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Maria Antonietta Macciocchi: profilo di un'intellettuale nomade nel secolo delle ideologie

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Academic year: 2021

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Università degli Studi Roma Tre Facoltà di Scienze Politiche Scuola Dottorale in Scienze Politiche

Sezione “Questione femminile e politiche paritarie” Relatrice: Prof.ssa Ginevra Conti Odorisio

Maria Antonietta Macciocchi: profilo di un‟intellettuale nomade

nel secolo delle ideologie

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INDICE

Introduzione p. 5

CAPITOLO I

Le origini, la formazione, l‟antifascismo e la Resistenza

1 Infanzia borghese di una rivoluzionaria p. 9

2 La Resistenza p. 12

3 La storiografia e le donne dimenticate p. 14

4 L‟incontro con i GAP p. 16

5 A Sud! Il lavoro tra le donne e il modello femminile nel PCI p. 23

6 Un treno per vivere p. 26

7 Cittadine nuove di zecca, ovvero l‟alba della democrazia in Italia p. 27

CAPITOLO II

<<Noi Donne>> e l‟inizio della carriera giornalistica

1 La stampa in Italia nel secondo dopoguerra p. 29

2 Spedita a Roma p. 30

3 Il catechismo di una rivoluzionaria: la cornice teorico-politica p. 31

4 All‟ombra di Clara Zetkin p. 33

5 Anatomia di un giornale femminile “democratico” p. 36

6 I primi articoli sulla rivista dell‟UDI p. 38

7 La direzione Macciocchi p. 39

8 Ortese, Rea, Aleramo: una rosa di amicizie intellettuali p. 44

9 La cronaca nera come parabola marxista p. 46

10 Dalla difesa della pax sovietica all‟autocritica mutilata p. 48

11 I reportage, grande prova di giornalismo p. 50

CAPITOLO III

Gli anni Cinquanta: l‟impegno per l‟emancipazione femminile

1 Il j’accuse contro la pedagogia della sottomissione femminile p. 52

2 La questione femminile in <<Noi Donne>>: i temi p. 56

3 Modelli di femminilità p. 59

4 Strategie. Il lavoro con le donne nel Partito comunista italiano p. 61

5 Il primo Congresso per i problemi della stampa femminile p. 63

6 <<Mimosa in fiore>>. Un periodico dimenticato p. 66

CAPITOLO IV

<<Vie Nuove>>: al timone di un giornale politico nel mezzo della tempesta 1 La direzione di <<Vie Nuove>>: bilancio di una sfida editoriale p. 69

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2 La grande tempesta del ‟56 p. 73 3 Malaparte: l‟intellettuale che salì sulla barca comunista alla deriva p. 78

4 Un mostro chiamato Europa p. 84

5 Dall‟Eva proletaria alla donna moderna p. 86

6 Il dibattito sulla pensione alle casalinghe: una polemica con <<Il Popolo>> p. 90 7 Lo scandalo della poliomielite. <<Vie Nuove>> contro il “monopolio farmaceutico”

p. 91

8 Pasolini, l‟amicizia eretica p. 94

CAPITOLO V

Vita in Francia. Althusser e il giardino della filosofia

1 La stagione de <<L‟Unità>>: Inviata nell‟Algeria in fiamme p. 98

2 Corrispondente a Parigi p. 100

3 L‟incontro con Althusser p. 101

4 Lettere dall‟interno del PCI p. 105

5 A Napoli tra le donne; confronto con Althusser sul controllo delle nascite p. 108 6 La tormentata vicenda editoriale delle Lettere dall’interno del PCI a Louis Althusser

p. 110

7 Il ‟68. La bufera esplode in Francia e in Italia p. 114

8 Luci e ombre del rapporto con il maestro p. 118

9 L‟ultimo progetto: Il mistero Althusser p. 120

CAPITOLO VI Macciocchi la maoista

1 Cina, la lunga marcia di un‟illusione p. 125

2 Il Libro nero riapre il dibattito storiografico p. 129

3 Terzmondismo, primo stadio della cinofilia p. 131

4 Da Marx a Mao passando per Althusser p. 135

5 On a raison de se révolter: la matrice anarchica, le masse, il Partito p. 138

6 Il femminismo di Mao Tse-Tung p. 142

7 Storia di un viaggio. Flashback p. 143

8 Ritorno in Cina: Il talismano contro la disillusione p. 145

9 Per la Cina, due comunisti in guerra contro tutti p. 146

10 Polemiche in Italia e in Francia su un best seller p. 149

CAPITOLO VII La riscoperta di Gramsci

1 L’italienne in cattedra a Vincennes p. 154

2 Pour Gramsci: una lettura maoista-leninista p. 155

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4 Gli intellettuali p. 158

5 Gramsci, Althusser, gli intellettuali francesi p. 160

6 Il Partito: forma e strategia p. 163

7 Il ‟77, anno di rottura p. 165

CAPITOLO VIII

Polemiche sul post-femminismo

1 La donna nera p. 171

2 Le donne e i loro padroni p. 174

3 Femminismo e marxismo p. 175

4 Riflessioni sulla crisi del femminismo p. 179

5 La risposta delle “femministe storiche” p. 183

6 Un decalogo per il secondo sesso p. 184

CAPITOLO IX

Dalla politica alla storia, passando per Napoli

1 Gli anni Ottanta e la politica p. 188

2 Folgorata sulla via di Castelgandolfo p. 189

3 Il ritorno in Italia p. 191

4 Eleonora Fonseca Pimentel p. 192

5 Duemila anni di felicità p. 196

Conclusioni p. 198

Appendice p.

Spoglio di quotidiani e riviste p.

Bibliografia p.

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Introduzione

Maria Antonietta Macciocchi era una persona capace di suscitare, per le sue idee e la singolare forza con cui sapeva affermarle, reazioni vivaci e contraddittorie. Donna energica, tenace ed intransigente, non esitava di fronte all‟uso dell‟ironia, del sarcasmo, nella scrittura da lei spesso vissuta come lotta, nell‟agone della politica e del dibattito intellettuale. La sua penna brillante sapeva essere impietosa dispensatrice di stilettate, che sferrava dalle pagine dei quotidiani più illustri.

È stata staffetta partigiana, giornalista, inviata, direttrice di testate, scrittrice, militante politica, deputata italiana ed europea, docente universitaria. Ha vissuto tra Italia e Francia coltivando amicizie eccellenti, tra filosofi, scrittori, artisti, da Curzio Malaparte a Pierpaolo Pasolini, da Louis Althusser a Lacan, da Sebastian Matta a Milan Kundera, a Bernard Henri Lévy.

Il suo bisogno di slancio ideale e di impegno intellettuale militante l‟ha portata ad abbracciare diverse fedi nel corso della sua vita, dal marxismo sin dai tempi della Resistenza, al maoismo negli anni Settanta, fino alla conversione al cattolicesimo, che abbracciò in età matura, trovando in Papa Wojtyla un profeta della dignità delle donne. Ma le sue diverse appartenenze le visse alla luce di un pensiero da lei in seguito definito, con omaggio al lessico dell‟amico Pasolini, “eretico”. Il suo era un antidogmatismo fiero, ironico, che tuttavia si avrebbe difficoltà a definire pienamente laico, percorso com‟era da una persistente tentazione fideistica. La tensione tra ortodossia e dissenso ha attraversato gran parte della sua vita e del suo lavoro.

Allontanandosi dal Partito, Macciocchi fu tra le poche figure che non finirono col confluire in una chiesa eretica, come fu il caso del gruppo del Manifesto, costituito da Rossanda, Pintor, Natoli ed altri. La sua fu piuttosto una navigazione solitaria, solo a tratti affiancata dalla presenza di occasionali compagni di viaggio.

Il risultato delle sue prese di posizione – determinante fu il sostegno ai “ribelli” del ‟77 in Italia - fu la cacciata dal Partito comunista e l‟inizio di un cammino ancor più solitario, snodatosi tra l‟impegno politico sotto nuove insegne – prima radicali e poi socialiste - il lavoro giornalistico e la scrittura di numerosi libri. Dopo gli anni trascorsi a Parigi, tra il ‟72 e il ‟79, insegnando Gramsci e spiegando il fascismo agli studenti dell‟Università di Vincennes, fu eletta con i radicali al Parlamento Europeo, nelle elezioni del 1979, le prime per il nuovo organismo europeo. Come componente della Commissione Giustizia si è battuta per l'abolizione della pena di morte in Francia. Successivamente, abbandonando la linea radicale, ha aderito al Gruppo Socialista. Nel corso del suo mandato ha fatto anche parte della Commissione per la verifica dei poteri e della Commissione di inchiesta sulla situazione della donna in Europa.

