• Non ci sono risultati.

Les Mystères de Paris tra pregiudizi e innovazione

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Les Mystères de Paris tra pregiudizi e innovazione"

Copied!
204
0
0

Testo completo

(1)

1

Introduzione

Il roman feuilleton e i Misteri

Fin dal 1800 esisteva nei giornali uno spazio chiamato feuilleton, che all’inizio fu visto solo come un ripiego dedicato alla critica letteraria, teatrale, musicale, artistica, uno spazio definito «un mélange d’article de critique, de comptes rendus de théâtres, d’éphémérides politiques et littéraires, d’annonces, de charades, de bulletins de modes, de recettes

pharmaceutiques ou culinaire, de romances, des chansons, etc.»1 A partire

dal 1830, si cominciano a trovare racconti di viaggi, novelle e anche romanzi, ma è soltanto dal 1836 che nasce il vero e proprio

roman-feuilleton, grazie a Emile de Girardin che ha l’idea di pubblicare romanzi

a puntate. Per realizzare questo suo progetto crea un nuovo giornale, la “Presse”, e già si assicura la collaborazione di Victor Hugo, Lamartine, Ballanche, Tocqueville e altri grandi esponenti del mondo letterario. Prendendo spunto dall’idea di Girardin, anche Dutacq, proprietario del giornale le “Droit”, ne fonda uno nuovo, le “Siècle”, che insieme a la “Presse” uscì il primo luglio. Entrambi ebbero un grande successo, ma è la “Presse” a pubblicare il primo roman-feuilleton importante: La vieille

fille, Scène de la vie de province2 di Balzac. In realtà il roman feuilleton

assume un’importanza decisiva a partire dal 1842, anno di pubblicazione

de Les Mystères de Paris3 di Eugène Sue sul “Journal des Debats”.

Il roman-feuilleton nasce quando la letteratura diventa merce, quando diventa un prodotto creato su misura per le esigenze commerciali

1 N. Atkinson, Eugène Sue et le roman feuilleton, Paris, Nizet, 1929, p. 5 2 H. de Balzac, La vieille fille, Paris, “Presse”,1836

(2)

2

della stampa ed è merce anche perché ha una tariffa, segue un modello fisso e si consegna a termine. A partire dal 1840 molti scrittori pubblicano i propri libri sui quotidiani, considerandolo il miglior modo per farsi leggere, visto che il prezzo dei libri era alto. Il giornalismo diventa la strada della professione letteraria e attraverso il giornale, lo scrittore entra in contatto con il proprio pubblico e ha la possibilità di creare una letteratura popolare. Il feuilletoniste, però, deve avere delle qualità, ad esempio la capacità di creare colpi di scena che prolungano il racconto, di creare la suspense necessaria a suscitare l’interesse del pubblico e, infine, l’abilità di intrecciare le azioni dei personaggi, producendo un enorme giro di vite. René Bazin ce lo descrive con queste parole:

«Les feuilletoniste ont, presque tous, un sens exact du mouvement dramatique; une science de l’horrible et du terrifiant; une adresse à démêler les écheveaux; une habilité à laisser pour morts, sur le champ de bataille de l’action, des héros qui ressuscitent pour de longues destinées; un doigt dans l’usage du point de suspension; une fidélité au type honorable des bonnes mères, des petites ouvrières laborieuses et des amours éternelles, qui ne sont pas des qualités si méprisables qu’on le croit. Quelques-uns s’élèvent même jusqu’è la composition et jusqu’aux premiers éléments de la psychologie, à ce point qu’on peut distinguer dans leurs œuvres les marquis d’avec le baron, le financier d’avec le traître, le charretier d’avec le chemineau, à d’autres signes que la coupe de l’habit et que le rappel des caractères physiques. »4

Louis Reybond, invece, ci fornisce gli ingredienti fondamentali per creare o per saper riconoscere un buon roman-feuilleton:

« Vous prenez, môsieur, par exemple, une jeune femme, malheureuse er persécutée. Vous lui adjoignez un tyran sanguinaire et brutal, un page sensible et vertueux, un confident sournois et perfide. Quand vous tenez en main tous ces personnages, vous les mêlez ensemble, vivement, en six, huit, dix feuilletons; et vous servez chaud. Il faut que vous m’ayez séduit, môsieur, pour que je vous livre ainsi le secret du métier

(3)

3

– Je vous en dois mille grâces – C’est surtout dans la coupe, môsieur, que le vrai feuilletoniste se retrouve. Il faut que chacun numéro tombe bien, qu’il tienne au suivant par une espèce de cordon ombilical, qu’il appelle, qu’il donne le désir, l’impatience de lire la suite. Vous parliez d’art, tout à l’heure; l’art, le voilà, c’est l’art de se faire désirer, de se faire attendre. Vous avez, je suppose, un M. Arthur à qui votre public s’intéresse. Faites manœuvrer ce gaillard-là de façon qu’aucun de se faits et gestes ne porte à faux, ne soit perdu pour l’effet. A chaque bout de feuilleton une situation critique, un mot mystérieux, et Arthur, toujours Arthur au bout! Plus le public aura mordu à votre Arthur, plus vous devez en tirer parti, le lui présenter comme amorce. Et si, dans un cas donné, vous pouvez mettre cet Arthur à cheval sur un renouvellement d’abonnés, en plaçant les retardataires sur la menace d’ignorer ce que devient le héros favori, vous aurez réalisé le plus beau succès d’art que puisse ambitionner un homme de style comme vous l’êtes. »5

La trama dei roman-feuilleton è una specie di matassa che si srotola filo dopo filo, episodio dopo episodio. Il feueuilletoniste inventa giorno per giorno la storia, non ha un progetto completo del suo racconto. A Legouvé che chiede la continuazione dei Mystères de Paris, infatti, Eugène Sue risponde « Quant à la suite, je serais très embarrassé de vous l’envoyer, je ne la connais pas. J’ai écrit cela d’instinct, sans savoir où

j’allais. Maintenant je vais chercher. »6 Questo metodo accresce la

curiosità del lettore che aspetta con impazienza il nuovo numero del giornale per conoscere il destino dei suoi eroi. A volte l’autore arriva persino a far morire un personaggio e a farlo resuscitare in un nuovo numero, perché, non avendo un progetto preciso dello sviluppo della storia, può capitare che dimentichi alcune parti o alcuni dettagli. Spesso, per aumentare l’attesa, i feuilletonistes inseriscono digressioni, descrizioni e tra le righe del racconto trovano posto anche le loro opinioni, le loro soluzioni per correggere la società. È inoltre il lettore, in alcuni casi, a decidere le sorti di un personaggio, a scrivere la storia mandando delle lettere agli scrittori suggerendo cosa eliminare e cosa aggiungere. Il

5 Ibidem., p.12

(4)

4 feuilleton diventa, dunque, un fenomeno collettivo, è letteratura letta e, in

parte, scritta dal pubblico e, in particolar modo dal popolo. Forse proprio per questo suo tenere il lettore sospeso su un filo, per il coinvolgimento diretto del pubblico, per questo suo accendere il desiderio di conoscere e, allo stesso tempo, alimentare l’immaginazione, il roman-feuilleton continua ad avere un grande successo tra il pubblico fino a diventare, come

sostiene Lise Queffélec, l’opium du peuple7, il loro paradiso artificiale.

L’immaginario si sostituisce alla realtà, diventa lo specchio della vita e allo stesso tempo un rifugio in cui nascondersi per sfuggire dalla vita reale. Il grado di identificazione con i personaggi è alto, il lettore si sente l’eroe del romanzo, riconosce se stesso nella finzione romanzesca, vede questa finzione come qualcosa di reale ed entra completamente in quel mondo descritto tra le righe di un giornale, un mondo che diventa sempre più suo. Le azioni dei personaggi vengono seguite e attese con ansia, con attenzione e la morte di un eroe o di un personaggio amato può suscitare

scalpore tra i lettori.8 Un giorno Legouvé vede Duchâtel precipitarsi nel

suo ufficio, incapace di parlare, sconvolto come se si trattasse di una crisi politica. Infine, ripresosi, il ministro pronuncia questa frase: « La Louve è

morta! »9, era morto uno dei personaggi principali del romanzo di Eugène

Sue. Questo era il tipo di notizia che il ministro attendeva con ansia ogni mattina, ma non era il solo ad attenderlo: lo attendeva il presidente del consiglio, un vecchio maresciallo di Francia, Soult, che, durante le lunghe insonnie, si faceva leggere la puntata del giorno prima e l’indomani mattina, se non trovava subito il seguito della vicenda buttava il giornale al fuoco e che arrivò addirittura a tirare fuori di prigione Eugène Sue, per impedirgli di interrompere l’opera. Attendevano l’uscita del giornale

7 L. Queffélec, Le roman-feuilleton français au XIXe siècle, Paris, Presses universitaires de France,

1989, p. 4

8 Vedi in appendice lettere 124 e 224

9 A. Bianchini, La luce a gas e il feuilleton: due invenzioni dell’Ottocento, Napoli, Liguori, 1969;

(5)

5

contesse, membri dell’Istituto di Francia, elemosinieri, proletari. La sera riuniti in famiglia si procedeva alla lettura, mentre nei cabinets de lecture c’era addirittura la fila, con un’attesa di tre o quattro ore.

