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Italo Calvino, «Perché leggere i classici» 1991

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I classici sono quei libri che ci arrivano portando

su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto

la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato

nella cultura o nelle culture che hanno attraversato.

Italo Calvino, «Perché leggere i

classici» 1991

(3)

"Di un classico ogni

rilettura è una lettura di scoperta come la prima"

"Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quello che ha da

dire".

. Un classico è un libro senza tempo, si potrà rileggere in qualsiasi epoca ma il messaggio che contiene rimarrà sempre attuale,

perchè parla al cuore degli uomini, che non smetteranno mai di provare emozioni.

Calvino

(4)

"Quando si diventa vecchi si

commentano i grandi libri. Gli stessi che da giovani abbiamo provato a

sviscerare. Non essendoci riusciti, ci abbiamo riprovato. Li abbiamo

lasciati stare. Li abbiamo

dimenticati. E ora sono qui di nuovo.

Ce li siamo meritati con anni e anni di oblio. Ne contempliamo la

magnificenza. Parliamo con loro.

Adesso, pensiamo, dovremmo poter ricominciare a vivere per

comprendere uno solo di questi libri"

(E. Canetti)

E dunque riprendiamo in mano

l'Odissea.

(5)

il professor Alberto Asor Rosa ha tenuto un'interessante conferenza su

"Dante e Calvino: un buon motivo per continuare a leggere i classici".

Già Calvino, nella seconda metà del Novecento, si rese conto che era necessario fare qualcosa per spronare le persone a continuare a leggere i classici, patrimonio

fondamentale della nostra cultura: e fu proprio per far arrivare il suo messaggio a più persone possibili che pubblicò su "L'Espresso" un saggio, intitolato "Perchè

leggere i classici". Composto da quattordici premesse, il professor Asor Rosa ne ha prese i esame soprattutto due,

la quarta e la sesta,

che riportiamo qui di seguito:

"Di un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima"

"Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quello che ha da dire".

Un classico è un libro senza tempo, si potrà rileggere in qualsiasi epoca ma il

messaggio che contiene rimarrà sempre attuale, perchè parla al cuore degli uomini, che non smetteranno mai di provare emozioni. Ovviamente, la nostra predisposizione e lo stato d'animo che abbiamo al momento della lettura, è ciò che maggiormente influenza le emozioni che ci trasmette, che magari, quando lo si rilegge con una diversa predisposizione, sono totalmente diverse.

Ma ci siamo mai chiesti chi erano i poeti "classici" per coloro che noi consideriamo già "classici" (primo tra tutti Dante Alighieri)?

A fornirci questa risposta, afferma Asor Rosa, è lo stesso Dante nel canto IV dell'"Inferno".

(6)
(7)

Dante e Virgilio incontrano Omero , Orazio , Ovidio e Lucano Priamo della Quercia (1400-1467)

, «vidi quattro grand’ombre a noi venire»,

(8)

Nel limbo, creazione dantesca, Dante e Virgilio si incontrano con gli "uomini

illustri", grandi personaggi del passato che non si macchiarono di nessuna colpa in particolare ma che, essendo vissuti prima dell'avvento di Cristo, non furono di fede cristiana. Virgilio si avvicina a Omero, Orazio Satiro, Ovidio e Lucano; poi tutti e cinque si rivolgono verso Dante e lo salutano. Questi gesti, apparentemente

semplici, in realtà sono densi di significato

: i cinque poeti latini sono i "classici"

a cui si deve sempre guardare, i cui valori bisogna riprendere, continuare e perfezionare. Dante si pone come anello di congiunzione tra classicità

antica e moderna e si colloca al sesto posto tra i poeti

.

Asor Rosa ha concluso affermando che il senso della tradizione e il culto dei classici è sempre stato molto presente nella letteratura italiana, e con Calvino l'innovazione si coniuga con gli ideali passati; ma secondo lui questa continuità si interruppe negli anni Ottanta, per cui dopo Calvino non ci saranno più classici.

Naturalmente è difficile concordare con quest'opinione così radicale... che però può sempre essere intesa dagli scrittori moderni come una sfida per "produrre"

classici.

