RIASSUNTO
Parole chiave: COX-2, VEGF, carcinoma squamoso, angiogenesi, terapia
Lo scopo di questa tesi è quello di valutare l’espressione della Cicloossigenasi-2 nei Carcinomi Squamocellulari (CSS) cutanei e non cutanei del cane e del gatto, e la sua correlazione con l’espressione di VEGF, al fine di indagare il ruolo di tale enzima come marker prognostico e di suggerire un presupposto per protocolli con COX-2 inibitori per la terapia in questo tipo di tumori. COX-2 è stato osservato in un elevato numero di CSS cutanei (67,6% nel gatto, 63,3% nel cane), mentre l’espressione di COX-2 nei CSS non cutanei è stata significativamente inferiore. Anche VEGF è risultato espresso, ma non è stata evidenziata una sua correlazione con la sovraespressione di COX-2. Dai risultati ottenuti, sottoposti ad analisi statistiche, si deduce che l’inibizione di COX-2 può essere vantaggiosa nel trattamento del CSS cutaneo.
ABSTRACT
Key-words: COX-2, VEGF, squamous cell carcinoma, angiogenesis, therapy
The aim of our study was to evaluate the expression of COX-2 in canine and feline in cutaneous and non cutaneous squamous cell carcinomas (SCC) and its realtionship to angiogenesis and prognosis. We also attempted to provide a rationale for the use of COX-2 inhibitors in the therapy of this type of tumors. COX-2 was overexpressed in a wide number of cutaneous SCCs, while a lack of COX-2 expression was observed in non cutaneous SCCs. VEGF expression was also observed, but its expression was not correlated to COX-2 overexpression. From our results, submitted to statistical analysis, it evinces that COX-2 inhibition could be useful in the treatment of cutaneous SCCs.
CAP. 1: INTRODUZIONE
Se l’azione antiinfiammatoria e antidolorifica di alcune sostanze vegetali come ad esempio la salicina, precursore dell’acido acetilsalicilico, sono note fin dall’antichità, la relazione tra farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS) e l’enzima COX, è stata scoperta negli anni ’70 da J. Vane (Vane, 1971).
L’evidenza del fatto che inibendo la produzione di COX con la somministrazione di farmaci FANS era possibile prevenire alcuni tipi di cancro è emersa da studi epidemiologici sui tumori gastrointestinali dell’uomo. Negli anni ’80, infatti, fu documentato uno studio su un paziente affetto da tumore colon rettale che assumeva regolarmente farmaci FANS a scopo antidolorifico, ebbene in questo caso si assistette a una riduzione e addirittura sparizione dei polipi (Waddel et al., 1983). Questo caso, naturalmente, ha dato l’avvio a una serie di studi di popolazione che hanno dimostrato come l’utilizzo di FANS per lunghi periodi riduca lo sviluppo di tumori del colon nel 40-50%. Un modello di studio molto importante è stato rappresentato dalla ‘poliposi adenomatosa congenita’, una malattia ereditaria dell’uomo causata da un gene autosomico dominante. I pazienti affetti da questa malattia sviluppano in età precoce polipi multipli lungo il tratto digerente. Utilizzando farmaci FANS in questo tipo di pazienti, in particolare il farmaco Sulindac, è stata documentata la riduzione sia della misura sia
del numero dei polipi, e, alla sospensione del trattamento, si otteneva l’effetto contrario (Labayle et al., 1991; Nugent et al., 1993). Sebbene la malattia sopra citata rappresenti una piccolissima percentuale dei tumori che possono svilupparsi nel colon, questi studi hanno sicuramente aperto la strada ad un interessantissimo filone di studio.
In altre indagini, condotti nell’uomo, l’utilizzo dei farmaci FANS in diversi tipi di tumori non ha dato, per adesso, risultati certi, per questo non sono ancora utilizzati nella pratica clinica (Hayes, 2007). Sicuramente nell’uomo, è stata evidenziata un’elevata espressione di COX-2 in tumori della prostata, vescica, seno, pelle, polmoni, esofago e pancreas. Ovviamente, la ricerca ha bisogno di risposte chiare sui benefici terapeutici dell’utilizzo di questi farmaci nella terapia anti tumorale e in questo senso quindi è necessario lavorare. Per quello che riguarda gli animali d’affezione, innanzitutto, è importante stabilire se un particolare tumore esprime COX-2 maggiormente di un tessuto sano della stessa specie, successivamente, bisognerà cercare di illustrare se l’inibizione di COX-2 rallenta effettivamente lo sviluppo del tumore oppure se aumenta la sopravvivenza. I livelli di prostaglandina E2 (PGE2) e l’espressione di COX-2 sono stati esaminati comunque, ormai, in numerosi tumori canini. Sull’espressione di COX-2 nei tumori felini gli studi sono invece ancora piuttosto scarsi, tuttavia sembra essere stata dimostrata espressione immunoistochimica di COX-2 nel tumore felino della mammella, nel Carcinima Squamocellulare e nel Carcinoma delle Cellule di Transizione della Vescica Urinaria.
CAP. 2: L’ENZIMA CICLOSSIGENASI
2-1: CICLOOSSIGENASI
La prostaglandina H-sintetasi, o ciclo ossigenasi COX, è un enzima bifunzionale la cui attività consiste nel catalizzare le reazioni di ciclo-ossigenazione e di perossidazione dell’acido arachidonico derivato dalle membrane cellulari (Hayes, 2007).
Le cicloossigenasi aggiungono ossigeno all’acido arachidonico producendo prostanoido-endoperossidi instabili (PGG2), la reazione perossidasica che segue, converte le PGG2 in PGH2 il precursore di tutti i prostanoidi. Il prodotto finale poi dipende dalla presenza di specifici enzimi isomerasici. L’acido arachidonico viene rilasciato, insieme ad altri acidi grassi polinsaturi derivati dai fosfolipidi di membrana, all’interno
della cellula in seguito al danneggiamento della membrana cellulare (Richard Adams, 1999). L’enzima COX, è un omodimero composto di due sub unità di circa 70.000 DA e da un gruppo eme. Conosciamo due forme distinte di COX derivate da due diversi geni localizzati su due distinti cromosomi e sono codificati da mRNA di 2,8 kb per COX-1 e di 4,0 kb per COX-2 (Funk et al., 1991; Kujubu et al., 1991; Kosaka et al., 1994). Le due isoforme, COX-1 e COX-2 sono simili nelle strutture dei siti attivi, hanno circa il 60% della struttura aminoacidica identica, sono sovrapponibili nei meccanismi catalitici, nei prodotti e nella cinetica, ma differiscono nel modello di espressione del gene, probabilmente perche i prodotti del loro metabolismo agiscono su bersagli differenti nelle cellule.
Figura 1: La Fig.2 rappresenta schematicamente la struttura di COX-1 e COX-2 (Di Paolo, 2007)
L’immunoistochimica ha evidenziato che, sebbene siano entrambe proteine integrali di membrana, legate alla superficie luminale del reticolo endoplasmatico, allo strato contiguo esterno e allo strato interno della membrana nucleare, COX-2 tende ad essere regolato nelle regioni nucleari, mentre COX-1 nelle aree citoplasmatiche, questo fa supporre che gli enzimi agiscano in maniera indipendente (Claria, 2003). COX-1, presente a livello citoplasmatico, porterebbe alla costante biosintesi di prostaglandine con azione regolatoria delle attività basali cellulari, con ruolo così detto di “house keeping “ (Smith et al., 1996), mentre COX-2, che normalmente non è espresso nelle cellule sane, e svolge la sua
attività nelle aree nucleari, influirebbe nella differenziazione e nella replicazione cellulare, oltre che determinare la produzione di prostaglandine responsabili dell’infiammazione e lo sviluppo tumorale (Hayes, 2007). La regolazione dell’espressione del gene COX-1 non è molto conosciuta ancora, sappiamo che la regione regolatoria è molto piccola, e può essere indotta dagli estrogeni e dall’ossido nitrico sintetasi inducibile. COX-2 invece è detto anche “forma inducibile” perche è possibile ottenere molto facilmente la sua induzione, se le cellule vengono trasformate con l’oncogene v-src o se vengono trattate con esteri forbolici (Xie et al., 1991), con gli oncogeni ras, con olio di mais ad elevato contenuto di grassi, con l’interleuchina1α, con l’ipossia, con il benzopirene, con la luce ultravioletta, con il Fattore di Crescita Epidermico, con il Fattore β di Crescita Trasformante e con il TNFα. Al contrario, COX-2 può essere soppresso attraverso gli estrogeni, gli antiossidanti, gli oli di pesce ad alto contenuto di grassi (Fosslien, 2000). Tutto ciò fa pensare che l’espressione COX-2 versus COX-1 potrebbe essere spinta da condizioni di alterazione delle cellule (Hayes 2007).