Il roman-feuilleton crea un universo immaginario, assolve la stessa funzione del sogno perché ribalta la realtà, che diventa una realtà dove i colpevoli sono puniti e gli innocenti vengono salvati, dove la ribellione contro le ingiustizie della società trova sempre un lieto fine. Esprime, così, il bisogno di giustizia del popolo, denuncia il male che la società produce in silenzio. Ogni lettore diventa l’eroe del suo romanzo, in esso realizza i desideri dell’inconscio, ha la forza di ribellarsi e di vincere sentendosi più forte, onnipotente. L’operaio o il piccolo-borghese si proietta soddisfatto nell’eroe vincente del feuilleton che risponde a due esigenze tipiche del ceto popolare: il gusto dell’immaginario, come liberazione dalla realtà quotidiana, e il bisogno di compensazione psicologica, per cui le sconfitte subite nella vita diventano le vittorie raggiunte grazie all’immaginazione. A tale proposito Gramsci in Letteratura e vita nazionale scrive:

« il romanzo d’appendice sostituisce (e favorisce allo stesso tempo) il fantasticare dell’uomo del popolo, è un vero sognare ad occhi aperti […] si può dire che nel popolo il fantasticare è dipendente dal “complesso di inferiorità” (sociale) che determina lunghe fantasticherie sull’idea di vendetta, di punizione dei colpevoli dei mali sopportati.»10

Il roman-feuilleton è strettamente legato al romanticismo, da cui deriva temi, modelli, miti, ripetendo lo schema narrativo della grande tradizione romantica: il conflitto tra individuo e società, tra bene e male, con la differenza che nel feuilleton l’eroe vince sempre superando tutti gli

10 A. Gramsci, Letteratura e vita nazionale, Torino, Einaudi, 1950; edizione utilizzata Torino,

(6)

6

ostacoli. In esso si instaura un’omologia strutturale quasi perfetta tra realtà sociale e forma letteraria: come nella vita la lotta per l’esistenza diventa sempre più difficile per i violenti contrasti di interessi tra individuo e individuo, così nella letteratura questa situazione viene schematizzata nella tensione agonistica di una partita giocata tra buoni e cattivi. Lo schema che il feuilleton segue è fisso e una volta scelto uno schema l’autore lo porta avanti fino alla fine, presentandoci personaggi che raramente cambiano. Lo schema e la tipologia dei personaggi sono, però, legati alla cultura della città in cui si ambientano e alla cultura dello scrittore. In linea generale, comunque, ci sono sempre eroi buoni e personaggi cattivi e altre coppie oppositive su cui si struttura: splendidi palazzi e strade fangose, amore e odio, purezza e corruzione. Si potrebbe dire che l’antitesi sia la nota dominante di questo nuovo genere letterario. In questo mondo si muove una folta schiera di personaggi e al centro di questa folla c’è lui, l’Eroe. Spesso è un aristocratico avvolto da un’atmosfera satanica e fatale, il cui archetipo è l’eroe byroniano, «questo tardo epigono del cavaliere errante, il reietto che dichiara guerra alla società ed è nemico imperterrito dei grandi e dei potenti quanto amico e benefattore dei deboli e dei poveri. L’eroe romantico che Byron introduce nella letteratura, è un uomo misterioso; nel suo passato c’è un segreto, un tremendo peccato, un fatale errore o una missione irreparabile. […] Si avvolge nel mistero del suo passato come in un manto regale: solitario, taciturno, inaccessibile. Da lui emana dannazione e rovina. È spietato con se stesso e con gli altri. Non conosce perdono e non chiede grazia né a Dio, né agli uomini. Non rimpiange nulla, non si pente di nulla e, nonostante la sua vita disperata, nulla vorrebbe mutare in quel che è stato e in quel che egli ha fatto. È rude e selvatico, ma d’altra origine; i suoi lineamenti sono duri e impenetrabili, ma nobili e belli; da lui emana uno strano fascino a cui nessuna donna può resistere, mentre ogni uomo

(7)

7

risponde con amicizia o inimicizia».11 L’eroe del feuilleton è sempre un

ribelle, che agisce nella società al di fuori della legge, al di fuori degli schemi, operando demiurgicamente sulla realtà. Altra figura centrale è quella della fanciulla perseguitata, le cui origini vanno individuate nel

romanzo inglese e francese del Settecento: Pamela12 e Clarissa Harlowe13

di Richardson, La vie de Marianne14 di Marivaux, il cui modello viene

riproposto in forma sempre più standardizzata e stereotipata. Di solito la fanciulla perseguitata, che è da associarsi alla donna angelo, è contrapposta alla donna fatale: l’una angelica, l’altra demoniaca. Abbiamo una partita giocata da eroi satanici, donne fatali, fanciulle perseguitate e prostitute redente che si incontrano e si scontrano continuamente.

Per capire bene lo schema, la struttura e i temi che caratterizzano il

feuilleton, bisogna prendere in considerazione il suo antecedente: il

romanzo nero o gotico, un genere letterario di moda in Inghilterra negli ultimi decenni del Settecento. Il gotico è uno stile architettonico, che influisce sulla letteratura dando origine al romanzo nero. La componente gotica del romanzo nero consiste nella presenza di un castello medievale, sempre cupo e misterioso, nell’atmosfera tenebrosa che pervade il paesaggio e nel terrore che si percepisce in ogni pagina. Il primo modello

di romanzo nero è The Castle of Otranto15 di Walpole, che si costruisce il

suo castello gotico nella vita reale, prima di descriverlo nella letteratura. Il castello gotico è la figura dominante nel romanzo nero, ha sempre una struttura labirintica con corridoi segreti e passaggi sotterranei, è l’inferno

dove si sfugge all’ordine armonico e rassicurante della ragione.16

11 A. Hauser, Sozialgeschichte der Kunst und Literatur, Monaco, C. H. Beck, 1955; edizione utilizzata

Storia sociale dell’arte, Torino, Einaudi, 1956, pp. 221-222

12 S. Richardson, Pamela, London, Rivington, 1742

13 S. Richardson, Clarissa or the history of a young lady, London, Rivington, 1748 14 P. de Marivaux, La vie de Marianne, Paris, Prault, 1731-1742

15 H. Walpole, The castle of Otranto, London, Thomas Lowds, 1764

(8)

8

L’intreccio del romanzo nero è costruito da tre personaggi: lo scellerato, la vittima e il protettore. La prima azione è sempre il delitto e da qui nascono gli sviluppi successivi fino alla soluzione finale, quando i tradimenti, gli inganni e gli omicidi vengono smascherati e puniti. Lo scellerato è l’eroe demoniaco e tenebroso che ha commesso il delitto in passato e ora gode delle ricchezze ottenute; la vittima è la fanciulla perseguitata e indifesa; il protettore è colui che cerca di scoprire le terribili colpe del suo avversario e che protegge la vittima. In seguito, il romanzo

nero cambia leggermente con The Monk17 di Lewis, dove il castello gotico

viene sostituito da un monastero e il monaco e la suora rimpiazzano il cavaliere antico e la damigella medievale come tenebrosi protagonisti. Un cambiamento simile si ritrova anche nei romanzi di Ann Radcliff: labirintici sotterranei e cupi monasteri sostituiscono il castello, ma il terrore resta, comunque, l’elemento centrale che porta avanti l’azione, la molla costante della dinamica narrativa. Il confessionale dei Penitenti

Neri18 della Radcliff è stato considerato dalla critica un piccolo capolavoro del Settecento, capace di dare versione quasi fiabesca a terrori senza

nome19 ed è un romanzo in cui si trovano già tutti gli ingredienti del

romanzo d’appendice. L’azione che fa iniziare il gioco romanzesco è un matrimonio ostacolato, tema diffuso in tutta la narrativa occidentale. Da qui derivano rapimenti, fughe, agnizioni, pentimenti, fino al lieto fine. Il monastero sostituisce il castello gotico, ma anche il monastero presenta una struttura labirintica con corridoi deserti, passaggi bui, il tutto accompagnato da un’atmosfera orrida, cupa, spaventosa ottenuta con l’uso di chiari di luna, burroni, sotterranei e cadaveri. L’eroe tenebroso e demoniaco è il monaco Schedoni, personaggio che ha tutte le

17 M. G. Lewis, The Monk, Waterford, J. Saunders, 1796

18 A. Radcliffe, The italian, or the Confessional of the Black Penitents, London, T. Cadell Jun. and W.

Davies, 1797

(9)

9

caratteristiche dell’eroe romantico: il passato misterioso che nasconde orrendi delitti, le origini oscure, il comportamento riservato e austero, l’aspetto terribile e affascinante, il pallore del volto e la malinconia degli occhi, tratti che presentano al lettore la sua natura satanica e la sua volontà di distruzione. Accanto all’eroe, però, non può non esserci l’innocente indifesa e perseguitata: Elena.

