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Capitolo 2: Macbeth di William Shakespeare

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Academic year: 2021

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Capitolo 2: Macbeth di William Shakespeare

2.1- William Shakespeare

William Shakespeare è stato il drammaturgo poeta considerato come il più grande scrittore in lingua inglese, ed è generalmente ritenuto a livello popolare il più eminente drammaturgo della cultura occidentale.1 Shakespeare è spesso chiamato il “poeta nazionale” inglese o il “Bardo dell’Avon” o, più semplicemente, “Il Bardo”. All’autore sono attribuite con sicurezza 38 opere teatrali, 154 sonetti e due lunghi poemi narrativi; le sue opere sono le più rappresentate nel mondo.

Shakespeare nasce a Stratford-upon-Avon, nel Warwickshire, nel 1564. Dopo aver sposato Anne Hathaway e dopo aver avuto da lei tre figli, il drammaturgo si trasferisce a Londra dove inizia una carriera come attore e scrittore, e diventa azionista di una compagnia di teatro chiamata Lord

Chamberlain’s Men, successivamente conosciuta come King’s Men.

Shakespeare scrive la maggior parte delle sue opere tra il 1589 e il 1613, tre anni prima della sua morte. Le opere che appartengono alla gioventù dell’autore sono principalmente commedie e opere storiche, e il primo testo che l’autore completa è Richard III, insieme alle tre parti di Henry VI. Le opere a seguire sono, tra le altre, A Midsummer Night’s Dream, The Merchant of

Venice, Much Ado about Nothing e Twelfth Night, alcuni dei lavori più acclamati

e rappresentati di Shakespeare. Dopo Richard II, il drammaturgo introduce la commedia in prosa nelle “histories” del tardo 1590, come Henry IV, parte 1 e 2, e Henry V.

Nella fase più matura della sua scrittura, Shakespeare scrive le tragedie

Romeo and Juliet e Julius Caesar, i cosiddetti “problem plays” Measure for Measure, Troilus and Cressida e All’s Well That Ends Well, e una serie di

grandi tragedie considerate il picco del talento di Shakespeare. Tra queste,

(2)

2

Hamlet, Othello e King Lear hanno in comune protagonisti imperfetti i cui errori

capovolgono l’ordine costituito e portano alla distruzione finale dell’eroe e dei suoi cari. Seguono Macbeth e Antony and Cleopatra, l’ultima tra le grandi tragedie.

Nella parte finale della sua vita, Shakespeare si dedica al romance e alle tragicommedie; le ultime opere degne di nota dell’autore sono Cymbeline, The

Winter’s Tale e The Tempest.2

2.2- Macbeth

Non è possibile datare con precisione la scrittura della tragedia di

Macbeth, ma si pensa che possa essere stata scritta più o meno

contemporaneamente alle altre grandi tragedie di King Lear, Hamlet e Othello; alcuni studiosi hanno ipotizzato la prima scrittura dell’opera addirittura nel 1599, mentre altri teorizzano che, dato che la tragedia potrebbe celebrare gli antenati di re Giacomo e la salita al trono degli Stuart nel 1603, sia improbabile che l’opera sia stata scritta prima di quell’anno.3

In ogni caso, un discreto numero di esperti crede, grazie a una serie di “indizi”, che la tragedia risalga in realtà al 1606, anno della prima performance di questa.

Per quanto riguarda la convinzione che aspetti del contenuto della tragedia alludano a re Giacomo, da poco insediatosi come re sul trono d’Inghilterra, Gil Harris afferma:

<<Macbeth was a play for a post-Elizabethan England facing up to what it might mean to have a Scottish king. England seems comparatively benign while its northern neighbour is mired in a bloody, monarch-killing past...Macbeth may have been set in medieval Scotland, but it was filled with material of interest to England and England’s ruler>>.4

Macbeth è stato stampato nel First Folio del 1623, sette anni dopo la

morte di Shakespeare e diciassette anni dopo la prima performance della tragedia; il Folio rappresenta l’unica fonte valida del testo. Macbeth è probabilmente, delle quattro grandi tragedie, l’ultima a essere scritta, subito

2

W. Shakespeare, Macbeth, Garzanti, Milano 1989, pag. VII.

3

Idem, pag. VIII.

(3)

3

prima di Antony and Cleopatra. In quest’opera, suggerisce A. C. Bradley, lo stile finale di Shakespeare appare per la prima volta completamente formato, ed è molto più visibile rispetto a tragedie anche di poco precedenti, come King Lear.5

Si è soliti riferirsi a Macbeth come a una tragedia dell’ambizione, in quanto questa sia una passione determinante negli eventi dell’opera, ma secondo L. B. Campbell, la tragedia è da considerarsi uno studio sulla paura. Dice l’autrice: <<Just as Romeo and Juliet sounds its love-hate theme at the beginning, as Hamlet stresses the joy/grief pair of passions, as Othello develops the love-hatred of jealousy, so Macbeth develops the study of fear against a background of its opposite>>.6

La tragedia di Shakespeare costituisce un’anomalia tra le sue opere, in quanto è la più breve di tutte: più di mille versi più breve di Othello e circa la metà del testo di Hamlet. La brevità della tragedia ha portato molti critici a individuarne il motivo principale nel fatto che la versione a noi pervenuta potrebbe basarsi su una versione del copione di una particolare performance, che poi è stato tagliato in un secondo momento.7 Non tutti sono d’accordo sul fatto che ci potrebbero essere intere scene mancanti dal testo; Richard Flatter credeva che l’opera non mostrasse nessun segno di interferenza editoriale, mentre D. A. Traversi ci mette in guardia dal dare per scontato che le difficoltà presenti in alcuni passaggi del testo possano essere spiegate da eventuali omissioni:

<<The verse of Macbeth is often, at first reading, so abrupt and disjointed that some critics have felt themselves driven to look for gaps in the text. Yet the difficult passages do not look in the least like the result of omissions, but are rather necessary to the feeling of the play>>.8

2.2.1- L’origine della storia di Macbeth

5

A. C. Bradley, Shakespearean tragedy: lectures on Hamlet, Othello, King Lear, Macbeth, London; New York: Macmillan, 1952, 1964, pag. 331.

