• Non ci sono risultati.

La strada del bene comune

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "La strada del bene comune"

Copied!
10
0
0

Testo completo

(1)

Cos’è l’uguaglianza nel XXI secolo? A un anno dallo scoppio della pandemia cosa ci attende?

“Uguaglianza” è una parola concreta, che la pandemia ha reso ancor più significativa nella sua declinazione negativa. Le disuguaglianze, infatti, sono cresciute, anche drammaticamente. Questo e molto altro, come sempre a tutto campo nel nuovo numero della rivista Arel [l’intero numero è scaricabile da chi l’acquista o dagli abbonati, per essere successivamente pubblicato su carta e diffuso nelle principali librerie Feltrinelli]. Proponiamo qui di seguito uno degli articoli del numero.

Ringraziamo la direzione e la redazione di Arel per la gradita cortesia, che rinnova l’ormai consolidata collaborazione tra le due riviste.

Come ogni vero bene comune, la strada stessa era il risultato delle persone che ci vivevano e rendevano vivibile quello spazio. […] Ora le strade non sono più per le persone. Sono strade per automobili, autobus, taxi e camion. Le persone per le strade sono a malapena tollerate, a meno che non stiano andando a una fermata dell’autobus. Se ora si sedessero o si fermassero per strada, diventerebbero ostacoli per il traffico e il traffico pericoloso per loro. La strada è stata declassata da bene comune a risorsa semplice per la circolazione dei veicoli.

[Ivan Illich, Silence is a Common, The Coevolution Quarterly, 1983].

Prodotti uguali significa prodotti in serie, con il minor numero possibile di difetti che nel settore

(2)

L’uguaglianza tra due valori, perciò, può esser spesso utilizzata in triplice accezione: a favore di una riduzione delle differenze fino al trionfo dell’omologazione; a favore del riconoscimento e del rinforzo di un gruppo di pari con conseguente discredito dell’Altro; o un’uguaglianza fondata sulla diversità, un’uguaglianza da perseguire “nonostante la diversità”, proprio in virtù di essa.

ytali è una rivista indipendente. Vive del lavoro volontario e gratuito di giornalisti e collaboratori che quotidianamente s’impegnano per dare voce a un’informazione approfondita, plurale e libera da vincoli. Il

sostegno dei lettori è il nostro unico strumento di autofinanziamento. Se anche tu vuoi contribuire con una donazione clicca QUI

Il criterio adottato nell’analisi pone dunque le basi nell’uguaglianza da intendersi come “rapporto di sostituibilità tra due termini”, da perseguire però “nonostante la diversità”. Se A dovrà

raggiungere un luogo e B dovrà raggiungere un luogo, A e B nel rapporto di sostituibilità tra due termini dovranno raggiungere le rispettive destinazioni “nonostante le diversità” delle condizioni di partenza. Un’uguaglianza sociale da realizzare, piuttosto che con criteri uniformi, con criteri corrispondenti alle necessità dei territori, dei singoli segmenti di popolazione, dei bisogni degli A, dei B, dei C… Un’uguaglianza nei “mezzi” che, se perseguita nel futuro prossimo, diverrebbe coniugabile con la transizione ecologico-ambientale che attende al prossimo secolo. Politica pubblica pressoché imperdibile, e spesso persino conveniente.

All’interno della Carta costituzionale, l’approccio più vicino a una simile concezione di uguaglianza si esplica in quell’uguaglianza sostanziale il cui raggiungimento, indicato nell’art. 3 della

Costituzione comma II, è affidato alla Repubblica attraverso la rimozione degli

ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese.

Tra le note storiche più interessanti sul dibattito attorno al concetto di uguaglianza sostanziale, il contributo di Massimo Severo Giannini su richiesta di Lelio Basso, che lo vide proporre sia la formula poi accolta in Costituzione, che un’alternativa ben più forte per quel comma II: “Uguali posizioni economiche e sociali di partenza”. Si optò per la prima, anche perché:

Non avevamo intenzione di fare del nuovo, ma solo di affermare un principio di dinamica

(3)

dell’azione dei pubblici poteri per una società più giusta.

