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ABSTRACT Angelo Porrone

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Academic year: 2022

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LA CONCESSIONE DELL’INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO IN INVALIDITÀ CIVILE IN RAPPORTO AI TRATTAMENTI DI CHEMIOTERAPIA: CRITERI DI INDAGINE E

METODOLOGIA VALUTATIVA MEDICO-LEGALE.

THE ASSIGNMENT OF ACCOMPANYING DISABILITY PENSION INDEMNITY IN RELATION TO CHEMIOTHERAPY TREATMENT: INVESTIGATION CRITERIA AND

METHODOLOGY OF FORENSIC EVALUATION.

Angelo Porrone*

ABSTRACT

I trattamenti di polichemioterapia, effettuati a vario titolo, spesso danno luogo, in sede di giudizio medico legale per l’Invalidità Civile, alla concessione dell’Indennità di Accompagnamento, sia pure per periodi di tempo relativamente brevi, da parte delle Commissioni Periferiche delle ASL a ciò preposte, spesso in maniera indiscriminata.

In particolare aveva trovato applicazione, negli anni prossimi al 2000 il principio enunciato da una sentenza della Cassazione, (CC n. 1705/99), e da altre di eguale tenore, in cui veniva riconosciuto, da parte della Suprema Corte, il diritto all’indennità di accompagnamento nei confronti di soggetti in trattamento con chemioterapia, come nel caso di un minore affetto da leucemia acuta, in trattamento chemioterapico, anche se in questo caso si trattava di indennità di frequenza.

Sulla base di queste sentenze, in pratica, il diritto al riconoscimento dell’Indennità di Accompagnamento veniva spesso esteso, da parte delle Commissioni delle ASL, a quasi tutti i soggetti che, in qualunque situazione clinica versassero e da qualsiasi patologia oncologica fossero affetti, venissero sottoposti a trattamento di chemioterapia, spesso anche ben oltre i limiti temporali del trattamento medesimo.

Evidentemente, una volta verificato questo tipo di problema, nel 2008, la Suprema Corte, con la Sentenza CC, Sez. Lav., n. 25569/2008, in tal senso, una delle più recenti, tornava in modo

* Coordinatore Medico Centrale, Responsabile UOC Area “Studi, Ricerca e Procedure medico legali”, Coordinamento Generale Medico Legale INPS, Roma.

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deciso sull’argomento cercando di fare maggiore chiarezza sullo stesso e specificando che il diritto all’Indennità di Accompagnamento spetta solo nelle situazioni clinico - prognostiche veramente meritevoli, ai sensi di legge, in occasione di trattamenti chemioterapici.

Alla luce di questo assunto, pertanto, il diritto al beneficio va stabilito, di volta in volta, a seconda dei casi e della loro gravità, non potendo spettare nella totalità delle situazioni verificabili, l’indennità in parola, solo per il semplice fatto che il soggetto venga sottoposto ad una terapia antiblastica di qualsiasi genere.

Il presente lavoro vuole, quindi, essere un contributo di conoscenza al problema in questione, onde poter provvedere a definire idonee linee guida orientative applicative, in ambito medico legale, atte alla migliore formulazione del giudizio di merito, in rapporto alle diverse situazioni cliniche riscontrabili al riguardo.

INTRODUZIONE

Sul piano procedimentale e valutativo, dopo alcune pronunce della Corte di Cassazione, in particolari situazioni, il diritto dell’istante di vedersi riconosciuta l’indennità di accompagnamento durante il periodo di effettuazione della chemioterapia, si era assistito, di fatto, ad una pletora di riconoscimenti di tale beneficio, in maniera troppo spesso indiscriminata e immotivata, nei confronti dei soggetti, affetti da neoplasie, in chemioterapia.

A correzione, appunto, della primitiva impostazione data al problema oncologico dalla Suprema Corte, con la sentenza n. 1705 del 1999 e con altre similari, la Cassazione, invece, con la Sentenza n. 25569/2008, stabiliva il principio che l’Assegno di Accompagnamento, in soggetti sotto trattamento di chemioterapia, non spetta per principio o per prassi, ma il giudizio medico legale di merito va calato, di volta in volta, ai diversi casi considerabili, e strettamente vincolato alla situazione clinico – diagnostica vigente in ogni singolo caso.