6

L. B. Campbell, Shakespeare’s tragic heroes: slaves of passion, London: Methuen, 1962, 1978, pag. 208.

7

W. Shakespeare, Macbeth, Garzanti, Milano 1989, pag. IX.

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4

È noto che Shakespeare abbia utilizzato le Holinshed’s Chronicles (1587), ovvero le cronache di Raphael Holinshed, storiografo che raccoglie la tradizione orale, come fonte per la scrittura della tragedia di Macbeth. Nonostante Macbeth sia un personaggio realmente esistito che ha governato la Scozia dal 1040 fino alla sua morte, l’opera di Shakespeare non rappresenta un ritratto accurato del regnante, preferendo invece romanzare la sua storia basandosi soprattutto sul racconto di Holinshed. Si pensa che il motivo più probabile per il quale Shakespeare decise di non rappresentare re Macbeth in maniera fedele si celi nel fatto che re Giacomo VI e I discendeva da Malcolm III, mentre la linea di Macbeth era ormai già morta; Shakespeare probabilmente non voleva rischiare di offendere il proprio re in alcun modo.9

Il drammaturgo prende ispirazione da più storie contenute nelle cronache di Holinshed, e utilizza la seconda edizione del volume non solo per la scrittura di Macbeth, ma anche per molte altre opere come King Lear e Cymbeline. Nel racconto di Holinshed, Macbeth è rappresentato come un uomo che fatica a supportare il regno sotto il governo inetto di re Duncan; lui e Banquo incontrano le tre streghe, che profetizzano esattamente come fanno in Macbeth, e i due uomini decidono insieme di assassinare il re, spinti nelle loro scelte anche da Lady Macbeth. Dopodiché, Macbeth regna per dieci lunghi anni prima di essere spodestato da Macduff e Malcolm. I parallelismi tra il racconto di Holinshed e la tragedia di Shakespeare sono chiari, anche se accademici ritengono che la

Rerum Scoticarum Historia di George Buchanan sia ancora più simile alla

versione di Shakespeare. Uno dei cambiamenti che l’autore apporta alla storia raccontata da Holinshed riguarda Banquo, il quale, se nelle Cronache è complice di Macbeth nell’assassinio di Duncan e gioca un ruolo importante nell’assicurare il trono di Scozia all’amico, in Macbeth invece è all’oscuro dei complotti del protagonista e ne paga le conseguenze perdendo anche lui la vita a causa sua. Nonostante nel XIX° secolo si sia stabilito che Banquo è un personaggio di fantasia e non storico, si pensa che a suo tempo Shakespeare

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5

avesse preferito affidargli un ruolo innocente in quanto si supponeva che Banquo fosse stato un antenato di re Giacomo I.10

2.2.2- Trama

La tragedia è divisa in cinque atti, e il primo si apre con la famosa entrata delle tre streghe che stabiliscono il loro imminente incontro con Macbeth. Subito dopo, il re Duncan discute coi suoi figli del valore del generale - <<brave Macbeth>>11 - cugino del re e coraggioso guerriero nella battaglia contro i ribelli. Il re condanna a morte il Thane di Cawdor per tradimento, e decide di passare il titolo al protagonista: <<What he hath lost, noble Macbeth hath won>> (I, ii). Tornano le tre streghe, che si definiscono <<The Weird Sisters>> (I, iii), e accolgono Macbeth e l’amico Banquo proclamando: <<All hail, Macbeth, that shalt be king hereafter!>> (I, iii). Le donne quindi profetizzano che il protagonista, dopo aver già ricevuto la nomina di Signore di Cawdor, diventerà re, mentre a Banquo rivelano che sarà <<Lesser than Macbeth, and greater>> (I, iii), che non sarà re lui stesso, ma lo sarà la sua progenie.

Quando a Macbeth viene comunicato che la carica di Thane di Cawdor è divenuta sua, la profezia delle streghe è confermata. Macbeth comincia a riflettere sul suo futuro di re, ora più probabile che mai, e le prime ambizioni di potere si insinuano nella sua mente. Poco dopo, Lady Macbeth entra in scena per la prima volta, leggendo una lettera inviatagli dal marito, in cui egli la aggiorna sugli sviluppi della sua posizione sociale e sulla profezia delle <<weird

sisters>>. Immediatamente la moglie si preoccupa che Macbeth sia troppo

debole e buono per prendersi con la forza ciò che è così a portata di mano: <<Yet do I fear thy nature: it is too full o’ the milk of human-kindness to catch the nearest way. Thou wouldst be great, art not without ambition, but without the illness should attend it>> (I, v).

Al suo arrivo, Macbeth comunica alla moglie che Duncan verrà a far loro visita la sera stessa, e la donna stabilisce che quello sarà il momento perfetto per mettere in atto il suo piano e uccidere il re. Macbeth esita non poco all’idea

10

https://en.wikipedia.org/wiki/Macbeth.

11

W. Shakespeare, Macbeth, ed. by Kenneth Muir, based on the edition of Henry Cunningham, London: Methuen, 1953, pag. 7. Tutte le citazioni dal testo sono tratte da questa edizione.