Figura 2: Schema riassuntivo dell’azione di COX e degli enzimi a valle nella sintesi di prostanoidi a partire dall’acido arachidonoco
Sappiamo che, se le due isoforme possono essere espresse simultaneamente nella stessa cellula, è altrettanto vero che non tutte le cellule di un dato tessuto devono mostrare l’espressione di entrambe (Hayes, 2007). In particolare COX-2 è costitutiva di certi tessuti specializzati come rene, cervello, epitelio tracheale e testicoli.
COX-Se teniamo conto dei diversi effetti che le due isoforme hanno sui tessuti: protettiva e regolatrice per esempio della mucosa gastrica della vasodilatazione del rene della produzione di trombossano da parte delle piastrine COX-1, infiammatoria promotrice di crescita e differenziazione cellulare e carcinogenetica COX-2, è intuitivo quanto diventi importante trovare farmaci che possano inibire l’attività dell’una risparmiando l’altra.
2-2: LA PROSTAGLANDINA E
2In normali condizioni, l’acido arachidonico libero, non esterificato, è virtualmente introvabile. In risposta a vari stimoli di crescita come gli ormoni, le citochine, condizioni che possono danneggiare le cellule, l’acido arachidonico viene mobilizzato dalle membrane cellulari, e convertito in vari lipidi bioattivi chiamati collettivamente Eicosanoidi, che comprendono le Ciclossigenasi, le Lipossigenasi, e P-450 Epossigenasi (Wang et al., 2007). Il percorso metabolico delle Lipoosigenasi darà poi origine agli HETE: Leucotrieni, Lipossine, Epossiline (Nie et al., 2001). Le Ciclossigenasi, invece, daranno origine a 5 principali tipi di Prostanoidi: Prostaglandina D2(PGD2), Prostaglandina E2(PGE2), Prostaglandina F2α (PGF2α), Prostaglandina I2 (PGI2) e Trombossano A2α (TXA2)
La prima tappa di questo percorso è il rilascio dell’acido arachidonico dai fosfolipidi di membrana grazie all’azione della fosfolipasi A2 secretoria, citoplasmatica o di entrambe le forme. Successivamente abbiamo l’ossigenazione da parte dell’ enzima COX dell’acido arachidonico con la formazione di Prostaglandin-endoperossidi H2(PGH2). In fine abbiamo la conversione delle PGH2 nei 5 principali prostanoidi: PGD2, PGE2, PGF2, PGI2 o trombossani TXA2, per opera di specifiche isomerasi (Hara et al., 1994; Smith, 1992).
Figura 4: In Fig. è schematizzata la cascata dell’acido arachidonico ( Di Paolo, 2007)
I Prostanoidi hanno un’attività biologica estremamente importante, regolano il sistema immunitario, l’omeostasi renale, la riproduzione (impianto, crescita embrionale e attività uterina), l’integrità gastrointestinale (citoprotezione della mucosa gastrica), sono anche in grado di modulare l’aggregazione delle piastrine, regolare i ritmi sonno-veglia, la temperatura corporea e regolano il processo infiammatorio (Narumiya et al., 1999).
La prostaglandina E2 è una delle più conosciute e sappiamo che gioca un ruolo fondamentale in numerose attività biologiche dell’organismo.
L’enzima responsabile del controllo della sintesi di PGE2 è la PGE2 sintasi, (PGES). Questo enzima è associato all’enzima COX, e ne esistono due diversi tipi con funzione biologica distinta. Abbiamo cPGES di origine citosolica e mPGES, di origine microsomiale (o membrana-associata) (Wang et al., 2007).
La forma citosolica cPGES è presente nelle cellule di numerosi tessuti, associata a COX-1, proprio in quei tessuti dove quest’ultima è espressa costitutivamente (Murakami et al., 2004). E’ stato visto, infatti che cPGES è in grado di convertire COX-1 in PGE2 nelle cellule, ma non COX-2 (Tanioka et al., 2000). Per quanto riguarda mPGES, invece, è stato visto che la sua espressione risulta up-regolata in seguito a stimoli di diversa natura, e down-regolata dai farmaci FANS, e glicocorticoidi (Wang etal.,
2007). L’enzima mPGES, infatti, sembra legato alla forma COX-2 inducibile e da origine alla formazione di PGE2 a partire da quest’ultima Wang et al., 2007). Recentemente, studi, hanno messo in evidenza la partecipazione di mPGES in numerosi eventi fisiopatologici che vedono coinvolta ance COX-2 (Murakami et al., 2002).
Nei tumori il livello di PGE2 è mantenuto dal percorso biosintetico di PGES, e dal percorso catalitico dell’enzima 15-idrossiprostaglandin deidrogenasi (15-PGDH), che converte PGE2 nella sua forma inattiva 15-keto PGE2. L’enzima 15-PGDH, sembra coinvolto nello sviluppo di numerose forme tumorali, come quella colon-rettale e quella del polmone (Backlund et al., 2005; Yan et al., 2004).
CAP.3: ESPRESSIONE di COX-2 e CRESCITA
TUMORALE
L’espressione di COX-2 e la conseguente alta concentrazione di Prostaglandine, in particolar modo la PGE2, potrebbe essere un aspetto fondamentale in numerosi tumori dell’uomo e degli animali. Alte concentrazioni di PGE2 sono prodotte dalle cellule tumorali, dai macrofagi tumore-associati, dai monociti periferici delle persone affette da tumore della vescica urinaria, del polmone, del colon e della mammella (Lupulescu, 1996; Earnest et al., 1992). Elevate concentrazioni di COX e PGE2 sono emerse in vari studi nei cani affetti da Tumore delle
Cellule di Transizione della Vescica Urinaria, da Carcinoma Squamoso, da Carcinoma Prostatico, spontanei (Mohammed et al., 2001).
E’ possibile rilevare l’espressione dell’enzima COX attraverso l’analisi immunoistochimica su campioni di tessuto neoplastico e, convenzionalmente, lo “score” è basato sulla stima della percentuale di cellule immunoreattive in combinazione con la stima della intensità della colorazione, su una scala da 0 a 3, o da 0 a +++.
Zero significa che non c’è stata immunoreattività, + 1, significa che la colorazione diffusa al citoplasma cellulare può essere anche intensa, ma comunque in un numero di cellule inferiore al 10%; ++ 2 la colorazione, da moderata a intensa, è presente in granuli citoplasmatici, in percentuale tra il 10 e il 90 % della cellule neoplastiche; +++ 3 significa che più del 90% di cellule neoplastiche presentano intensa colorazione. (Millanta et al. 2006).
Le immagini riportate di seguito, (Figura 4), forniscono un chiaro esempio della classificazione sopra citata. Le foto si riferiscono a tessuto mammario canino colpito da tumore, sottoposto a trattamento immunoistochimico con metodo Streptevidina-Biotina Perossidasi. E’ chiaramente visibile la differenza di colorazione tra il tessuto mammario sano (blu) e il tessuto mammario affetto da carcinoma invasivo, quest’ultimo risulta più o meno intensamente rosso a seconda del numero di cellule che esprimono COX-2.
Figura 5: Immunoistochimica su sezioni di tessuto mammario: (a)
tessuto sano di ghiandola mammaria, score 0; (b) carcinoma mammario invasivo canino score +1; (c) carcinoma invasivo canino score +2; (d) carcinoma invasivo canino score +3. Metodo streptavidina-biotina perossidasi. (Millanta et al., 2006)
Mohammed et al. (2001) hanno esaminato campioni di tessuto tumorale di cani affetti da differenti tumori e osservato l’espressione di COX-1 e COX-2: il 65% campioni di Carcinoma Squamoso hanno presentato una colorazione da moderata ad intensa per COX-2 e il 65% esprimevano COX-1; nei campioni di Melanoma Orale il 60% sono risultati positivi per COX-2 da moderatamente ad intensamente, il 61% dei campioni di
tessuti affetti da tumore mammario sono risultati positivi all’espressione di COX-2, mentre in 1 solo su 7 si è rivelata la positività per COX-1, nei tessuti sani di controllo l’immunoreattività COX-1 si è presentata nel 90% dei casi. I campioni di Carcinoma Prostatico hanno dato risultati positivi per COX-2 nel 55% dei casi, mentre era assente nei campioni di tessuto sano dove invece si è valutata l’espressione di COX-1, 100 % (Mohammed et al. 2003).