(9)

« La poesia viva, quella che dà vita a tutto ciò che tocca, è di tutti i tempi e di tutti i paesi, e per questa qualità divina il poeta più moderno di tutti i tempi è Omero »

Mario Rapisardi (poeta e docente universitario italiano1912)

Jean Auguste Dominique Ingres, L'apoteosi di Omero, 1827, Parigi, Museo del Louvre

(10)

tutto si è

perfezionato da omero in poi,

ma non la poesia.

(11)

.

(12)

L’onore tributato ai caduti in battaglia

l’amore per la patria, la famiglia

la monogamia

il modo di concepire l’amicizia

,

l’importanza della parola data

il rispetto per la vecchiaia

Omero:

“l’uomo da cui tutto il mondo ha imparato sin dai primordi”.

(13)
(14)

I Micenei una popolazione di lingua greca giunse nella penisola meridionale della Grecia intorno al 1600 a.C.

vennero chiamati Micenei conosciuti anche con il nome di Achei dal nome della loro città più ricca e potente, Micene.

Oltre alla città di Micene, questo popolo fondò le città di Tirinto, Pilo, Tebe.

Le città micenee erano vere e proprie fortezze poste su alture inaccessibili, in modo da poter essere facilmente difese, ed erano circondate da enormi mura.

realizzate con grossi blocchi di pietra chiamate mura ciclopiche dal nome dei mitologici Ciclopi, cioè delle divinità enormi con un solo occhio.

Ogni città era indipendente, e a volte in lotta con le altre.

A capo dello Stato vi era il re detto

wanax.

(15)

La conquista di Troia da parte dei Micenei

La guerra di Troia scoppiò intorno al 1200 a.C., quando i Micenei iniziarono ad espandersi verso l'Asia Minore.

La città di Troia si trovava nelle vicinanza di quello che, all'epoca, era chiamato Ellesponto, ovvero l'attuale Stretto dei Dardanelli.

Essa aveva una posizione strategica che permetteva di controllare i traffici tra il Mar Egeo e il Mar Nero.

Molto probabilmente la guerra di Troia scoppiò perché i Micenei volevano conquistare l'Anatolia settentrionale in modo da poter espandere i propri commerci nell'entroterra asiatico

Inoltre si pensa che Troia fosse un grande emporio di oro e argento e che qui giungesse la giada proveniente dalla Cina.

(16)

Queste città, interessate all’espansione commerciale attraverso gli stretti su cui si affacciava Troia, e avide di bottino, si allearono contro la città che assediarono per dieci anni e infine distrussero deportando parte della popolazione. assediati.

La conquista di Troia segnò il culmine della potenza micenea. Dopo non molto questa cominciò a declinare per l’arrivo dei Dori, altra popolazione di stirpe greca che

dominò per quattro secoli (periodo chiamato “età oscura”o “Medioevo ellenistico”, 1150-750 a.C.)

Questa impresa militare ispirò per secoli narrazioni orali che divennero fra l’VIII e il VII secolo a.C., la base

dell’epica greca

(17)
(18)

LE SCOPERTE ARCHEOLOGICHE

Nel corso dei millenni i detriti portati dai fiumi Scafandro e Simoenta hanno creato una pianura davanti alle rovine dell’antica città costiera. Nel 1871, un

archeologo autodidatta tedesco, Heinrich Schliemann, basandosi sulle descrizioni dei poemi omerici, iniziò in questa zona gli scavi che lo portarono a identificare il sito in cui era sorta Troia. Si trattava appunto della collina di Hissarlik. Scavando furono riportati alla luce numerosi strati di rovine, corrispondenti alle nove

differenti fasi storiche della città. In seguito altri studiosi hanno identificato la Troia omerica distrutta dagli Achei negli strati corrispondenti al settimo livello della città.

Grazie a questi ritrovamenti sappiamo che sono vere le vicende cantate nell’Iliade:

intorno al 1250 a.C. (periodo culminante con la “civiltà micenea”, 1400-1200 a.C.) una guerra sanguinosa e violenta oppose i Greci ai Troiani. La Grecia era un

mosaico di regni (Micene, Pilo, Sparta, Corinto) di cui il più potente era Micene.

(19)

Wanax indica in greco antico

"colui che comanda, dominatore, signore"una sorta di "re supremo",

"re dei re".