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6

di assassinare un sovrano che ha regnato con tanto onore e che lui ha sempre servito con valore, e anche quando la moglie lo convince ad agire, il protagonista fatica a impugnare l’arma del delitto: <<Is this a dagger which I see before me, the handle toward my hand? Come, let me clutch thee – I have thee not and yet I see thee still!>> (II, i). Dopo l’omicidio, Macbeth comunica alla moglie la riuscita del loro piano, mentre si guarda le mani sporche di sangue, del cui significato la moglie non si cura: <<A little water clears us of this deed>> (II, iii).

La mattina dopo, giunge la notizia dell’assassinio del re – con la celebre espressione di Macduff <<O horror, horror, horror!>> (II, iii) – e Macbeth riesce a sviare eventuali sospetti facendo ricadere la colpa sulle guardie che sorvegliavano Duncan durante la notte, mentre la Lady finge di svenire per lo shock dell’accaduto. Dopo la notizia della morte del padre, i due figli del re, Malcolm e Donalbain, decidono di andare rispettivamente in Inghilterra e in Irlanda.

Banquo comincia a sospettare della colpevolezza di Macbeth, e il protagonista realizza che purtroppo è arrivato il momento di mettere a tacere anche l’amico:

<<For Banquo’s issue have I filed my mind, for them the gracious Duncan have I murdered, put rancours in the vessel of my peace,

only for them; and mine eternal jewel given to the common enemy of man,

to make them kings, the seeds of Banquo kings!>> (III, i)

Macbeth affida a due sicari il compito di assassinare Banquo e il figlio Fleance, ma quest’ultimo riesce a scappare in tempo e salvarsi. Durante un banchetto, i sicari comunicano a Macbeth il successo della loro impresa, ma poco dopo il protagonista vede con orrore il fantasma di Banquo entrare nella stanza, e, disorientato, chiede agli ospiti chi di loro gli abbia fatto questo brutto scherzo: <<Which of you have done this?>> (III, iv). Macbeth, superato il trauma dell’esperienza, decide di parlare di nuovo con le streghe per avere ulteriori delucidazioni. Al momento dell’incontro, le tre donne gli danno la possibilità di ottenere risposte direttamente dai loro “signori”, e così Macbeth

(7)

7

riceve l’apparizione di più spiriti: una testa armata che lo mette in guardia da Macduff, un bambino insanguinato che gli rivela che nessun uomo nato da donna potrà mai sconfiggerlo - <<for none of woman born shall harm Macbeth>> (IV, i) - , un bambino incoronato che gli profetizza che lui non sarà mai sconfitto finché la foresta di Birnam non arriverà a Dunsinane - <<Macbeth shall never vanquish’d be, until Great Birnam wood to high Dunsinane hill shall come against him>> (IV, i) – e infine un corteo di otto re e Banquo che gli mostrano con la loro presenza la stirpe del defunto amico. Mentre in Scozia la famiglia di Macduff viene assassinata, il Thane si trova in Inghilterra a parlare con Malcolm per convincerlo a fare qualcosa per fermare la tirannia di Macbeth.

All’inizio del quinto atto, un medico e una dama di compagnia discutono il sonnambulismo di Lady Macbeth, che ha l’abitudine di parlare mentre cammina nel sonno per le stanze del palazzo, e viene vista spesso fare il gesto di lavarsi le mani: <<Out, damned spot! Out, I say! […] What need we fear who knows it, when none can call our power to accompt?>> (V, i). Poco dopo, durante la battaglia di Dunsinane, arriverà notizia della morte probabilmente suicida di Lady Macbeth fuori scena.

Nella parte finale del quinto atto, Macbeth si prepara all’attacco di Malcolm senza temere per la sua vita, perché sicuro delle profezie delle streghe. Ma proprio subito dopo, un messaggero vede i soldati inglesi muoversi verso la dimora di Macbeth come se la stessa foresta di Birnam si stesse dirigendo verso Dunsinane. Il protagonista si trova infine a scontrarsi con Macduff, che gli rivela di non essere esattamente nato da donna, dato che la sua nascita avvenne con parto cesareo: <<Tell thee, Macduff was from his mother’s womb untimely ripp’d>> (V, vi). A quel punto Macbeth non può che soccombere di fronte al suo avversario; Macduff uccide il tiranno e mostra la testa a Malcolm, il quale può finalmente prendere il suo posto come legittimo re di Scozia.

2.3- Potere

Il protagonista della tragedia, Macbeth, viene presentato nella seconda scena del primo atto, subito dopo la prima comparsa delle streghe. Il re

(8)

8

Duncan, i suoi figli Malcolm e Donalbain, il nobile Lennox e il suo seguito vedono avanzare un uomo insanguinato, e il re domanda: <<What bloody man is that?>> (I, ii). L’elemento del sangue non manca nella tragedia di Macbeth, anzi ricorre più di cento volte; questa scena, in cui viene descritto il campo di battaglia, è caratterizzata proprio dal sangue, ed è dal sangue che emerge il protagonista. Il primo aggettivo utilizzato (da un ufficiale) per descriverlo è <<coraggioso>>:

<<For brave Macbeth (well he deserves that name), Disdaining Fortune, with his brandish’d steel,

Which smok’d with bloody execution,

Like Valour’s minion, carv’d out his passage, Till he fac’d the slave;

Which ne’er shook hands, nor bade farewell to him, Till he unseam’d him from the nave to th’ chops, And fix’d his head upon our battlements>>. (I, ii)