Negli anni Novanta, lontana ormai da ogni partito, da ogni circolo intellettuale, cattolica senza alcuna soggezione all‟autorità ecclesiastica, spesso anzi fortemente critica verso essa - più volte rivolse inviti pubblici al Papa chiedendo un mea culpa per il ruolo avuto dalla Chiesa nella repressione della Rivoluzione napoletana - trascorse in solitudine la sua vita intellettuale. Si immerse nello studio della storia d‟Italia, scrivendo pagine appassionate sulle protagoniste femminili di una grande stagione rivoluzionaria, quella del triennio giacobino italiano, in cui intravedeva il primo seme dell‟unità nazionale e la forza di una parola femminile da riportare alla luce come esempio per tutte le donne. La

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scelta della Repubblica partenopea come oggetto di studio, nelle fasi ultime del suo impegno di studiosa, tradiva la fiducia, mai sopita, nella funzione palingenetica delle idee politiche. Volgendo lo sguardo indietro, al termine di un secolo devastato dalle ideologie, Macciocchi ancora cercava l‟idea redentrice, e la trovava nell‟epoca dei Lumi, nella fiducia verso la ragione, la cultura e l‟educazione alla cittadinanza quali basi possibili per una convivenza armoniosa nella polis. Né mancava alle pagine vergate da Macciocchi sulle vite di Eleonora Fonseca Pimentel1 e di Luisa Sanfelice2 l‟alta passione civile che sempre l‟aveva animata: l‟esaltazione del sacrificio delle due eroine era per l‟autrice specchio del proprio stesso sacrificio, quello di una vita di donna immolata sull‟altare della militanza.

La presente ricerca di propone di ricostruire la biografia intellettuale di Macciocchi, in quanto figura di spicco della vita culturale del Novecento, esaminandone le opere, le idee, le attività, alla luce dei filoni di pensiero cui di volta in volta fu legata.

L‟esistenza di un‟opera vasta quale Duemila anni di felicità3

- quell‟opera aperta, come l‟autrice stessa l‟ha definita - data alle stampe in un‟edizione aggiornata nel 2000, fornisce certamente numerosi spunti. Macciocchi si è raccontata attraverso pagine di notevole interesse storico e politico, ma anche letterario, animate dall‟ironia che era caratteristica saliente della sua scrittura. Ma la sua, più che una lucida ricostruzione dei fatti, più che un tentativo di collocare il proprio percorso nella storia, è la narrazione di un‟epopea, l‟autoindulgente e spesso narcisista poema eroico di una donna che si è sempre voluta al centro degli eventi.

Nessun altro lavoro, infine, è stato fino ad oggi prodotto sulla vita intellettuale di Macciocchi.

Questa ricerca intende esaminare e interpretare alcune fasi del percorso di Maria Antonietta Macciocchi, della sua attività di giornalista, scrittrice, donna politica.

La trattazione si articola in due parti. Nella prima, dopo la ricostruzione delle origini familiari, della formazione e del periodo della Resistenza, si è analizzato il lavoro giornalistico di Macciocchi, come direttrice di due importanti testate del PCI, dalla fine degli anni Quaranta all‟inizio degli anni Sessanta. In questa parte il lavoro si è svolto attraverso lo spoglio di <<Noi Donne>> e <<Vie Nuove>>, lo studio dei dossier dell‟epoca, dei materiali di propaganda del PCI, delle fonti direttamente usate dalla direttrice per la produzione dell‟informazione, dei taccuini e degli appunti personali che hanno consentito di ricostruire, valorizzandolo, anche il ruolo di Macciocchi dal punto di vista della definizione di strategie editoriali e di diffusione per i prodotti del Partito. Lo studio si sofferma in questa fase anche sul lavoro politico femminile, condotto dalle militanti e donne-quadro del PCI per la conquista delle masse femminili, che vide Macciocchi impegnata in tal senso tra Salerno e Napoli nell‟immediato dopoguerra. La scelta di concentrarci su questa fase dell‟attività giornalistica di Macciocchi, tralasciando il successivo periodo di lavoro per <<L‟Unità>> come corrispondente da Parigi e inviata dall‟Algeria, discende dalla decisione di focalizzare l‟attenzione sulla questione femminile, al centro dell‟esperienza di <<Noi Donne>> e quindi sulle scelte

1 Maria Antonietta Macciocchi, Cara Eleonora. Passione e morte della Fonseca Pimentel nella Rivoluzione

napoletana, Milano, Rizzoli, 1997.

2 Macciocchi, L’amante della Rivoluzione. La vera storia di Luisa Sanfelice e della Repubblica napoletana del 1799, Milano, Mondadori, 1998

3 Macciocchi, Duemila anni di felicità, Milano, Mondadori, 1983. Le citazioni che si useranno in questo testo provengono dalla nuova edizione aggiornata, Duemila anni di felicità. Diario di un'eretica, Milano, Il Saggiatore, 2000

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compiute dalla giornalista in un momento particolarmente critico nella vita del Partito, quello immediatamente successivo al 1956, anno dell‟invasione dell‟Ungheria da parte delle truppe sovietiche e dell‟assunzione da parte di Macciocchi della direzione del periodico <<Vie Nuove>>.

Lo studio prosegue, nella parte successiva, con la ricostruzione dell‟evoluzione delle idee politiche di Maria Antonietta Macciocchi, attraverso l‟incontro con la filosofia di Althusser, e in seguito lo studio e l‟interpretazione di Gramsci e l‟approdo al maoismo. Nella seconda metà degli anni Sessanta maturava il dissenso con il Partito, mettendo fine al tentativo della scrittrice di conciliare l‟inconciliabile: l‟appartenenza al PCI, con il suo dogmatismo soffocante, e la libera interpretazione del marxismo, nel suo caso un‟interpretazione di sinistra e rivoluzionaria.

Si è tentato di ricostruire la genesi di questo percorso anche attraverso la pubblicazione di documenti inediti, come il “Lamento di una corrispondente dell‟Unità”, riprodotto integralmente in appendice, come testimonianza della difficile posizione di una donna all‟interno del Partito comunista italiano negli anni Sessanta. Si era alla vigilia del ‟68 e Macciocchi, pur mantenendosi ancora formalmente fedele ai dettami della Chiesa di Botteghe Oscure, intimamente scalpitava, e non esitava a dare battaglia all‟interno del PCI, scontrandosi con quel muro di conformismo e chiusura che altri testimoni dell‟epoca hanno ricostruito nelle loro autobiografie.

Nel presente lavoro si è voluto evidenziare il filo rivoluzionario, anarchico-libertario, ribelle, che ha attraversato le diverse fasi della vita di Macciocchi, ricostruendo il ruolo dei “maestri” di volta in volta scelti e venerati e la loro puntuale caduta, di fronte alla costante insofferenza della discepola ribelle verso ogni posizione da accettare passivamente.

Nell‟ultimo capitolo si è ricostruito il periodo più difficile della vita dell‟autrice, oramai completamente isolata e immersa nello studio della Rivoluzione napoletana.

Restano necessariamente escluse dal presente lavoro diverse fasi dell‟attività di Macciocchi, poiché si è scelto di concentrarsi su alcune opere ritenute più significative sotto il profilo del pensiero politico, e sulle fasi più originali dell‟attività politico-intellettuale e giornalistica; si è scelto così di tralasciare parte degli anni più recenti, risucchiati da polemiche giornalistiche spesso sterili ed eccessive, e da un impegno politico che si e ricostruito in modo più sintetico rispetto a quello, ritenuto più fecondo, dei decenni precedenti; la speranza che ci accompagna è che altre ricerche seguano questa, contribuendo a offrire un quadro sempre più completo sulla vita e il lavoro di Maria Antonietta Macciocchi.

Le ragioni personali di una ricerca

Nel 1998 il C.I.S.D.O.S.S., Centro interuniversitario per gli studi sulle donne nella storia e nella società, e l‟Università degli Studi Roma Tre, organizzarono su iniziativa della professoressa Ginevra Conti Odorisio4, docente di Storia delle dottrine politiche e Storia della questione femminile presso Roma Tre, un convegno dedicato alla storia del

4 Le attività e le ricerche allora legate alla cattedra di Storia del pensiero politico moderno dell‟Università Roma Tre sono oggi confluite nella sezione Questione femminile e politiche paritarie della Scuola dottorale di Scienze Politiche, coordinata dalla Prof.ssa Ginevra Conti Odorisio. È nell‟ambito di questa sezione della Scuola dottorale di Roma Tre che matura la presente tesi.

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suffragismo in Europa. A moderare l‟incontro tra le tante studiose affluite per discutere il tema fu chiamata Macciocchi, che stava lavorando alla stesura di un nuovo libro, il secondo dedicato alla Rivoluzione napoletana del 1799 e alle sue due maggiori protagoniste: dopo la giornalista Eleonora Fonseca Pimentel, direttrice del Monitore Napoletano, era la “madre della Patria” Luisa Sanfelice a conquistare l‟attenzione appassionata della scrittrice, che le dedicherà il saggio romanzato “L‟amante della Rivoluzione”5

.