Il termine veniva impiegato,

soprattutto nell'epica, a proposito di dèi (soprattutto Zeus e Apollo), ma anche di alcuni eroi, come per esempio Agamennone, detto

"condottiero d'uomini", poiché si trovava a capo della

confederazione argiva che fece capitolare la città di Troia.

La cosiddetta "Maschera di

Agamennone", scoperta da Heinrich Schliemann nel 1876 a Micene

(20)

L ’epica

(21)

L'epica, dal greco epos, narrazione, è un racconto in versi di grande estensione che ha per oggetto le imprese degli eroi, personaggi di

origine umana o divina; essa si sviluppa a partire dal terzo millennio a.C.

presso culture e popoli diversi:

◾ Questi poemi attingono ampiamente al patrimonio culturale, sociale e religioso dei miti.

In una prima fase erano tramandati oralmente, perché ancora non si conosceva la scrittura e perché servivano a trasmettere da una generazione all'altra la storia e i valori

fondamentali di un determinato popolo.

(22)
(23)

LA TRADIZIONE ORALE

(24)

nasce l’epica greca

- cantori di miti e leggende,

aèdi - si esibiscono nelle corti, poi nelle piazze (adéin = cantare) - custodi della memoria collettiva

- si accompagnano con la musica della cetra

rapsòdi - tessono la trama del racconto

(rapsodòs = - fondono i canti degli aèdi in poemi

colui che cuce - passano dal canto alla recitazione

insieme canti)

(25)

1776 Ceramica della manifattura Wedgwood.

British Museum.

La poesia custode dei valori del popolo greco

(26)

. In una civiltà orale, come quella nella quale agivano gli aedi, la poesia era l’unico mezzo di trasmissione della cultura (nel senso più ampio, antropologico del termine).

Era la poesia che trasmetteva di generazione in generazione :

 le regole sociali e religiose da rispettare,

 la memoria dei riti da compiere e della pratiche sociali (come si sacrificava una vittima agli dei, come si celebrava un

matrimonio processo…).

 i valori del gruppo e i modelli di comportamento cui attenersi.

E la trasmissione di questi modelli avveniva attraverso la proposizione di modelli positivi e negativi di

comportamento

(27)

Omero, nelle sue opere, raccontò gesta di molti secoli prima che, per anni erano state affidate alla tradizione orale degli aedi e dei rapsodi. Per questa ragione sicuramente esse non possono avere la validità di un testo storico in quanto il

racconto orale portò aggiunte, modifiche e aggiustamenti, ma sicuramente la guerra dei Micenei contro Troia è realmente accaduta.

L'Iliade e l'Odissea permettono, in ogni modo, di

ricostruire gli usi, i costumi e le consuetudini della

civiltà micenea.

(28)

I cantori di miti e leggende erano gli aèdi ( adein = cantare ) e i rapsodi( rapsodos = colui che cuce insieme), che li tramandavano a memoria di generazione in generazione presso le corti regie e aristocratiche; avevano un ruolo importante nella società in quanto

depositari della memoria collettiva.

Durante i banchetti nei palazzi reali l’aèdo (“cantore”), accompagnandosi con uno strumento a corde, la cetra, cantava le imprese degli eroi

. In seguito, le vicende del passato, arricchite di elementi fantastici,

vennero raccontate nelle piazze, in occasione di feste popolari; così gli

aèdi rielaborarono i loro canti, rivolgendosi a un pubblico desideroso di

ascoltarli e applaudirli.

(29)

Con il tempo agli aèdi si sostituirono i

rapsodi

(“cucitori di canti”), che imparavano a memoria frasi e formule fisse con le quali costruivano il racconto.

Furono loro a determinare il

passaggio dal canto alla recitazione degli episodi

narrativi, a raccogliere le canzoni sparse degli aèdi e a

creare i primi brevi poemi

.

La prima poesia epica greca nacque dalla memoria collettiva del popolo e assunse per i greci un’alta funzione educativa come testimonianza di un antico passato, di valori morali e credenze religiose.

(30)

I rapsodi si accompagnavano pima con una lira e poi con un bastone. Partecipavano alla

vita pubblica animando feste e eventi sportivi. C'erano anche competizioni tra rapsodi dove questi gareggiavano in vari

modi per aggiudicarsi dei

premi. La loro istruzione era talmente meticolosa e

tradizionalista che mantennero pronunce antiche anche a

distanza di molto tempo.