Per quanto riguarda tumori mammari, l’espressione di COX-2 è stata ampiamente dimostrata nello studio eseguito da Millanta et al. (2006) su 28 cagne e 47 gatte con tumore mammario diagnosticato clinicamente. L’immunoistochimica ha messo in evidenza l’espressione di COX-2 in tutti i campioni di tessuto carcinomatoso nelle cagne, e nel 96% delle gatte, mentre non è stata osservata nessuna espressione di COX-2 nei campioni di tessuto sano. L’espressione di COX-2, secondo questo studio non sembra in relazione con l’età del paziente, ne con la dimensione del tumore, ne con il tipo istologico, ne con la densità microvasale; nel cane, tuttavia, l’espressione di COX-2 sembra relazionata con il grado di differenziazione cellulare del tumore, mentre nel gatto con l’espressione del VEGF Fattore di Crescita per gli Endoteli Vasali, (fattore che stimola la angiogenesi, cioè porta allo sviluppo di nuovi vasi a partire dalle pareti di vasi preesistenti) e, in entrambe le specie, l’espressione dell’enzima è risultata legata ad una prognosi infausta.
Figura 6: espressione di COX-2 in tessuti mammari sani e neoplastici nel cane e nel gatto classificati secondo lo score system adottato (Millanta et al., 2006)
Figura 7: associazioni statistiche tra l’espressione di COX-2 e alcuni parametri considerati (MDV: densità micro vasale; OS: overall survival) in carcinoma mammario del cane e del gatto. (Millanta et al. 2006)
L’espressione di COX-2 è stata dimostrata in 15 cani di diversa razza, affetti da carcinoma nasale: 5 Carcinomi, 6 Adenocarcinomi, Transizionali, 4 Carcinomi anaplastici. (Borzacchiello et al., 2004).
I campioni di tessuto nasale dei cani sono stati sottoposti a trattamento immunoistochimico e ad immunofluorescenza.
Figura 8: Tabella riassuntiva dei risultati dello studio condotto da Borzacchiello su 15 cani affetti da tumore nasale.(Borzacchiello et al., 2004)
I campioni di tessuto sano sono risultati intensamente positivi per COX-1, e solo occasionalmente, e comunque debolmente positivi per COX-2, mentre i campioni di tessuto neoplastico sono risultati immunoreattivi COX-2 con una intensità di colorazione da moderata a molto intensa.
Figura 9: Epitelio nasale normale, intensa immunoreattività nei confronti di COX-1 (Borzacchiello et al., 2004)
Figura 10: Carcinoma nasale, diffusa immunoreatività per COX-2 nelle cellule dell’epitelio neoplastico (Borzacchiello et al., 2004)
In questo studio inoltre non è stata solo dimostrata la sovraespressione di COX-2 da parte delle cellule appartenenti all’epitelio neoplastico ma anche nelle lesioni pre-neoplastiche, come per esempio le displastiche, suggerendo l’idea che COX-2 possa giocare un ruolo primario nello sviluppo tumorale. Nelle cellule tumorali, infatti, l’immunoreattività verso COX-2 si è evidenziata soprattutto nelle regioni perinucleari, ma anche nel tessuto displastico della mucosa orale, anche se la colorazione appare diffusa nel citoplasma; inoltre la positività COX-2 è risultata evidente anche nelle cellule interstiziali che circondano l’epitelio atipico.
Figura 11: Epitelio nasale displastico, numerose cellule COX-2 immunoreattive, cellule interstiziali periferiche all’epitelio immunoreattive per COX-2 (Borzacchiello et al., 2004).
I risultati ottenuti con l’immunofluorescenza sono stati del tutto simili a quelli ottenuti con l’immunoistochimica, infatti, l’espressione di COX-1 nell’epitelio nasale colpito da carcinoma è stata scarsissima mentre l’espressione di COX-2 nello stesso tessuto è apparsa intensa, con l’aggiunta della presenza di rare cellule che esprimevano contemporaneamente le due isoforme.
Figura 12: Adenocarcinoma nasale. Immagine (A): immunofluorescenza rossa indica espressione di COX-1. Immagine (B): immunofluorescenza verde indica espressione di COX-2. Immagine (C): immunofluorescenza gialla indica l’espressione contemporanea delle due isoforme nella stessa cellula neoplastica.(G. Borzacchiello et al., 2004)
Numerosi altri studi hanno dimostrato la sovra espressione di COX-2 da parte delle cellule appartenenti a diversi tipi di tumori (Khan et al., 2000; Pestili de Almeida et al., 2001; McEntee et al., 2002; Doré et al., 2003). Sulla base di tali studi è scaturita la necessità di studiare il tipo di meccanismo attraverso cui COX-2 promuove la crescita tumorale, e quale tipo di relazione c’è tra la sovra espressione dell’enzima e la crescita tumorale.
I meccanismi che mettono in relazione COX-2 e l’attività carcinogenetica proposti sono numerosi.
E’ ormai certo che l’infiammazione cronica e l’immunosoppressione sono fattori che favoriscono la formazione e la crescita tumorale.
Uno dei meccanismi proposti è l’aumento dell’attività di metalloproteasi, nelle cellule che sovra-esprimono COX-2 (Hayes, 2007). L’aumentata attività di questo enzima si traduce in una maggiore possibilità invasiva da parte del tumore in situ, resa possibile dalla degradazione della matrice del collagene.
3-1: L’APOPTOSI
Le cellule invecchiate vanno, per loro natura, in contro a cambiamenti genetici che possono portare all’insorgenza tumorale. Il processo che ne assicura l’eliminazione è l’apoptosi, cioè la morte cellulare programmata. Recenti studi hanno messo in relazione l’evidente diminuzione di questo naturale processo e la sovra-espressione di COX-2. Cellule intestinali epiteliali in vitro, trasformate sperimentalmente in modo che esprimessero permanentemente COX-2, sono risultate resistenti all’apoptosi (Hayes, 2007).
Questa diminuzione dell’apoptosi si pensa possa essere causata da attività sul “nucleobinding”, da parte di una proteina associata all’apoptosi, o dalla modulazione dell’acido arachidonico intracellulare
Da uno studio condotto su dodici cani affetti da tumore dell’Epitelio di Transizione della Vescica Urinaria trattati con Piroxicam in associazione con Cisplatino, l’indice apoptotico valutato prima e dopo il trattamento con “Terminal deoxynucleotidy transferase-mediated nick and labelling assay”, su campioni di tessuto neoplastico fissato in formalina, è risultato raddoppiato e, in tre di questi campioni, addirittura aumentato di dieci volte (Mohammed et al., 2003).
Questo sembra suggerire l’idea che gli alti livelli di PGE2 presenti nelle cellule che sovraespimono COX-2 siano effettivamente coinvolte nella resistenza all’apoptosi di queste cellule.
In uno studio condotto su pazienti umani affetti da recidive post-chirurgiche di Carcinoma dell’Esofago, e sottoposti a chemio e radio-terapia, è stato evidenziato che, nei pazienti le cui cellule neoplastiche esprimevano intensamente COX-2 si aveva una risposta del tumore alla terapia molto inferiore rispetto a quelli in cui COX-2 era espresso in modo molto meno marcato. In 3 di 52 pazienti COX-2 risultava avere subito una up-regulation in seguito al trattamento radio-chemioterapico, e proprio in quei pazienti la risposta del tumore era stata scarsa e la prognosi infausta (Xi et al., 2005). Questo sembra suggerire, anche in questo caso, l’idea che la sovra espressione di COX-2 renda le cellule resistenti all’apoptosi, anche all’apoptosi che si cerca di ottenere attraverso le terapie antineoplastiche.
3-2: L’IMMUNOSOPPRESSIONE
Oggi sappiamo che le cellule colpite da cancro rilasciano colony stimulating factors, che favoriscono l’aumento del numero dei monociti e dei macrofagi derivati dalla PGE2, e che inoltre la PGE2 stessa, inibisca le linfochine regolatorie immunitarie, l’attività citotossica delle cellule N.K e la proliferazione di cellule T e B, il TNFa e promuovono, invece, l’interleuchina 10, che è immunosoppressiva. Tutto ciò sembra significare che la produzione di PGE2 contribuisce allo sviluppo e crescita del cancro. Inoltre a questo meccanismo di depressione dell’immunità si aggiunge l’attività di ‘up regulation’ che le citochine infiammatorie hanno su COX-2, con il risultato di un’ulteriore sovraproduzione di PG (Hayes, 2007).