Macbeth viene dipinto come un eroe che primeggia per forza fisica, coraggio e virtù morale; egli è il <<brave Macbeth>>, è il suddito fedele di Duncan, che infatti lo loderà con le parole: <<O valiant cousin! Worthy gentleman!>> (I, ii).12 Queste parole risulteranno a breve cariche di ironia, alla luce del non lontano assassinio del re, prima vittima della scalata di Macbeth. Ciò non toglie che il protagonista abbia davvero dei tratti di nobiltà e di grandezza che lo rendono diverso da quei personaggi shakespeariani a cui sembrerebbe assomigliare a prima vista, come Iago o Riccardo III. Proprio per questo Macbeth è una figura tragica, perché le sue qualità rendono la sua caduta memorabile, e la sua storia esemplare.13 Poco più avanti, il momento in cui Duncan premia Macbeth con il titolo di Thane di Cawdor segna l’inizio dell’ascesa del protagonista, e, con essa, anche il principio della sua caduta. Il protagonista comincia la sua scalata partendo da un titolo strappato, non a caso, a un traditore, preannunciando già che la gloria di Macbeth costituirà la sua rovina.14

12

A. Lombardo, Lettura del Macbeth, Venezia: N. Pozza, 1969, 1983, pag. 24.

13

Ibidem.

(9)

9

Dopo l’incontro tra Macbeth, l’amico Banquo e le streghe, assistiamo al primo monologo dell’uomo, quello in cui, come è generalmente riconosciuto, si può vedere in lui la nascita del male. Macbeth inizia con una frase memorabile:

<<Two truths are told,

as happy prologues to the swelling act of the imperial theme>>. (I, iii)

Le aspirazioni di Macbeth, finora inespresse, si manifestano con queste parole in forma concreta. Il protagonista, come già detto, non è Iago né Riccardo III, e in lui le aspirazioni malvagie si scontrano con un sistema di valori fragile ma esistente; il male non predomina senza l’opposizione della coscienza e della sofferenza.15

Nella scena successiva, la quarta del primo atto, Duncan accoglie Macbeth definendolo di nuovo <<worthiest cousin>>. La conversazione riguardante il precedente Thane di Cawdor, il traditore, allude esplicitamente al nuovo Thane, Macbeth; il traditore ha confessato di aver tradito, ha implorato perdono e ha mostrato un forte pentimento, ma ciononostante è morto, con nobiltà. Ciò mostra che esiste un ordine da rispettare, e anche un re mite come Duncan non perdonerebbe mai un tradimento, anche nel caso di Macbeth, nemmeno se seguito da un profondo pentimento.16 Poco dopo, alla notizia della nomina di Malcolm a principe, il protagonista si trova, in un altro dei suoi momenti in disparte, a riflettere su questo inciampo, che lo porterà o a caderci sopra o a saltarlo. Il delitto, dunque, appare ai suoi occhi sempre più inevitabile, ed egli a breve compirà una scelta che sarà la sua condanna.

La settima scena del primo atto si apre con un soliloquio del protagonista, che, tormentato, dibatte le conseguenze del delitto, oltre ai motivi che continuano a trattenerlo dall’agire:

<<If it were done when ‘tis done, then ‘twere well It were done quickly. If the assassination

Could trammel up the consequence, and catch With his surcease success – that but this blow Might be the be-all, and the end-all! – here,

15

A. Lombardo, op. cit., pag. 47.

(10)

10 But here, upon this bank and shoal of time, We’d jump the life to come. But in these cases We still have judgement here – that we but teach Bloody instructions, which, being taught, return To plague the inventor>>. (I, vii)

Macbeth sembrerebbe pronto a ignorare le implicazioni del suo gesto, ma, allo stesso tempo, riconosce quali sarebbero le gravi conseguenze dell’atto orrendo.17 L’esitazione del protagonista è tale che, al momento di impugnare l’arma del delitto, egli, per farsi forza, è costretto a rivolgersi direttamente al pugnale:

<<Is this a dagger which I see before me,

The handle toward my hand? Come, let me clutch thee – I have thee not and yet I see thee still!

[...] I see thee still;

And, on thy blade and dudgeon, gouts of blood, Which was not so before. There’s no such thing. It is the bloody business which informs

Thus to mine eyes>>. (II, i)

In questo momento l’autore ci permette di addentrarci nel groviglio dell’animo di Macbeth, di partecipare al suo terrore, alla visione dell’enormità del gesto che egli sta per compiere.18 Quando ormai il compito è portato a termine, Macbeth esce di scena con delle parole che invocano Cielo e terra, e che rappresentano esattamente il suo stato d’animo:

<<I go, and it is done: the bell invites me. Hear it not, Duncan; for it is a knell

That summons thee to Heaven, or to Hell>>. (II, i)

Un’altra delle conseguenze del gesto del protagonista è la perdita del sonno. Nel parlare con la moglie poco dopo aver compiuto l’atto orrendo, Macbeth afferma: <<Methought,I heard a voice cry, “sleep no more! Macbeth does murther sleep”>> (II, ii). L’uomo ha ucciso il sonno, il sonno che sia lui che la moglie non avranno più, e proprio per questo ne diventa ossessionato:

17

A. Lombardo, op. cit., pag. 79.

(11)

11 <<[…] the innocent sleep;

sleep, that knits up the ravell’d sleave of care, the death of each day’s life, sore labour’s bath, balm of hurt minds, great Nature’s second course, Chief nourisher in life’s feast>>. (II, ii)

Il sonno e i suoi benefici non sono più alla portata di Macbeth ed egli ha già la visione di una vita che non conoscerà più il conforto che dal sonno proviene19:

<<Still it cried, “Sleep no more!” to all the house: “Glamis hath murder’d Sleep, and therefore Cawdor

Shall sleep no more, Macbeth shall sleep no more!”>> (II, ii)

Come previsto, con il delitto comincia la caduta di Macbeth, e non la sua ascesa, ed è interessante come, nel parlare dell’aver ucciso il sonno, l’uomo ripercorra le tappe e i nomi (Glamis, Cawdor) del suo cammino, dimostrando come questo per lui sia stato soltanto un percorso di distruzione.20