Mobilità e uguaglianza si incontrano nell’accessibilità

L’uguaglianza sostanziale, perciò, fin dal suo stesso concepimento in Costituzione, come illustra Giannini,

non aveva intenzione di fare nulla di nuovo, se non affermare un principio di dinamica dell’azione dei pubblici poteri per una società più giusta.

E dopo oltre mezzo secolo dalla sua entrata in vigore, si potrebbe rileggere quest’ultima affermazione con crudo realismo, nell’ammettere una carenza di ‘cinetica’ pubblica proprio in quegli ambiti e settori dove l’uguaglianza sostanziale può prendere forma tangibile. Dove la Repubblica – per dirla in altri termini – può tentare di dispiegare le energie necessarie per abbattere quegli “ostacoli” contenuti nel “nostro articolo più prezioso”. Basti pensare alla

questione digitale o a quella femminile e femminista, alla giustizia fiscale, alla cultura o al diritto a fare impresa. Ai diritti civili, politici, al diritto all’abitare, alla mobilità dei cittadini.

In un’ottica che si rivolge alla diade società e trasporti, dunque, le fondamenta del pensiero di una possibile e realizzabile uguaglianza nei “mezzi”, si iscrivono nell’ampio criterio dell’accessibilità, che se richiesta e ambita, necessita quasi forzatamente di una ‘cinetica’ imponente dell’azione pubblica. Una dinamica dell’azione pubblica che in ambito infrastrutturale, seppur attenta alle medie e grandi opere, spesso si è mostrata flemmatica o perfino inefficace nell’approccio ai territori, alla mobilità urbana ed extraurbana, ripetutamente manchevole della fisicità e della spazialità dei luoghi, della radicalizzazione dei divari, ancorata a “rappresentazioni

tendenzialmente ascrivibili al modo in cui le città metropolitane si sono costruite nel tempo”.

Legata quindi a parametri oggi piuttosto irrealistici, che finiscono con l’esacerbare la crisi fra territorio e politica.

La questione della mobilità degli individui, in realtà, è ben più ampia dell’ambiente metropolitano, e si gioca in tutti i territori con ancor più difficoltà nelle aree interne. In questo senso, l’approccio dell’analisi è legato alla realtà delle quattro maggiori metropoli italiane partendo dal presupposto per cui «se non si vince nelle aree metropolitane difficilmente si vincerà in qualunque altra parte», come ricorda Gabriele Pasqui, professore ordinario al Politecnico di Milano. Perciò sembrerebbe opportuno ripartire anzitutto dalla ‘nuova questione urbana’. Una questione urbana da rileggere sotto la lente socio-spaziale, connessa tanto all’assenza o al mancato accesso ai luoghi di socialità e cultura, quanto alla crescente occupazione di suolo pubblico a uso esclusivo dei parcheggi per le automobili. Una questione urbana in cui s’intersecano gli ambiti, si vedono crescere le

(4)

con diverse popolazioni urbane, aventi differenti bisogni. Una questione che sta divenendo anche ecologica, e si fa presto puramente di cittadinanza.

Non a caso l’accademia ha coniato e validato l’ambito di ricerca della TRSE: la transport-related social exclusion, l’esclusione sociale correlata ai trasporti. Quella che Karen Lucas definisce la mancanza o la negazione di risorse, diritti, beni e servizi. L’incapacità di partecipare alle

normali relazioni e attività, disponibili per la maggior parte delle persone in una società, in ambito economico, sociale, culturale o politico”. Un’esclusione sociale che “colpisce sia la qualità della vita degli individui, che l’equità e la coesione della società nel suo insieme.

Ed è proprio in quell’insenatura, nell’incapacità di partecipare a normali relazioni e attività disponibili per la maggioranza di individui, che ritroviamo quel dettame del nostro articolo più caro circa la rimozione degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione alla società. L’accessibilità diventa così un tassello fondamentale di uguaglianza sostanziale e sociale che è possibile declinare e rileggere da molteplici angolazioni.