Studi hanno evidenziato che con la somministrazione di Indometacina, antiinfiammatorio non selettivo, si aveva un incremento significativo nel numero di linfociti CD2+ infiltranti nei tumori, in accordo con la teoria che l’inibizione del COX-2 inibisce la produzione di PGE2 che sembra responsabile della soppressione immunitaria a carico del tumore (Hayes et al., 2007)
Oltre a questo duplice meccanismo di promozione dell’infiammazione e di immunosoppressione nei confronti delle cellule tumorali, la relazione tra COX-2 e la promozione dell’angiogenesi nei tumori sembra uno degli aspetti più importanti secondo gli studi più recenti. L’angiogenesi, infatti, è quel processo di rimodellamento del tessuto vascolare caratterizzato dalla diramazione di un nuovo vaso sanguigno da un uno preesistente (D’Andrea, 2005).
Sembra che alla sovra-espressione di COX-2 corrisponda un’aumentata angiogenesi tumorale e una maggior produzione di fattori di crescita vascolare, meccanismo indispensabile per l’espansione tumorale.
Uno dei principali fattori responsabili dell’angiogenesi è il Vascular Endotelia Growth Factor (VEGF). La funzione biologica del VEGF è mediata dall’interazione con due recettori localizzati sulla superficie di diverse cellule endoteliali, KDR e Flt-1. Il VEGF, interagendo con questi due recettori, li attiva attraverso un processo di dimerizzazione e fosforilazione della regione intracellulare, questo innesca una cascata di segnali intracellulari che si traduce in un segnale di proliferazione delle cellule endoteliali (D’Andrea, 2005).
In topi geneticamente deficienti di enzima COX-2 in cui sono state impiantate cellule di carcinoma di Lewis, si è riscontrata un’evidente attenuazione della crescita del tumore e, in particolare, della densità vascolare (Hayes, 2007). Questo, naturalmente, suggerisce che la COX-2 prodotta dall’ospite possa regolare la crescita vascolare intratumorale.
La correlazione tra VEGF ed espressione di COX-2 è stata trattata in uno studio condotto su 35 pazienti umani affetti da Carcinoma Squamoso della Testa e del Collo (Gallo et al., 2002). In questo studio sono state valutate, su campioni di tessuto neoplastico, l’espressione di COX-2, la densità microvasale, i livelli di concentrazione di PGE2, l’espressione di VEGF. I risultati hanno dimostrato che l’espressione di COX-2 era presente nel 99% dei pazienti, e che risultava più marcata, all’immunoistochimica, nei pazienti con metastasi ai linfonodi cervicali. La densità microvasale pur essendo eterogenea nei diversi pazienti e anche nelle diverse aree dello stesso tumore, era significativamente più elevata nei campioni di tumore in stadio più avanzato, e nei pazienti che presentavano metastasi linfonodali; gli autori hanno evidenziato che l’incremento della vascolarizzazione del tessuto neoplastico era soprattutto presente nei campioni che sovra-esprimevano COX-2 (> 20% di cellule tumorali). I livelli di PGE2 sono risultati più elevati nei tessuti neoplastici rispetto ai tessuti sani, e in particolar modo nei campioni ottenuti dalle periferie invasive del tumore, e nei campioni prelevati nei pazienti con tumore più avanzato e metastasi linfonodali, piuttosto che in quelli che non presentavano metastasi. Dei 35 carcinomi presi in considerazione l’80% risultavano positivi per l’espressione del VEGF, con una colorazione immunoistochimica da moderata a molto intensa (> 50% delle cellule neoplastiche). L’immunoreattività era visibile nelle cellule infiammatorie infiltrate nei tumori, nelle cellule endoteliali, nelle cellule muscolari delle pareti vasali. Anche in questo caso i campioni
appartenenti a pazienti con tumore più avanzato e metastasi linfonodali, apparivano più intensamente immunoreattivi (Gallo et al., 2001).
Oggi sappiamo che il VEGF è un potente mitogeno per le cellule endoteliali e uno dei più importanti promotori di angiogenesi, e la densità micro vasale tumorale è aumentata nei campioni che sovra esprimono COX-2, si può quindi desumere che l’espressione di COX-2, la biosintesi di PGE2, l’espressione del VEGF e lo sviluppo angiogenetico sono strettamente legati, e suggerisce una possibile regolazione dell’espressione del VEGF da parte dell’attività di COX-2.
Nonostante tutte queste argomentazioni resta sempre non completamente chiaro se la sovraespressione di COX-2, in primis, ha in se stessa attività neoplastica o se è conseguenza di altra alterazione molecolare, anche perché non è dimostrabile un’effettiva mutazione genetica neoplastica dell’enzima, anche se, in effetti, alcuni tipi di tumori presentano una mutazione sul locus genico di COX-2 (Hayes, 2007).
CAP. 4: NEOANGIOGENESI e FATTORE di
CRESCITA ENDOTELIOVASCOLARE
4-1: LA NEOANGIOGENESI
Tutti i tumori necessitano di nutrimento, ossigeno, rimozione di cataboliti (come ogni tessuto), in proporzione al loro volume, ma la loro capacità di assorbirlo per diffusione dai tessuti circostanti è subordinata alla dimensione della loro superficie. Questo, ha come conseguenza il fatto che ci sia un limite di misura entro il quale il tumore può continuare a crescere prima di entrare in carenza di nutrimento (Plank et al., 2004), questo limite è circa 2 mm. (Folkman, 1991). Le cellule che non ricevono il nutrimento sufficiente, pur sopravvivendo, non possono più moltiplicarsi e divengono quiescenti, dette “dormienti”, il passo ulteriore, è la morte delle cellule stesse. I tumori, infatti, sono costituiti generalmente da un’area centrale necrotica, da uno strato di cellule dormienti più esterno e da una periferia invasiva in rapida moltiplicazione. (Folkman et al., 1973)
Figura 13: rappresentazione schematica di una massa tumorale. In fase avascolare
Il tumore può rimanere nello stato di “dormienza”, in equilibrio, per mesi o anni. Questa condizione rappresenta un grosso problema dal punto di vista terapeutico perché la chemioterapia, che uccide le cellule in moltiplicazione, non colpisce quelle quiescenti (Plank et al., 2004). Queste ultime, però, in un determinato momento riprenderanno la loro attività (Sutherland, 1986). Il tumore, infatti, può uscire da questo stato di quiescenza nel momento in cui si ha l’induzione, e la crescita di nuovi vasi sanguigni, cioè quando inizia la Neovascolarizzazione o Angiogenesi (Folkman, 1971). In seguito a stimoli di cui parleremo in seguito, le cellule endoteliali danno origine al così detto “switch angiogenetico”.
Fisiologicamente l’angiogenesi si verifica, ed è essenziale, nello sviluppo embrionale, ma nell’adulto è relegata ad un ruolo attivo solo nella riparazione dei tessuti lesi, nell’utero della donna durante il ciclo riproduttivo (Josko et al., 2000; Plank et al., 2004), e si verifica poche volte l’anno in alcuni tessuti come le ovaie, i testicoli, retina, ghiandole salivari sinovia (Josko et al., 2000).
A B
Figura 14: Angiogenesi in vitro (immagine A) ed in vivo (immagine B) (Kubo et al., 2002).
L’angiogenesi è, infatti, un processo sostenuto da numerosi fattori pro-angiogenetici e anti-pro-angiogenetici in equilibrio tra loro, quando l’equilibrio non esiste più si parla di angiogenesi patologica.
Figura 15: Rappresentazione schematica dell’angiogenesi fisiologica e patologica.
La condizione patologica determina malattie croniche infiammatorie, malformazioni vascolari, tumori, se prevalgono i fattori pro-angiogenetici, al contrario abbiamo malattie da carenza vascolare come infarto, infertilità, ulcera, scleroderma, se prevalgono i fattori anti-angiogenetici. Ciò che determina la produzione di fattori pro-angiogenetici da parte delle cellule sono le mutazioni indotte per esempio da oncogeni come RAS, MYC, RAF, i fattori stressanti locali come l’ipossia (Fox et al., 2001). I fattori pro-angiogenetici e anti-angiogenetici sono numerosi, e saranno elencati nella tabella che segue (Fig.16)
Positive regulators Negative regulators
Fibroblast growth factors Thrombospondin-1
Placental growth factor Angiostatin
Vascular endothelial growth factor Interferon alpha
Transforming growth factors Prolactin 16-kd fragment
Angiogenin Metallo-proteinase inhibitors
Interleukin-8 Platelet factor 4
Hepatocyte growth factor Genistein
Granulocyte colony-stimulating
factor Placental proliferin-related protein
Platelet-derived endothelial cell
growth factor Transforming growth factor beta?