Dopo il primo omicidio, il secondo risulta essere molto più veloce e facile per il protagonista, come se ormai si fosse in qualche modo abituato all’atto; il mondo di Macbeth è ora il mondo degli assassini e dei sicari. Come afferma Agostino Lombardo: <<Ecco il suo regno; ed è un regno, per di più, che non trova nemmeno nel delitto le basi per sostenersi>>.21

Nella terza scena del quarto atto, possiamo osservare la questione del potere dal punto di vista opposto rispetto a quello di Macbeth, ovvero dalla parte dei suoi “nemici”, Macduff e Malcolm. Quest’ultimo, rifugiatosi in Inghilterra dopo l’assassinio del padre, accoglie il fedele Macduff, che esordisce chiamandolo a impugnare la “spada mortale” contro il tiranno che era <<once thought honest>>: <<Let us rather hold fast the mortal sword; and like good men bestride our down-fallen birthdom>> (IV, iii). Macduff parla della loro Scozia, la patria ora sofferente e prostrata. Riguardo al tiranno invece, Malcolm lo definisce un traditore:

MACDUFF I am not treacherous.

19

A. Lombardo, op. cit. pp. 107-108.

20

Idem, pag. 109.

(12)

12 MALCOLM But Macbeth is.

A good and virtuous nature may recoil In an imperial charge. (IV, iii)

Questa è l’esperienza tragica: una natura buona e virtuosa che si arrende davanti alle forze del male, davanti a quel potere che non riesce a non perseguire.22

Poco dopo, Macduff si abbandona a un grido di disperazione per la sua patria, per la quale non può fare a meno di soffrire:

<<Bleed, bleed, poor country!

Great tyranny, lay thou thy basis sure,

For goodness dare not check thee! Wear thou thy wrongs; The title is affeer’d!>> (IV, iii)

Malcolm risponde partecipando pienamente alla sofferenza di Macduff, e evocando un’immagine della Scozia che <<affonda sotto il giogo>> e che <<piange e sanguina>>:

<<I think our country sinks beneath the yoke, It weeps, it bleeds, and each new day a gash Is added to her wounds.

[...] when I shall tread upon the tyrant’s head Or wear it on my sword, yet my poor country Shall have more vices than it had before, More suffer, and more sundry ways, than ever, by him that shall succeed>>. (IV, iii)

La paura di Malcolm, dunque, è che il successore del tiranno possa essere persino più malvagio di lui, ed egli specifica poi che si riferisce a se stesso; Macduff controbatte affermando che nemmeno nelle legioni dell’Inferno ci sarebbe mai un diavolo più diabolico nel male da superare Macbeth. È anche interessante osservare come nel corso della tragedia si passi dal proclamare le virtù del protagonista al denunciarne invece le malignità: Macbeth è adesso <<bloody, luxurious, avaricious, false, deceitful, sudden, malicious, smacking of every sin that has a name>> (IV, iii). Il <<brave Macbeth>> è diventato adesso il <<devilish Macbeth>>.

(13)

13

La conversazione con Macduff ha aiutato Malcolm a spazzare via i <<neri sospetti>>; adesso colui che finora era re soltanto di nome è pronto a diventarlo di fatto.23

Nella seconda scena del quinto atto, le truppe radunate sono pronte a combattere per risanare la Scozia; il corpo dilaniato ha ritrovato la propria coesione, e i suoi rappresentanti guidano la nazione verso la rinascita.24 Nell’immagine dello scontro tra Malcolm, il legittimo re, e Macbeth, l’usurpatore, si contrappone l’idea della malattia e della medicina: Macbeth è la malattia, Malcolm è la salute, il primo è la natura stravolta, mentre il secondo è la natura che viene restituita alla propria armonia.25 All’avanzare delle forze nemiche, il protagonista sembrerebbe mantenere la sua sicurezza, forte del pensiero che nessun uomo nato da donna potrà mai annientarlo, ma ciò è solo un’apparenza, poiché Macbeth sta ora realizzando la sua solitudine e la paura che tutto ciò che ha costruito si stia disintegrando sotto i suoi occhi.

Nella quinta scena, Macbeth, solo, riflette su ciò che è diventato, e realizza di essere ormai completamente insensibile a sentimenti come la paura; il vecchio uomo ormai non c’è più, ma il protagonista non può rallegrarsene, in quanto la sua vecchia natura non sarà mai del tutto cancellata26:

<<I have almost forgot the taste of fears.

The time has been my senses would have cooled To hear a night-shriek, and my fell of hair

Would at a dismal treatise rouse and stir As life were in’t. I have supped full with horrors: Direness, familiar to my slaughterous thoughts, Cannot once start me>>. (V, v)

Pochi istanti dopo, Macbeth riceve anche la notizia della morte della moglie, che lo porta a riflettere sulla vita e sulla sua perdita di significato:

<<Tomorrow, and tomorrow, and tomorrow, Creeps in this petty pace from day to day, To the last syllable of recorded time; And all our yesterdays have lighted fools

23 A. Lombardo, op. cit., pag. 232. 24

Idem, pag. 258.

25

Idem, pag. 262.

(14)

14 The way to dusty death>>. (V, v).

Il culmine della punizione per il male di Macbeth è, ancora più del fallimento, dell’imminente sconfitta e della solitudine, il realizzare l’insensatezza e l’inutilità della vita, che è per lui ora svuotata di qualsiasi sostanza. Dice W. H. Toppen: <<Macbeth’s “To-morrow, and to-morrow and to-morrow” speech on the absurdity of life [...] is a tale told by an idiot, full of sound and fury, signifying nothing>>.27 Di lì a poco Macbeth sarà sconfitto da quell’uomo “non nato da donna” che si rivelerà essere Macduff, e la tragedia si concluderà non con un’immagine di morte, ma con una di vita, una nuova vita per la Scozia, per il suo popolo e i suoi regnanti:

MACDUFF Hail, King! For so thou art. Behold where stands The usurper’s cursed head. The time is free.