Sotto un’altra lente, ad esempio, l’accessibilità può e dovrebbe riguardare anche i dati open access, talvolta di difficile reperimento proprio dove più essenziali – a livello locale – e

generalmente quasi sempre di faticosa lettura. Le analisi statistiche di mobilità, come tra l’altro le conseguenti politiche di pianificazione, risultano inoltre orientate “per la media”, finendo per escludere da ogni tipo di valutazione, e ancor prima dell’implementazione di possibili policies, coloro che non si muovono. Precludendo a priori la possibilità che di quei segmenti si possa stimolare il movimento. Per questo, le rilevazioni scientifiche a riguardo hanno sintetizzato la questione sociale in mobilità indicando capisaldi puntuali. L’impatto sociale dei trasporti colpisce gruppi sociali già vulnerabili, sebbene le conseguenze non siano sempre prese in considerazione nel processo decisionale. I “mezzi” non risultano distribuiti in modo uniforme tra ricchi e poveri, riproducendo svantaggi sociali preesistenti. Le categorie che riscontrano più svantaggi sono i bambini, gli anziani, i genitori soli, le persone con disabilità e le minoranze etniche. È ampia la letteratura che evidenzia come tali distribuzioni non uniformi riducano la partecipazione alla società, conseguendo nell’esclusione.

Panoramica metropolitana sull’accessibilità dei mezzi. Inchiesta numerica da Torino a Napoli, passando per Roma e Milano

Prima ancora di discendere nello spinoso campo dei dati, occorre ribadire che gli ambiti delle fragilità e dell’inuguaglianza nei “mezzi” sono scoscesi e mai semplici da snocciolare.

Vediamo ciò che vogliamo vedere, mappiamo quello che vogliamo vedere,

ammonisce nel suo intervento al seminario ‘Ricomporre i divari’, Paola Casavola del Dipartimento

(5)

per le politiche di coesione. Con dati e mappe è sempre possibile mentire. Consci di ciò, il

tentativo è quello di rileggere i dati a disposizione sotto il profilo della persistente diseguaglianza nei “mezzi”.

Nelle aree metropolitane il 35 per cento degli individui fa uso dei mezzi di trasposto pubblico: una quota di gran lunga superiore alla media nazionale che si attesta attorno all’11 per cento. Ciò significa che, metropoli escluse, poco più di un individuo ogni dieci in tutto il paese utilizza il trasporto pubblico. Una quota non proprio soddisfacente nell’ottica di quella ‘cinetica’ pubblica che dovrebbe spendersi a rimuovere gli ostacoli che limitano la completa integrazione sociale.

Ancor più se il dato del 35 per cento relativo alle metropoli, viene riletto assieme ai comuni periferici adiacenti le città stesse, dove l’uso del trasporto pubblico locale si riduce fino al dieci per cento. Numeri come questi – seppur sempre escludenti di interi segmenti di popolazione che

“non si muove” o non ha capacità di muoversi (motility) – dovrebbero preoccupare e riorientare la pianificazione dei trasporti locali a partire da una riorganizzazione tariffaria, da una politica comunicativa rivolta alla loro promozione, verso un miglioramento complessivo dell’offerta che permetta di transitare in direzione di un nuovo tipo di sistema: al cui cuore pulsante venga posta una politica di equalizzazione metropolitana.

Non occorre mai dimenticare, infatti, la matrice prettamente politica della selezione di un determinato sistema trasporti, i cui tratti italiani sembrano quelli del perseguimento di

un’efficienza numerica “in media”, mal concepita, e piuttosto riluttante nell’acquisizione di un modello di sviluppo urbano sociale e sostenibile, orientato al territorio singolo e correlato agli utenti secondo un approccio di discriminazione positiva. Un sistema che si rigeneri fin dalla concezione primaria di mobilità, che non la consideri sinonimo di movimento ma comprenda tutte quelle aree che in essa si compenetrano secondo la capillare definizione di Vincent Kaufmann. Il contesto, l’attitudine al movimento, già definita motility, e solo infine, lo spostamento.

La centralità del trasporto pubblico, il predominio dei mezzi privati

La domanda di trasporto pubblico in Italia al contrario di quanto dovrebbe, si va generalmente riducendo con diverse oscillazioni (grafico 1). Al Nord Italia la domanda continua a crescere assieme all’offerta, nel Mezzogiorno entrambe vanno in leggera flessione fino al 2017, per poi osservare un incremento del nove per cento nella domanda al 2019. Ben più spinosa la questione del Centro Italia che, globalmente influenzato dalla capitale, registra forti perdite sia nell’offerta che nella domanda di trasporto pubblico, la quale decresce raggiungendo l’apice del crollo a Roma con una caduta pari al 22,9 per cento al 2018 in soli quattro anni.