Angiopoietin 1 Endostatin
Figura 16: alcuni dei più importanti fattori pro e contro angiogenetici L’angiogenesi fisiologica porta alla costituzione di nuovi vasi completi
maturazione” (Kraling et al., 1999), in seguito al quale le connessioni cellulari sono di nuovo impermeabili e le cellule endoteliali secernono proteine come laminina e collagene che andranno a ricostituire una lamina basale continua (Paweletz et al. 1989). Nell’angiogenesi patologica tumore-indotta, invece, i nuovi vasi non vanno incontro al processo maturativo, poiché anche se i nuovi vasi portano ossigeno alle periferie del tumore, rimangono zone ipossiche centrali che continuano a produrre fattori angiogenetici; inoltre le zone sottoposte a neovascolarizzazione accrescendosi isolano nuove zone di tumore creando a loro volta zone ipossiche (Holash et al., 1999). Questo meccanismo si perpetra e determina la crescita tumorale, che a sua volta mantiene l’angiogenesi, soprattutto nei tumori particolarmente aggressivi la formazione di nuovi vasi non è mai sufficiente (Paweletz et al., 1989), per questo motivo i nuovi vasi tumore-indotti non vanno incontro a maturazione, ma si presentano invece irregolari, con connessioni cellulari non impermeabili, tortuosi e in costante rimodellamento (Hashizume et al., 2000).
Figura 17: Neoangiogenesi alla periferia di un carcinoma mammario. Cellule endoteliali marcate con anticorpo anti Von Willebrandt factor, sistema streptavidina-biotina-perossidasi. Si evidenziano vasi maturi, irregolarmente ramificati e cellule endoteliali singole.
Le cellule tumorali quindi, inducono l’angiogenesi attraverso la produzione di Tumor Angigenesis Factor detto TAF, che non è un'unica sostanza, ma quel gruppo di fattori (Plank et al., 2003), precedentemente ricordati. In seguito all’azione di questi fattori le cellule endoteliali cambiano la loro morfologia, il reticolo endoplasmatico, l’apparato di Golgi e l’apparato mitocondriale aumentano (Josko et al., 2002), iniziano la produzione di enzimi proteolitici come la Plasmina (PAs) e Metalloproteasi (MMPS), che degradano a membrana basale dei capillari, e la matrice extracellulare circostante. Questo permette la formazione di gemme da parte delle cellule endoteliali appartenenti alle venule post-capillari, e la loro migrazione. Il risultato di questo processo
porta alla formazione di spazi intra ed inter-cellulari e del lume vasale (Josko et al., 2002), da cui possono fuoriuscire le cellule endoteliali, estravasazione, che migrano. Durante questo processo di “capillary budding” le cellule endoteliali adiacenti alla membrana basale si dividono e allungano il vaso (Josko et al., 2002). Le cellule endoteliali extravasate continuano a rilasciare fattori proangiogenetici che vengono sequestrati nella matrice extracellulare e aumentano il segnale angiogenetico (Hirschi et al., 1996).
Figura 18: Rappresentazione della estravasazione delle cellule endoteliali dopo la rottura della membrana basale. (Switch angiogenetico)
4-2: IL FATTORE di CRESCITA ENDOTELIOVASCOLARE
Questo citochina pro-angiogenetica è in grado di indurre tutte e tre le attività fondamentali che le cellule endoteliali attuano durante il processo angiogenetico, cioè la secrezione di proteasi, la migrazione e la proliferazione (Klagsburn et al., 1996; Ferrara, 2000; Papetti et al., 2002). Oggi si conoscono diverse forme di VEGF: VEGF-A, VEGF-B, VEGF-C, VEGF-D che a loro volta si presentano in diverse isoforme e possono formare omodimeri ed etero dimeri (Fox et al., 2001). Questi fattori agiscono legandosi a specifici recettori tirosin-chnasici che le cellule endoteliali esprimono se sottoposte per esempio ad ipossia, come il Flt-1, KDR, FLT4, esiste anche un recettore isoforma- specifico la neuropilina-1.
Figura 19: dettaglio molecolare dell’interzione tra l’elica N-terminale 17-25 del VEGF (blu) ed il dominio 2 del recettore Flt-1 (giallo) (D’Andrea, 2005).
Il VEGF-A è espresso in molti tumori del polmone, del cervello, del tratto gastroenterico e urogenitale, e la sua espressione è legata alla micro densità vasale MDV ed alla prognosi. Alcuni tumori non esprimono il VEGF-A, ma le forme omologhe (Joukov et al., 1997). Le forme omologhe B e C sono espresse in pochi casi di melanoma, linfoma, mammella, rene, ovaie, prostata, carcinoma del colon (Fox et al., 2001). Il VEGF-C sostiene la linfoangiogenesi, e la diffusione metastatica (Fox et al., 2001).
Figura 20: schema rappresentativo dell’angiogenesi indotta da VEGF e promozione di invasione e metastasi.
Il VEGF agisce sui recettori delle cellule endoteliali come potente mitogeno specifico con un’azione “paracrina”, ma anche sui recettori delle cellule tumore associate come i macrofagi, la mast–cellule, monociti e linfociti, ma ha anche azione “autocrina” sulle cellule tumorali (Fox et al., 2001).
Figura 21: Schema rappresentativo dell’azione di VEGF, tramite l’azione nei siti specifici
Il VEGF è un attivatore angiogenetico così potente che la sua espressione può tenere sotto controllo il coretto sviluppo dell’angiogenesi nello spazio e nel tempo. La sua sovra-espressione è presente in corrispondenza di iperperfusione e iperpermeabilizzazione della rete
vascolare, con la formazione di vasi anche in zone normalmente avascolari (Klagsbrun et al., 1996). L’angiogenesi tumore-indotta è caratterizzata da un eccesso di produzione di VEGF per un indefinito periodo di tempo, che spiega il perché delle anomalie vascolari che si riscontrano come ricordato nel capitolo precedente.
Il VEGF è il fattore di crescita angiogenetica espresso in ogni fase di crescita del tumore a differenza degli altri fattori.
Figura 22: fattori di crescita che intervengono nello switch angiogenetico e nella crescita tumorale.
I fattori che inducono le cellule tumorali a produrre VEGF sono l’ipossia, gli oncogeni, le COX-2, i fattori di crescita come le citochine (Vedi Fig. 23)
Ipossia HIF-1 alfa
HIF-1 beta Oncogeni Oncosoppressori C-Src oncogene Ras oncogene P53 PTEN
Recettori cellulari EGFR
Fattori di crescita Citochine
COX-2 PDGF
Figura 23:fattori che attivano la produzione di VEGF
Come azione secondaria il VEGF ha anche la capacità di favorire il processo metastatico, in quanto promotore di angiogenesi, infatti, dato che i vasi neoformati che raggiungono il tumore hanno discontinuità nell’endotelio e nella lamina basale, questo permette alle cellule tumorali di penetrare nel lume vascolare, e a quel punto eludono la sorveglianza immunologica e vengono trasportate attravero i capillari in organi lontani dalla sede primaria del tumore. Quando il loro percorso si ferma nei capillari le cellule tumorali degradano di nuovo la membrana escono dal letto vascolare e formano nuove colonie di cellule neoplastiche (Saaristo et al., 2000).
Figura 24: fasi dello sviluppo di un letto vascolare e del fenomeno metastatico in una massa neoplastica
CAP.5: SCELTA DELLA TERAPIA
5-1: I FARMACI ANTITUMORALI
La chemioterapia in medicina veterinaria è oggi sempre più utilizzata quando non è possibile l’intervento chirurgico, ma è anche il tipo d’intervento terapeutico che comporta maggiori rischi per il paziente e maggiori difficoltà per il medico veterinario. I farmaci chemioterapici provocano la morte delle cellule estranee all’organismo interferendo con il ciclo cellulare. I farmaci antitumorali sono raggruppati in differenti categorie, in base al loro meccanismo d’azione: Alchilanti, Antimetaboliti, Prodotti Naturali, Complessi Coordinati con il Platino (Richard Adams, 1999). Per esempio la Vincristina si lega alle subunità di tubulina, interferendo con la funzione microtubulare, uccidendo le cellule in fase mitotica, la Doxorubicina agisce soprattutto sulle cellule in fase G1, la Citabarina sulla fase S, altri, come gli alchilanti non agiscono su una fase specifica del ciclo di replicazione cellulare, ma sono tossici su tutte le cellule in moltiplicazione rapida. Essi reagiscono con le molecole bersaglio nelle cellule e creano dei composti intermedi, come i carbocationi, che sono in grado di reagire con i composti altamente nucleofili all’interno delle cellule come i fosfati i gruppi amminici etc.,
con i quali contraggono legame covalente, quando la molecola bersaglio ad essere “alchilata” è il DNA, la cellula naturalmente muore (Richard Adams, 1999).