Al riguardo appare quanto mai opportuno, sotto il profilo del giudizio medico legale, verificare e considerare, nell’ordine:

 criteri generali di riconoscimento dell’Assegno di Accompagnamento in relazione alla reale compromissione degli atti quotidiani della vita, in base alla legge, alla dottrina e alla giurisprudenza;

 Sentenze della Cassazione citate, con interpretazione dei principi e degli enunciati contenuti nelle stesse;

 valutazione dell’uso realmente protocollare della chemioterapia, a seconda degli stadi della neoplasia in atto, e degli effetti collaterali dei principali trattamenti di chemioterapia somministrabili;

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 prognosi delle neoplasie a seconda del loro stato di avanzamento, con un importante fattore di correzione rapportato all’età del soggetto esaminato.

Nel presente lavoro viene, in definitiva, perciò proposto un giudizio medico legale orientativo valutativo globale, da correlarsi, di fatto, essenzialmente, allo stadio della neoplasia e alla sua prognosi generale, all’età più o meno avanzata o infantile del soggetto considerato, e, non da ultimo, alla tollerabilità del protocollo di cura adottato, specificando in linea generale, quali possano essere, nelle varie situazioni, i protocolli di cura meno tollerabili e, in base a quali parametri e a quali effetti collaterali vada considerata, in senso lato, la tossicità dei farmaci adottati.

EFFETTI DELLA CHEMIOTERAPIA

Nella maggior parte dei casi, come di norma avviene per la somministrazione dei farmaci, è possibile affermare che i trattamenti chemioterapici non sortiscono effetti collaterali.

Per effetti collaterali si intendono quelli “indesiderati”.

Va altresì considerato che i cosiddetti effetti collaterali indesiderati spesso vengono confusi con i sintomi di accompagno di una neoplasia.

I farmaci chemioterapici differiscono per gli effetti collaterali distinguibili in:

 effetti collaterali a breve termine;

 effetti collaterali a lungo termine.

Di sicuro non tutti i trattamenti chemioterapici provocano ogni tipo di effetto collaterale.

In generale, tutte le cellule in divisione sono soggette agli effetti della chemioterapia che, il più delle volte, non è in grado di agire in modo mirato, anche se la “ratio” della somministrazione dei farmaci antiblastici è legata alla velocità nettamente maggiore di riproduzione delle cellule neoplastiche, ossia all’intrinseca capacità delle cellule neoplastiche di riprodursi in tempi molto più rapidi rispetto a quelle normali.

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Le cellule:

 della mucosa della bocca,

 dell’intestino,

 della cute,

 dei capelli,

 del midollo osseo contenuto nelle ossa lunghe spugnose,

sono, quindi, quelle maggiormente colpite dai trattamenti di chemioterapia, trattandosi di tessuti in rapida rigenerazione.

In realtà quasi tutti i farmaci chemioterapici sono gravati da effetti collaterali, ma non tutti i pazienti saranno colpiti dagli effetti medesimi, potendosi, poi, riscontrare nella realtà pratica quanto segue:

 pazienti affetti da pochi o quasi nessun effetto collaterale;

 pazienti affetti da alcuni effetti collaterali;

 pazienti affetti da tutti gli effetti collaterali.

Esistono delle variabili in base alle quali è possibile stabilire se la cura sia ben tollerata, ovvero vada sospesa o proseguita a distanza di un certo lasso di tempo.

Volendo esemplificare la portata e il numero di questi fattori, le variabili da considerare possono essere reputate, in larga misura, le seguenti:

 lunghezza dei tempi di assunzione dei farmaci;

 condizioni generali della persona trattata;

 dose e quantità del farmaco somministrato;

 possibilità di somministrazione combinata di altri farmaci.

Spesso, però, può accadere che gli effetti collaterali della chemioterapia, sia a breve che a lungo termine, possano apparire importanti al punto da:

 compromettere in modo grave le condizioni di salute;

 manifestarsi come effetti indesiderati sfavorevoli o severi, ma non realmente dannosi per la salute;

 essere di assai modesta entità.

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Tutto ciò appare su un articolo di Internet dal titolo “Quali sono gli effetti collaterali a lungo termine della chemioterapia? (http://EzineArticles.com)”.

In realtà gli effetti a lungo termine della chemioterapia si rivelano assai pochi.

La maggior parte degli effetti collaterali della chemioterapia sono a breve termine.

Si tratta spesso di effetti spiacevoli, ma è bene precisare che gli effetti collaterali non si manifestano in tutti i pazienti trattati.

Gli effetti indesiderati possono essere diversi da persona a persona.

Molti progressi sono stati fatti dalla scienza nella gestione degli effetti collaterali.