(31)

«l'araldo arrivò guidando il gradito cantore, che la musa

amò molto, ma un bene e un male gli dava: degli occhi lo fece privo e gli donò il dolce canto...

La Musa ispirava il cantore a cantar glorie d'eroi, un fatto, del quale allora la fama al cielo vasto saliva, la lite tra Achille Pelide e Odisseo...

Questo cantava il cantore glorioso»

Od. VIII, vv. 469-531.

(32)

Omero: nasce la letteratura occidentale

- primo poeta dell’Occidente

Omero

- primo autore per iscritto

nasce la letteratura occidentale

(33)

« Fanciulle, qual valente cantore tra voi s'aggira, più soave tra tutti, e che più gaie vi rende?

È un cieco, e dimora nella pietrosa Chio. »

(Pseudo-Omero, Inno ad

Apollo

)

(34)

I poemi omerici

La composizione dei poemi epici più famosi, Iliade e Odissea, si colloca presumibilmente tra l’VIII e il VII secolo a.C.

Su

Omero

, il cantore cieco che ne sarebbe stato l’autore, non

ci sono notizie certe

Intorno a questi interrogativi è sorto fin dai tempi antichi un dibattito

culturale, tuttora aperto

: la «questione omerica»

Omero è davvero esistito?

Se sì, ha composto entrambi i poemi (differiscono sotto diversi aspetti)?

Se non è Omero il loro autore, come sono nate l’Iliade e

l’Odissea?

Disegno preparatorio del Parnaso di Raffaello Sanzio)

(35)

L’Iliade e l’Odissea

L’Iliade e l’Odissea furono il testo base della letteratura greca, il punto di riferimento non solo per il genere epico ma per ogni genere.

I due poemi vengono tradizionalmente attribuiti a Omero, che i Greci immaginavano come un cantore (aedo) cieco ed errabondo, del quale molte città pretesero di

essere la patria (Smirne, Chio, ecc.).

Fin dall’età ellenistica, ma soprattutto a partire dal XVIII secolo, si accese la cosiddetta

«questione omerica»,

mirante a definire:

 chi sia Omero,

 se i due poemi abbiano lo stesso autore (i «separatisti»

ritengono l’Odissea più recente),

 se ci sia un autore (c’è chi ha pensato a un lavoro collettivo nato dall’assemblaggio di brevi ballate anonime),

 quando i poemi abbiano ricevuto la sistemazione attuale (probabilmente con l’introduzione della scrittura in Grecia, verso la fine dell’VIII secolo,

 Anche la lingua è un problema: infatti, pur nella prevalenza ionica, si rivela un amalgama proveniente da regioni diverse del mondo greco.

(36)

Omero, Iliade, Libro VIII, versi

245-253 - da un manoscritto greco

di fine V secolo o inizio VI secolo

.

(37)

IL RUOLO DELLA SCRITTURA

Gli studiosi hanno sottolineato l’importanza di Omero quale primo poeta dell’Occidente ad avere elaborato la sua opera usando la scrittura. L’Iliade e l’Odissea, infatti, sono le prime opere in lingua greca che siano state messe per iscritto. Questo evento segna

l’inizio, in Occidente, della letteratura, cioè della

redazione di testi scritti con delle finalità.

(38)

LA LINGUA DI OMERO

In origine la poesia epica greca era in dialetto eolico

*

, perché eolici erano i primi aèdi ed eoliche le storie che la costituirono; poi questa poesia si diffuse in tutta l’Ellade , dove gli Ioni avevano la supremazia politica e le narrazioni furono tradotte in dialetto ionico. A poco a poco si formò una lingua colta e complessa: la prima lingua letteraria

dell’Ellade, quella che fu la lingua di Omero, i cui poemi

divennero i testi base per la formazione culturale dei greci.

* Dialetto eolico: le popolazioni della Grecia antica

parlavano diversi dialetti a seconda dell’area in cui le varie

stirpi greche si erano distribuite a partire dal II millennio

a.C.