Alla loro differente attività sono legati la scelta del farmaco e il protocollo terapeutico, ma anche la loro tossicità e la gravità dei loro effetti collaterali. Conoscere il meccanismo d’azione del farmaco permette indubbiamente la scelta più idonea nei confronti di un particolare tumore, ma difficilmente all’interno di una massa tumorale è presente una sola popolazione cellulare, inoltre le cellule di un tumore, sebbene in attiva replicazione, possono avere ritmi di crescita inferiori a quelli di certi tessuti sani, come quello gastrointestinale o il del midollo osseo. Sono per questo facilmente intuibili gli effetti collaterali quali nausea e vomito, talvolta incoercibili, e le gravi alterazioni dei parametri ematici. Sempre a causa dell’elevato ritmo di sviluppo cellulare, anche gli strati basali della cute, e in particolar modo dei follicoli piliferi risentono molto degli effetti tossici dei farmaci antitumorali. A livello epatico e renale, invece la chemioterapia sembra avere un’azione tossica diretta, il Cisplatino per esempio è altamente nefrotossico, (Richard Adams, 1999). Non si può inoltre dimenticare il rischio che i farmaci antitumorali rappresentano per coloro che li maneggiano e li somministrano. E’ necessario evitare la possibilità di esposizione della cute, dell’apparato respiratorio e di quello digerente, adottando metodologie altamente cautelative (Richard Adams2, 1999).
5-2: I FARMACI ANTIINFIAMMATORI NON STEROIDEI
I farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS) sono farmaci non steroidei che sopprimono l’infiammazione agendo a vari livelli del metabolismo dell’acido arachidonico, a differenza degli steroidi che agiscono, prevenendo in maniera aspecifica la trasformazione dei fosfolipidi in acido arachidonico.
Sono classificati come Salicilati, Derivati dall’Acido Carbossilico, Acidi Propionici, Fenamati ed Oxicami.
I FANS agiscono sull’infiammazione bloccando il primo stadio della sintesi delle prostaglandine legandosi alle ciclossigenasi e inibendole, azione che è sia farmaco che dose dipendente (Richard Adams, 1999).
Figura 26: Schema illustrativo dell’azione dei farmaci FANS nel fenomeno infiammatorio. (Ialenti, 2008)
loro effetti erano stati interamente attribuiti alla loro capacità di inibire la produzione di prostaglandine. Oggi, invece, sembra che agiscano anche alterando la risposta immunitaria, umorale e cellulo-mediata. (Richard Adams, 1999) Oltre alla forma planare, infatti, i FANS hanno anche carica negativa che permette loro di ripartirsi in ambiente lipidico, quindi, a basse concentrazioni dovrebbero alterare la viscosità delle membrane cellulari, mentre a dosaggi più elevati sembra che possano disaccoppiare le interazioni proteina-proteina, interferendo nei processi di fosforilazione ossidativa delle membrane cellulari e nell’adesione cellulare. Con questo meccanismo potrebbero alterare le risposte delle cellule infiammatorie ai segnali extracellulari, interessando le proteine trasduttrici di segnale. E’ lecito pensare che, a dosaggi più bassi svolgano la loro attività antinfiammatoria agendo sulla prostaglandina H-sintasi, a dosaggi più elevati agendo sui complessi di processazione di segnale delle membrane cellulari (Richard Adams, 1999). Sappiamo poi che influenzano l’attività dei neutrofili inibendo il rilascio da parte di questi ultimi degli enzimi infiammatori. Sempre grazie all’inibizione della sintesi di prostaglandine, sembrano inibire l’attività linfocitaria, e sono in grado di potenziare l’immunità cellulare inibendo in particolare la prostaglandina E2 che sappiamo ostacolare la risposta immunitaria (Richard Adams, 1999).
Per quanto riguarda l’utilizzo dei FANS nella terapia antineoplastica, indipendentemente dall’effettivo meccanismo attraverso il quale COX contribuisce alla progressione della malattia tumorale, argomento
trattato nel precedente capitolo, è comunque ad oggi chiaro che l’inibizione di questo enzima è auspicabile.
Il problema piuttosto è capire in quale modo è preferibile inibire la produzione di COX.
E’ intuitivo che l’inibizione di COX-2 in maniera selettiva può sembrare la soluzione ovvia per avere il massimo dei benefici e il minimo degli effetti collaterali, ma non si può dimenticare che, in quei tessuti che esprimono COX-2 costitutivamente, come rene e cervello, sopprimere completamente l’attività di questo enzima potrebbe non essere consigliabile. Gli effetti collaterali dei FANS si riscontrano come ben sappiamo a carico prevalentemente dell’apparato gastroenterico, dato che, l’inibizione delle prostaglandine determina una diminuzione della produzione di muco e di bicarbonati, di epitelio protezione e di regolazione del flusso ematico. La ressi dei piccoli capillari e la difficoltà di riparazione dovuta all’insufficiente attività piastrinica potrebbero essere il “primum movens” delle piccole erosioni, che potrebbero esitare in ulcere. La riduzione dell’attività piastrinica è causata da una ridotta sintesi del trombossano, in seguito all’acetilazione di un residuo serinico delle ciclossigenasi piastriniche (Richard Adams, 1999). A livello renale, il rischio di nefropatia è legato anche in questo caso alla ridotta sintesi delle prostaglandine che consentono la vasodilatazione midollare e ‘output urinario’ anche in caso di vasocostrizione arteriosa, perciò si devono considerare a rischio quei pazienti che presentano pregresse patologie renali, o molto anziani.
Se consideriamo che tutti farmaci NSAID inibiscono in un certo grado, comunque entrambe le isoforme di COX, risulta chiaro che tutti i pazienti sottoposti a questa terapia devono essere costantemente monitorati nelle funzioni gastroenteriche, renali, e dal punto di vista ematologico potrebbero subire alterazioni delle piastrine.
La specificità del farmaco nell’inibire COX-2 resta quindi un caposaldo nella scelta della terapia, perché, pur considerando che cani e gatti sono più sensibili agli effetti dei farmaci FANS, a causa probabilmente di un ricircolo enteroepatico e della scarsa glicuronoconiugazione che li caratterizza, il ruolo di protezione e di regolazione metabolica delle cellule nei vari tessuti è comunque sostenuto prevalentemente da COX-1.
Per valutare la specificità di un farmaco, e allo stesso tempo le reazioni nelle diverse specie, si utilizzano enzimi isolati su cellule, o su sangue intero, della specie bersaglio. Il sangue intero è preferibile perché ricalca più fedelmente la situazione fisiologica. S’inibisce l’enzima con il farmaco d’interesse utilizzando come parametro di valutazione la concentrazione capace di inibire il 50% dell’enzima (IC. 50). I livelli di IC.50 sono calcolati per COX-1 e COX-2 e i risultati sono messi in rapporto. Questo tipo di analisi permette di valutare la potenza del farmaco, e la sua specificità: minore è l’IC. 50, più potente è il farmaco, più alto è il rapporto tra IC.50 di COX-1-IC.50 di COX-2 più la specificità propende verso questo secondo enzima. Sulla base di questo calcolo i farmaci FANS vengono classifica in preferenziali o selettivi COX-2 laddove il farmaco inibisce preferenzialmente, anche se in grado
differente, COX-2, e specifici COX-2 laddove il farmaco non ha nessun effetto su COX-1 (Hayes, 2007).
Figura 27: Schema riassuntivo della classificazione dei farmaci FANS (Di Paolo, 2006)
La difficoltà consiste nel fatto che non è cosa facile prevedere quale farmaco potrebbe essere più efficace su un dato tumore, e a quale dosaggio si possano uccidere selettivamente le sue cellule, e non è detto poi che ci sia una corrispondenza esatta tra le dosi efficaci in vitro e
quelle nell’animale in vita, e che eventualmente queste possano essere ben sopportate dal paziente (Hayes 2007).