Possiamo trovare in tutte queste opere gli elementi che danno vita al

roman-feuilleton, quindi il romanzo nero potrebbe essere definito uno dei

suoi antecedenti, ma non è l’unico, perché ricostruendo la storia del

feuilleton e le sue origini, bisogna dare spazio a un altro suo antenato: il

romanzo storico. È proprio sulla scia del romanzo nero che nasce il romanzo storico di Walter Scott che ci presenta una mitologia romantica abbassata a livello borghese. Nei suoi romanzi ci sono duelli, cacce, giostre, zingare, streghe, passioni travolgenti, notti tenebrose, vendette spietate fino all’agnizione finale che risolve tutto, ma c’è anche una distaccata ironia nei confronti delle situazioni eroiche e una sensibilità per le forme quotidiane e borghesi della realtà. Scott, quindi, contribuisce all’ “imborghesimento” del romanticismo, mettendo i nuovi romantici alla portata di tutti e forse questo spiega il suo grande successo. Sono questi due generi letterari, il romanzo nero e il romanzo storico, ad aver posto le basi per la nascita del roman-feuilleton e dei Misteri. È, infatti, lo stesso Sue a dire che la sua più grande ambizione è suscitare emozioni forti, legate, a volte, anche alla paura e, proprio in questo, notiamo il legame con il romanzo nero. In una lettera capiamo l’influenza che A. Radcliff ha avuto sul suo modo di scrivere: « Savez-vous, ma chère Mathilde, que je serais un grand écrivain, sans m’en douter, si, justement au passage de ma lettre que vous venez de lire… vous aviez ressenti une de ces terreurs pareilles à celles que m’inspiraient dans mon enfance les plus beaux

(10)

10

endroits des romans d’Anna Radcliff ? »20 Proprio come gli autori dei

romans noirs, Sue si serve di sotterranei, di luoghi bui, di rumori

misteriosi. Come si capisce dalle sue parole, non solo ha letto i racconti della Radcliff, ma dal 1840 al 1845 è stato profondamente influenzato dalla sua scrittura, tanto che anche lui fa ricorso alla natura per creare un’atmosfera di terrore. In tutti i suoi romanzi, infatti, quando ci si avvicina a un momento drammatico scoppia una tempesta che mostra l’incredibile forza della natura. Questa ricerca di Sue dell’elemento terrificante si vede anche nel suo romanzo Les Mystères de Paris, considerato l’archetipo del feuilleton ottocentesco, un modello perfetto di macchina narrativa ricavato dalla fusione di mitologia romantica e

letteratura popolare.21

Eugène Sue è il padre del feuilleton e Les mystères de Paris innesca la produzione di altri misteri non solo in Francia ma anche, ad esempio, in Italia. In questo modo Les Mystères diventano un vero e proprio genere letterario, pubblicato a puntate sui giornali. La fortuna dei misteri, che piacquero enormemente al pubblico per i numerosi colpi di scena e per le innumerevoli avventure che coinvolgono i personaggi, ha una diffusione non solo francese, ma europea. Sulla scia di Sue, nel 1867-68 Zola scrive

Les Mystères de Marseille22, nel 1844 Féval scrive Les Mystères de

Londres23, in Italia abbiamo, I Misteri di Firenze24 di Carlo Collodi del

1857, I Misteri delle soffitte25 del 1901 e I Misteri delle cantine26 del 1902

di Carolina Invernizio e, infine, I Misteri di Napoli27 di Mastriani del

1869-70, che sono il più riuscito modello di feuilleton italiano. Les

20 Citato in N. Atkinson, op. cit., p. 17 21 M. Romano, op. cit., p. 51

22 E. Zola, Les Mystères de Marseille, Marseille, “Le Messager de Province”, 1867 23 P. Féval, Les Mystères de Londre, Paris, “Courrier Français”, 1843-44

24 C. Collodi, I Misteri di Firenze, Firenze, Fioretti, 1857

25 C. Invernizio, I Misteri delle soffitte, Torino, “Gazzetta del popolo”, 1901 26 C. Invernizio, I Misteri delle cantine, Torino, “Gazzetta di Torino”, 1902 27 F. Mastriani, I Misteri di Napoli, Napoli, “Roma”, 1869

(11)

11 Mystères de Paris, tradotti28 dal 1845 a Milano e a Napoli, hanno un ruolo decisivo per la letteratura popolare italiana. Tra i feuilletonisti italiani un posto di rilievo è da attribuire a Carolina Invernizio, inesauribile scrittrice di feuilletons. Pubblicò i suoi romanzi a puntate sulla “Gazzetta di Torino” e “L’opinione nazionale” di Firenze. Nei suoi romanzi ci sono: il giovane onesto, quasi sempre un medico, uno studente o un ingegnere; il seduttore, quasi sempre un barone o un conte; la fanciulla perseguitata, generalmente una sartina o una commessa, una ragazza povera che alla fine del romanzo scopre di essere nobile e ricca; e, infine, la donna fatale, una ballerina o una cortigiana. Si può, quindi, notare come l’autrice segua lo schema fisso del feuilleton pur inserendo caratteristiche e personaggi che appartengono alla sua cultura e a quella dei paesi in cui la storia è ambientata, ma si nota anche la presenza di tutte le classi sociali: aristocrazia, alta borghesia, media borghesia, piccola borghesia e popolo. La struttura narrativa si regge sulla punizione dei cattivi e il trionfo degli innocenti. Lo sfondo dominante nei suoi romanzi è la città, caratterizzata dalla convivenza di due mondi, uno splendente e pulito con palazzi, salotti e teatri, l’altro buio e fangoso con bettole, taverne e osterie. I romanzi di C. Invernizio sono pieni di vendette, delitti, tradimenti, pugnali, veleni e offrono un quadro realistico dell’ipocrisia e del finto perbenismo della classe borghese italiana alla fine dell’Ottocento, una borghesia rispettabile esternamente, ma corrotta e marcia dentro. La diffusione dei misteri, però, è un fenomeno che non interessa solo il Nord Italia, ma anche il Sud. Ne è un

esempio I Beati Paoli29 di Luigi Natoli, il romanzo d’appendice siciliano

più popolare, pubblicato sul “Giornale di Sicilia” in 239 puntate dal maggio 1909 al gennaio 1910. I Beati Paoli è un romanzo storico-popolare, ambientato nella Palermo del primo Settecento, che narra le

28 Les Mystères de Paris sono stati tradotti in molte lingue. Vedi in appendice lettere 185 e 263 29 L. Natoli, I Beati Paoli, Palermo, “Giornale di Sicilia”, 1909-10

(12)

12

vicende della setta segreta dei Beati Paoli. La struttura narrativa è giocata su due costanti del feuilleton: il tema dei fratelli nemici e il motivo della generazione antitetica, per cui il padre cattivo genera il figlio buono. Nel romanzo è centrale il conflitto tra personaggi buoni e personaggi cattivi. Dalla parte del male, dei cattivi c’è Raimondo di Albamonte che uccide il fratello buono Emanuele, per impadronirsi dell’eredità. L’equilibrio sarà ristabilito dalla vendetta dei Beati Paolo, la cui funzione è quella di eliminare i cattivi per permettere il ritorno all’ordine. La società segreta dei Beati Paoli, quindi, svolge la funzione dell’eroe giustiziere e vendicatore, la stessa funzione del conte di Montecristo e di Rodolphe. Lo sfondo del romanzo è la Palermo del Settecento, con i vecchi quartieri, le strade, le piazze, le chiese, i passaggi segreti, i palazzi, i conventi, le taverne e le case del popolo. Sotto la città si nascondono labirinti sotterranei, tortuosi passaggi, corridoi misteriosi, ed è in questa Palermo senza luce che agiscono i Beati Paoli con pugnali, torture e terribili punizioni. Tutto ciò porta a credere che il titolo che si addice di più al romanzo di Natoli sia I Misteri di Palermo. La Palermo dello scrittore è una città tenebrosa, popolata da una straziante miseria, una città dove la paura del buio diventa ossessiva e la morte si nasconde dietro ogni angolo della strada.