Cominciò così una collaborazione, destinata a durare per anni, che mi ha portata ad entrare nel vivo della sua opera.

Conditio sine qua non per la realizzazione del presente lavoro, la possibilità di accedere direttamente all‟archivio privato dell‟autrice – in seguito donato dalla figlia, Giorgina Amendola, all‟Istituo Gramsci - di analizzarne i dossier potendo ricostruire la genesi delle opere, di consultare documenti inediti, quaderni di appunti, taccuini di viaggio e corrispondenza. Il contatto diretto con fonti originali, mai utilizzate prima, ha rappresentato senz‟altro l‟aspetto più stimolante della ricerca. La sua conclusione, purtroppo, coincide con la scomparsa di Maria Antonietta Macciocchi, avvenuta pochi mesi fa, il 15 aprile 2007.

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CAPITOLO I

Le origini, la formazione, l‟antifascismo e la Resistenza1

1. Infanzia borghese di una rivoluzionaria

Maria Antonietta Macciocchi nacque il 23 luglio 1922 a Isola del Liri, una cittadina ciociara che sotto il regime fascista sarebbe entrata a far parte della neonata provincia di Frosinone. La cittadina prende il suo nome dal fiume Liri che l‟attraversa e, dividendosi in due, forma per l‟appunto un‟isola. “Sono nata sull‟alto di una cascata, che viene giù come una lava bianca, compatta, là dove il Liri si amplia; sul crinale si ode il frastuono dell‟acqua. Venni al mondo sotto il solleone di luglio, nella casa dei conti di Beaumont, che allora apparteneva a mio padre. Fui allattata da una capra, perché la mamma non aveva latte”2

. Così, con accenti poetici dal sapore vagamente mitologico, la scrittrice evocò la sua nascita. Arpino, la città del nonno e del padre, circondata da boschi e rovine medievali, era immersa nella profondità della storia, ornandosi di nomi importanti del passato come Agrippa, Cicerone, Caio Mario. “L‟immaginario dell‟infanzia – scrisse – è la provincia come spettacolo, la storia come odore, la borghesia come discorso”3

.

Era l‟anno dell‟ascesa di Stalin alla carica di segretario generale del Partito comunista in Russia. Pochi mesi dopo, il 30 dicembre, a Mosca, il primo congresso pansovietico istituiva l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, dando vita al primo stato socialista al mondo. Il 28 ottobre le camice nere marciarono su Roma. Due giorni dopo Mussolini si presentò al Quirinale, dal Re, con la lista quasi completa del ministero che di lì a poco avrebbe costituito4.

Antonio Macciocchi era un ingegnere agronomo; sua moglie, Giuseppina Marrarza, proveniva da una famiglia di commercianti. Appena sposati i due andarono ad abitare in un palazzotto costruito ad Arpino per volontà di Antonio. Per prima nacque Maria Antonietta, seguita a undici mesi di distanza da Lucia; dopo altri sei anni, arrivò la piccola Fernanda, detta Ponci. Descritto nell‟autobiografia dell‟autrice come un personaggio fitzgeraldiano, il padre era un cultore della libertà intesa come joie de vivre, in piena sintonia con i ruggenti anni Venti. Figura a suo modo tragica, egli era destinato ad essere travolto, assieme a quell‟epoca di speranze, dalla crisi del ‟29, che in pochissimo tempo avrebbe bruciato la fortuna economica della famiglia. Dal suo disprezzo aristocratico verso l‟idea borghese di abitare in un appartamento era derivato il

1Per una storia del fascismo si rinvia all‟imprescindibile opera di De Felice e in particolare Intervista sul fascismo, Bari, Laterza, 1975. Per le critiche rivolte a De Felice, si vedano Nicola Tranfaglia e al., Fascismo e capitalismo, Milano, Feltrinelli, 1976 e Guido Quazza e al., Storiografia e fascismo, Milano, Angeli, 1985. Segnaliamo inoltre Federico Chabod, L'Italia contemporanea (1918-1948), Torino, Einaudi, 1961; di Emilio Gentile, Fascismo. Storia e

interpretazione, Bari, Laterza, 2002; Storia del partito fascista 1919-1922. Movimento e milizia, Bari, Laterza, 1989; Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell'Italia fascista, Bari, Laterza, 1993, n. ed. 2003; Il fascismo in tre capitoli, Bari, Laterza, 2004; Fascismo e antifascismo. I partiti italiani fra le due guerre, Firenze, Le Monnier, 2000; Le origini dell'ideologia fascista (1918-1925), Bari, Laterza, 1975; Bologna, Il Mulino, 1996; 2001. La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime fascista, Roma, Carocci, 1995; 2001.

Per un profilo generale degli anni della Liberazione, dell‟immediato dopoguerra (1943-48) e della transizione istituzionale si veda Paul Ginsborg, L’Italia dal dopoguerra ad oggi, 2 vol., Torino, Einaudi, 1989. Valerio Castronovo e al., L’Italia contemporanea 1945-1975, Torino, Einaudi, 1976; Marcello Flores e al., Gli anni della Costituente.

Strategie dei governi e delle classi sociali, Milano, Feltrinelli, 1983. Sul ruolo dei principali partiti si veda Antonio

Gambino, Storia del dopoguerra. Dalla liberazione al potere Dc, Bari, Laterza, 1975. 2 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 40

3 Ivi, p. 56 4

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continuo pellegrinare della famiglia da un albergo all‟altro, tra Roma, Cannes e Sanremo. Fu invece una vittoria di sua moglie il trasferimento, nel ‟28, nella casa romana di via Gregoriana, dove a quel tempo abitava anche Gabriele D‟Annunzio.

Nell‟attaccamento al padre, figura maschile carismatica, positiva malgrado la sua irresponsabilità - le perdite al gioco contribuirono a gettare la famiglia sul lastrico – ebbe forse origine per Macciocchi l‟identificazione tra la virilità e autorevolezza, forza, libertà. La sua ambiguità verso il “femminile” cominciò invece col rifiuto di quella concezione “moraleggiante, etica, penitenziale”5

, che sua madre aveva cercato di trasmettere a lei e alle sue sorelle.

La famiglia materna incarnava ai suoi occhi la negatività di una cultura femminile matrilineare fatta di trasmissione di superstizioni, convenzioni e modelli comportamentali all‟insegna del conformismo. “Il punto debole delle donne della famiglia materna era la loro devozione”6

, raccontò nella sua autobiografia. Un‟aura di triste sacralità, un odore monotono d‟incenso circondava l‟universo femminile agli occhi della bambina, in contrapposizione alla vitalità, alla capacità eretica e trasgressiva della figura paterna, in costante conflitto con le convenzioni sociali e le aspettative dell‟ambiente circostante. Lui, il peccatore, l‟anticonformista, incarnava l‟autonomia e la libertà critica e al tempo stesso deteneva il potere di scelta in seno alla famiglia. La madre rappresentava invece la sottomissione, la rinuncia, l‟ortodossia. Paradossalmente nella sua fuga Maria Antonietta finirà tra le braccia di un‟altra madre, ancor più incombente: il Partito-Madre, dispensatore di un‟etica altrettanto claustrofobica. Ma la madre fu anche colei che per prima la spinse a parlare in pubblico, a sfidare la società, proprio come anni dopo avrebbe fatto il Partito7.

In qualche modo l‟intera vita di Macciocchi fu attraversata da questo dualismo; il suo percorso intellettuale è stato il cammino sulla corda tesa tra l‟ortodossia e la libertà eretica. Dall‟infanzia e da questa polarità iniziale sembra discendere un‟ambiguità permanente verso il genere femminile. Le caratteristiche associate alla madre e percepite istintivamente come “naturali” altro non erano se non le virtù necessarie all‟adempimento di una funzione domestica imposta da una rigida divisione dei ruoli che alla donna richiedeva prudenza, capacità di conservazione, ordine e remissività8. Macciocchi in seguito lo comprese, ma spesso continuò a guardare alle “altre” come custodi dell‟ortodossia, sottomesse, masse deboli da cui lei avanzava come una solitaria intelligenza “virile”.

Anche il rapporto di Macciocchi con la religione cattolica risentì delle influenze familiari: respingere il cattolicesimo significò in seguito per lei schierarsi ancora una volta dalla parte del padre, abbracciandone il laicismo anticonvenzionale. Ma solo in apparenza: il bisogno di appartenere ad una Chiesa si ripresentò infatti sotto altre forme, che ne condizionarono l‟esistenza e il percorso politico. “Il Dio bigotto della mamma lo ritrovavo nel Partito, nel comunismo, contro lo sperpero di papà in ossequio ai valori del risparmio e del moralismo”9

.