(39)

Lo studio dei modelli educativi sviluppati dalla civiltà

occidentale, inizia con i greci. I greci, infatti, furono i primi a porsi il problema di cosa dovrebbe essere un uomo, cioè a

riflettere consapevolmente sull’educazione e sulle sue finalità Il primo grande educatore dei greci (già secondo Platone) è stato dunque Omero.

I due poemi dell’Iliade e dell’Odissea infatti ci permettono di cogliere il contenuto originario dell’ areté (ἀρετή) antica

(cioè della virtù, intesa come ciò che ognuno dovrebbe essere)

(40)

Ovvero l’ECCELLENZA

(41)

Aretè

Modelli di comportamento

onore gloria

fama oltre la morte immortalità

pubblica stima

(42)

L’offesa al proprio onore è l'oltraggio più grande di che un eroe possa subire

( VI e XI libro dell’Iliade)

(43)

Civilta’ della vergogna

Il termine civiltà della vergogna o cultura della vergogna è un termine utilizzato dal filologo,

antropologo e grecista irlandese Eric Dodds per

descrivere la società omerica e i modelli sociali

su cui essa si basava.

(44)

«tutto ciò che espone l’uomo al disprezzo o al ridicolo dei suoi simili, tutto quello

che gli fa perdere la faccia è sentito come

insopportabile»

(45)

«....ma io mi porto via Briseide dalle belle gote

venendo in persona alla tenda, lei, il tuo premio, che tu sappia bene quanto sono più forte di te

(46)

Qualsiasi offesa fatta all’eroe si

trasforma nella messa in discussione del suo onore, quindi del suo ruolo sociale.

Giovan Battista Tiepolo nella Sala dell’Iliade Villa Valmarana ai Nani

(47)

L’ideale per l’uomo è l’eccellere, la

aretè.

Nell’Ellade fin dalla sua fanciullezza il giovane veniva esortato a preoccuparsi del suo buon nome: doveva far sì di farsi rispettare per mezzo delle sue buone azioni e dimostrazioni di forza e capacità.

L’onore è perciò ancora più importante della vita. Per la gloria e per l’onore il giovane nobile mette in gioco la vita stessa.

Il più grande bene in Omero è sentir parlare bene di sè per via dei successi che quella società considera come più importanti, il più grande male è sentirsi criticare per delle sconfitte.

La gloria è per i greci antichi– una forma di immortalità che è concessa anche i mortali, è la fama che dura oltre la morte. Achille preferisce all’immortalità avere una vita breve ma gloriosa, per essere ricordato. Achille sceglie la

gloria, non la vita breve:

(48)

i grandi eroi (quali Achille, Agamennone, Ettore), non si sentivano realizzati sapendo nella propria coscienza di essere gloriosi e pieni di onori, ma dovevano sentirsi considerati tali dagli altri del

gruppo. Solo in questo modo sapevano di "esistere". Appare quindi ovvio capire che non bastava il sentimento interiore, ma il giudizio degli altri. Nel caso in cui un eroe avesse perso la pubblica stima, sarebbe potuto arrivare anche a uccidersi, come fece Aiace

Telamonio

.

L’onore è, perciò, ancor più importante della vita; per la gloria e per l’onore il giovane mette in gioco la vita stessa. La gloria è per il greco antico una forma di immortalità; nient’altro può importare quando il rispetto di sé, della propria famiglia, di una buona reputazione anche dopo la morte. Lo scopo, quindi, che

perseguono gli eroi è anzitutto quello di sentir parlar bene di sé.

(49)

L’Odissea è un’opera più tarda dell’Iliade e riflette meglio l’epoca in cui Omero le diede forma:

Gli eroi dell’Odissea si muovono in uno spazio più vasto di quello dell’Iliade, in cui l’eroismo spesso coincide con la capacità di levarsi d’impaccio più

attraverso l’intelligenza che con la vigoria fisica.

E’ quindi nell’Odissea che l’areté del guerriero assume la sua forma più

matura, dando maggior rilievo alle qualità intellettuali che nell’Iliade erano poste sullo stesso piano della forza fisica

.

Con l’areté omerica l’idea educativa greca giunge ad un’elevata consapevolezza di sé: si propone come imitazione di modelli ideali, incentrati sulle figure degli antichi eroi che incarnano le espressioni più elevate della forza, del coraggio e dell’energia intellettuale.