5-3: LE DUE CLASSI di FARMACI A CONFRONTO
Gli studi in vivo e in vitro sono oggi numerosi, i risultati delle risposte tumorali si possono classificare secondo parametri validi per tutti gli studi: per “Remissione Completa” s’intende la scomparsa di tutti i segni del tumore, per “Remissione Parziale”, s’intende una remissione maggiore o uguale del 50% del volume del tumore senza la presenza di nuove lesioni, per “Stabilizzazione della malattia” s’intende una diminuzione del volume tumorale inferiore al 50%, per “Progressione della Malattia” s’intende, infine, un aumento del volume del tumore superiore o uguale al 50%, o lo sviluppo di nuove lesioni.
• Il tumore delle Cellule di Transizione della Vescica Urinaria è un tumore molto diffuso nell’uomo e negli animali; la ricca casistica ha permesso di dimostrare con l’immunoistochimica, che sovraesprime COX-2, così, se in passato era utilizzata la tradizionale terapia antitumorale, più recentemente si è pensato di utilizzare i FANS.
Uno studio è stato condotto su due gruppi di 8 cani affetti da tumore della Vescica insorto spontaneamente, la cui diagnosi era
primo gruppo sono stati trattati con Cisplatino ad un dosaggio di 60mg/m2 i.v ogni 21 giorni, i cani appartenenti al secondo gruppo sono stati trattati con lo stesso dosaggio di Cisplatino, ma con l’aggiunta di Piroxicam con dosaggio di 0,3 mg/Kg p.o, ogni 24 ore. I risultati sono stati molto significativi: il secondo gruppo di cani ha presentato due complete remissioni, quattro remissioni parziali, due stabilizzazioni del tumore e nessuna progressione della malattia. Il primo gruppo in cui era stato utilizzato il Cisplatino da solo, non ci fu nessuna remissione completa, nessuna remissione parziale, due stabilizzazioni del tumore e nessuna progressione della malattia. Successivamente, sono stati aggiunti allo studio altri 14 cani, trattati con Piroxicam e Cisplatino associati, alle stesse dosi, anche in questo caso, si sono verificate due remissioni complete, e otto remissioni parziali. L’inconveniente della terapia è risultata essere la tossicità renale (Knapp et al. 2000).
• Sempre per quanto riguarda il Tumore delle Cellule di Transizione della Vescica Urinaria, è stata utilizzata l’associazione di Cislatino e Piroxicam. Quattordici cani affetti da TTC insorto spontaneamente, sono stati trattati con Piroxicam per quattro settimane con dosaggio di 0,3 mg/kg ogni 24 h per via orale, successivamente si è aggiunto Cisplatino con dosaggio di 60 mg/m2 i.v. ogni 21 giorni, somministrato con soluzione salina al 9%, 18 ml/kg/h quattro ore prima e due ore dopo il chemioterapico, Butorfanolo è stato somministrato per contrastare il vomito. Su
cani ne hanno ricevute due, sette cani una e due cani hanno dovuto abbandonare lo studio.
Il tumore è stato valutato dopo dieci settimane di trattamento per mezzo di cistografia con contrasto e l’ultrasonografia: sei remissioni parziali, due stabilizzazioni della malattia, quattro progressioni.
La tossicità renale e gastroenterica sono stati i principali effetti collaterali, più evidente e frequente la gastroenterica, ma maggiormente controllabile. La tossicità renale è stata, in realtà, infatti, la causa che ha determinato la sospensione della terapia (Mohammed et al., 2003).
• La stessa associazione di farmaci è stata utilizzata anche in 25 cani, affetti rispettivamente da Melanoma Maligno Orale e da Carcinoma Squamoso Orale, per valutare non solo l’effetto sul tumore, ma anche la tossicità renale dei farmaci associati comparata con quella del Cisplatino somministrato da solo. Il Cisplatino è stato somministrato per infusione in vena con soluzione salina dilazionato in sei ore, il piroxicam p.o ad un dosaggio di 0.3 mg/kg ogni 24 ore, la dose di Cisplatino è stata aumentata di 5 mg/m2 per volta fino a raggiungere la dose massima tollerata. La dimensione del tumore è stata controllata ogni sei settimane per la durata del trattamento. La dose massima tollerata (MTD) di Cisplatino quando somministrata in associazione con Piroxicam e risultata essere di 50mg/m2, cioè
identica alla dose somministrata inizialmente, la remissione del tumore si è verificata in cinque su nove cani affetti da SCC e in due su undici cani affetti da OMM. Anche in questo caso si è riscontrata frequente tossicità renale, ma la clearance del Cisplatino somministrato associato al Piroxicam e del Cisplatino somministrato singolarmente, non sono risultate significativamente diverse (Boria et al., 2004).
• 55 cani affetti anche in questo caso da Carcinoma delle Cellule di Transizione della Vescica Urinaria sono stati trattati con associazione di Mitoxantrone con Piroxicam. I cani sono stati trattati con Mitixantrone per via parenterale con dose do 5mg/m2 ogni 21 gg., e Piroxicam oralmente con dose di 0,3 mg/kg ogni 24h. per tutta la vita del cane, o per la durata dello studio. I risultati disponibili e validi sono stati raccolti per quarantotto dei cinquantacinque cani. Si sono accertate una completa remissione, sedici remissioni parziali, ventidue stabilizzazioni della malattia, e nove progressioni del tumore. I tempi di ricaduta di sopravvivenza sono stati di 194 e 350 giorni rispettivamente. I pazienti furono controllati dopo il secondo trattamento, registrando l’eventuale cambiamento dei segni clinici soggettivi, il verificarsi o meno di miglioramento e quale segno clinico era cambiato per primo secondo i proprietari; dei quarantotto cani, trentasei mostravano, miglioramento dei segni clini, diciotto non avevano mostrato cambiamento dei segni clinici. Al controllo delle metastasi,
evidenziato metastasi, quindici avevano sviluppato metastasi in vari organi come milza e linfonodi, quindici non furono valutati per le metastasi. Gli effetti collaterali, si sono presentati nel 18% dei cani sotto forma di problemi gastroenterici, risolti con somministrazione di Misoprostolo nei casi più gravi, eccettuato un caso di ulcera gastrica; nel 10% di pazienti si è verificata alterazione dei parametri ematochimici, neutropenia in particolare, tanto che in tre cani fu ridota la dose di Mitoxantrone per poter effetture i quattro trattamenti previsti dal protocollo; nel 10% dei casi cioè in cinque pazienti si è verificato rialzo dell’azotemia senza insufficienza renale attribuita a cause pre-renali. In cinque cani invece l’insufficienza renale si è verificata (Henry, 2003).
• Nel caso di Carcinoma Squamoso Orale, la terapia con Piroxicam senza chemioterapico, ha dato ottimi risultati in uno studio effettuato su 17 cani affetti appunto da questo tipo di tumore. Il farmaco è stato somministrato con la stessa posologia dei casi precedenti, fino alla morte del cane, se si verificava tossicità non accettabile o fino al presentarsi di segni clinici troppo gravi. I risultati dimostrati sono: una remissione completa, in tumore mascellare, due remissioni parziali, in un tumore linguale e uno tonsillare, cinque stabilizzazioni della crescita. I tempi medi e specifici di ricaduta sono stati di 180 e 223 giorni rispettivamente nei soggetti con remissione, e di 102 e 223 nei soggetti con stabilizzazione. Il tempo di ricaduta è stato associato positivamente
tumore. Un solo caso di tossicità gastrointestinale è stato registrato, risolto facilmente con la somministrazione di Misoprostolo (Schmidt et al., 2001).
Numerosi altri studi potrebbero essere citati, ma appare chiaro che l’associazione del farmaco FANS con l’antitumorale, migliora il risultato terapeutico nella maggior parte dei casi e non potenzia l’effetto tossico della terapia in maniera significativa. L’utilizzo dal farmaco FANS da solo, inoltre, ha dato ottimi risultati in diversi studi.
Anche se rimane un dato di fatto che diversi tumori rispondono in modo diverso alla terapia, è ormai ovvia l’importanza di approfondire l’attività FANS nel contrastare lo sviluppo dei tumori.