5 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit.,, p. 47. 6 Ivi, p. 48.

7 Ivi, p. 56 8 Ivi, pp. 40-49 9 Ivi, p. 69

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In un contesto familiare in cui le donne rappresentavano “l‟ordine, la disciplina, la chiesa”10

il solo discorso antidogmatico era quello della zia paterna, Anita, da molti anni preda della follia. Era questa l‟unica figura femminile affascinante ai suoi occhi, emblematica del profondo strappo necessario alle donne per potersi esprimere liberamente, al di fuori delle convenzioni. Non a caso l‟adolescente Maria Antonietta scelse quello di Anita come nome di battaglia durante la Resistenza.

Dopo il trasferimento a Roma, dove le automobili costituivano ancora una rarità, la piccola Maria Antonietta e sua sorella erano accompagnate in giro per la città da un autista, a bordo di un‟auto di lusso. Nessuna comodità mancava a una famiglia che si era arricchita durante il primo conflitto mondiale grazie ad una serie di operazioni commerciali assai fortunate. La percezione del proprio status sociale era netta in quella bambina che anni dopo sarà costretta dal partito ad una pesante autocritica sull‟influenza morale delle proprie origini, causa, secondo il “processo” che le fu intentato alle Frattochie11 dai compagni di Partito, del suo individualismo piccolo-borghese.

La giovane Maria Antonietta studiava al liceo Dante Alighieri, in via Ennio Quirino Visconti, un istituto fondato dal regime nel 1938, ma che poteva contare nel suo corpo insegnante numerosi professori antifascisti. Nell‟anno scolastico 1938-39 risultava iscritta per la prima volta alla classe prima, ovvero il terzo anno delle scuole superiori, nella sezione A12. I licei della capitale, dal Visconti al Mamiani, dal Virgilio al Tasso, furono i luoghi in cui negli anni Trenta una generazione di giovani, sottraendosi alla ferrea morsa del regime, si formò agli ideali di libertà e giustizia sociale. Gli anni determinanti, nella formazione di una coscienza antifascista13 tra gli studenti, furono quelli tra il ‟35 e il ‟37, attraversati dalla conquista dell‟Etiopia e dalla guerra civile spagnola. Macciocchi a quell‟epoca era ancora giovanissima e i suoi contatti con l‟antifascismo non arrivarono che qualche anno dopo, all‟Università. Lei appartenne a quella “generazione di mezzo” che Bruno Zevi, nella rivista “Quaderni italiani”, fondata durante la guerra negli Stati Uniti, avrebbe così rievocato: “la generazione dei vent‟anni, quella che a cinque era balilla, a dieci fascista, e che a sedici avrebbe dovuto essere fascistissima, a sedici invece cominciava a dubitare: a diciassette aveva deciso per l‟opposizione e si accingeva alla lotta rivoluzionaria”14

.

Il primo antifascismo della giovane Maria Antonietta fu quello trasmessole dal padre, che le insegnò la ribellione verso un regime liberticida e odioso. L‟ostilità alla dittatura, nella sua famiglia, come in molte famiglie borghesi, era strisciante e si radicava soprattutto nell‟insofferenza per il vuoto ideale e culturale, per la rozzezza e la tetraggine del fascismo.

Nel 1940 Maria Antonietta perse sua madre, che morì per un cancro ai polmoni.

Nei mesi successivi al lutto si gettò a capofitto nello studio e concluse il liceo saltando l‟ultima classe e presentandosi direttamente agli esami finali, con gran successo. Non aveva bisogno di impegnarsi troppo per ottenere buoni risultati, e presto maturò quel

10 Ivi, p. 59

11 Storica sede della Scuola di partito del PCI. In apposite sessioni i militanti erano invitati a pronunciare autocritiche, ad ammettere i propri errori e a correggere eventuali comportamenti e inclinazioni personali non conformi alla linea del Partito. Macciocchi ha pubblicato la sua autobiografia in Duemila anni di felicità, cit. pp. 169-180

12 Pagella scolastica del Liceo Ginnasio “Dante Alighieri” di Maria Antonietta Macciocchi, Archivio Macciocchi. 13

Per un‟ampia bibliografia sull‟antifascismo si rinvia al recente lavoro collettivo a cura di Alberto De Bernardi

Bibliografia dell’antifascismo italiano, Roma, Carocci, 2008

14 B. Zevi, Presentando i <<Quaderni>>, <<Quaderni italiani>>, cit. in Nello Ajello, Intellettuali e PCI, 1948-1958, Bari, Laterza, 1997, p. 7

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senso di superiorità intellettuale che l‟accompagnò sempre. “Cominciai così a disprezzare, senza dirlo, i mediocri, gli ignoranti, gli sciocchi – scrisse in seguito – (…) allora, tanto tempo fa, non adoravo che la bellezza e l‟intelligenza fino allo sprezzo degli altri”15

. Era una giovane individualista e orgogliosa, attaccata alle proprie passioni: prima tra tutte quella per la cultura e la bellezza, che la portarono a dedicarsi allo studio della storia dell‟arte, con Toesca, e a diciotto anni a scrivere un breve saggio su El Greco, che non fu mai pubblicato. L‟ingresso all‟università aprì un nuovo capitolo: quello dell‟antifascismo attivo e della Resistenza.

2. La Resistenza

Il dibattito sulla Resistenza e l‟antifascismo in Italia è estremamente complesso16

. Nell‟impossibilità di ricostrurlo integralmente in questa sede, ci limiteremo a ricordare come esso abbia conosciuto, dall‟immediato dopoguerra ai nostri giorni, diverse fasi, che hanno spesso visto intrecciarsi passato e presente, storiografia e ragioni politiche. All‟inizio la Resistenza assurse, nell‟interpretazione della storiografia di sinistra, a mito fondatore del nuovo Stato, mentre il valore politico dell‟antifascismo doveva essere il collante della Repubblica nata dalle ceneri del Ventennio17. Grande spazio ebbero la memorialistica e i racconti dei protagonisti della vicenda resistenziale, specialmente di parte comunista. Gli studi di De Felice18 furono i primi a intaccare profondamente quella visione, centrata sulla frattura tra l‟Italia fascista e quella democratica, che aveva dato del fascismo l‟immagine di una parentesi nella nostra storia, minimizzando il consenso popolare al regime. Se De Felice fu al tempo del suo lavoro fortemente ostracizzato19, nei decenni successivi fiorirono nuove ricerche sulla Resistenza ben lontane dall‟ottica marxista20, e parimenti proseguirono le polemiche tra gli esponenti delle varie correnti

15 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 68 16

Tra le opere collettive dedicate alla Resistenza segnaliamo il Dizionario della Resistenza, Torino, Einaudi, 2001 e L'Atlante storico della Resistenza, Milano, Bruno Mondadori, 2001

17

Storia dell’antifascismo italiano, a cura di L. Arbizzani e A. Caltabiano, Prefazione di G. Gabelli, vol. I, Lezioni, vol. II, Testimonianze, Roma, Editori Riuniti, 1964, Collana Enciclopedia Tascabile. Il volume delle lezioni, che si erano tenute a Torino per iniziativa del PCI, contiene interventi di Alatri, Arfé, Basso, Battaglia, Bauer, Bobbio, La Malfa, Luraghi, Nitti, Parri, Raggianti. Si vedano anche P. Alatri, Il prezzo della libertà. Episodi di lotta antifascista, Roma, Tip. Nava, 1958

P. Alatri, L'Antifascismo italiano, 2 voll., Roma, Editori Riuniti, 1973; R. Battaglia, Storia della Resistenza italiana, Torino, Einaudi, 1964; G. Quazza, La Resistenza italiana. Appunti e documenti, Torino, Giappichelli, 1966; M. Salvadori, Storia della Resistenza italiana, Venezia, Neri Pozza, 1955; P. Secchia, Il Partito comunista italiano e la

guerra di Liberazione 1943-1945, Milano, Annali Feltrinelli, anno XIII, 1971; P. Spriano, Storia del PCI, vol. V: la Resistenza, Torino, Einaudi, 1975.

18

R. De Felice, Le interpretazioni del fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1977; Mussolini, I Il rivoluzionario; II Il fascista.