(50)

Con “civiltà di vergogna” si indica una società regolata da determinati modelli positivi di comportamento la cui

trasgressione e mancata adesione aveva come conseguenza il sentimento di vergogna dell’individuo con la conseguente

perdita di autostima e sofferenza oltre al biasimo concreto e reale dell’intera comunità fino, nei casi più gravi,

all’emarginazione.

L’aidos è la vergogna ed è un concetto chiave dell’etica guerriera, consiste nel non incorrere nella riprovazione della comunità tramite atti di coraggio. Presso i Greci era considerato un vero e proprio codice di comportamento che impone prima di tutto il coraggio e l’eroismo. Se non ci si attiene ad esso si prova

vergogna, ovvero un profondo senso di inadeguatezza ed estraneità al proprio mondo. Le regole non vengono osservate perché esistono imposizioni ma perché la comunità esclude chi non si uniforma ai modelli di comportamento positivi.

(51)
(52)

La concezione della morte è, per i Greci, molto importante: morire per essere dimenticati è la vera morte, che si combatte con la morte

stessa, quella eroica. Questa, infatti, rappresenta la condizione della sopravvivenza gloriosa nella memoria degli uomini.

La morte “giovane e bella” garantisce, quindi, il raggiungimento dello scopo prefissatosi da ogni eroe: l’aretè compiuta e perfetta.

(53)

“… Ne avrei troppo rossore dei Teucri e delle

Troiane lungo peplo, se resto come un vile

lontano dalla guerra”

“… né lo vuole il mio cuore, perché ho appreso a essere forte sempre, a combattere in mezzo ai primi Troiani”.

Iliade canto VI

Giorgio De Chirico : Ettore e Andromaca

(54)

“… ma non devo perire senza lotta e senza

gloria ”.

(Iliade canto XXII)

(55)

P.P. Rubens :1577

… o la lunga vita in patria nell’assenza di ogni gloria, o la vita breve, la

morte prematura e la fama.

Come sappiamo, Achille muore in

battaglia ucciso da una freccia

scoccata da Paride nell’unico suo

punto vulnerabile, il tallone.

(56)

“Torna con lo scudo o sopra di esso”.

solo con la morte gloriosa e le

straordinarie imprese il ricordo di questi personaggi non verrà mai dimenticato dai posteri.

La vera morte per il Greco, non è quella fisica, è il decesso della memoria che si riesce in qualche modo a "sconfiggere"

solo con la morte gloriosa

(57)

Un proverbio spartano dice “Torna con lo scudo o sopra di

esso”. Vittoria o morte, o con lo scudo in mano e trionfante,

o trasportato sopra lo scudo, morto. Nessun guerriero di

Sparta poteva sopravvivere al disonore. Erodoto narra che

uno dei due sopravvissuti dei Trecento inviati alla battaglia

delle Termopili (480 a.c.), Pantite, che era stato inviato in

Tessaglia come ambasciatore per reclutare alleati e non

tornò in tempo per la battaglia, una volta tornato a Sparta

vedendosi disonorato si impiccò.

(58)

Codice d’onore

Vi è un solo giudice dell'onore del Samurai: lui stesso. Le decisioni che

prendi e le azioni che ne conseguono sono un riflesso di ciò che sei in realtà . Non puoi nasconderti da te stesso

.(Bushido) il codice cavalleresco, ruotava intorno

ad alcuni valori e norme di

comportamento, come la virtù, la difesa dei deboli e dei bisognosi, la verità, la lotta contro malvagi e oppressori,

l'onore, il coraggio, la lealtà, la fedeltà, la clemenza e il rispetto verso le donne

(59)

Il tema dell’Iliade e dell’Odissea

Gli episodi narrati nell’Iliade e nell’Odissea

appartengono alla saga troiana, cioè all’insieme dei racconti relativi alla guerra di Troia e ai successivi

ritorni degli eroi

Gli eventi narrati nell’Iliade

hanno luogo durante l’ultimo anno della guerra tra Greci e Troiani Il racconto si sviluppa attorno al motivo dell’ira di Achille

Nell’Odissea vengono raccontati il viaggio di ritorno da Troia

dell’eroe Odisseo e la sua riappropriazione del regno di Itaca

(60)

ODISSEA

(61)

IL PROEMIO E LA PRÒTASI

Nella maggior parte dei poemi è presente, in apertura, il proemio. Nei poemi omerici esso è suddiviso in due parti distinte:

L’invocazione alla Musa (Calliope), a cui il poeta chiede ispirazione;

La pròtasi, o premessa, che consiste

nell’esposizione dell’argomento dell’opera.