(6)

velocemente (+16 per cento) ma la metropoli piemontese rimane l’unica a ridurre il proprio parco disponibile (grafico 2). E nonostante il processo di riduzione complessiva, nell’ultimo quinquennio (2015-19), Torino è anche la sola metropoli ad accrescere del 18 per cento il parco tram a

disposizione della città, restringendo del 20 per cento i veicoli su gomma. A Napoli l’indicazione è differente e delinea un processo singolare: il capoluogo partenopeo vede crescere l’intero settore pubblico di oltre il 50 per cento in soli quattro anni, con riduzioni per i tram e una crescita

abnorme del parco su gomma (grafico 2), in controtendenza con i generici indirizzi del paese.

A preoccupare inoltre del dato partenopeo è la sua rilettura assieme alla crescita del parco auto e moto, un +6 per cento (grafico 3) in cinque anni, elemento che inquieta in termini di congestione totale della metropoli, dove autobus, autovetture e motocicli acquisiscono quote sempre crescenti di suolo sullo spazio cittadino. Non dovrebbe forse applicarsi anche alla disposizione di suolo pubblico il criterio dell’uguaglianza, in termini di possibilità uniformi nella fruizione degli spazi?

Le stime su Roma circa il crollo di domanda, d’altro canto, vanno accompagnate anch’esse dai dati sulle vetture private circolanti, che al 2019 sfiorano i 2.161.187 milioni, con una popolazione residente attorno ai 2,8 milioni. Una somiglianza numerica tra le rilevazioni che dovrebbe come minimo intimidire, rendendo plastico il disegno di una società che si muove attorno a un “progetto implicito che è pensato sull’auto di massa e di proprietà”. Solo considerando gli autoveicoli a Roma il rapporto è di 62 autovetture ogni cento abitanti.

Così, l’automobile – illustra Lorenzo Fabian, professore di Urbanistica all’Università Iuav di Venezia – rimane centrale

nella concettualizzazione stessa della nostra mobilità Un modello con costi elevati sulle famiglie

(7)

italiane, che chiaramente acuisce le diseguaglianze. L’85 per cento delle famiglie, infatti,

costruisce il proprio progetto familiare attorno all’auto di proprietà. Dunque potremo dire che l’85 per cento delle famiglie italiane paga una tassa ‘implicita’ onnicomprensiva dei costi di

ammortamento, della benzina e dell’assicurazione,

per un totale di “circa 4.800 euro l’anno”. È chiaro allora che quel trasporto pubblico che potrebbe inserirsi in un discorso di rimozione di diversi livelli di ostacoli ‘sociali’, non risulta ancora in grado di attrarre e assorbire quote importanti degli individui in mobilità su mezzi privati, che cominciano a utilizzare anche mobilità ‘dolce’ ma rimangono ossessionati dalle autovetture, le cui esternalità negative peggiori rimangono sempre gli incidenti stradali.

Riflessioni sul trasporto su ferro

C’è inoltre un estremo ritardo in Italia nel miglioramento del trasporto su ferro: metropolitane, linee ferroviarie urbane ed extraurbane, tram e filobus. Un’offerta in continua crescita e

comunque insufficiente se confrontata con le altre metropoli d’Europa. I tram aumentano numericamente sia Torino che a Milano, dove lo stesso vale per la metropolitana, che nel capoluogo lombardo accresce il suo parco dotazioni del 26 per cento in soli cinque anni.

Sorprende negativamente Torino, invece, dove la variazione migliorativa risulta nulla, anche sul piano dell’estensione in km, nonostante il piano in cantiere di ampliamento della rete con una linea aggiuntiva entro il 2022. Positivo l’incremento su Napoli, le cui dotazioni ‘metro’ crescono addirittura dell’80 per cento tra il 2015 e il 2019. Elemento da incrociare, però, con la valutazione estremamente negativa sulla ‘giovinezza’ dei singoli treni, che nel capoluogo partenopeo risultano aventi oltre 25 anni di vita nel 78 per cento dei casi. Bensì Roma rimanga quasi immobile sotto il profilo dei veicoli disponibili, vede aumentare invece l’estensione chilometrica della metropolitana del 47 per cento dal 2013 al 2018; dato ben più rilevante per colmare alcune delle importanti lacune del territorio capitolino.