Volendo distinguere gli effetti collaterali in base alla cronologia delle manifestazioni cliniche, essi si possono distinguere in:

 a breve termine;

 a lungo termine o cronici;

 di tipo permanente.

Alcuni degli effetti collaterali della chemioterapia possono includere, nell’ordine:

 dolore;

 diarrea;

 costipazione;

 bruciori o dolori al cavo orale;

 caduta dei capelli;

 nausea e vomito;

 alterazioni nella formula ematica come neutropenia, anemia e trombocitopenia.

Un esame emocromocitometrico, anche ripetuto a breve distanza di tempo, in corso di chemioterapia, appare molto utile a monitorare gli effetti collaterali della chemioterapia sugli elementi figurati del sangue.

La neutropenia è l’effetto più frequente e spesso più temibile della chemioterapia.

Può essere causato anche da altre condizioni morbose.

La neutropenia può favorire le infezioni opportunistiche.

Nel caso in cui la neutropenia raggiunga i livelli di guardia o li superi, ciò può indurre il medico a ritardare il trattamento chemioterapico o a ridurre le dosi, fino a quando non si siano ripristinati livelli di globuli bianchi accettabili nella formula ematica.

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Più grave può anche apparire l’anemia secondaria a trattamento chemioterapico che può anche comportare la sospensione della terapia antiblastica.

Va anche controllato nel tempo l’andamento di un’eventuale trombocitopenia.

Circa le finalità della chemioterapia, schematizzando si può dire che la chemioterapia ha 4 obiettivi:

 la remissione completa del tumore, da sola, trovando la stessa indicazione in tal senso secondo i protocolli;

 un effetto sinergico per un uso combinato chirurgia citoriduttiva e/o radioterapia associata, presidio terapeutico ultimo che spesso ne amplifica gli effetti collaterali;

 il rallentamento della crescita tumorale nei tumori in fase avanzata, ovvero un incremento dell’intervallo libero da progressione della malattia, ossia dei sintomi e della durata totale della vita, anche in assenza di guarigione;

 un effetto meramente palliativo, per alleviare i sintomi.

Sotto il profilo clinico e terapeutico, la chemioterapia può avere le seguenti finalità:

 neoadiuvante, finalizzata, nei tumori solidi localmente avanzati, a consentire una migliore radicalità degli interventi chirurgici, ovvero a rendere questi tecnicamente possibili, in iniziali condizioni di inoperabilità, con un miglioramento apprezzabile della sopravvivenza globale, in molti casi;

 adiuvante, nelle neoplasie solide, dopo effettuazione di un intervento chirurgico, ai fini della sterilizzazione di foci neoplastici residui, in sede loco – regionale;

 primaria, quale unico presidio terapeutico in assenza di interventi chirurgici non reputati utili alla bisogna;

 palliativa, ai fini di alleviare i sintomi.

Come è noto la crescita delle cellule tumorali è senza controllo e, per lo più, rapida.

Esistono cellule nel nostro organismo fisiologicamente a rapido turnover, come quelle della cute o come gli elementi figurati del sangue, atte a sostituire le cellule vecchie che stanno per morire o sono morte.

I farmaci chemioterapici interferiscono con la capacità della cellula tumorale di dividersi e riprodursi.

Essi agiscono in vari modi, ossia:

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 impedendo la divisione cellulare, colpendo la mitosi;

 agendo su un target cellulare tumorale specifico, come enzimi od ormoni, indispensabili alla crescita cellulare di questi elementi tumorali;

 impedendo o rallentando la crescita dei nuovi vasi all’interno della struttura del cancro, ossia interferendo con la neoangiogenesi tumorale, limitando, in tal modo la crescita e lo sviluppo del cancro.

La chemioterapia viene prevalentemente usata in combinazione con altri farmaci antiblastici, potendosi, quindi, parlare più propriamente di polichemioterapia, essendo attualmente la monochemioterapia riservata a casi sporadici e in situazioni tumorali ben codificate, in base ai protocolli esistenti.

Viene, come anche detto, usata prevalentemente in combinazione con la chirurgia e con la radioterapia, potenziandone, in questo ultimo caso, anche gli effetti tossici.

Il piano di protocollo di cura del tumore in atto prevede, di solito, da 4 a 6 cicli di polichemioterapia, da intraprendere ogni 21 giorni, incrementandosi, normalmente, gli effetti tossici, con gli ultimi cicli.

E’ opportuno eseguire esami preventivi del sangue prima di intraprendere la chemioterapia, onde potersi rapportare alle condizioni ematologiche del soggetto considerato.