Più che Palermo, la città in cui i misteri riescono a penetrare a fondo è Napoli, che diventa l’ambiente ideale del feuilleton italiano e, napoletano è l’autore che può essere considerato il vero erede di Eugène Sue: Francesco Mastriani, « colui che seppe dare un quadro incancellabile di

una Napoli inedita […] l’unico vero romanziere d’appendice in Italia ».30

Contro la « pioggia di Misteri » scatenata dal feuilleton francese, lo scrittore napoletano, quasi per protesta e per rivendicare il suo carisma di

(13)

13

romanziere sociale, scrive i Misteri della sua città, descrivendo la miseria e l’orrore dei bassifondi napoletani. Nel 1869 comincia a scrivere I Misteri

di Napoli che acquista rispetto al suo precedente romanzo, la Cieca di Sorrento31, una fisionomia più originale, più autenticamente popolare e

meglio aderente alle strutture politico-sociali del sud, mentre si sta formando l’unità d’Italia. Già nella sua struttura labirintica e caotica sembra riflettere le difficoltà e le incertezze della situazione politico-sociale che caratterizzano il Sud Italia dopo l’unificazione della penisola. L’intreccio è complicato e tortuoso, è un labirinto di fatti e personaggi. L’uccisione del vecchio Tobia, duca di Massa Vitelli, e il furto commesso ai suoi danni da parte dei due ladri, Cecatiello e Masto Strangolatore, è la sequenza che fa scattare la dinamica della macchina narrativa. Come al solito lo sfondo è una città doppia: da una parte c’è la Napoli infernale e picaresca dei bassifondi, dall’altra la Napoli paradisiaca, gioiosa e mondana. I Misteri di Napoli è un romanzo popolare che presta particolare attenzione alla realtà dell’epoca e ai problemi che straziano l’Italia meridionale. Il problema più evidente è quello del brigantaggio, a cui Mastriani dedica il libro IV della prima parte, che ha per titolo appunto I

briganti. Il brigantaggio deriva da una presa di coscienza ideologica del

proletario di campagna, nel momento in cui decide di ribellarsi alle ingiustizie che ha subito dall’oppressione dei proprietari terrieri. Il brigantaggio è un atteggiamento di rivolta verso il potere, una forza al di sopra della legge che tenta di risolvere in modo violento le ingiustizie perpetrate dal governo a danno del popolo. È una piaga sociale tipica dell’Italia meridionale e il suo inserimento all’interno del romanzo di Mastriani dà vita al mito romantico del brigante, vendicatore delle ingiustizie e difensore dei deboli e degli oppressi. L’autore ci presenta

(14)

14

questo tema in maniera romanzesca e realistica insieme: forse il suo è il primo romanzo ottocentesco dove c’è la raffigurazione del brigante nella sua realtà sociale, psicologica, amorosa e quotidiana. Inoltre c’è anche la descrizione del luogo in cui vive il brigante, una tetra e orribile caverna, che è una variante del tema del labirinto gotico. La denuncia sociale dei

Misteri di Napoli non si limita al problema del brigantaggio, ma coinvolge

la situazione ideologica della cultura italiana contemporanea, che, asservita al potere, dà luogo ad una letteratura mistificatoria e cortigiana. Tutto ciò ci porta a considerare Mastriani il narratore più autenticamente popolare della letteratura italiana, l’inventore di una Napoli “miserabile” rivissuta in chiave di favola popolare.

I Misteri, dunque, pur riunendo all’interno dello stesso romanzo personaggi e situazioni legati a tutte le classi sociali, possono essere considerati un genere letterario che ruota principalmente intorno alla figura del popolo, protagonista e fruitore delle storie narrate.

(15)

15

1° capitolo

Parigi e il suo popolo secondo Sue

Il romanzo comincia la notte del 13 dicembre 1858, in pieno inverno, nel cuore di Parigi, ed è proprio Parigi il luogo in cui è ambientato Les

Mystères de Paris, quel luogo che insieme al suo popolo diventa

protagonista e sfondo del romanzo di Eugène Sue. Parigi è una città che nel XIX secolo sta crescendo velocemente, forse troppo velocemente. Particolarmente tra il 1831 e il 1836 e tra il 1841 e il 1846 si riscontra una forte immigrazione, dovuta all’attrazione per la grande città e alla repulsione per la campagna. Alla domanda «Pourquoi allaient-ils à Paris?» la risposta è «Parce que là se trouvaient la liberté, loin des pressions morales des parents, des voisins et des prêtres, et aussi le pouvoir de

l’argent»32. Chi arriva a Parigi conosce per sentito dire la sua grandezza,

il suo lusso, l’oro, il denaro e ne è attratto, ma una volta giunto nella

grande ville si rende conto che non c’è solo ricchezza, c’è anche e

soprattutto la miseria, la fame di chi non riesce a mantenere la propria famiglia, di chi mendica per le strade alla ricerca di un pezzo di pane, c’è la povertà che vive accanto all’oro. Da molti è stata definita la ville

pieuvre, la città tentacolare che consuma le energie degli abitanti e che con

i suoi tentacoli li attira a sé per divorarli. L’immagine di Parigi è caratterizzata da un continuo contrasto: la miseria convive con il lusso, la luce con il buio, la pulizia con il fango, è una città duplice, una città che ha due facce, di fronte c’è il mondo dei ricchi, ma dietro c’è quello dei

miserabili. Secondo le statistiche 50.000 parigini vivono in modo agiato o

nel lusso, 250.000 riescono ad evitare la miseria, più di 700.000 abitanti

(16)

16

lottano ogni giorno contro la miseria ed è proprio questo il popolo di Parigi: « tous ceux-là qui gémissent ou souffrent en silence, tout ce qui

aspire et monte à la vie, c’est mon peuple… C’est le Peuple »33. Parigi è

insieme cloaca e inferno in cui regna il caos e la morte, une ville nécrophile

et coprophage. È un teatro di ombre che si muovono tra le strade strette e

malsane dove la mortalità infantile e la mortalità generale oscilla tra il 35-45 %. Questa città sembra indossare una maschera, lo straniero che visita la brillante capitale vede l’estrema ricchezza, i segni di un lusso sfrenato, ma questa è solo la maschera che Parigi indossa, perché per la maggior parte è miseria. Dov’è, però, questa povertà che compare in tutte le statistiche, in tutti gli studi? Compare la sera agli angoli delle strade, davanti alle porte delle case, quando qualche mano si allunga per chiedere l’elemosina ai passanti. Compare nei vecchi quartieri, nella Cité, nelle strade strette e affollate del 9°, 8° e 12° arrondissements, lì si incontra a ogni passo l’immagine della miseria che è la vera essenza, il vero volto di Parigi, quello che si nasconde dietro la sua maschera.

Parigi cresce, diventa una città industriale, aumenta la ricchezza, ma parallelamente aumenta l’indigenza del popolo. Una delle tante domande che nascono in rapporto a questa situazione è: qual è la condizione fisica e morale del popolo, di quella classe cosiddetta inferiore, presente non solo a Parigi, ma in tutte le grandi città e, in particolar modo, nelle città industriali? Ogni grande città industriale ha il suo ghetto, i suoi quartieri maledetti che i ricchi conoscono soltanto di nome e in cui non vanno mai. La miseria si nasconde, non esce mai dal suo ghetto, ecco perché è così poco conosciuta e i poveri hanno la loro città, un luogo malsano, sporco e fangoso, un luogo che spesso è lo sfondo di romanzi in cui « les ruisseaux

noirs e la boue sont décidément des motifs récurrents dans les textes sur

33 J. Michelet, Le peuple, Paris, Hachette-Paulin, 1846; edizione utilizzata Paris, Flammarion, 1974, p.

(17)

17

le Paris de la première moitié du XIXe siècle. »34 Alcuni documenti

dell’epoca mostrano bene le condizioni in cui vivono i miserabili di queste grandi città e uno di questi è un rapporto scritto da una commissione di medici per esaminare le cause della febbre, che in certi quartieri di Londra porta alla morte. Si tratta di un documento indirizzato a lord John Russell, in cui c’è la descrizione di una parte del distretto di Bethnal-Green.