(62)

“il poeta e la musa”

1925, Giorgio de Chirico

« Narrami, o musa, dell'eroe

multiforme, che tanto/ vagò, dopo che distrusse la Rocca sacra di

Troia:/ di molti uomini vide le città e conobbe i pensieri,/ molti dolori patì sul mare nell'animo suo,/ per

riacquistare a sé la vita e il ritorno ai compagni./ Ma i compagni neanche così li salvò, pur volendo:/con la loro empietà si perdettero,/ stolti, che mangiarono i buoi del Sole/ Iperione:

ad essi tolse il dì del ritorno./

(63)

Racconta qualcosa anche a noi, o dea figlia di Zeus./ Tutti gli altri, che scamparono la ripida morte,/ erano a casa, sfuggiti alla guerra e al mare:/ solo lui, che bramava il ritorno e la moglie,/ lo tratteneva una ninfa possente, Calipso, chiara tra le dee/ nelle cave spelonche, vogliosa d'averlo marito./ E

quando il tempo arrivò, col volger degli anni,/ nel quale gli dei stabilirono Che a casa tornasse,/ ad Itaca, neanche allora fu salvo da lotte/ persino tra i suoi. Gli dei ne avevano tutti

pietà,/ ma non Posidone: furiosamente egli fu in collera/ con Odisseo pari a un dio, finché non giunse nella sua terra. »

(64)

Canto le armi, canto l'uomo che primo da Troia venne in Italia, profugo per volere del Fato sui lidi di Lavinio (Virgilio – Eneide)

O muse, o alto ingegno, or m’aiutate;

o mente che scrivesti ciò ch’io vidi,

qui si parrà la tua nobilitate (Dante- canto II inferno).

Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,

le cortesie, l’audaci imprese io canto (Ariosto –Orlando furioso ) Canto l’arme pietose e ’l capitano

che ’l gran sepolcro liberò di Cristo ( T. Tasso - La Gerusalemme liberata)

(65)

L'Odissea

è l'opera che più ha influito sulla psicologia e sulla letteratura europea, senza la quale nè Cervantes, nè Defoe, nè Stevenson, nè Kafka, nè Joyce avrebbero

scritto i loro capolavori, l'opera alla quale l'Occidente ha affidato il senso più profondo della ricerca, del viaggio, della fantasia, del sogno, della lucidità,

dell'ironia, della maschera, dell'infinita capacità di metamorfosi che da trenta secoli la distinguono

L'Odissea costituisce la “seconda opera della letteratura

occidentale”. È poema epicoma ha una sua autonomia, ha un suo carattere distintivo.

Viene detto anche che esso è il primo “romanzo” della

letteratura universale

(66)

Ulisse che “molto errò, poi ch’ebbe a terra gettato di Ilion le sacre torri»

Trad. Vincenzo Monti

(67)
(68)

L'Odisseo di Omero è un guerriero che non ama le battaglie, un navigatore che non ama il mare.

Il suo lungo viaggio di ritorno è un'avventura di dolore e di angoscia,

la vera guerra è quella che combatte in patria, tra le mura della sua casa: per ricomporre gli affetti e

restaurare il dominio, per poter vivere e invecchiare in

prosperità e in pace.

(69)

Esemplare e dominante figura del mito greco, Ulisse, che i Greci chiamavano Odisseo, re di Itaca, figlio di Laerte e di Anticlea e marito di Penelope, è forse il personaggio più

seducente e versatile tra gli eroi del mondo antico.

La sua storia, come quella di molti eroi dell’epica, comincia ancor prima della sua nascita ed è legata alle vicende di un personaggio che ne segna, più che il destino, la natura.

Odisseo nasce dalla figlia di Autolico, «noto fra gli uomini per essere ladro e spergiuro:

Da questo nonno a Odisseo discende anche il nome: «Poiché io odio e sono odiato da molti, uomini e donne, sulla terra feconda, sia il suo nome

Odisseo» (canto XIX).

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