I see thee compassed with the kingdom’s pearl That speak my salutation in their minds,

Whose voices I desire aloud with mine. – Hail, King of Scotland! (V, vi).

Il tempo è dunque finalmente libero, e al discorso di Macduff Malcolm risponde come un vero uomo di stato, pronto a voltare pagina dal <<dead butcher and his fiend-like queen>> (V, vi) e scrivere un nuovo capitolo della storia della Scozia.

2.4- Gender

Dopo Lady Macbeth, la figura femminile più importante della tragedia è rappresentata collettivamente dalle tre streghe, le <<weird sisters”>> (I, iii) che tanto influenzano la vita del protagonista e di conseguenza anche di coloro che gli stanno intorno. Le streghe pronunciano poche parole nella prima brevissima scena, quanto basta per sconvolgere gli equilibri e dare al pubblico un’idea di come tutto cambierà di lì a poco:

<<Fair is foul, and foul is fair:

Hover through the fog and filthy air>>. (I, i)

(15)

15

Questa immagine, del bello che diventa brutto e del brutto che diventa bello, sta a rappresentare quel disordine fisico che riflette un disordine morale, e parla di uno <<stravolgimento di valori e insieme di una deformazione dei contorni della realtà>>.28 Il concetto sarà ripreso da Macbeth nella sua prima entrata in scena, proprio con la sua primissima battuta: <<So foul and fair a day I have not seen>> (I, iii). Shakespeare trova le <<weird sisters>> direttamente nella sua fonte, le Holinshed’s Chronicles, dove si legge che Macbeth e Banquo, in cammino di ritorno a corte, incontrano tre donne dall’aria strana e selvaggia, che somigliavano a creature di un altro mondo;29 anche in Macbeth, Banquo, non riconoscendo la natura delle donne, si chiede: <<What are these?>> (I, iii). Shakespeare decide di introdurre le streghe nella sua opera molto probabilmente per lo scopo di impressionare il pubblico e spaventarlo, di dare un’idea di tragedia e tempesta, complice la presenza di tuoni e lampi, richiamati anche dalle parole delle streghe stesse: <<When shall we three meet again? In thunder, lightning, or in rain?>> (I, i).30

La terza scena vede il ritorno delle streghe, come anche l’entrata ufficiale di Macbeth. l’atmosfera è cupa e sinistra, e sempre accompagnata dal fragore dei tuoni. Le donne esordiscono parlando a lungo tra di loro, in un discorso di difficile comprensione, ma che allude al destino di Macbeth: parlando infatti di un marinaio colpito da un sortilegio, le donne annunciano il futuro del protagonista, mentre quando accennano all’aridità - <<I’ll drain him dry as hay>> (I, iii) – si può vedere un presagio della sorte infeconda dell’uomo.31

Banquo osserva le donne e tenta di descriverle mentre si chiede che cosa siano e addirittura se siano vive o meno:

<<So withered and so wild in their attire, That look not like the inhabitants of the earth, And yet are on’t? Live you?

[...] You should be women;

And yet your beards forbid me to interpret That you are so>>. (I, iii)

28 A. Lombardo, op. cit., cit. pag. 17. 29

Idem, pag. 18.

30

Idem, pp. 18-19.

(16)

16

Macbeth incalza poi chiedendo: <<What are you?>> (I, iii), ma le donne non si curano della sua domanda, preferendo piuttosto passare subito ai fatali saluti che lo nominano Thane di Glamis, poi di Cawdor, e infine re. Le streghe profetizzano sia a Macbeth che a Banquo del loro futuro, e lo scetticismo del protagonista viene completamente cancellato quando riceve ufficialmente il titolo di Thane di Cawdor; se finora le streghe sono state descritte come creature strane e misteriose, qui per la prima volta sono identificate col male, col diavolo: <<What! Can the Devil speak true?>> (I, iii).32

L’ultima apparizione delle donne è nella prima scena del quarto atto, dove sono riunite nell’oscurità di una caverna intente a recitare un’orrenda litania che, come osserva Lombardo, <<continua […] sempre di più immergendoci nel male, nell’Inferno, e sempre di più allontanandoci dal mondo armonioso che, almeno come speranza, s’era profilato alla fine del terzo atto>>.33 Per la prima volta, l’incontro con le streghe non avviene per loro iniziativa, bensì per volere di Macbeth che, solo e senza amici dopo tante morti, vede le donne come sue uniche possibili interlocutrici. Le tre offrono a Macbeth delle visioni più ricche e drammatiche rispetto alle precedenti profezie; gli annunciano che nessun nato da donna potrà sconfiggerlo, e che non sarà distrutto finché la foresta di Birnam non avanzerà verso Dunsinane. Il tutto viene comunicato a Macbeth tramite una serie di apparizioni sempre più cupe e inquietanti, coronate dalla visione di una schiera di otto re e Banquo. Le donne concludono l’incontro danzando e così svaniscono.

Passando ad analizzare il principale personaggio femminile della tragedia, Il rapporto tra Macbeth e la moglie ha una natura estremamente interessante. Fin dai primi scambi tra i due, possiamo osservare che Lady Macbeth ha un completo ascendente sul marito: la donna approfitta delle sue debolezze e mette più volte in discussione la sua virilità, dimostrando a tutti gli effetti che dei due è lei “l’uomo” della coppia. Lady Macbeth esordisce nella quinta scena del primo atto come il primo personaggio che compare in scena da solo.34 La donna legge una lettera inviatagli da Macbeth, presentandosi

32

A. Lombardo, op. cit., pag. 45.

33

Idem, cit. pag. 192.

