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QUANTIFICAZIONE DELL INDENNITÀ DI LICENZIAMENTO PER I LAVORATORI DISABILI: VIOLAZIONE DEL DIVIETO DI DISCRIMINAZIONE

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QUANTIFICAZIONE DELL’INDENNITÀ DI LICENZIAMENTO PER I LAVORATORI DISABILI: VIOLAZIONE DEL DIVIETO DI

DISCRIMINAZIONE

La Corte di Giustizia CE, con la sentenza C-152/11 del 6 dicembre 2012, fornisce indicazioni sulla corretta applicazione, all’interno degli Stati membri, del principio di parità di trattamento in tema di occupazione e condizioni di lavoro, così come regolamentato dalla direttiva 2000/78/CE.

Nello specifico, la Corte è chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità della definizione, mediante un piano sociale di previdenza sociale, di particolari ipotesi di riduzione dell’indennità di licenziamento (in virtù di un calcolo alternativo a quello regolare) per i lavoratori prossimi all’età pensionabile, senza che tali previsioni risultino contrarie al diritto UE.

L’individuazione, da parte di una normativa contenuta in un regime aziendale di previdenza sociale, di criteri di calcolo che riducono l’indennità in funzione dell’anzianità del lavoratore è conforme al dettato normativo, mentre considerare, ai fini della quantificazione dell’importo della stessa indennità, la possibilità di un pensionamento anticipato per le persone affette da handicap, costituisce una palese discriminazione contraria al diritto dell’Unione.

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IL CASO

Nella causa C-152/11 del 6 dicembre 2012, sono fornite alcune precisazioni circa la corretta attuazione della direttiva CE n. 2000/78/CE, contenente i principi generali relativi alla realizzazione della parità di trattamento in tema di occupazione e di condizioni di lavoro all’interno dei Paesi dell’Unione.

Il caso concreto riguarda una controversia sorta al termine del 2009 tra un cittadino austriaco di cinquantanove anni, portatore di handicap grave, e l’azienda tedesca presso la quale lavorava, riguardo la determinazione dell’importo dell’indennità di licenziamento da questi percepita in ragione del piano di previdenza sociale, concluso tra l’impresa ed il suo consiglio aziendale.

Tale accordo viene stipulato sulla base della legislazione interna, che ammette alcune disparità di trattamento se giustificate da una finalità legittima, quale la tutela di categorie di lavoratoti più svantaggiati.

In virtù di tale piano, il calcolo dell’indennità nei confronti dei lavoratori con età superiore a 54 anni (licenziati per esigenze aziendali o per risoluzione consensuale) non viene effettuato in base al metodo regolare, bensì utilizzando un criterio alternativo, in quanto prossimi al conseguimento del diritto alla pensione.

L’importo della somma spettante al dipendente è determinato in funzione della prima data utile per il pensionamento e, di conseguenza, risulta di molto inferiore rispetto a quello che sarebbe spettato all’interessato in caso di utilizzo del metodo generale di computo dell’indennità.

Inoltre, secondo il metodo incriminato, il calcolo risulta condizionato anche dalla possibilità di percepire una pensione di vecchiaia anticipata in ragione di un handicap grave, poiché in tale eventualità è questa la data di riferimento per determinare la somma da liquidare.

Nello specifico, il lavoratore può vantare nei confronti del sistema tedesco di assicurazione pensionistica il diritto ad una pensione di vecchiaia ordinaria all’età di 65 anni (dal 1° agosto 2015) e, in quanto disabile, gli spetta il beneficio di una pensione di invalidità grave all’età di 60 anni compiuti (dal 1° agosto 2010).

Tali requisiti per il pensionamento vengono considerati dall’ex datore di lavoro per corrispondere al lavoratore un somma inferiore a titolo di indennità di licenziamento, in quanto per il calcolo della stessa viene applicata, conformemente alle previsioni del piano sociale, la formula alternativa e non quella regolare.

In tal modo, secondo il ricorrente, si concretizza un pregiudizio in ragione dell’età e della disabilità e, pertanto, viene chiesto al tribunale del lavoro tedesco di condannare la controparte al versamento dell’indennità supplementare spettante.

Il giudice nazionale, prima di pronunciarsi sulla controversia, sollecita l’intervento della Corte UE per ricevere indicazioni sulla corretta interpretazione delle disposizioni comunitarie, relative alla parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro (direttiva 2000/78/CE) e sulla compatibilità della normativa nazionale con tali previsioni.

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CONTESTO NORMATIVO EUROPEO DI RIFERIMENTO

In merito alla risoluzione del caso in esame, dunque, sono indispensabili alcuni chiarimenti sull’attuazione concreta del principio della parità di trattamento fra cittadini della Comunità europea, che comporta l’esclusione di qualsiasi discriminazione, anche in ambito di occupazione e di condizioni di lavoro (compresi i presupposti di licenziamento e la retribuzione), dovuta a ragioni quali il credo religioso, le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali (articolo 1 della direttiva 2000/78/CE).