«Lamb’s fields. – Surface découverte d’environ 700 pieds de longueur, et 300 pieds de largeur. Sur cet espace, environ 300 pieds sont constamment couverts d’eaux stagnantes en hiver et en été. Dans la partie ainsi submergée se trouve toujours un amas considérable de matières animales et végétales en putréfaction, dont les exhalaisons sont en ce moment très-nuisibles. Un fossé immonde, à découvert, entoure cette place; ce fossé a de huit à dix pieds de largeur à son extrémité, du côté de l’ouest. Les lieux d’aisance de toutes les maisons de la rue appelée North-Street, se déchargent dans ce fossé; les lieux d’aisance sont complètement à découvert, et on laisse les matières s’accumuler dans la fossé. On ne peut rien concevoir de plus dégoûtant que l’aspect de ce fossé, sur une étendue de 300 à 400 pieds, et les exhalaisons en sont en ce moment très-nuisibles. Lamb’s fields est une source abondante de fièvre pour les maisons qui l’entourent et pour les petites rues qui s’ouvrent sur cette place. On m’a montré des maisons dans lesquelles des familles entières ont été enlevées par la fièvre; et il y a certaines rues que la fièvre ne quitte jamais. Dans quelques maisons de la rue

Collingwood une fièvre du caractère le plus funeste et le plus fatale a régné pendant

plusieurs mois sans interruption. Une partie de la rue appelée Duke-Street est fréquemment couvert d’eau dans toute son étendue; dans douze de ces maisons, tous les membres des familles qui les habitent ont été attaqués de la fièvre les uns après les autres, et beaucoup ont péri. Virginia-row (autre partie de Bethnal-Green). Dans le milieu de cette rue est un trou dans lequel on jette les débris de pommes de terre, les matières animale et végétales de toute sorte, les eaux ménagères et les eaux de savon, qui croupissent en ce lieu et s’y putréfient. Dans la ligne directe de Virginia-row à

Shoreditch, sur un mille d’étendue, toutes les ruelles (lanes), cours et allées du

voisinage, versent leurs immondices dans le centre de la rue principale, où ils croupissent et se putréfient. Des familles vivent dans les caves et les cuisines de ces maisons immondes, sombres et très-humides. Dans quelques-unes de ces maisons, la fièvre règne sans interruption. Le médecin du quartier qui m’accompagnait m’a dit que

34 L.-R. Villermé, La mortalité dans les divers quartiers de Paris, Paris, “Bulletin des sciences

(18)

18

sa présence en ce lieu était à chaque instant réclamée, et qu’il avait toujours des cas de fièvre à soigner.»35

In questo rapporto si parla di una città sombre, très humide e di maisons

immondes, dove la febbre uccide, proprio come accade a Parigi, dove

intere famiglie abitano in una stanza buia, umida, sporca. Ancora una volta prendiamo come punto di riferimento il libro di Buret De la misère des

classes laborieuses en Angleterre et en France, in cui c’è la descrizione

di queste abitazioni, tratta da un rapporto del 1832 indirizzato al comune di Lille e in cui troviamo questi dettagli:

« Il est impossible de se figurer l’aspect des habitations de nos pauvres, si on ne les a visitées… Dans leur caves obscures, dans leurs chambrée, qu’on prendrait pour des caves, l’air n’est jamais renouvelé, il est infect, les murs sont platrés de mille ordures…s’il existe un lit, ce sont quelques planches sales, grasses; c’est de la paille humide et putrescente; c’est un drap grossier… les fenêtres, toujours closes, sont garnies de papier et de verres, mais si noirs, si enfumés, que la lumière n’y saurait pénétrer; et, le dirons-nous, il est certains propriétaires qui font clouer les croisée, pour qu’on ne casse pas les vitres en les fermant et en les ouvrant. Le sol de l’habitation est encore plus sale que tout le reste; partout sont des tas d’ordures, de cendres, des débris de légumes ramassés dans les rues, de paille pourrie; des nids pour les animaux de toutes sortes: aussi, l’air n’est-il plus respirable. On est fatigué, dans ces réduits, d’une odeur fade, nauséabonde, quoique un peu piquante, odeur de saleté, odeur d’ordure, odeur d’homme… »36

Si potrebbe continuare all’infinito con le citazioni che descrivono l’estrema miseria in cui vive il popolo nelle grandi città francesi e, soprattutto, nella capitale. In queste città e in queste abitazioni non si nasce che per soffrire e poi morire. Ma quali sono le cause di questa immensa povertà? Sicuramente il veloce e eccessivo aumento della popolazione

35 E. Buret, De la misère des classes laborieuses en Angleterre et en France, Paris, Paulin, 1840, pp.

319-320, (primo volume)

(19)

19

parigina, l’aumento del prezzo del pane e le numerose tasse imposte dallo stato. Quest’ultimo punto è stato analizzato da molti studiosi e ha rivelato che la società non chiede nulla a chi possiede e chiede, invece, tutto a chi non ha nulla. Ci sono tasse da pagare su ogni cosa: c’è la tassa sul servizio personale che colpisce annualmente 70.000/80.000 famiglie; la tassa sulle bevande e sul cibo, che è quella che pesa maggiormente sulla classe

laborieuse; la tassa sull’abitazione e molte altre che fanno in modo che lo

stato sottragga alle famiglie la maggior parte del loro salario. Un’altra causa della miseria è la divisone del lavoro, considerato dalla maggior parte simbolo di progresso in una città alle soglie dell’industrializzazione, ma per il lavoratore è, invece, il simbolo dell’abbrutimento. La parcellizzazione delle mansioni riduce il lavoro dell’uomo a quello di una macchina. Charles Noiret, ouvrier tisserand, in un discorso rivolto agli operai cerca di far capire loro che ormai lavorano e vivono meccanicamente, come se avessero perso ogni capacità di sentire.

« Ouvriers, nous vivons machinalement sans savoir ni comment ni pourquoi; nous pâtissons, nous végétons, et nous nous contentons de gémir… nous naissons dans l’indigence, nous vivons dans la misère, et nous mourons dans la pauvreté: notre existence est une longue suite non interrompue de souffrances, de privations, qu’aucun plaisir, qu’aucun satisfaction ne vient interrompre!... Et nous croyons que cet état de choses est dans la nature humaine!... c’est nous tromper bien malheureusement! Consultons notre raison: elle nous dira qu’il n’en est pas, qu’il n’en peut être ainsi. »37

Nella misura in cui il lavoro diventa più meccanico esso diventa anche meno retribuito e più precario. Esiste, così, soltanto il lavoro fisico che degrada l’uomo a macchina e durante il quale il lavoratore non può compiacersi della sua opera, non la vede nascere tra le sue mani, lavora con fatica e senza sosta per non creare niente. Per questo motivo, secondo

(20)

20

Buret la miseria è parte integrante della civilizzazione, perché appare e si sviluppa con essa; « la misère, c’est la pauvreté en civilisation, mille fois plus douloureuse pour ceux qui l’éprouvent, mille fois plus dangereuse pour les sociétés qui la recèlent, que la pauvreté extrême, fût-elle même poussée jusqu’à la nécessité de mourir, si elle n’a pas conscience

d’elle-même! »38 La miseria, però, non ha soltanto ripercussioni fisiche, non

porta solo malattie, indebolimento e morte, ha anche come conseguenza inevitabile un ritorno alla vie sauvage, una ricaduta nella barbarie. La povertà diventa, così, oggetto di studi e discussioni, in cui spesso non si è d’accordo. Secondo Villermé, infatti, « la pauvreté est une cause de

morbidité et de mortalité »39, invece secondo Chadwick e Shattuck è

esattamente il contrario. Opinioni differenti oppongono i vari studiosi, che mettono questo argomento, o meglio quello che sembra essere il più grave problema dell’800, al centro delle loro ricerche. Chi più di tutti fa della miseria il principale oggetto dei suoi studi è sicuramente Eugène Buret, che descrive la condizione dei lavoratori e il loro modo di vita comparandoli alla condizione dei selvaggi. Nei quartieri lontani dal centro a ogni passo si incontrano uomini e donne segnati dal vizio e dalla fame. Lì, nel cuore stesso della civiltà, migliaia di uomini sono ridotti a una vita da selvaggi. Claudie Bernard parla di una Parigi malsana tra le cui strade si muove e vive un popolo malato fisicamente e socialmente:

