risarcimento del danno prima del giudizio estingue il reato.

c) Tutela del corretto funzionamento della società

• Impedito controllo (art. 2625 c.c. e art. 29, d. lgs. 39/2010) La condotta tipica di questo reato – adesso delineata dall’articolo 2625, c.c. e dall’articolo 29 del d. lgs. 39/2010 per quanto attiene ai revisori legali6 – consiste nell’impedire o nell’ostacolare, mediante occultamento di documenti o altri idonei artifici, lo svolgimento delle attività di controllo o di revisione legalmente attribuite ai soci, agli organi sociali, al soggetto incaricato del controllo contabile e/o al revisore legale.

Soggetti attivi del reato sono i componenti del Consiglio di Amministrazione. Il reato di cui agli articoli 2625, c.c., e 29, d. lgs. 39/2010, si considera rilevante ai fini del D.lvo 231/01, tuttavia, unicamente nell’ipotesi in cui l’impedimento, o il semplice ostacolo, creato dai componenti il Consiglio di Amministrazione alle verifiche di cui sopra, abbia procurato un danno ai soci.

• Illecita influenza sull'assemblea (art.2636 c.c.): la "condotta tipica" prevede che il reato si integra nel momento in cui con atti simulati o con frode si determini una maggioranza in assemblea allo scopo di conseguire, per sé o per altri, un ingiusto profitto, maggioranza che non vi sarebbe stata qualora si fossero dedotti dai voti totali i voti illecitamente ottenuti.

d) Tutela contro le frodi.

• Aggiotaggio (art.2637 c.c.): la norma punisce chiunque diffonde notizie false ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici, concretamente idonei a cagionare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati o per i quali non è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato, ovvero, ad incidere in modo significativo sull’affidamento del pubblico nella stabilità patrimoniale di banche o gruppi bancari. Anche in questo caso, si tratta di reato “comune”.

6 Si ritiene che l’abrogazione dall’articolo 2625, c.c. dei riferimenti ai revisori e l’introduzione dell’art. 29, d.lgs. 39/2010, possa determinare un rinvio recettizio dell’articolo 25 ter del Decreto alle previsioni del medesimo art. 29.

(15)

e) Tutela delle funzioni di vigilanza.

• Ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (art.2638 c.c.):

La condotta criminosa si realizza attraverso l'esposizione nelle comunicazioni alle autorità di vigilanza previste dalla legge, al fine di ostacolarne le funzioni, di fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei soggetti sottoposti alla vigilanza, ovvero con l'occultamento con altri mezzi fraudolenti, in tutto o in parte, di fatti che avrebbero dovuto essere comunicati, concernenti la situazione medesima. Si tratta di un reato tipico la cui commissione è imputabile agli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di enti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza.

• Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni dei responsabili della revisione legale (art. 2624 c.c.; d. lgs. n. 39/2010)

Secondo l’articolo 2624, c.c., tale ipotesi delittuosa si verifica laddove i “responsabili della revisione” attestino il falso ovvero occultino informazioni concernenti la situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, con l’intenzione di ingannare i destinatari e con la consapevolezza della falsità. La sanzione è più grave se la condotta ha cagionato un danno patrimoniale ai destinatari delle comunicazioni.

I componenti del Consiglio di Amministrazione, i sindaci e il direttore generale possono rispondere eventualmente a titolo di concorso.

A tal riguardo, si segnala che il decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, ha espressamente abrogato l’articolo 2624, c.c. ed ha espunto dagli articoli 2625 c.c. (impedito controllo) e 2635 c.c. (infedeltà patrimoniale a seguito di dazione o promessa di utilità) tutti i riferimenti alle società di revisione e ai responsabili della revisione.