Appunti sulla sharing mobility

Dov’è allora che il trasporto pubblico su gomma o su ferro, si rileva come più carente? Può forse la sharing mobility essere un pezzo del puzzle di un sistema in grado di ridurre il differenziale di

(8)

accessibilità? I criteri relativi allo sharing si intersecano a loro volta a quelli della mobilità

sostenibile, che concerne anche la riduzione dell’utilizzo e acquisto di mezzi privati, contribuendo a un disegno di sostenibilità e condivisione che certamente rivisita il concetto stesso di mobilità in Italia. Tutto dipende, però, dalle politiche di regolazione pubblica che si faranno verso questi settori. Prendendo in considerazione Enjoy tra i principali sistemi di car sharing attivi in Italia; e il fenomeno del monopattino elettrico recentemente esploso nelle realtà metropolitane, si possono condurre diverse osservazioni. Il monopattino elettrico per oltre tre individui su cinque non è adatto alle necessità di spostamento quotidiane, e addirittura due individui su cinque dichiarano di non aver alcun interesse verso questa opzione arrivata sulle strade. Sotto il profilo delle auto, invece, il 31 per cento degli italiani ritiene che potrebbe utilizzare il monopattino per sostituire l’autovettura in alcuni spostamenti. Da notare che la maggioranza delle aziende che riforniscono i territori di monopattini elettrici, li rendono utilizzabili esclusivamente nelle zone centrali, così come accade per quasi tutti i sistemi di bike sharing disponibili. Questo dato da sé, dovrebbe far riflettere e spingere a domandarsi: in che misura i monopattini o le bici condivise possono ridurre le diseguaglianze? In che misura possono acuirle? La fotografia scattata ad Enjoy in questo senso è partita dall’analisi dell’area di copertura delle singole metropoli, rileggendo questi dati nei luoghi con livelli notevoli di disagio socio-economico. Per dirla diversamente:

l’istituzionalizzazione di Enjoy può essere elemento favorevole nell’accresciuta accessibilità da e verso le aree più in difficoltà? Può considerarsi elemento di riduzione dell’esclusione sociale legata ai trasporti? A partire dal quadro economico dei costi del sevizio sul singolo potremo rispondere di no. Osservando invece le zone urbanistiche con maggiori tassi di disagio, si traggono diverse conclusioni. A Milano vengono raggiunti i migliori standard di inclusione attraverso la copertura Enjoy: completa per le aree di Quarto Oggiaro, Gallaratese, Canvarate e Sesto San Giovanni, e parziale per i quartieri di Bruzzano, Comasina e Baggio. Rimangono tuttora escluse le zone di Rozzano e Cinisello Balsamo. A Torino la situazione è macchia di leopardo, con copertura Enjoy soltanto per le zone di Barriera di Milano, Mirafiori Sud, Lingotto, Borgo San Paolo e i comuni adiacenti di Nichelino e Moncalieri. Ben più critica la situazione della Capitale, dove la copertura risulta completamente assente nel 69% dei quartieri già in sofferenza. Solo Torpignattara è coperta in toto dal servizio, e Primavalle, Prenestina e Casilina parzialmente. Nel quadrante romano Torpignattara, Casilino, Quadraro, Gordiani e Centocelle si segnala, però, un riguardevole livello di rete su ferro e una buona media di fermate di autobus e tram al minuto in capo al

trasporto pubblico. A Napoli il servizio di sharing tuttora non è attivo.