« Le Paris malsain du dix-huitième siècle, grouillant de petits métiers, de marginaux et de filous qui animaient la littérature pittoresque de Mercier, Restif de la Bretonne ou Jouy […] un Paris taraudé de problèmes d’approvisionnement, de prix, de logement, de pollution, de voirie; un Paris fortement ségrégué, hanté de nomades à l’affût, de gamins errants, de Vénus de barrière; surpeuplé d’ouvrières moins payées, tenues pour responsables de la diminution des salaires. Cette main-d’œuvre flottante

38 E. Buret, op. cit., p. 60, secondo volume

39 G. Jorland, Une société à soigner. Hygiène et salubrité publique en France au XIXe siècle, Paris,

(21)

21

est prompte à la délinquance: sous la Monarchie de Juillet s’effectue la confusion, analysée par Louis Chevalier, entre classes laborieuses et classes dangereuses. Alors se raréfient les bons pauvres, ceux que soulage une charité à la Gérando, ceux que romantisent les poètes ouvriers, les chansons de Bérenger et les mélodrames. À leur

pauvreté, qui lancine les corps individuels, succède le paupérisme, qui attaque le moral

collectif, et, lucide, ne se contente plus de la résignation. Le choléra de 1832, qui décime les quartiers défavorisés, prouve que le peuple parisien est essentiellement malade: malade physiquement, mais aussi socialement, […] »40

La povertà non solo fa soffrire il corpo, degrada anche l’animo spingendo l’uomo al crimine, quella che potremmo definire la malattia morale di Parigi.

Il delitto è uno dei temi fondamentali della capitale e l’aumento della delinquenza è uno dei fatti salienti della vita quotidiana, uno dei massimi problemi dell’amministrazione urbana, una delle più grandi preoccupazioni generali, una delle più indiscutibili forme dell’angoscia sociale. Tutti gli autori ne parlano e uno di questi è Balzac, che vede nella delinquenza un fenomeno sociale importante. I suoi romanzi mostrano il mondo del delitto come un mondo chiuso, descrivono i rapporti delle classi criminali con le classi superiori e analizzano le condizioni psicologiche del delitto. Anche in Hugo è descritta la criminalità sociale

ed è sicuramente il tema dominante de Les Misérables41, all’inizio del

quale l’autore ricorda i tre problemi del secolo: la proletarizzazione che degrada l’uomo, la fame che corrompe la donna, il buio che atrofizza il bambino.

« Tant qu’il existera, par le fait des lois et des mœurs, une damnation sociale créant artificiellement, en plein civilisation, des enfers, et compliquant d’une fatalité humaine la destinée qui est divine; tant que les trois problèmes du siècle, la dégradation de

40 C. Bernard, Penser la famille au XIXe siècle, Étienne, Publications de l’Université de

Saint-Étienne, 2007, p. 33

(22)

22

l’homme par le prolétariat, la déchéance de la femme par la faim, l’atrophie de l’enfant par la nuit, ne seront pas résolus; tant que, dans de certaines régions, l’asphyxie sociale sera possible; en d’autres termes et à un point de vue plus étendu encore, tant qu’il y aura sur la terre ignorance et misère, des livres de la nature de celui-ci pourront ne pas être inutiles. »42

Anche Louis Chevalier descrive la criminalità in tutte le sue forme come

una delle principali caratteristiche della capitale durante il XIXe secolo:

« Criminel, ce Paris l’est surtout par la place du crime dans les préoccupations quotidiennes des gens. La peur que le crime éveille est constante; elle atteint cependant, en certains hivers de misère et de froid, sa plus grande intensité. C’est de terreur et d’épouvante que parlent communément rapports de police et journaux, en cet hiver de 1826-1827 où criminalité et mortalité se développent d’un même rythme; de terreur et d’épouvante aussi, en ces dernières années de la Monarchie de Juillet où toutes les formes de la misère urbaine s’exaspèrent, s’accumulent, se confondent […] »43

Siamo di fronte a una città colpevole in cui il crimine non è « qu’une sorte

de sous-produit, une déjection entre autres déjections »44. A Parigi nulla è

più comune del vizio e del delitto, che riassumono il problema dell’evoluzione sociale di Parigi. L’aumento e la trasformazione demografica della capitale hanno portato una larga parte della popolazione operaia ai margini dell’economia, della società, in condizioni che favoriscono la delinquenza. L’interesse per il crimine rappresenta una delle forme della cultura popolare del tempo e, inoltre, è sorprendente il posto che esso occupa nelle conversazioni, nei discorsi della gente. Lo ritroviamo nelle canzoni, nei romanzi, nei racconti, negli spettacoli a teatro. Del resto il crimine ha tutti gli elementi per essere messo al centro

42 Id., edizione utilizzata, Paris, Garnier Frères, 1963, (primo volume), p. 3

43 L. Chevalier, Classes laborieuses et classes dangereuses à Paris pendant la première moitié du

XIXe siècle, Paris, Plon, 1958, p. V

(23)

23

di una rappresentazione teatrale, perché esso stesso è spettacolo e lo è per la teatralizzazione che assume la morte, la punizione del criminale. Tutti si recano al Palais de Justice, la morte e il delitto attirano il popolo, i giornali ne parlano come se fosse un elemento essenziale della vita cittadina e tutto viene preparato con cura, proprio come si prepara un palcoscenico per la prima di uno spettacolo. Chevalier ricorda l’esposizione al Palais de Justice del prete Joseph Contrafatto, che il “Journal de Débats” descrive in questo modo:

« Les préparatifs de l’exposition, qui se font ordinairement sur la place du Palais de Justice, commencèrent dès 9 heures du matin. Au moment où Contrafatto a été adossé à l’un des poteaux, et surtout lorsque l’écriteau où se lisaient en gros caractères, ses nom, profession et domicile fut posé, la multitude qui grossissait de minute en minute a éprouvé une sensation inexprimable. Bientôt la place et toutes les rues adjacentes ont été encombrées de flots de spectateurs, qui se sont pressés autour de l’échafaud, tout le temps de l’exposition. Les exécuteurs ont approché le fer brûlant de l’épaule de Contrafatto. Nous éprouvons un sentiment pénible à rapporter la joie féroce que ce spectacle a inspiré à une partie de la foule. Des huées contre le coupable, des exclamations et des applaudissements ont éclaté pendant plusieurs minutes. La voiture qui le ramenait à Bicêtre a été suivie, pendant longtemps, par une troupe d’individus proférant des cris dont rien ne saurait justifier l’indécence. »45

Il Palais de Justice diventa il palcoscenico su cui viene messo in scena uno spettacolo a cui tutti partecipano, uno spettacolo che teatralizza, in questo modo, la morte e il delitto, suscitando esclamazioni, fischi e addirittura applausi. È possibile accostare i parigini che vanno all’Opéra e quelli che vanno in place de Grève, entrambi assistono a una rappresentazione, la sola differenza è che l’attore che è in scena in place de Grève somiglia fisicamente e moralmente agli spettatori, è realmente uno di loro. Il crimine cessa, così, di essere qualcosa di eccezionale legata a un famoso

(24)

24

bandito o a qualche regicida e diventa quotidiano, anonimo, impersonale, sociale e soprattutto è presente ovunque, in ogni angolo, in ogni strada:

« chaque pavé de notre bonne ville de Paris est rouge. »46 Parigi diventa

criminale e, pian piano, diventa un labirinto infernale, il luogo del crimine, un imponente ammasso di esseri umani e, soprattutto, una città insalubre, sia dal punto di vista materiale che da quello morale.