1. La conquista del potere, 2. L’organizzazione dello Stato fascista; III Il Duce. 1. Gli anni del consenso; 2. Lo Stato totalitario; Mussolini l’alleato. 1. L’Italia in guerra; 2. Crisi e agonia del regime, Torino, Einaudi, 2008; Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1961

19

In occasione del trentennale della Resistenza, nel 1975, un duro attacco a De Felice fu mosso dall‟editoriale-manifesto apparso nella rivista <<Italia contemporanea>>, che lo accusava di posizioni qualunquistiche, oggettivamente filofasciste e diseducative. L‟attacco era sottoscritto da Claudio Pavone, Guido Guazza, Ernesto Ragionieri, Enzo Santarelli, Giorgio Vaccarino, Enzo Collotti, Massimo Legnani. La rivista era edita dall‟Istituto Nazionale di Storia del Movimento di Liberazione in Italia (Insmli), nel cui direttivo figuravano tra gli altri Ferruccio Parri e leader partigiani comunisti come Arrigo Boldrini.

20

Una delle polemiche fu legata all‟uso dell‟espressione “guerra civile”, avversata da molti per le sue potenziali implicazioni di legittimazione del nazifascismo. Quest‟espressione fu tuttavia abbracciata anche da storici di sinistra, tra cui Claudio Pavone, protagonista della Resistenza, da molti considerato il caposcuola del “revisionismo di sinistra”. C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 1991.

(13)

critiche; a livello europeo storici come François Furet21 ed Ernst Nolte22, che portarono avanti ricerche storiche ugualmente distanti dal paradigma marxista, furono accusati di ambiguità morale e ideologica. Agli inizi degli anni Novanta esplose la nuova polemica sul “revisionismo” 23. Tra gli esponenti della linea “antirevisionista” erano in prima fila lo

storico Nicola Tranfaglia, che vedeva in De Felice il caposcuola del revisionismo italiano, e Paul Ginsborg. Gli storici e gli opinionisti “revisionisti”24

mettevano in evidenza quanto avevano in comune fascismo e comunismo, contestavano la lettura “classista” e mettevano in dubbio il rapporto tra PCI e democrazia. Parlavano di manipolazione dell‟antifascismo nel senso di una appropriazione della memoria collettiva da parte del PCI che, scrivendo la storia, aveva minimizzato il ruolo antifascista delle altre forze democratiche e liberali. Denunciavano una narrazione egemonica della sinistra, che tra i suoi limiti principali aveva l‟espulsione dalla storia di tutti i soggetti che non avevano partecipato alla Resistenza, la sopravvalutazione della partecipazione popolare quando nella realtà la Resistenza era stata un fenomeno d‟élite, la rimozione della categoria di totalitarismo dal dibattito, che avrebbe potuto condurre a un parallelo tra nazismo, fascismo e comunismo, e infine la cancellazione delle violenze commesse dai partigiani25.

Il dibattito storiografico sulla Resistenza in Italia si è riacceso in seguito con la pubblicazione dei saggi di Giampaolo Pansa26, dedicati agli eccidi commessi dai partigiani durante la guerra di liberazione27. Se Il sangue dei vinti raccontava le esecuzioni compiute da ex partigiani dopo il 25 aprile 1945, La grande bugia28 era la

21

François Furet (Parigi, 1927 - 1997). È stato uno storico francese, tra i più importanti studiosi della Rivoluzione francese. Tra le sue opere ricordiamo, oltre ai numerosi saggi sulla Rivoluzione francese, Il passato di un'illusione.

L'idea comunista nel XX secolo, Milano, Mondadori, 1995.

22 Ernst Nolte (Witten, 11 gennaio 1923) è uno storico tedesco, professore emerito di storia contemporanea alla Freie Universität di Berlino. Tra le sue opere La guerra civile europea 1917-1945. Nazionalsocialismo e bolscevismo, Milano, Rizzoli, 2008; con F. Furet, Ventesimo secolo. Per leggere il Novecento fuori dai luoghi comuni, Roma, Liberal Libri, 1997.

23

Per revisionismo in generale s‟intende qualsiasi posizione che metta in discussione, rivedendoli, gli esiti storiografici precedentemente dati per certi. In tale accezione potremmo dire che la storia non può che essere revisionista. Nella sua accezione negativa il termine è stato utilizzato con riferimento al rischio di relativizzare i crimini commessi dal nazifascismo, fenomeno che spesso, nella storiografia europea, ha costituito il principale oggetto delle revisioni storiografiche degli ultimi decenni, condotte anche con fecondi risultati. Sul tema si veda E. Collotti (a cura di),

Fascismo e antifascismo. Rimozioni, revisioni, negazioni, Bari, Laterza, 2000 con contributi di A. Boldrini, E. Collotti,

F Colombo, G. Crainz, A. Del Boca, G. De Luna, M. Ferretti, G. Fink, F. Gatti, M. Isnenghi, A. Parisella, C. Pavone, V Pisanty, P.P. Poggio, G. Ranzato, L. Rapone, G. Rochat, G. Santomassimo, K. Stuhlpfarrer, T Szarota, Ph. Videlier, L. Violante, W Wippermann. Per il dibattito politico-giornalistico sull‟uso del termine “revisionismo” applicato agli studi storici in Italia negli anni più recenti, si veda P. Mieli, Storia e politica. Risorgimento, fascismo e comunismo, Milano, Garzanti, 2001. Per le reazioni suscitate dal libro di Mieli, M. Brambilla, Resistenza e revisionismo. La politica contro

la storia, in <<Sette. Settimanale del Corriere della Sera>>, 24/05/01, con le opinioni di Salvadori, Campi, Macrì,

Perfetti, Rumi, Tranfaglia e Messori. Nelle polemiche degli anni attorno al 2000 sul “revisionismo” intervenvero Giorgio Bocca, Ernesto Galli Della Loggia, Enzo Siciliano, Nicola Tranfaglia, Furio Colombo, Massimo Fini, Claudio Pavone, Claudio Magris, Marco Revelli, Adriano Sofri, Eugenio Scalfari, Pierluigi Battista, Antonio Tabucchi, Luciano Violante, Oscar Luigi Scalfaro, e l‟allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

24

Tra gli altri Ernesto Galli della Loggia, Piero Ostellino, Indro Montanelli

25 Tra i saggi più recenti Filippo Focardi, La guerra della memoria. La Resistenza nel dibattito politico italiano dal

1945 a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2005; Roberto Chiarini, 25 aprile. La competizione politica sulla memoria, Venezia,

Marsilio, 2005; Ugo Finetti, La Resistenza cancellata, Milano, Edizioni Ares, 2003 26

Giampaolo Pansa (Casale Monferrato, 1935) è giornalista e scrittore. Ha lavorato per <<La Stampa>>, <<Il Giorno>>, <<Il Corriere della Sera>>, <<Panorama>> e <<La Repubblica>> ed è stato condirettore di <<L'Espresso>>.

27 G. Pansa, Il sangue dei vinti, Milano, Sperling & Kupfer, 2003. Tra gli altri libri dedicati da Pansa alla Resistenza anche I figli dell’aquila, Milano, Sperling & Kupfer, 2002 e Sconosciuto 1945, Milano, Sperling & Kupfer, 2005. 28

(14)

risposta alle critiche mosse dagli storici ai suoi precedenti libri sull‟argomento. Pansa intendeva demolire il mito storiografico costruito dal vecchio Pci, che aveva portato all‟occultamento dei crimini partigiani per poter legittimare “nel segno della <<Repubblica nata dalla Resistenza>>, un partito altrimenti troppo schiavo dell'Urss per potersi considerare veramente <<italiano>>”29

. I suoi lavori furono criticati per la loro scarsa attendibilità scientifica, in quanto privi di note e riferimenti ai documenti presi in esame. In luogo della forma del saggio documentato, l‟autore aveva scelto l'artificio narrativo del dialogo con un interlocutore immaginario30. In essi, ribattevano i critici, si dava ampio spazio agli eccessi commessi dai partigiani decontestualizzandoli e dimenticando le cause gravissime che avevano originato tanta violenza. Per De Luna gli scritti di Pansa non aggiungevano nulla di nuovo ai ben altrimenti documentati lavori di De Felice. Oramai la lettura “revisionista” della Resistenza aveva raggiunto i suoi obiettivi politici, quindi non vi era ragione di continuare a parlare di pagine cancellate della storia o di presentare i propri lavori come “smascheramenti”: “Sarebbe il momento per tutti gli storici «revisionisti» di riconoscere che la loro battaglia ha ormai raggiunto i suoi principali obiettivi politici: cancellare la Resistenza dal paradigma di fondazione della Repubblica e aprire una nuova stagione, con una «rifondazione» che tenga conto anche di famiglie politiche e culturali del tutto estranee all'antifascismo”31

. 3. La storiografia e le donne dimenticate

In Italia, secondo il decreto luogotenenziale del 21 agosto 1945, era dichiarato partigiano chi avesse portato le armi per almeno tre mesi in una formazione armata “regolarmente inquadrata nelle forze riconosciute e dipendenti dal Comando volontari della libertà”32, e avesse preso parte ad almeno tre azioni di guerra o di sabotaggio. Si trattava evidentemente di un filtro molto rigido, parte integrante del complesso meccanismo che ha portato alla rimozione del ruolo femminile nella Resistenza italiana. In questo lungo oblio un ruolo centrale l‟ha avuto il modello storiografico che per molti anni ha ispirato l‟interpretazione della Resistenza, e che è stato messo in discussione solo a metà degli anni ‟70, da una nuova corrente di studi condotti da donne.