(9)

In mobilità per l’uguaglianza serve “discriminazione”

A conclusione delle evidenze portate alla luce, dunque, se si dovessero individuare alcune delle misure colmabili per un’uguaglianza “nei mezzi”, si potrebbe citare il costo relativo al predominio permanente delle autovetture sul nostro suolo, che parcheggiate occupano 25 mq l’una, e in movimento anche di più, se si considera la distanza di sicurezza da rispettare. A ciò si lega quel processo necessario da contrastare “dell’autostradalizzazione” delle strade, che riduce la porosità, la permeabilità e l’inclusività dei luoghi, rendendoli sempre meno adatti alle persone a vantaggio dei mezzi. Tra le misure colmabili, senza neppure sforzi economici magistrali, c’è poi

l’implementazione di linee di mobilità lenta che permetterebbero anche una riattivazione dei territori marginali. Basti pensare che tra progettazione e realizzazione, un chilometro di ciclovia richiede tra i 150 e i 200 mila euro; a fronte di un chilometro di autostrada che costa tra i 19 e i 30 milioni di euro. Con ciò non si intende assolutamente mettere in discussione l’importanza delle grandi infrastrutture del paese ma sottolineare, come ricorda il professor Paolo Pileri, che un’autostrada «porta benefici solo ad alcuni luoghi, rinforzando un modello di sviluppo preciso»

che ne svantaggia altri. La mobilità della lentezza, dal canto suo, “riammaglia” grandi porzioni di territori in ogni dove, procedendo tra l’altro con il generare moltissime forme di impiego. I soli studi francesi evidenziano, infatti, come per ogni milione speso in biciclette si possano generare fino a 5 posti di lavoro a fronte di 1,6 posti nel settore automobilistico. I tre capisaldi verso cui andrebbe riorientata la bussola, perciò, sono il focus sull’accessibilità piuttosto che sulle dotazioni, chiedendosi cos’è che veramente è importante misurare, perché una carenza in accessibilità

conduce a maggior quote di immobilità e a peggioramenti evidenti nella condizione occupazionale e nell’integrazione sociale. Riducendo di fatto le possibilità di un accesso eguale alle opportunità.

In secondo luogo, è opportuno superare le logiche distributive nelle politiche di mobilità, orientate alla ‘media’, alle ‘periferie’, ai ‘centri’, come si assomigliassero tutti; per procedere verso politiche di discriminazione positiva, che definiscano e siano dirette, in primis, a quei bisogni, territori o

(10)

segmenti di individui che richiedono interventi prioritari. È nell’opportunità di una mobilità capace di discriminare, infatti, che risiede la chiave per un’uguaglianza sostanziale. Lavorando, infine, a una visione sempre più multidisciplinare delle mobility policies, ispirata anche dall’azione sociale, dai movimenti dal basso, che possono mettere in moto e in giusta direzione l’azione pubblica.

Verso una rivisitazione delle politiche urbane da ripensare assieme alle istituzioni territoriali, in grado di mappare spazi, luoghi, domanda di spostamenti e differenti popolazioni, per poi

conoscerli più intimamente, con osservazioni partecipate, secondo le migliori tradizione sociologico-etnografiche. Una ri-concettualizzazione della mobilità, che la allontani dal suo significato prettamente individualistico, e la consideri, in finale, ciò che è: un prerequisito fondamentale per l’uguaglianza e l’inclusione.

Riferimenti

Documenti correlati

La prima relativa agli ordini architettonici, alle loro applicazioni e ai rapporti proporzionali tra questi; la seconda, oggetto di studio in questo contributo, dedicata alle

Per farlo, però, dobbiamo porci il problema della vivibilità dei luoghi ai margini, costruendo nuovi sistemi di welfare che rispondano in modo nuovo ai bisogni di chi già abita e

re, in posizioni arroccate – ai quali si aggiungono Bova Marina, Brancaleone, Condofuri, Melito Porto Salvo, che si dispongono in maniera nastriforme sulla costa. Tali territori

Allo stesso tempo, la popolazione tende a insediarsi nelle aree di valle o comunque a quote modeste: l’altitudine media delle località abitate nelle aree classificate come polo

progettazione delle strategie di sviluppo locale e delle relative azioni attuative per le nuove aree interne.. Criterio 1: Caratteristiche dell’area Criterio 2:

Scopo del corso, dedicato a giovani under 30 dell’area interna, è lo sviluppo delle Tecniche per la Promozione di Prodotti e Servizi Turistici con attenzione alle risorse,

Donatella Martinazzoli, Consigliere Regione Lombardia - Luca Masneri, Sindaco Comune di Edolo - Pier Luigi Mottinelli, Presidente Provincia di Brescia - Enrico Petriccioli,

178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023) al fine di estendere anche ai comuni ricompresi