I principi comunitari sono finalizzati alla promozione di un mercato del lavoro che favorisca l’inserimento sociale, la solidarietà e la libera circolazione delle persone e, pertanto, è necessario che i singoli Stati membri realizzino politiche contrarie a qualsiasi forma di discriminazione diretta o indiretta, anche e soprattutto nei confronti dei cittadini portatori di handicap.

A tale proposito, secondo l’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2000/78 sussiste discriminazione:

 diretta, qualora, in ragione dei motivi di cui sopra, una persona viene trattata in modo meno favorevole di quanto sia, sia stata o sarebbe stata trattata un’altra persona in una situazione analoga;

 indiretta, se l’apparente neutralità di una disposizione, di un criterio o di una prassi può creare in realtà situazioni sfavorevoli ad alcune persone, soltanto, ad esempio, perché professano una determinata religione, hanno una particolare età, sono stati colpiti da disabilità. Tuttavia, la normativa UE ammette tali ipotesi

 in presenza di una finalità legittima, realizzata tramite mezzi appropriati e necessari, oppure

 nel caso di disabili, qualora la legislazione nazionale imponga al datore di lavoro l’adozione di misure adeguate ad ovviare agli svantaggi derivanti da una disposizione, da un criterio o da una prassi.

Infatti, la direttiva (articolo 6, paragrafo 1) prevede che

“(…) gli Stati membri possono prevedere che le disparità di trattamento in ragione dell’età non costituiscano discriminazione laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari.”

Nell’ambito delle disparità “consentite” va ricompresa anche la definizione di condizioni speciali di occupazione e di lavoro, incluse le condizioni di licenziamento e di retribuzione, per i giovani, i lavoratori anziani e i lavoratori con persone a carico, al fine di agevolarne l’inserimento professionale o la loro protezione.

Ai Paesi UE viene raccomandato (art. 16), comunque, di attivarsi per:

 l’abrogazione di tutte le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative cha vìolano il principio della parità di trattamento;

 dichiarare nulle e prive di effetto, oppure modificare, le norme contrarie al principio della parità presenti nei contratti di lavoro o nei contratti collettivi.

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LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI

Con riferimento alla richiesta del ricorrente di veder riconosciuto il proprio diritto alla corretta quantificazione dell’indennità di licenziamento, in conformità del principio di parità di trattamento, il giudice rinvia la propria decisione, in attesa di conoscere il parere della Corte CE sulla compatibilità delle disposizioni interne al dettato normativo europeo, in tema di divieto di discriminazione (articoli 1 e 6 della direttiva 2000/78).

Le prime due questioni pregiudiziali avanzate dal giudice tedesco riguardano l’ammissibilità, da parte di una normativa nazionale, di prevedere una disparità di trattamento in ragione dell’età qualora le parti sociali, nell’ambito di un regime aziendale di previdenza sociale, stabiliscano l’esclusione dal beneficio delle prestazioni dovute in base al piano sociale i lavoratori garantiti sotto il profilo economico, dal momento che gli stessi, dopo l’eventuale godimento di un sussidio di disoccupazione, hanno diritto alla pensione.

In caso contrario, si chiede se sia riscontrabile una violazione del divieto di discriminazione:

 in base all’età (articoli 1 e 16 della direttiva 2000/78) o se tale diversità di trattamento sia giustificata ai sensi della normativa comunitaria (articolo 6, paragrafo 1, della direttiva);

 in ragione di un handicap ai sensi dei criteri fissati dalla direttiva (articoli 1 e 16).

In subordine è richiesto il parere della Corte in merito alla contrarietà (o meno) al divieto di discriminazione di una disposizione contenuta in un regime aziendale di previdenza sociale, che preveda, riguardo ai lavoratori di età superiore ai 54 anni licenziati per esigenze aziendali, l’adozione di un calcolo alternativo dell’indennità di liquidazione sulla base della prima data utile per il pensionamento, e stabilisca inoltre che, rispetto al metodo di calcolo regolare (fondato sulla durata dell’anzianità di servizio), vada versata l’indennità di importo inferiore (comunque non inferiore alla metà dell’indennità regolare).

Nello specifico, sono richiesti chiarimenti circa

 la violazione del divieto di discriminazione in ragione dell’età o la liceità di una siffatta discriminazione alla luce della direttiva CE (articolo 6, paragrafo 1);

 la possibilità, nel caso di utilizzo del metodo di calcolo alternativo, di fare riferimento ad una pensione di vecchiaia versata in forza di un handicap, o se ciò costituisca un comportamento discriminatorio.