Le storiche allora negarono validità ad una lettura che aveva considerato la Resistenza esclusivamente sotto il profilo militare, trascurando la pluralità di forme in cui si era tradotta la lotta femminile. Venne rivisto persino l‟uso dei termini adottati e furono rifiutati quelli - come “contributo”, “partecipazione” - che evocavano per le donne un ruolo marginale o complementare.

29

G. De Luna, Resistenza: hanno vinto i revisionisti, in <<La Stampa>>, 10/11/06 30

Ivi. A. D‟Orsi in Le verità apparenti. Le chiacchiere da salotto sulla Resistenza, <<Il manifesto>>, 26/10/03, ha parlato di “operazione scientificamente inaccettabile e culturalmente discutibile”. D‟Orsi accusava Pansa di aver eliminato, con la rinuncia alle note, le tracce del passato ricostruito nel libro. “Fare lo studioso di storia significa lavorare sui documenti: ossia cercarli; usarli in modo corretto; dare al lettore la possibilità della verifica, il cui onere però spetta allo studioso. Altrimenti quello che si fa non ha nulla a che spartire con la storia. La disonestà del libro consiste proprio in questo: che ha la pretesa di essere uno studio storico, ma ha l'alibi della letteratura. E in tal modo l'autore si costruisce una sorta di barriera difensiva preventiva”, Ivi.

31

G. De Luna, Resistenza, cit.

32 A. Bravo, Riflessioni sull’esperienza femminile nella Resistenza, in Donne a Roma, 1943-44, Roma, Cooperativa Libera stampa, 1996, p. 7

(15)

Sulla presenza femminile nella lotta contro il nazifascismo si è molto scritto negli anni successivi all‟apertura di questo dibattito storiografico33, evidenziandone l‟importanza e l‟ampiezza. Trentacinquemila partigiane combattenti, settantamila iscritte ai Gruppi di

difesa della donna, quattromilaseicento donne arrestate e torturate,

duemilasettecentocinquanta donne deportate nei campi di concentramento nazisti, cinquecentododici commissarie di formazioni partigiane, sedici medaglie d‟oro, diciassette d‟argento, seicentoventitré fucilate o cadute34

in combattimento sono le cifre, oramai note, di una presenza evidentemente significativa ma che non può essere misurata semplicemente con un parametro numerico. Nell‟adottare il punto di vista di genere, infatti, tale criterio apparirebbe assolutamente inadeguato, come ha sottolineato Marina Addis Saba, rifiutando questo “preteso indice di precisione”35. “I criteri di classificazione – ha scritto Addis Saba - sinora applicati al moto resistenziale di tutto un popolo, o di una larga parte di esso, sono stati sino ad ora criteri militari che hanno falsato la realtà”36

. Inizialmente anche la storia della Resistenza fatta dalle donne e attenta alla dimensione di genere aveva applicato criteri tradizionali, valorizzando soprattutto la militanza femminile nelle file del movimento di liberazione, nella resistenza armata e nell‟organizzazione politica. La prima produzione storiografica, dunque, ha portato in evidenza un‟avanguardia di donne ma ha lasciato in ombra le azioni quotidiane svolte dalla maggioranza di esse. La presenza femminile nel moto resistenziale ha conosciuto infatti modalità molto ampie di articolazione, spesso talmente intrecciate con il quotidiano da essere state per questo sottovalutate. Quando si fa riferimento al peso che la gente comune ebbe nella resistenza al nazifascismo, dietro quel generico richiamo si occulta la prospettiva di genere, ovvero il fatto che la resistenza del popolo fu in gran parte quella delle donne, ovvero una “resistenza civile”, vissuta costantemente al confine tra sfera privata e pubblica.

Il concetto di “resistenza civile”, coniato proprio per uscire dall‟impostazione riduttiva della storiografia ufficiale, e dar conto delle varie forme di resistenza diverse dalla partecipazione militare, fu dunque adottato dalle storiche. L‟uso di questa categoria ha consentito di rivelare come la presenza femminile fosse distribuita nei diversi settori della Resistenza. Non solo nello scontro armato o nel trasporto di armi e munizioni, ma anche nel lavoro di informazione, approvvigionamento e collegamento, nella stampa e nella propaganda, nell‟organizzazione sanitaria e ospedaliera, nel Soccorso rosso37. “Non vi fu

33 M. Ombra, Essere dentro la storia. Scelta politica di appartenenza di genere nell’esperienza partigiana, "Italia Contemporanea", n.198, marzo 1995. M. Ombra, Donne e Resistenza: una sconvolgente scoperta, in Contadini e

partigiani, Atti del Convegno storico Asti, Nizza Monferrato, 14-16 dicembre 1984, Alessandria, Edizioni dell‟Orso,

1984. M. Addis Saba, Tutte le donne della Resistenza, Milano, Mursia, 1998. M. Addis Saba, Ma la storiografia

ufficiale si dimentica delle partigiane, in <<Critica MM>>, n. 4, aprile 1995. A. Bravo, A. M. Bruzzone, In Guerra senz’armi. Storie di donne 1940-1945, Roma-Bari, Laterza, 1995. A. M. Bruzzone e R. Farina, La Resistenza taciuta,

Milano, La Pietra, 1976. D. Gagliani, E. Guerra, L. Mariani, F. Tarozzi, Donne della Resistenza. Una ricerca in corso, in <<Italia contemporanea>>, n. 200, settembre 1995. B. Guidetti Serra, Compagne, Torino, Einaudi, 1977. F. Pieroni Bortolotti, Le donne della Resistenza antifascista e la questione femminile in Emilia Romagna 1943-1945, Milano, Vangelista, 1978. In particolare sulla resistenza romana si veda Tagliabracci Adris (a cura di), Le quattro ragazze dei

GAP, (4 voll: Carla Capponi, Marisa Musu, Lucia Ottobrini, Maria Teresa Regard), "Il Contemporaneo", 7 (1964), n°

77/7

34 Dal discorso di Luigi Longo alla Celebrazione del contributo delle donne comuniste alla lotta di liberazione

nazionale, tenuto a Roma, al Teatro Adriano a conclusione della IV Conferenza delle donne comuniste, il 29 giugno

1965, in L’Emancipazione femminile. Discorsi alle donne di Palmiro Togliatti, Roma, Editori Riuniti, 1965, p. 9 35 M. Addis Saba, Tutte le donne della Resistenza, cit., p. X

36 Ivi, p. X

(16)

attività – ha scritto Ada Gobetti38, fondatrice del primo Gruppo di Difesa della Donna39 a Milano – lotta, organizzazione, collaborazione, a cui ella (n.d.r. la donna) non partecipasse: come una spola in continuo movimento costruiva e teneva insieme, muovendo instancabilmente, il tessuto sotterraneo della guerra partigiana”40

.

Se parte della Resistenza fu vissuta dalle donne nelle molteplici forme del boicottaggio, della resistenza passiva, dell‟aiuto morale e materiale ai clandestini, senza che tali azioni fossero inquadrate in una strategia, e senza stabili contatti con formazioni partigiane, d‟altro canto per alcune di loro maturarono esperienze più propriamente politiche e organizzate. Fu il caso di chi, come Macciocchi, si avvicinò proprio in quella fase ai partiti politici, iniziando al loro interno un percorso che sarebbe proseguito nell‟impegno politico e istituzionale negli anni della Repubblica.

Nel complesso il periodo della Resistenza fu una grande prova pubblica per le donne al punto che Marisa Ombra41 ha potuto affermare in proposito: “Il periodo 1944-46 è il momento fondativo della moderna storia politica delle donne”42

. Sono le prime prove di attività politica femminile di massa. “Prima – ha raccontato Marisa Ombra - c‟erano stati i movimenti emancipazionisti, ma poi c‟è una rifondazione, parliamo di una storia di massa. Fu una pratica politica inventata perché nessuna di noi aveva esperienza politica. Fin dall‟inizio si presentano nodi teorici di cui si prenderà coscienza negli anni ‟70, alla nascita del femminismo e attorno a questi nodi teorici ci si combatte aspramente tra chi aveva seguito una linea emancipazionista e le altre”43

.