Segnatamente, in relazione al reato di falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni dei responsabili della revisione legale, il decreto n. 39/2010 così oggi dispone:

“Art. 27 (Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni dei responsabili della revisione legale) 1. I responsabili della revisione legale i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nelle relazioni o in altre comunicazioni, con la consapevolezza della falsità e l'intenzione di ingannare i destinatari delle comunicazioni, attestano il falso od occultano informazioni concernenti la situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, ente o soggetto sottoposto a revisione, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni sulla predetta situazione, sono puniti, se la condotta non ha loro cagionato un danno patrimoniale, con l'arresto fino a un anno.

2. Se la condotta di cui al comma 1 ha cagionato un danno patrimoniale ai destinatari delle comunicazioni, la pena è della reclusione da uno a quattro anni.

3. Se il fatto previsto dal comma 1 è commesso dal responsabile della revisione legale di un ente di interesse pubblico, la pena è della reclusione da uno a cinque anni.

(16)

4. Se il fatto previsto dal comma 1 è commesso dal responsabile della revisione legale di un ente di interesse pubblico per denaro o altra utilità data o promessa, ovvero in concorso con gli amministratori, i direttori generali o i sindaci della società assoggettata a revisione, la pena di cui al comma 3 è aumentata fino alla metà.

5. La pena prevista dai commi 3 e 4 si applica a chi dà o promette l'utilità nonché ai direttori generali e ai componenti dell'organo di amministrazione e dell'organo di controllo dell'ente di interesse pubblico assoggettato a revisione legale, che abbiano concorso a commettere il fatto.”

Si ritiene, in via prudenziale, che l’abrogazione dell’articolo 2624, c.c. possa determinare un rinvio recettizio dell’articolo 25-ter alle previsioni testé riportate dell’art. 27 del d.lgs. 39/20107. f) Operazioni realizzate dai liquidatori.

• Indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori (art.2633 c.c.): il reato -che può essere compiuto esclusivamente dai liquidatori- si perfeziona con la ripartizione di beni sociali tra i soci prima del pagamento dei creditori sociali o dell'accantonamento delle somme necessarie a soddisfarli, quando a tali condotte segue un danno ai creditori stessi. Anche in questa ipotesi delittuosa il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato.

g) Omesse comunicazioni.

Omessa comunicazione del conflitto di interessi (art. 2629-bis c.c.): il reato - che può essere

7 Quanto ai restanti reati, non espressamente richiamati dal Decreto n. 231/2001, il d. lgs. 39/2010 – che, al riguardo, ha abrogato gli articoli da 174 bis a 179 del d. lgs. n. 58/1998 – oggi così dispone:

Art. 28 (Corruzione dei revisori)

1. I responsabili della revisione legale, i quali, a seguito della dazione o della promessa di utilità, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione sino a tre anni. La stessa pena si applica a chi dà o promette l'utilità.

2. Il responsabile della revisione legale e i componenti dell'organo di amministrazione, i soci, e i dipendenti della società di revisione legale, i quali, nell'esercizio della revisione legale dei conti degli enti di interesse pubblico o delle società da queste controllate, fuori dei casi previsti dall'articolo 30, per denaro o altra utilità data o promessa, compiono od omettono atti in violazione degli obblighi inerenti all'ufficio, sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni. La stessa pena si applica a chi dà o promette l'utilità.

3. Si procede d'ufficio.

Art. 29 (Impedito controllo)

1. I componenti dell'organo di amministrazione che, occultando documenti o con altri idonei artifici, impediscono o comunque ostacolano lo svolgimento delle attività di revisione legale sono puniti con l'ammenda fino a settantacinquemila euro.

2. Se la condotta di cui al comma 1 ha cagionato un danno ai soci o a terzi, si applica la pena dell'ammenda fino a settantacinquemila euro e dell'arresto fino a diciotto mesi.

3. Nel caso di revisione legale di enti di interesse pubblico, le pene di cui ai commi 1 e 2 sono raddoppiate.

4. Si procede d'ufficio.

Art. 30 (Compensi illegali)

1. Il responsabile della revisione legale e i componenti dell'organo di amministrazione, i soci, e i dipendenti della società di revisione legale, che percepiscono, direttamente o indirettamente, dalla società assoggettata a revisione legale compensi in denaro o in altra forma, oltre quelli legittimamente pattuiti, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da euro mille a euro centomila.