Da un punto di vista clinico, nell’utilizzo dei FANS, oltre i risultati positivi delle ricerche si terrà conto anche della semplicità nel poter contrastare gli effetti collaterali, i costi ridotti, la loro presenza in ogni ambulatorio veterinario, la facilità di somministrazione. Se consideriamo poi, che gli eventuali effetti collaterali degli antiinfiammatori non steroidei possono presentarsi con maggiore probabilità, o essere acutizzati dalla somministrazione contemporanea di farmaci antitumorali, e che i FANS sono comunque utilizzati a scopo antidolorifico negli animali affetti da cancro, questo depone a favore dell’utilizzo di questi ultimi in ogni caso.
Laddove si è messo in evidenza che il tumore sovraesprime effettivamente COX-2, nei pazienti preclinici e nei tumori che risultano
rispondere a questa terapia, l’utilizzo di questi farmaci sembra effettivamente indicato.
6-1: I TUMORI DELLA CUTE
I tumori cutanei e sottocutanei nel cane sono benigni circa nell’80% dei casi, mentre nel gatto, benigni e maligni, ricorrono più o meno con la stessa frequenza, sono classificati schematicamente secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità in:
• TUMORI EPITELIALI
• TUMORI MELANOCITICI
• TUMORI MESENCHIMALI
• TUMORI INCLASSIFICABILI
• Tumori Metastatici della cute, Cisti, Amartomi, Lesioni Pseudotumorali
I tumori maligni maggiormente rappresentati nel cane sono il Mastocitoma, l’Emangiosarcoma, il Carcinoma Squamoso, il Fibrosarcoma, il Melanoma, il Carcinoma Basocellulare e il Linfoma Cutaneo; nel gatto invece si riscontrano con maggiore frequenza Carcinoma Basocellulare, Mastocitoma, Carcinoma Squamoso e Fibrosarcoma. (Marconato et al., 2005).
6-2: QUADRO CLINICO e COMPORTAMENTO BIOLOGICO
del CARCINOMA SQUAMOSO
Il Carcinoma Squamoso (SCC) è un tumore della cute che si presenta frequentemente nel cane e nel gatto, che ha origine dai cheratinociti. Questa neoplasia si sviluppa frequentemente negli animali in età avanzata, intorno ai 10 anni circa. Nel cane sembra esserci una predisposizione per alcune razze come il Terrier Scozzese, il Boxer, il Pechinese e l’Elkound Norvegese. Nel gatto, invece, non risultano particolari predisposizioni di razza.
Tra le possibili cause dello sviluppo di questa neoplasia sono riportate le ustiono da freddo da caldo e da radiazioni, le dermatiti croniche, il Lupus Eritematoso Cutaneo, le cisti follicolari, ma soprattutto l’esposizione ai raggi ultravioletti (Marconato et al., 2005)
L’ipotesi che sostiene la fotoesposizione prolungata come ‘primum movens’ dello sviluppo di questo tumore sembra confermata dalla sua predilezione per gli animali con il mantello chiaro (Dalmata, Bull Terrier, Stafford Terrier Americano, Beagle, e gatti bianchi) e per le zone glabre o depigmentate del corpo. Anche la localizzazione sembra concordare con quanto detto, infatti le zone del corpo più soggette alla sviluppo del CSS nel cane sono le orecchie, le tempie, palpebre, planum nasale, scroto, fianchi e zona ventrale dell’addome; planum nasale(80-90%), pinnae (50%), labbra, per quanto riguarda il gatto. Dobbiamo ricordare però altri importanti siti di localizzazione, frequenti, come il letto dell’unghia e la
Figura 28: CSS Orale, in cane femmina razza Segugio di anni 12. Immagini concesse dal Dott. Faccenda.
Figura 29: CSS sublinguale, in gatto Europeo maschio di anni 9. Immagine concessa dal Dott. Matteini.
A
B
Figura 30 A e B: CSS in “Planum nasale”, in gatto Europeo maschio di anni 7 immagini concesse dal Dott. Andrea Matteini, 2008.
Le lesioni sono, nel cane, prevalentemente di tipo proliferativo (Lee Groos et al., 1992), appaiono come macchie rosse esofitiche a cavolfiore, che tendono facilmente ad ulcerarsi (Marconato et al., 2005). Nel gatto si osservano, generalmente, lesiono di tipo erosivo, eritematoso, crostoso che sanguinano facilmente, e diventano ben presto vere e propri ulcere. Frequentemente la comparsa del CSS è preceduta da lesioni precancerose, il cui riconoscimento precoce è fondamentale per la prevenzione di questo tumore (Marconato et al., 2005).
Dapprima compare displasia dei cheratinociti, successivamente si passa al carcinoma in situ, ed infine a CSS invasivo; la lesione preneoplastica più importante è sicuramente la CHERATOSI ATTINICA: si presenta clinicamente con lesioni di tipo eritematoso, edematoso, ipercheratinizzate, talvolta pigmentate, dure al tatto, che successivamente evolvono in placche e papule.
Figura 31: Cheratosi Attinica padiglioni auricolari in gatto europeo femmina di anni 12 immagine concessa dott. Matteini
La Cheratosi Attinica diventa con l’evoluzione della malattia CSS in situ nel momento in cui si assiste alla comparsa di lesioni erosive ulcerative-crateriformi (Marconato et al., 2005).
Figura 32: Cheratosi Attinica padiglione auricolare in gatto europeo maschio di anni 10. Immagine
concessa dal Dott. Matteini
Figura 33: CSS padiglione auricolare, gatto europeo, maschio di anni 10 evoluzione neoplastica della lesione raffigurata nell’immagine precedente. Immagine
concessa dal Dott. Matteini
A
B
Figura 34: Cheratosi Attinica ispessimento dell’epidermide con iperplasia irregolare, perdita di polarità dei cheratinociti nello straro basale modesta atipia cellulare assente invasione della membrana basale ( colorazione E-E,ingrandimento 40x, prima immagine, 20x seconda immagine)
Il CCS in situ aggredisce i tessuti localmente, e solo successivamente si estende alle zone circostanti diventando invasivo. Nel cane generalmente le lesioni solo solitarie, eccettuato in alcuni casi localizzati alle regioni ventrali dell’addome, nel gatto, invece, può dare lesioni anche molto estese che possono deturpare l’animale, in questo caso si parla di CSS Multicentrico.
Le metastasi compaiono di solito molto tardivamente, soprattutto nel gatto, e si localizzano ai linfonodi regionali e, successivamente ai polmoni. (Marconato et al., 2005).
Figura 35: CSS in situ (colorazione E-E, ingrandimento 40x)
6-3: DIAGNOSI
La diagnosi di CSS può derivare sia previo esame citologico che istologico. La diagnosi citologica può risultare più difficoltosa perché spesso il quadro è complicato da un diffuso stato infiammatorio, flogistico, del tessuto,(Marconato et al., 2005) e dal frequente inquinamento da parte di opportunisti. La citologia, comunque, mostra cheratinociti atipici in diversa fase maturativa, raggruppati in agglomerati. Il CSS ben differenziato appare costituito da cellule di grande volume con citoplasma basofilo, angolare con margini netti e nucleo pleomorfo. Il CSS indifferenziato è costituito essenzialmente da cellule pleomorfe che hanno perso le caratteristiche tipiche dei cheratinociti. Si possono osservare occasionalmente vacuoli chiari perinucleari.
A
Figura 36 A e B: CSS di gatto, evidente pleomorfismo e asincronia maturativa nucleo citoplasma. Colorazione Diff-quik, ingrandimento 40x prima immagine 100x seconda immagine
L’aspetto istologico è differente nelle lesioni preneoplastiche rispetto al carcinoma conclamato. Nella Cheratosi Attinica si osserva atipia dei cheratinociti
che si presentano più grandi, ipercromatici, e colpiti da discheratosi. Si osserva iperplasia epidermica e paracheratosi delle cellule dello strato corneo, e fibre elastiche rotte (Goldschmidt et al., 1998)
L’aspetto del carcinoma vero e proprio varia in funzione del grado di differenziazione, ma nei casi ben differenziati presenta il tipico aspetto con cellule caratterizzate da nuclei grossi ed ipercromatici, con cromatina aggregata, nucleoli voluminosi, in genere singoli, e citoplasma ampio ed eosinofilo. Ben evidenti i ponti intercellulari e le caratteristiche “perle cornee”: strati concentrici di cheratina circondate da cellule squamose. Nel carcinoma in situ non si ha invasione della lamina basale, contrariamente al carcinoma invasivo, nel quale isole e trabecole di cellule epiteliali invasive prendono contatto con l’epidermide adiacente e aprono brecce nella lamina basale (Goldschmidt et al., 1998).
Figura 35: CSS, formazione di perle cornee. (colorazione E-E ingrandimento 40x)