La prima forma di emancipazione, per Macciocchi, consistette nel trovarsi assieme agli uomini e poter discutere con loro alla pari. “La mia – scrisse – era una maturazione fantastica nell‟azione politica e come donna”44

. 4. L‟incontro con i GAP45

38

Ada Prospero Marchesini Gobetti (Torino, 1902 –1968) fu un‟insegnante, traduttrice e giornalista italiana. Sposò Piero Gobetti e con lui lavorò alla rivista “Rivoluzione liberale”. Partecipò alla Resistenza. Nel 1953 diresse, con Dina Bertoni Jovine la rivista Educazione Democratica. Abbandonato il Partito D‟Azione aderì al PCI. A. Marchesini Gobetti, Diario partigiano, Torino, Einaudi, 1956

39 I Gruppi di Difesa della Donna si svilupparono soprattutto nel Nord e nel Centro Italia sotto l‟occupazione nazista. Tra i loro compiti quello di organizzare nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole e nelle campagne la resistenza, il sabotaggio della produzione, il rifiuto dei viveri agli ammassi. Allo stesso tempo parteciparono all‟organizzazione dei C.L.N. locali e dei Comitati d‟agitazione nelle fabbriche, portando avanti rivendicazioni di carattere politico ed economico.

40 A. Gobetti cit. in M. A. Saba, Partigiane. Tutte le donne della Resistenza, cit., frontespizio

41 Marisa Ombra, proveniente da una famiglia operaia dell‟astigiano, è entrata giovanissima nella Resistenza. Fece parte dell‟Udi dal 1944 e in seguito ne divenne dirigente; è stata presidente della Cooperativa libera stampa, editrice del periodico Noi donne, e dell‟Associazione nazionale archivi Udi. Nel 2007 è stata insignita del titolo di Grande Ufficiale della Repubblica.

42 M. Ombra, seminario tenuto presso la Scuola Dottorale di Scienze Politiche, sezione Questione femminile e politiche paritarie, Università degli Studi Roma Tre, 2 aprile 2007

43 Ivi

44Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit., p. 87

45 I GAP, Gruppi d'Azione Patriottica, nacquero su iniziativa del Partito Comunista Italiano, sulla base dell'esperienza della Resistenza francese. Erano articolati in piccoli nuclei di quattro o cinque persone e portavano avanti azioni di sabotaggio nei confronti delle truppe nazifasciste. Sui GAP romani e in particolare su una delle vicende più controverse legate alla loro esperienza, ovvero l‟attacco di via Rasella, si veda la ricostruzione del comandande GAP Rosario Bentivegna, protagonista dell‟assalto di via Rasella, Achtung Banditen!, Milano, Mursia, 1983, n. ed. 2004. E ancora sulla Resistenza a Roma M. Avagliano G. Le Moli, Muoio innocente. Lettere di caduti della Resistenza a Roma, Milano, Mursia, 1999.

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“Dato che il partito non poteva fornirci un poligono di tiro, per esercitarci a sparare, con Maria Antonietta andavamo alle bancarelle di Piazza Navona”46

. Così Rinaldo Ricci47, membro dei GAP romani, in seguito assistente regista di Luchino Visconti, ricorda oggi i giorni in cui lui e Macciocchi facevano “coppia” nell‟organizzazione romana della Resistenza. I due si conobbero all‟inizio degli anni ‟40, quando entrambi, giovani studenti, davano ripetizioni ai figli del ministro della Cultura, Pavolini.

L‟antifascismo, per loro come per tanti altri giovani, era prima di tutto un fatto culturale, alimentato da letture vaste e spesso proibite, sintomo di un‟inquietudine delle coscienze cui il plumbeo clima culturale del regime non poteva dare risposte. “Ci influenzava la letteratura americana, ma anche Malraux, Marx”, ricorda Rinaldo Ricci. La condizione umana era stata infatti una lettura determinante per Macciocchi: “Ho letto La condizione umana di Malraux (…) Il fascismo ci aveva tenuto all‟oscuro di tutta la cultura straniera, eppure, chissà come, questo Malraux era stato tradotto”48. Il libraio era meta quotidiana per la giovane, che acquistava libri usati, spesso tenuti “sottobanco”, come nel caso dell‟autore francese che tanto la influenzò: “Solo Malraux mi aveva messo in rapporto con i comunisti”49

.

Fu Rinaldo Ricci invece a metterla materialmente in contatto con gli ambienti romani della Resistenza, e in primis con Guttuso50, che nel suo studio di via Pompeo Magno ospitava gli antifascisti. Come ha scritto Giorgio Galli nella sua Storia del Partito Comunista Italiano, i primi sintomi del risveglio di una coscienza politica durante la guerra erano giunti, già dal 40-41, proprio dagli intellettuali, in particolare quelli dell‟ambiente romano: Renato Guttuso, Ruggero Zangrandi51

, Mario Alicata52, Pietro Ingrao53, Paolo Bufalini54, Aldo Natoli55, Fabrizio Onofri56, Marco Cesarini Sforza57, Antonello Trombadori58. Dopo il 25 luglio del ‟43 Guttuso aveva costituito un comitato

46 Testimonianza di Rinaldo Ricci

47 Rinaldo Ricci (Roma, 1923); è stato assistente alla regia di Luchino Visconti, Franco Zeffirelli e Billy Wilder. Nella sua filmografia ricordiamo con Visconti Il Gattopardo e Rocco e i suoi fratelli, con Franco Zeffirelli Romeo & Juliet. Ha partecipato alla Resistenza.

48 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit, p. 77 49 Ivi, p. 77

50

Renato Guttuso (Bagheria, 1911 – Roma, 1987) è stato un pittore italiano, esponente del cosiddetto realismo sociale, e uno dei più illustri nomi della cultura vicini al Partito comunista italiano.

51

Ruggero Zangrandi (1910-1970) è stato un giornalista e scrittore italiano. Si impone al largo pubblico negli anni Sessanta per le sue inchieste sul Sifar e per la sua ricostruzione della mancata difesa di Roma, nel 1943, da parte dello Stato Maggiore italiano.

52

Mario Alicata (Reggio Calabria, 1908 – Roma, 1966) è stato un giornalista e politico italiano. Ha partecipato alla Resistenza. Membro del Comitato centrale del PCI è stato uno dei più stretti collaboratori di Palmiro Togliatti. Ha diretto il quotidiano comunista <<L‟Unità>>.

53

Pietro Ingrao (Lenola – Latina 1915), è un giornalista e politico italiano. Partecipò alla Resistenza a Roma e Milano, è stato membro del Comitato centrale del PCI, parlamentare per numerose legislature e presidente della Camera dei Deputati. Ha diretto il quotidiano <<L‟Unità>> e partecipato alla fondazione del Partito Democratico di Sinistra, per abbandonarlo il seguito e aderire al partito della Rifondazione Comunista.

54

Paolo Bufalini (Roma, 1915 – Roma, 2001) è stato un politico italiano. Partigiano, eletto più volte in Parlamento, è stato fra i massimi dirigenti del Partito Comunista Italiano.

55 Aldo Natoli (Messina, 20 settembre 1913) medico, antifascista e deputato italiano per il PCI, fu radiato dal partito con Rossana Rossanda, Luigi Pintor e il gruppo del quotidiano “Il Manifesto” a causa del dissenso sull‟invasione sovietica della Cecoslovacchia.

56

Fabrizio Onofri (Roma, 1917 – 1982) è stato uno scrittore e dirigente comunista, Medaglia di bronzo al valor militare per il suo impegno nella Resistenza. Fu espulso dal PCI nel ‟57 in seguito ad una polemica con Togliatti sullo stalinismo.

57

Marco Cesarini Sforza è stato un giornalista e membro del PCI.

58 Antonello Trombadori (Roma, 1917 – Roma, 1993) è stato un giornalista, critico d'arte e politico italiano. Partecipò alla Resistenza e dopo la Liberazione entrò a far parte del Comitato centrale del PCI. Collaboratore di importanti riviste

(18)

pluripartitico per dare assistenza agli antifascisti in carcere, rappresentandovi il PCI. Macciocchi entrò in contatto con quest‟ambiente: incontrò Negarville59, Di Vittorio60, Giorgio Amendola61. Quest‟ultimo in particolare avrà un ruolo determinante nella vita di Macciocchi, sia dal punto di vista politico, sia personale, visto che diventerà suo cognato. Figlio di Giovanni Amendola62, Giorgio si era assunto il compito di seppellirne l‟eredità idealista liberale – scrisse Macciocchi – in nome dell‟ideologia ufficiale del PCI63. Giorgio Amendola era un politico accorto, estremamente realista, fedele a Mosca. Il partito doveva seguire la linea dettata dall‟URSS, il che in questa fase significava accreditarsi come leale agli occhi delle forze politiche democratiche e degli alleati. Per chi si formò politicamente in quel periodo la parola d‟ordine democratica era persino più forte del richiamo alla centralità del proletariato, temporaneamente passata in secondo piano. Con la svolta di Salerno Togliatti propose la collaborazione tra tutte le forze che volessero battersi per la libertà d‟Italia accantonando la pregiudiziale dell‟abdicazione del re. Nel frattempo la presenza delle truppe angloamericane sul territorio italiano veniva presentata dal PCI come la causa transitoria che impediva di portare avanti una linea rivoluzionaria. Si cominciava a parlare di attesa di “nuove più favorevoli condizioni di lotta per le situazioni future”64

.