LA SOLUZIONE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA CE

In via preliminare, con riferimento alle prime due questioni, la Corte dichiara l’impossibilità di una sua pronuncia, in quanto risulta evidente che l’interpretazione del diritto comunitario richiesta dal giudice del rinvio non ha alcun fondamento rispetto alla controversia in oggetto, dal momento che la questione prospettata è ipotetica ed astratta e non sussistono elementi di fatto e di diritto per poter esprimere un parere nel merito.

Infatti, il lavoratore, in base alla normativa nazionale, non viene escluso dal beneficio delle prestazioni dovute, bensì lo stesso lamenta un’ingiustificata riduzione

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dell’importo dell’indennità di licenziamento, in ragione di una violazione del principio di parità di trattamento.

La Corte sottolinea che, riguardo la disposizione per cui l’indennità è quantificata e graduata secondo l’età del beneficiario, le parti sociali devono rispettare i principi contenuti nella direttiva 2000/78.

Nel caso specifico, sussiste una discriminazione di trattamento fondato sull’età del lavoratore che, tuttavia, può essere ritenuta lecita, qualora

 sia ragionevolmente giustificata dal diritto nazionale per la realizzazione di una finalità legittima, quali specifici obiettivi di politica del lavoro e di formazione professionale ed

 i mezzi per il raggiungimento di tale finalità risultino appropriati e necessari.

A titolo esemplificativo, la tutela dei lavoratori più giovani ed il loro reinserimento professionale, nell’ottica di un’equa ripartizione delle limitate risorse finanziarie di un piano sociale, costituiscono ipotesi ammesse di deroga al principio della parità di trattamento, rientranti nelle previsioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1 della direttiva.

Pertanto, al fine di realizzare tali finalità mediante il piano di previdenza sociale stipulato dalle parti, la prevista riduzione dell’indennità di licenziamento per i lavoratori prossimi al pensionamento non deve ritenersi irragionevole. Secondo la Corte, quindi, la normativa nazionale, relativa al regime aziendale di previdenza sociale, non risulta contraria ai principi comunitari (articoli 1, paragrafo 2, e articolo 6, paragrafo 1 della direttiva).

Anche rispetto alla quantificazione dell’indennità nei confronti di un lavoratore disabile rispetto agli altri beneficiari, è necessario verificare la sussistenza o meno di una discriminazione di trattamento, giustificabile in base ad una previsione del diritto nazionale conforme al dettato normativo comunitario.

La Corte rileva che è riscontrabile una discriminazione fondata sull’handicap, qualora la misura controversa non sia giustificata da fattori oggettivi estranei ad un trattamento sfavorevole.

Nel caso in esame, le parti sociali nel perseguire una giusta ripartizione delle limitate risorse finanziarie destinate ad un piano sociale e proporzionato rispetto alle esigenze dei lavoratori coinvolti, non hanno considerato gli elementi concernenti i soggetti portatori di handicap, quali la maggiore difficoltà di un reinserimento nel mercato del lavoro.

In conclusione, la corresponsione di un’indennità ridotta ai soggetti disabili determina un eccessivo pregiudizio ai legittimi interessi di tali lavoratori e non può essere in alcun modo giustificata dalla realizzazione degli obiettivi di politica sociale del legislatore. Pertanto, la normativa nazionale è contraria ai principi comunitari di cui alla direttiva 2000/78.

CONSIDERAZIONI NORMATIVE

Qualsiasi atto discriminatorio nei confronti dei cittadini e dei lavoratori dell’Unione deve essere accertato ed eventualmente sanzionato da parte del giudice nazionale.

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Il nostro ordinamento, nel rispetto della disciplina comunitaria, applica e tutela il rispetto del principio della parità di trattamento nei confronti di tutti i lavoratori, relativamente all’occupazione e alle condizioni di lavoro (D.Lgs n. 215 e n. 216 del 2003 di attuazione delle direttive 2000/43 e 2000/78): razza, origine etnica, religione, convinzioni personali, handicap, età ed orientamento sessuale non devono essere motivo di trattamenti discriminatori.

Dunque trova applicazione il divieto di ogni discriminazione diretta ed indiretta, intese rispettivamente come

 qualsiasi atto, patto, comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando i lavoratori sulla base di caratteristiche non professionali;

 comportamenti o atti apparentemente neutri, che mettono alcuni lavoratori in una posizione di particolare svantaggio, rispetto agli altri lavoratori in ragione di caratteristiche non professionali.

In definitiva, conformemente alle previsioni comunitarie, il legislatore italiano ammette,

 purché oggettivamente e ragionevolmente giustificate da finalità legittime ed

 in presenza di mezzi appropriati per il raggiungimento delle finalità di politica sociale,

le disposizioni che stabiliscono trattamenti differenziati in virtù dell’età dei lavoratori e, in particolare, che disciplinano condizioni speciali di accesso all’occupazione e alla formazione, di occupazione e di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e di retribuzione, per i giovani, i lavoratori anziani, al fine di favorirne l’inserimento professionale o di assicurarne la tutela.

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