2. La stessa pena si applica componenti dell'organo di amministrazione, ai dirigenti e ai liquidatori della società assoggettata a revisione legale che hanno corrisposto il compenso non dovuto.

Art. 31 (Illeciti rapporti patrimoniali con la società assoggettata a revisione)

1. Gli amministratori, i soci responsabili della revisione legale e i dipendenti della società di revisione che contraggono prestiti, sotto qualsiasi forma, sia direttamente che per interposta persona, con la società assoggettata a revisione o con una società che la controlla, o ne è controllata, o si fanno prestare da una di tali società garanzie per debiti propri, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da euro 206 a euro 2.065.

Art. 32 (Disposizioni comuni)

1. Se dai fatti previsti dagli articoli 27, commi 3, 4 e 5, 28, comma 2, 30 e 31 deriva alla società di revisione legale o alla società assoggettata a revisione un danno di rilevante gravità, la pena è aumentata fino alla metà.

2. La sentenza penale pronunciata a carico dei responsabili della revisione legale, dei componenti dell'organo di amministrazione, dei soci, e dei dipendenti della società di revisione legale per i reati commessi nell'esercizio della revisione legale è comunicata al Ministero dell'economia e delle finanze e alla Consob a cura del cancelliere dell'autorità giudiziaria che ha emesso la sentenza.

(17)

compiuto esclusivamente dall’amministratore o dal componente del consiglio di gestione di una società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altro Stato dell’Unione Europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’art.116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.58, ovvero di un soggetto sottoposto a vigilanza ai sensi del testo unico di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993, n.385, o del decreto legislativo 21 aprile 1993, n.124- si perfeziona con la violazione degli obblighi previsti dall’art.2391 comma 1 c.c.

h) Ipotesi di corruzione tra privati (art. 2635 c.c.)

• Corruzione tra privati (art. 2635 c. c.)

Il reato di corruzione tra privati, come introdotto dalla Legge n. 190 del 6.11.2012 mediante novella dell’art. 2635 c.c. e riformulato dal Decreto legislativo n. 38 del 15/03/2017, si configura allorquando gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, di società o enti privati, anche per interposta persona, sollecitano o ricevono, per sé o per altri, denaro o altra utilità non dovuti, o ne accettano la promessa, per compiere o per omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà.

La nuova formulazione della fattispecie normativa in questione estende, rispetto alla precedente, il novero dei soggetti attivi, includendo tra gli autori del reato, oltre a coloro che rivestono posizioni apicali di amministrazione o di controllo, anche coloro che svolgono attività lavorativa con l’esercizio di funzioni direttive presso società o enti privati.

Il reato, inoltre, si configura anche se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o vigilanza dei predetti soggetti, ma la pena è ridotta.

Rispetto al previgente, nel nuovo testo scompare il riferimento alla necessità che la condotta «cagioni nocumento alla società», con conseguente trasformazione della fattispecie da reato di danno a reato di pericolo.

Vengono inoltre ampliate le condotte attraverso cui si perviene all’accordo corruttivo, includendo nella corruzione passiva la richiesta del denaro seguita dalla effettiva promessa o dazione ed estendendo la corruzione attiva all’offerta di denaro o altre utilità da parte di colui che è estraneo alla società.

Inoltre, sia nell’ipotesi attiva che in quella passiva, la commissione della condotta può avvenire anche per interposta persona.

• Istigazione alla corruzione tra privati (art. 2635 bis c. c.)

Il primo comma dell'art. 2365-bis, rubricato "Istigazione alla corruzione tra privati", prevede la punibilità di chiunque offre o promette denaro o altra utilità alle stesse categorie di persone indicate dall'art. 2365 che operano in società o enti privati, affinché compia od ometta un atto in violazione degli obblighi inerenti al proprio ufficio o degli obblighi di fedeltà.