Macciocchi intanto fu nominata responsabile delle donne della zona centrale di Roma, e si vide assegnare come primo compito la distribuzione de L’Unità65. In questa fase iniziale, nella distribuzione di materiali di propaganda, fu affiancata da una giovanissima Miriam Mafai, che ricordò in seguito: “Per tutti i mesi dell‟occupazione, continuammo a incontrarci, a distribuire volantini e l’Unità (…). Mi fece leggere Malraux e mi spiegò che i comunisti cinesi erano <<gagliardissimi>>”66.

come <<La Ruota>>, <<Primato>>, <<Città>>, <<Corrente>>, <<Cinema>> e <<Rinascita>>, fu eletto quattro volte deputato. Dopo il 1968, si avvicinò dapprima alla corrente migliorista di Paolo Bufalini e Giorgio Napoletano, quindi alle posizioni socialiste. Giorgio Galli, Storia del Partito Comunista Italiano, Milano, Kaos edizioni, 1993.

59

Celeste Negarville (Avigliana, 1905 – Torino, 1959) è stato un politico italiano. Antifascista, nel dopoguerra sarà uno dei maggiori esponenti del PCI e il primo a dirigere L‟Unità dopo gli anni di diffusione clandestina. Fu deputato all‟Assemblea Costituente, quindi senatore e più volte sottosegretario. E‟ stato sindaco di Torino nell‟immediato dopoguerra. Ha contribuito alla sceneggiatura del film di Rossellini Roma città aperta.

60

Giuseppe Di Vittorio (Cerignola, 1892 – Lecco, 1957) è stato un politico e sindacalista italiano. Proveniente da una famiglia di contadini, partecipò da antifascista alla guerra civile spagnola e quindi alla Resistenza in Italia nelle Brigate Garibaldi. Nel 1945 fu eletto segretario della CGIL che aveva contribuito a rifondare e che guidò fino alla sua morte. 61

Giorgio Amendola (Roma, 1907 – Roma, 1980) è stato un politico italiano, autore di numerosi libri. Figlio di Giovanni Amendola e dell‟intellettuale lituana Eva Kuhn, aderì al PCI nel 1929 militando nell‟antifascismo e quindi nella Resistenza, entrando nel comando generale delle Brigate Garibaldi assieme a Luigi Longo, Pietro Secchia, Gian Carlo Pajetta e Antonio Carini. Fu deputato per il PCI dal 1948 fino alla morte. Fu cognato di Maria Antonietta Macciocchi, che sposò il fratello Pietro Amendola.

62 Giovanni Amendola (Salerno, 1882 – Cannes, 1926) è stato un politico italiano. Docente di filosofia teoretica all'Università di Pisa, parlamentare liberale, fu ispiratore del Manifesto degli intellettuali antifascisti e uno dei principali artefici della secessione aventiniana. Inviso al regime, fu una delle prime vittime del fascismo. Morì a Cannes, in Francia, in seguito ad una lunga agonia, per le percosse ricevute a Serravalle Pistoiese (PT) il 20 luglio 1925 da un gruppo di squadristi.

63 Maciocchi, Duemila anni di felicità, cit, p. 70. 64 G. Galli, op. cit, p. 239.

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L'Unità era il quotidiano della sinistra italiana, quindi organo ufficiale del PCI, fondato il 12 febbraio 1924 da Antonio Gramsci. Messo fuori legge nel 1925 dal Prefetto di Milano, uscirà clandestinamente, tra Francia e Italia, sino alla seconda guerra mondiale; solo con l'arrivo degli alleati, dal 1944 riprese a Roma la pubblicazione ufficiale del giornale. Il nuovo direttore era Celeste Negarville.

66 M. Mafai, Addio alla Macciocchi, comunista eretica, <<La Repubblica>>, 16/04/07. In realtà Mafai sembra ricalcare il suo ricordo della Resistenza con Macciocchi dalle pagine di Duemila anni di felicità, cit., p. 77

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Dopo l‟8 settembre 1943 si assisteva alla rinascita dei partiti politici, l‟opposizione antifascista si riorganizzava e nel settembre nasceva il CLN. Accanto a questo, al Nord, nascevano i Gruppi di difesa della donna. A Roma invece era l‟occupazione tedesca. Furono mesi interminabili e tragici per la città, durante i quali Macciocchi svolse tutti i compiti propri di una staffetta, facendo da tramite per operazioni militari e di sostegno ai partigiani. Accompagnò Giorgio Amendola, suo futuro cognato, in diversi rifugi, e come lui altri esponenti della rete clandestina, introducendoli in alloggi segreti dove sarebbero stati ospitati e tenuti al riparo. Così conobbe tra gli altri Sandro Pertini, avendo l‟incarico di accompagnarlo nell‟alloggio clandestino indicatole dal comando della zona67.

Macciocchi operava al cuore di una rete femminile che aveva il suo territorio d‟azione nel centro della città, tra il Lungotevere, piazza del Popolo e piazza Colonna. “Il lavoro femminile nella quinta zona clandestina di Roma (…) non era difficile. Cercavo ragazze antifasciste disposte a svolgere un piccolo lavoro politico come la distribuzione dell‟Unità, o qualche volantino clandestino da sparpagliare per Roma, oppure disposte a stare nei posti di blocco sulle arterie stradali che uscivano da Roma, per contare i convogli militari che vi passavano”68

. Le clandestine della zona centrale erano una quindicina, ed erano divise in due spezzoni: quello con compiti di propaganda e di sostegno alle famiglie degli antifascisti incarcerati e quello con compiti propriamente militari. Quest‟ultimo dipendeva in parte dal PCI, in parte dal CLN. Erano le partigiane più anziane, sulla quarantina, ad istruire le giovani come Maria Antonietta non solo sui compiti pratici di una staffetta, ma anche sui fondamenti teorici della lotta, trasmettendo alle ragazze rudimenti della filosofia marxista-leninista.

La guerra ha spesso costituito per le donne un‟esperienza senza precedenti di responsabilità e libertà, legata alla conquista di spazi tradizionalmente riservati agli uomini, all‟apertura di nuovi orizzonti professionali, e spesso, come nel caso della Resistenza, alla partecipazione militare69. L‟attivismo femminile alterava la chiusura sociale ma anche “la rigidità dei modi di abbigliamento e di socialità borghesi”70. Si tratta spesso di un‟esperienza illusoria, poiché i mutamenti legati alla guerra sono limitati dal rafforzamento, pratico e simbolico, dei ruoli sessuali, oltre ad essere funzione di svariati parametri, quali il gruppo sociale, l‟età, la situazione familiare e naturalmente la storia individuale71.

Nell‟autobiografia di Macciocchi si ritrova l‟immagine di una vera e propria trasfigurazione legata all‟esperienza resistenziale, in linea con altre testimonianze che ci rinviano un‟immagine di liberazione femminile legata alla fase del conflitto. Se infatti le donne sono spesso doppiamente travolte dalle guerre, divenendo oggetto di specifiche violenze di genere legate ai conflitti, in molte memorie si ritrova invece come elemento

67 Macciocchi, Duemila anni di felicità, cit, p. 85 68 Ivi, p. 88

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Sulle donne e la guerra alcune considerazioni interessanti si trovano in F. Thébaud, La Grande Guerra, in Storia

delle donne. Il Novecento, a cura di F. Thébaud. Bari, Laterza, 1997 “Gli anni della guerra hanno costituito per le donne

un‟esperienza positiva, e persino – interrogativo provocatorio quant‟altri mai – un happy time?”, si chiedeva la storica francese analizzando l‟impatto della Grande Guerra sulla condizione femminile. Ivi, p. 42. La studiosa rileva come numerose fonti femminili ci rimandino quest‟immagine. L‟espressione “good time” è stata usata dalla femminista inglese C. Gasquoine Hartley in Women’s Wild Oats, mentre di “fine time” ha parlato L. Pruette. La propagandista inglese Jessie Pope e la romanziera americana Willa Cather hanno esaltato il rovesciamento dei ruoli sessuali. L‟Inghilterra di Harriot Stanton Blatch nel 1918 era un mondo di sole donne, che apparivano sicure nel loro spazio, capaci, felici, gli occhi brillanti.

70 Ivi, p. 46 71 Ivi, p. 49

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