(17)

17

quindi in maniera indiretta in un soliloquio che appartiene al marito35; nell’apprendere le informazioni da lui fornite, la moglie realizza che l’animo di Macbeth è già pronto per seguire la sua influenza e i suoi consigli, l’unico ostacolo è la natura di lui:

<<Yet do I fear thy nature:

It is too full o’ th’ milk of human kindness,

To catch the nearest way. Thou wouldst be great; Art not without ambition, but without

The illness should attend it: what thou wouldst highly, That wouldst thou holily: wouldst not play false,

And yet wouldst wrongly win; thou’dst have, great Glamis, That which cries, <<Thus thou must do>>, if thou have it; And that which rather thou dost fear to do,

Than wishest should be undone>>. (I, v)

Questi versi riassumono il modo in cui Lady Macbeth vede il marito, come un uomo in cui già ci sono le premesse del male, ma ci sono anche qualità che rendono difficile lo sviluppo del male stesso.36 Dice Lombardo: <<Egli è un uomo privo di una salda coscienza morale ma è anche fedele a un sistema di valori che è sì, come ben vede la moglie, in parte convenzionale, per lui, ma che pure trae una qualche forza da una sua innata tendenza al bene, dal suo nutrirsi del “latte dell’umana bontà”>>.37

Il principale punto debole di Macbeth sta nella tendenza a subire l’influsso delle passioni e ad abbandonarsi a irrazionali sogni di grandezza; ecco infatti che Lady Macbeth afferma:

<<Hie thee hither,

that I may pour my spirits in thine ear, and chastise with the valour of my tongue all that impedes thee from the golden round, which fate and metaphysical aid doth seem to have thee crown’d withal>>. (I, v)

Lady Macbeth decide di scavare nell’irrazionalità del marito, e di utilizzare, un po’ come lo Iago di Othello, <<la lingua>> allo scopo di fissare

35

W. Clemen, Shakespeare’s soliloquies, London: Metheun, 1987, pag. 143.

36

A. Lombardo, op. cit., pag. 61.

(18)

18

un’immagine.38

Però, come sottolinea Lombardo, Lady Macbeth non è Iago, e ciò che la spinge al male non è il male in sé: il male per lei non è il fine, ma il mezzo. E la donna non vuole esattamente il potere per sé, bensì lo desidera per il marito, dimostrando comunque che tra di loro c’è un vero rapporto di amore, perlomeno all’inizio.39

Per quanto riguarda la questione di genere, Lady Macbeth non è una donna priva di femminilità, bensì deve piuttosto tenere a freno quella parte femminile che la spinge a cercare la felicità del marito, ma che potrebbe esserle d’ostacolo proprio in quella ricerca. Ecco perché la donna invoca gli spiriti e chiede loro di “liberarla” dalla sua natura femminile e di riempirla di crudeltà:

<<Come, you spirits,

that tend on mortal thoughts, unsex me here and fill me from the crown to the toe top-full of direst cruelty. Make thick my blood; stop up the access and passage to remorse, that no compunctious visitings of nature

shake my fell purpose, nor keep peace between the effect and it. Come to my woman’s breasts and take my milk for gall, you murdering ministers, wherever, in your sightless substances,

you wait on nature’s mischief. Come, thick night, and pall thee in the dunnest smoke of hell, that my keen knife see not the wound it makes, nor heaven peep through the blanket of the dark to cry, ‘Hold, hold!’>>. (I, v)

Lady Macbeth, dunque, sa che il delitto è un atto peccaminoso e contrario all’ordine naturale, e proprio per questo chiede di essere privata del proprio sesso, affinché la sua naturale femminile non prevalga in alcun modo.40 Mentre la donna ha accettato la realtà del gesto che stanno per compiere lei e il marito, ovvero l’assassinio di re Duncan, Macbeth non riesce a fare pace con la propria coscienza, tanto da arrivare a comunicare alla moglie: <<We will proceed no further in this business>> (I, vii). Adesso la confidenza tra i due si è incrinata, e l’amore che li lega sta cominciando a corrodersi.41

Lady Macbeth

38A. C. Bradley, op. cit., pp. 370-71. 39

A. Lombardo, op. cit., pag. 63.

40

A. C. Bradley, op. cit., pag. 372.

(19)

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ricorre a rifersi alla virilità del marito pur di convincerlo definitivamente sul da farsi: <<When you durst do it, you were a man; and to be more than what you were, you would be so much more the man>> (I,vii). Le parole che seguono sono di una crudeltà inaudita:

<<I have given suck, and know

How tender ‘tis to love the babe that milks me: I would, while it was smiling in my face,

Have pluck’d my nipple from his boneless gums, And dash’d the brains out, had I so sworn As you have done to this>>. (I, vii)

Queste parole estreme servono lo scopo di Lady Macbeth di persuadere il marito ad attuare quel gesto che tanto lo fa esitare.