(18)

6 - I delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico

L’art. 25-quater del Decreto, introdotto dall’art.3 della legge 14 gennaio 2003 n.7, individua la responsabilità dell’ente in relazione alla commissione dei delitti aventi finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, previsti dal codice penale e dalle leggi speciali o che siano comunque stati posti in essere in violazione di quanto previsto dall'articolo 2 della Convenzione Internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo siglata a New York il 9/12/1999.

a) Delitti del codice penale e di leggi speciali richiamati dall'art. 25-quater del Decreto

• Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico (art.270-bis c.p.):punisce chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico e, in modo più mite, i meri partecipanti a tali associazioni.

La finalità di terrorismo ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro uno Stato estero, un'istituzione o un organismo internazionale.

• Attentato per finalità terroristiche o di eversione (art.280c.p.): sanziona la condotta di chiunque per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico attenta alla vita od alla incolumità di una persona. Fattispecie aggravate ricorrono qualora dalla commissione del delitto derivino una lesione grave o gravissima, o addirittura la morte della vittima, nonché laddove l'attentato sia rivolto contro persone che esercitano funzioni giudiziarie o penitenziarie ovvero di sicurezza pubblica nell'esercizio o a causa delle loro funzioni.

• Atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi (art.280-bis c.p.): incrimina la condotta di chi, salvo che il fatto costituisca più grave reato, per finalità di terrorismo compie qualsiasi atto diretto a danneggiare cose mobili od immobili altrui, mediante l'uso di dispositivi esplosivi o comunque micidiali, ossia di armi e materie ad esse assimilate indicate nell'articolo 585 del codice penale8 e idonee a causare importanti danni materiali. Costituiscono ipotesi aggravate i fatti diretti contro organi di rango costituzionale previsti dal nostro ordinamento, nonché quelli che abbiano cagionato pericolo per l'incolumità pubblica ovvero un grave danno per l'economia nazionale.

• Sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione (art. 289-bis c.p.): punisce chiunque, per finalità di terrorismo o di eversione ordine democratico sequestra una persona. La pena è più elevata qualora dal sequestro derivi comunque la morte della persona sequestrata, ed inferiore per il concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adoperi in modo che il soggetto passivo riacquisti la libertà.

b) Delitti di cui all’art. 2 della convenzione internazionale di New York del 9 dicembre 1999 per la repressione del finanziamento del terrorismo, richiamati dall’art. 25-quater del Decreto.

In base all’art. 2 della convenzione di New York del 9 dicembre 1999, ratificata con legge 14 gennaio

8 Il quale ai commi 2 e 3 così dispone: "Agli effetti della legge penale, per armi s'intendono: l. quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l'offesa alla persona; 2. tutti gli strumenti atti ad offendere, dei quali è dalla legge vietato il porto in modo assoluto, ovvero senza giustificato motivo.

Sono assimilate alle armi le materie esplodenti e i gas asfissianti o accecanti" .

(19)

2003, n. 7, commette un reato ai sensi della convenzione medesima chiunque deliberatamente eroghi o raccolga fondi al fine o nella consapevolezza di un loro impiego, anche parziale, per realizzare un atto qualificato criminoso a norma di uno dei trattati internazionali richiamati in allegato alla convenzione, ovvero, qualsiasi altro atto inteso a cagionare la morte o lesioni gravi di persone non attivamente coinvolte in situazioni di conflitto armato, quando tale atto è per sua natura o per il contesto di riferimento rivolto a diffondere il panico in una nazione, ovvero a costringere un governo o un'organizzazione internazionale a fare o a non fare qualcosa.

7 - Le pratiche di mutilazione femminile

La legge 9 gennaio 2006, n. 7, in vigore dal 2 febbraio 2006, recante “Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile” ha previsto la responsabilità dell’ente con l’inserimento dell’art. 25-quater 1 , laddove, nell’interesse o vantaggio di questo, vengono commessi i fatti di cui all’art.583-bis c.p.9 e specificamente venga cagionata una mutilazione degli organi genitali femminili ovvero vengano provocate, al fine di menomare le funzioni sessuali, lesioni agli organi genitali femminili diverse da quelle indicate al primo comma, da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente.