Secondo Parent-Duchâtelet la prostituzione rispecchia bene questa concomitanza tra malattia morale e malattia materiale. Al pari del crimine, la prostituzione viene a costituire una contro-società sotterranea da cui scaturisce una minaccia morale, sociale, politica e sanitaria. La prostituta è l’incarnazione e il simbolo della minaccia di morte che pesa sul corpo sociale, a cui solo il ripristino dell’ordine può porre rimedio, portando alla guarigione. Sicuramente la miseria è una delle maggiori cause che spingono le donne alla prostituzione. Spesso le ragazzine abbandonate dalla famiglia, senza genitori, senza amici, completamente sole, sono obbligate a scegliere la prostituzione per non morire di fame. Altre sono costrette dai genitori, per avere una bocca in meno da sfamare e, come le giovani greche sacrificate al Minotauro, così la vergine viene sacrificata

alle fauci del vizio.47 Secondo Parent-Duchâtelet, le cause che portano alla

nascita e allo sviluppo della prostituzione sono numerose e in uno schema ci mostra 9 cause determinanti:1) excès de la misère; dénuement absolu 2) perte des pères et mères; expulsion de la maison paternelle; abandon complet 3) pour souvenir des parents vieux et infirmes 4) aînées de familles, n’ayant ni père ni mère pour élever leurs frères et sœurs et quelquefois des neveux et nièces 5)femmes veuves ou abandonnées, pour élever une famille nombreuse 6) venues de provinces pour se cacher à

46 F. Maillard, Le Gibet de Montfaucon (étude sur le vieux Paris), Paris, Auguste Aubry, 1863, p. 3 47 A. Corbin, Donna di piacere, Paris, Flammarion, 1982; edizione utilizzata Milano, Mondadori,

(25)

25

Paris, et y trouver des ressources 7) amenées à Paris et abandonnées par des militaires, des commis, des étudiants, et autres personnes 8) domestiques séduites par leurs maîtres et renvoyées par eux 9) simples concubines pendant un temps plus ou moins long, et ne sachant plus que

faire.48 Le prostitute sono descritte dagli autori come donne instabili

caratterialmente, loquaci, ingorde, si sottolineano la passione per le bevande alcoliche, in particolar modo per l’assenzio, la mania del gioco, la propensione alla collera e alla menzogna. Contemporaneamente, però, vengono evidenziate le loro doti morali: il senso della solidarietà, l’attaccamento ai bambini, il pudore di cui danno prova al cospetto dei medici e, soprattutto, il forte sentimento religioso. Tutto ciò porta alla costruzione di uno stereotipo da parte degli scrittori, che nei loro romanzi creano il personaggio della prostituta buona, corrotta esteriormente ma non interiormente. La realtà aiuta il romanziere a costruire questo suo personaggio, che però si allontana dalla vita reale, diventando un prodotto romanzesco dalle caratteristiche spesso eccessive. Nei romanzi troviamo quasi sempre la madre, la vergine e la prostituta, tre figure che si contrappongono: la vergine è l’opposto della madre e la prostituta è l’opposto della vergine. « D’abord, la maman, femme par excellence, puisque foemina est de même racine que fœtus; la maman, chez qui consommation et reproduction sexuelles sont cautionnées par la conjugalité et par la maternité légitime. Puis son négatif, la vierge, qui ignore et la sexualité, et ses contreforts normatifs. Et son contraire, son repoussoir et sa hantise, la putain, qui exalte la sexualité au mépris et des juste noces – elle fait la noce avec n’importe qui–, et de la procréation institutionnelle. […] Le tandem de la vierge et de la putain – Cosette et Eponine, Dea et lady Josyane, Hermangarde et Vellini – est courant la

48 A. Parent-Duchâtelet, De la prostitution dans la ville de Paris, considérée sous le rapport de

l’hygiène publique, de la morale et de l’administration, Paris, J.-B. Bailliere, 1836; edizione

(26)

26

littérature romantique; et plus encore celui de la maman et de la putain – Madame de Mortsauf et lady Dudlay, Adeline Hulot et Jesépha, Madame

Arnoux et Rosanette. »49 Nei romanzi troviamo spesso questi due tipi di

donna, la cui contrapposizione manda avanti la storia. Sono personaggi fissi che non cambiano, la madre non potrà mai diventare prostituta, né la prostituta potrà mai essere madre o vergine, anche se spesso non è lei a scegliere quella vita, non è lei a decidere di vendere il proprio corpo. Nessuna può uscire dal suo ruolo, hanno caratteristiche precise, immutabili dall’inizio alla fine, sono uno stereotipo che non può cambiare. Ritornando ad analizzare la figura della prostituta nell’Ottocento, è necessario prestare attenzione a un altro elemento che caratterizza le filles

de joie, ovvero la scelta di falsi nomi. Molte aggiungono al loro nome

quello dei loro amanti e alcuni di questi sono: Rousselette, Mont-Saint-Jean, nome attribuito a uno dei personaggi de Les Mystères de Paris, La Courtille, Colette, Belle-Jambe, Mignard, Cocard e altri. Di solito la scelta di questo secondo nome mostra l’appartenenza a una classe, Rousselette, Mont-Siant-Jean e gli altri appena citati, sono scelti da prostitute che appartengono alla classe inférieure, mentre Armide, Calliope, Paméla, Arthémise, Virginie, Fanny, Célina sono scelti da donne della classe

élevée. Tutto ciò dimostra che la prostituzione non è un crimine e che « si,

malgré les lois, malgré les peines, malgré le mépris public, malgré la brutalité dont elles sont souvent victimes, malgré des maladies affreuses, malgré les suites inévitables de la prostitution, il existe partout des prostituées, n’est-ce pas une preuve évidente qu’on ne peut les empêcher

et qu’elles sont inhérentes à la société? »50. La prostituzione fa, ormai,

parte della società, è una delle malattie di Parigi e, per questo, è legata al crimine. Entrambi, crimine e prostituzione, sono la conseguenza del

49 C. Bernard, op. cit., p. 120

(27)

27

ritorno dell’uomo all’ état sauvage, uno stato risvegliato dalla profonda miseria in cui versa il popolo a Parigi e in Francia, dove un’altra conseguenza della povertà è il vagabondaggio. Secondo Buret la miseria abbrutisce l’uomo, lo rende un selvaggio che vive ogni giorno cercando di sopravvivere, un uomo che vive al di fuori della società e che crede soltanto nella legge del più forte. Per dimostrare la sua tesi Buret riporta un dialogo che ci mostra il problema dell’abbandono dei bambini e il loro vagabondare e dormire per le strade, una conseguenza legata all’estrema indigenza del popolo e al conseguente état sauvage.

« Beasse, jeune polisson de treize ans, comparaissait en police correctionnelle, sous la prévention de vagabondage. C’est sans doute à sa vie aventureuse et nomade qu’il doit cet aplomb précoce et cette assurance déplorable dont il fait preuve pendant le cours des débats.

M. le président. – Que faisiez-vous dans la rue, à deux heures du matin, quand on vous a arrêté?

Beasse. – Je dormais; la nuit n’est-elle pas faite pour dormir? M. le président. – Mais on dort chez soi.

Beasse. – Est-ce que j’ai un chez soi?

M. le président. – Vous vivez donc dans un vagabondage perpétuel? Beasse. – Je travaille pour gagner ma vie.

M. le président. – Quel est votre état, chez qui travaillez-vous?

Beasse. – Mon état! d’abord j’en ai trente-six au moins; ensuite je netravaille chez personne. Il y a déjà quelque temps que je suis à mes pièces, j’ai mes états de jour et mes états de nuit. Ainsi, par exemple, le jour, je distribue des petits imprimés gratis à tous les passants; je cours après les diligences qui arrivent pour porter les paquets; je fais la roue sur l’avenue de Neuilly, devant les voitures et devant les cavaliers; la nuit j’ai les spectacles, je vas ouvrir les portières, je vends des contremarques. Est-ce que je sais tout ce que je ne fais pas? Oh je suis bien occupé.

M. le président. – Il vaudrait mieux pour vous être placé dans une bonne maison et i faire votre apprentissage.

(28)

28

Beasse. – Ah! ouiche, une bonne maison! un apprentissage! c’est embêtant. Et puis le bourgeois, ça grogne toujours; ensuite pas de liberté.

M. le président. – Votre père ne vous réclame pas? Beasse. – Plus de père.

M. le président. – Et votre mère?

Beasse. - Pas plus, ni parents ni amis; libre et indépendant.