Quando, finalmente, tutto è pronto per il delitto, Lady Macbeth mostra da una parte il suo lato determinato e spietato - <<That which hath made them drunk hath made me bold>> (II, i) - mentre dall’altra emerge di nuovo il suo lato femminile, quello che lei cerca disperatamente di sopprimere, quando dice che sarebbe stato facile compiere il gesto lei stessa se Duncan non fosse tanto somigliato a suo padre.42 Una volta che Macbeth ha compiuto il delitto - <<I have done the deed>> (II, i) – si fa prendere dallo sconforto e dal rimorso, che lo porta a guardarsi le mani insanguinate e dire: <<This is a sorry sight>>, mentre la moglie incalza: <<A foolish thought to say a sorry sight>> (II, i). Nel continuare il loro dialogo, moglie e marito cominciano a essere sempre più distanti, seguono due linee diverse: Macbeth non presta attenzione a ciò che dice la moglie, mentre la Lady non si aspetta risposta. Il delitto ha avuto come prima conseguenza quella di spezzare il rapporto di fiducia e confidenza tra i due, che ormai sono soli con la propria colpa.43

Macbeth non riesce a sostenere la vista delle mani sporche di sangue, ma il suo stato d’animo non trova pietà nella Lady, che afferma:

<<My hands are of your colour; but I shame to wear a heart so white. [...] A little water clears us of this deed; How easy it is then! Your constancy

42

A. Lombardo, op. cit., pag. 105.

(20)

20 Hath left you unattended>>. (II, iii)

All’inizio del terzo atto, quando Macbeth si rende conto che anche l’assassinio di Banquo è ormai inevitabile, si abbandona a uno sfogo con la moglie:

<<We have scorch’d the snake, not kill’d it:

She’ll close, and be herself; whilst our poor malice Remains in danger of her former tooth>>. (III, ii)

Un’altra delle conseguenze del delitto è la perdita della pace, che non ci sarà più nella vita di Macbeth soprattutto ora che l’uomo si appresta a uccidere l’amico Banquo e a non poterne nemmeno dividere le colpe con la moglie, che per una volta è ignara di ciò che sta per accadere.44

Nella celebre scena del banchetto, Macbeth riceve notizia dell’avvenuto assassinio di Banquo, comunicatogli da uno dei sicari da lui assoldati. Ma nel momento in cui si appresta a sedersi a tavola, il protagonista vede il fantasma dell’amico ucciso e chiede sgomento: <<Which of you have done this?>> (III, iv), credendo in un brutto scherzo. Nessuno vede l’apparizione tranne Macbeth, nemmeno la Lady, che però intuisce la fonte del terrore del marito. Lady Macbeth si avvicina al protagonista per parlare con lui in disparte, e come al solito ricorre allo scherno e all’umiliazione nel rivolgersi a lui:

<<Are you a man?

[…] O, these flaws and starts,

Impostors to true fear, would well become A woman’s story at a winter’s fire,

Authorized by her grandam. Shame itself!>> (III, iv)

Macbeth è talmente sconvolto dalla vista del fantasma, che la moglie arriva a chiedergli: <<What, quite unmanned in folly?>> (III, iv); ma il protagonista, terminato l’incontro con l’apparizione, afferma: <<Why, so; being gone, I am a man again>>. Nella scena del banchetto, così come in quella dell’assassinio, il self-control di Lady Macbeth è perfetto: niente di ciò che dice o fa trapela timore o fa dubitare della sua totale innocenza; la donna aiuta il

(21)

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protagonista ma non chiede mai il suo aiuto, si appoggia soltanto a se stessa, e dall’inizio fino alla fine la sua forza di volontà non la tradisce mai.45

Nella prima scena del quinto atto ci troviamo di notte a Dunsinane, e vediamo un dottore e una dama di compagnia discutere degli episodi di sonnambulismo di Lady Macbeth. Il sonno è un elemento più volte ripreso durante la tragedia, e il compimento del male viene spesso associato con la perdita del sonno. Nel caso di Lady Macbeth, il dottore afferma: <<A great perturbation in nature, to receive at once the benefit of sleep and do the effects of watching>> (V, i). Il sonno della regina è un sonno che la esclude dal presente e dal futuro, ma non dal passato; è una condanna a rimanere in un tempo immobile, come in una prigione.46 I due personaggi osservano la Lady camminare con un candeliere in mano in un episodio di sonnambulismo, la vedono strofinarsi le mani, e la dama di compagnia informa il dottore che quel gesto è spesso ripetuto dalla donna nel sonno. Si sente poi Lady Macbeth pronunciare le parole: <<Out, damned spot! Out, I say! […] What need we fear who knows it, when none can call our power to accompt?>> (V, i). La regina, dunque, tenta in tutti i modi di lavarsi le mani sporche di tutto quel sangue che ha cominciato a sgorgare dall’omicidio di Duncan e non si è più fermato; ogni suo tentativo è vano, le mani non torneranno mai più a essere pulite, così come la sua coscienza, che nel momento dello “sleepwalking” rivela tutto il senso di colpa di cui soffre Lady Macbeth. La donna appare ora piccola e femminile, lontana da quella figura un tempo ingigantita dal suo coraggio, dalla sua forza e decisione.47

Lady Macbeth sente il peso anche delle morti con le quali lei non ha avuto a che fare, come quella di Banquo, il quale, si rassicura la donna, non può uscire dalla tomba: <<Banquo’s buried; he cannot come out on’s grave>> (V, i). Lady Macbeth si congeda uscendo di scena con queste parole:

<<To bed, to bed! There’s knocking at the gate. Come, Come, come, come, give me your hand. What’s done Cannot be undone. To bed, to bed, to bed>>. (V, i)

45

A. C. Bradley, op. cit., pag. 368.

46

A. Lombardo, op. cit., pag. 252.

(22)

22

Dunque, come ricorda la Lady, ciò che è fatto non può essere cancellato. Dopo quest’ultima presenza in scena della donna, apprenderemo da altri della sua morte, avvenuta in circostanze, apparentemente, di suicidio. Secondo le parole di Lombardo: <<ciò che di lei resta è il pietoso spettacolo cui ha assistito il dottore: una creatura costretta a muoversi nel mondo abnorme che ella stessa ha creato, condannata a vivere, mentre invoca la morte, in un tempo che è soltanto passato, a brancolare, mentre cerca la luce, in una notte che non trova il giorno>>.48

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