8 - Delitti contro la personalità individuale

L’art.5 della legge 11 agosto 2003, n. 228, ha introdotto, nel d. lgs. n. 231/2001 l’art. 25-quinquies, che estende il numero dei reati presupposto della responsabilità degli enti anche alle ipotesi di commissione di delitti contro la personalità individuale, quali lo sfruttamento della prostituzione, la pornografia minorile, la riduzione e mantenimento in schiavitù e la tratta di persone10.

9 Art.583-bis c.p.:Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili: “Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili è punito con la reclusione da quattro a dodici anni. Ai fini del presente articolo, si intendono come pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili la clitoridectomia, l'escissione e l'infibulazione e qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo.Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, provoca, al fine di menomare le funzioni sessuali, lesioni agli organi genitali femminili diverse da quelle indicate al primo comma, da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre a sette anni. La pena è diminuita fino a due terzi se la lesione è di lieve entità.

La pena è aumentata di un terzo quando le pratiche di cui al primo e al secondo comma sono commesse a danno di un minore ovve ro se il fatto è commesso per fini di lucro.

Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì quando il fatto è commesso all'estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia, ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia. In tal caso, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia ”.

10 Art.600 c.p.: “Riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù: Chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovvero chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all'accattonaggio o comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento, è punito con la reclusione da otto a venti anni. La riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione ha luogo quando la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti di cui al primo comma sono commessi in danno di minore degli anni diciotto o sono diretti allo sfruttamento della prostituzione o al fine di sottoporre la persona offesa al prelievo di organi.”. Art.600-bis c.p.:

“Prostituzione minorile: Chiunque induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto ovvero ne favorisce o sfrutta la prostituzione è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 15.493 a euro 154.937.Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 5.164.Nel caso in cui il fatto di cui al secondo comma sia commesso nei confronti di persona che non abbia compiuto gli anni sedici, si applica la pena della reclusione da due a cinque anni. Se l'autore del fatto di cui al secondo comma è persona minore di anni diciotto si applica la pena della reclusione o della multa, ridotta da un terzo a due terzi ”. Art.601 c.p.: “Tratta di persone:

Chiunque commette tratta di persona che si trova nelle condizioni di cui all'articolo 600 ovvero, al fine di commettere i delitti di cui al primo comma del medesimo articolo, la induce mediante inganno o la costringe mediante violenza, minaccia, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante promessa o dazione di somme di denaro o di altri vantaggi alla persona che su

Riferimenti

Documenti correlati

Nello svolgimento dell’attività, nel rapporto con i diversi portatori di interesse (stakehol- der) e verso terzi, nelle comunicazioni sia interne che esterne, nella rendicontazione

❖ a curare, adeguando la propria azione anche ai principi espressi in materia di risorse umane e di politica occupazionale, la formazione iniziale e continua

a) la vigilanza e il controllo sul rispetto dei principi del MOG e sull’applicazione delle procedure in esso previste. L’attività in oggetto potrà avvenire

Step 2.4 Deposito Online  Riepilogo e Invio  Apposizione della Firma da parte degli altri Aventi Diritto. Gli

Il presente documento, denominato “Statuto dell’Organismo di Vigilanza”, è stato adottato dalla Società contestualmente all’approvazione del Modello di Organizzazione,

I dipendenti di Generali Real Estate SGR S.p.A. sono tenuti all’osservanza delle disposizioni e delle regole comportamentali previste dal Modello e degli obblighi previsti

Costituisce sempre illecito disciplinare la violazione delle singole disposizioni e regole comportamentali di cui al Modello e di cui alle “Norme Disciplinari” in vigore da

Tutte le informazioni, i dati, le conoscenze acquisite, elaborate e gestite dai collaboratori nell’esercizio della propria attività lavorativa appartengono