Le tribunal condamne Beasse à deux années de détention dans une maison de correction. Beasse fait une assez laide grimace, puis reprenant sa belle humeur: Deux ans! de quoi! c’est jamais que vingt-quatre mois. Allons, en route! »51

Beasse è il tipico gamin de Paris, « un être très joyeux qui ne mange pas tous les jours et qui va au spectacle, si bon lui semble tous le soirs; le gamin de Paris n’a pas de chemise sur le corps, pas de souliers aux pieds, pas de toit sur la tête; il est comme les oiseaux qui n’ont rien de tout

cela. »52 A Parigi il numero dei bambini abbandonati è molto alto, la

“Presse” del 14 gennaio 1841 ci permette di conoscere il numero di bambini che sono all’ hospice de Paris: « 1.289 proviennent de la maison d’accouchement; 426 âgés d’un mois à quatre ans ont été abandonnés par leurs parents ou leurs nourrices faute de paiement; 551 dont quatre-vingt-seize âgés de quinze jours et demi et quatre cent cinquante-cinq

nouvellement nés ont été déposés la nuit dans le tour. »53 L’enfance

errante diventa un problema sociale, così come la criminalità infantile. I

bambini abbandonati per le strade fanno del crimine il loro mestiere e dei criminali i loro nuovi genitori. Numerosi sono anche i genitori che portano i figli sulla strada del delitto, del furto, allontanandoli, in questo modo, dalla legge e dalla società. I giornali sono pieni di notizie del genere, ad esempio, il 16 agosto 1826 sul “Journal des Debats” si legge: « a la police

51 E. Buret, op. cit., pp. 7-8, (secondo volume) 52 Citato in L. Chevalier, op.cit., p. 130 53 N. Atkinson, op. cit., p. 63

(29)

29

correctionnelle, une mère entourée de ses cinq enfants était accusée d’avoir excité au vol les deux plus âgés (dix et treize ans). Ceux-ci se déclaraient seuls coupables, ils se prosternaient aux pieds des juges en sanglotant: - Faites de nous tout ce que vous voudrez, mais sauvez notre

mère, elle est innocente. »54 Questi bambini, figli dell’Ottocento, sono

spesso orfani, vagabondi, criminali o lavoratori. Sono bambini già adulti che affrontano il mondo prima ancora di averlo vissuto. I figli degli operai lavorano già da piccoli per aiutare la propria famiglia: « les enfants de cette classe [des ouvrier à domicile], jusqu’au jour où ils le peuvent, moyennant un travail pénible et abrutissant, augmenter de quelques liards la richesse de leurs familles, passent leur vie dans la boue des ruisseaux. Ce sont eux qui font peine à voir, pâles, bouffis, étoilés, avec leurs yeux rouges et chassieux, comme une autre nature, auprès de ce jolis enfants si roses, si sveltes, qui folâtrent sur le cours Henri-IV. C’est que, voyez-vous, il s’est fait une épuration: les fruits les plus vivantes se sont développés; mais beaucoup sont tombés sous l’arbre. Après vingt ans, on est vigoureux ou l’on est mort. De fait, les ouvriers de cette classe n’élèvent pas, en

moyenne, le quart de leurs enfants. »55 Questi bambini sono stanchi,

pallidi, deboli e già vecchi, queste sono le parole usate per descrivere i fligli della classe laborieuse « quant à leurs enfants, ils sont décolorés, ils sont maigres, chétifs, vieux, oui, vieux et ridés; leur ventre est gros et leurs membres émaciés; leur colonne vertébrale est courbée, ou leurs jambes torses; leurs cou est couturé ou garni de glandes; leurs doigts sont ulcérés et leurs os sont gonfles et ramollis; enfin, ces petits malheureux sont

tourmentés, dévorés par les insectes. »56 Come i genitori, lavorano dalle

54 Citato in nota di L. Chevalier, op. cit., p. 127

55 É. Dolléans, Histoire du mouvement ouvrier, 1830-1871, Paris, Armand Colin, 1936; edizione

utilizzata Paris, Armand Colin, 1948, (primo volume), p. 17

56 Rapporto redatto da MM. De Chamberet, Bailly, Brigandat, Kulmann e Thémistocle Lestiboudois,

citato in L. R. Villermé, Tableau de l’état physique et moral des ouvriers employés dans les

manufactures de coton, de laine et de soie, Paris, Jules Renouard et Cie libraires, 1840; edizione

(30)

30

12 alle 14 ore al giorno e sono mal nutriti, deboli, incapaci di leggere e schiavi di gesti ripetitivi. Questi sono i figli del popolo e questo è il loro destino, un destino che si oppone a quello dei figli della borghesia agiata o dell’aristocrazia, creando, in questo modo, una duplice immagine del

bambino nel XIXe secolo: il petit prince e l’enfant martyr57. Primo

elemento che mostra la differenza è sicuramente la miseria che si legge sul volto degli enfants martyrs e che porta al vagabondaggio, alla criminalità infantile, all’infanticidio, all’alienazione mentale, alla criminalità, alla prostituzione e al suicidio degli operai.

Possiamo, inoltre, dividere il popolo parigino in due classi: la classe

laborieuse e la classe dangereuse, anche se è molto difficile distinguerle,

in quanto c’è fra le due una comunanza di condizioni e di destino. Crisi, sommosse ed epidemie riforniscono periodicamente le masse pericolose di nuovi elementi, o per meglio dire riuniscono operai e delinquenti, popolo e plebaglia. Metà della popolazione vive del proprio salario e metà di furti e truffe.

La classe laborieuse offre numerosi esempi di virtù, è sempre pronta a rendersi utile agli altri e ad aiutare chi soffre la fame pur trovandosi nella stessa situazione. A questa classe appartengono famiglie che fanno del lavoro il loro codice morale, ma a volte la miseria e i sacrifici portano nella vita di questa classe dei momenti di completo abbandono al vizio, forse, visto come momentanea via di fuga a una vita di stenti. Frégier ci mostra proprio questo aspetto della classe lavoratrice, un aspetto che l’avvicina alla classe pericolosa. Ovviamente si tratta di un piccolo numero, che, però, ci può far capire perché a volte le due classi si confondono, generando un’ambiguità talmente radicata che la stessa massa popolare si identifica con quella dei criminali. Frégier dice che tra gli operai c’è chi

(31)

31

usa tutti i soldi che guadagna per mantenere la propria famiglia e chi usa la metà dei suoi guadagni per se stesso, per andare al cabaret, dove si abbandona al vizio, a un comportamento condannabile. Spesso storditi da liquori troppo forti e dal vino, non riescono nemmeno ad aprire la porta di casa, costringendo, così, i figli ad assistere a uno spettacolo doloroso e indegno. È proprio Frégier a descriverci questa scena: « n’est-ce pas un spectacle douloureux et indigne de l’humanité que celui d’un père et d’une mère appesantis tous deux par l’ivresse, et gisans au milieu de la nuit sur le carré de leur chambre, dont ils n’ont pu ouvrir la porte avec leurs mains tremblantes! Celui qui les aperçoit le premier dans cette situation honteuse, c’est leur fils, leur propre fils, qui, dans un âge encore tendre, ne peut leur prêter assistance, et qui se voit réduit à reposer, faute d’asile,

sur les marches de l’escalier. »58 Lo stesso vale per le ragazze che non

hanno una famiglia, che non riuscendo a vivere del proprio lavoro, sono costrette a prostituirsi o a volte sono i genitori a iscrivere la figlia nel livre

de prostitution, ciò spiega come mai la maggior parte delle figlie del

popolo sia prematuramente corrotta, prima ancora di conoscere il mondo. O ancora ci sono madri che, con gli occhi bassi e pieni di vergogna, di notte percorrono le strade di Pargi con la speranza di attirare l’attenzione dei passanti. Questi esempi ci mostrano uomini e donne in bilico, che, a causa dell’estrema povertà, sono costretti a essere a metà strada tra la

classe laborieuse e la classe dangereuse. Spesso intere famiglie vivono in

una soffitta o in una casa troppo piccola, umida e sporca in cui « l’odeur d’urine stagnante, figée dans la rigole, séchée sur les pavés, incrustée dans le mur, assaille le visiteur obligé de parcourir l’interminable couloir, en forme de boyau, qui lui permet de pénétrer dans l’immeuble misérable. On n’y entre que par des allées basses, étroites et obscures. Les allées

58 H.-A, Frégier, Des classes dangereuses de la population dans les grandes villes et des moyens de

Riferimenti

Documenti correlati

In questi termini, si intende qui indagare un frammento di eso-iconografia della Palestina tra le due guerre, all’epoca del mandato britannico, così come si è andata

Cette armature notionnelle robuste, ainsi que l’application pratique des connaissances acquises, font de ce volume un outil indispensable aussi bien pour les étudiants que pour

A ETE COSTRUITE A L'OCCASION DE L'EXPOSITIONS UNIVERSELLE EN 1889 PAR L'ARCHITECTE GUSTAVE EIFFEL.. SOUS L'ARC BRULE LA FLAMME DU

Le terme bouquiniste apparaît dans le dictionnaire de l’Académie française en 1789, mais la tradition des bouquinistes débute aux alentours du XVI e siècle avec des petits marchands

Considérée en un point central r 0, elle peut donc s’écrire: ∑ ai ui V i 1.28 ∑i ai C’est cette expression qui est donnée par Gerzon pour la définition du vecteur

This review aims at identifying and synthesizing the results of currently available literature about the effectiveness - in terms of improvement in at least one of the

The aims of this study were: (a) to establish the clinical significance of partial AZFc deletions (that is, if any of them are specific for spermatogenic failure or can be considered

[r]