Esiste una chemioterapia orale e una endovenosa, essendo prevista, questa seconda modalità, nella la gran parte dei protocolli di trattamento considerati esistenti.

Andando ad esaminare, nello specifico, gli effetti collaterali della chemioterapia, si può affermare che circa la metà dei pazienti trattati va incontro a nausea e vomito e in molti casi si verifica la caduta dei capelli.

Altri importanti e per lo più attesi effetti collaterali sono dati da:

 astenia, spesso grave, ciò che per lo più comporta una dilatazione ovvero un allungamento dei tempi di trattamento, prevalentemente procrastinato a distanza di qualche giorno, rispetto alla data prevista, mentre meno di frequente si opta per la sospensione del trattamento;

 compromissione dell’udito, ovvero ototossicità fino alla sordità, specie in caso di trattamento con il platino;

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 neutropenia, con maggiore suscettibilità alle infezioni, per cui vanno prescritti antibiotici e, talvolta, il paziente va tenuto in isolamento, ossia lontano da persone o ambienti potenzialmente infetti;

 trombocitopenia, con maggiore predisposizione alle emorragie;

 anemia, con aumento della stanchezza, in proporzione allo stato anemico;

 mucosite, ossia infiammazione della mucosa, specie quella della cavità orale, ciò che si manifesta in genere a distanza di 7 – 10 giorni dall’inizio del trattamento;

 perdita di appetito e calo ponderale conseguente, in taluni casi;

 xerodermia e fragilità ungueale, segni di irritazione cutanea;

 disturbi cognitivi, in circa 1/5 dei pazienti, con riduzione dell’attenzione, compromissione del pensiero e della memoria, specie a breve termine, difficoltà nella comprensione dei problemi, della capacità di ragionamento e di critica, della capacità di organizzarsi, della capacità di esecuzione e di soluzione contemporanea di più problemi, frequenti sbalzi d umore;

 riduzione della libido e della fertilità;

 problemi di transito intestinale con diarrea o stipsi;

 possibilità di sviluppo di una depressione franca, ciò che appare abbastanza comprensibile per la preoccupazione legittima degli esiti del trattamento.

Non è, peraltro, escluso che il paziente non sia al primo trattamento di chemioterapia, potendosi trattare di terapie di I, II e II linea, ovvero di riprese di malattia in trattamento.

Tutti i precedenti effetti collaterali si amplificano, ovviamente, nel caso di chemioterapia ad alte dosi che si può adottare in caso di trapianto di midollo autologo o eterologo e/o di cellule staminali autologhe.

Lo scopo finale di tutti i trattamenti di chemioterapia è quello di colpire cellule in fase di crescita e non a riposo, essendo il bersaglio rappresentato, in questo caso, dal DNA, con effetto citotossico.

La durata di ogni ciclo può variale da alcune ore a diversi giorni intervallati, pur a breve distanza l’uno dall’altro, per completare il ciclo medesimo di chemioterapia.

In effetti alcuni pazienti riescono a continuare la solita vita durante il trattamento di chemioterapia, perfino con dei miglioramenti legati agli effetti diretti della chemioterapia nella riduzione della massa tumorale e dei relativi sintomi.

Per molte persone, invece, la chemioterapia può avere un grosso impatto sulla vita quotidiana, specie a causa dell’astenia che impedisce alle persone di lavorare a tempo pieno o di svolgere normali livelli di attività fisica.

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Tutti i sintomi degli effetti collaterali sono dovuti al danno provocato dalla chemioterapia sulle cellule sane, comprese le parestesie a mani e piedi, le eventuali ulcere alla bocca, il cambiamento del gusto, effetti prima non specificamente menzionati.

L’infertilità può rappresentare un danno permanente dopo la chemioterapia.

Oltre agli effetti già detti a breve termine, esistono quelli a lungo termine.

Danni cardiaci e polmonari sono fra questi, ma quello più preoccupante è certamente il rischio accresciuto dell’insorgenza di un secondo tumore, a distanza di tempo dal trattamento, da parte di alcuni farmaci.

Altri fattori in grado di influenzare la chemio tossicità includono:

 un elevato indice di massa corporea;

 lo stadio più o meno avanzato della neoplasia;

 l’ipoalbuminemia o l’ipotransferasi sierica;

 l’iperespressione ectopica della molecola anti – apoptotica Bcl – 2 che può rallentare gli effetti della chemioterapia e della radioterapia.

Da ultimo si segnalano l’eritema acrale, la fotosensibilità, reazioni acneiformi, alterazioni ungueali, idrosadeniti ascellari, iperpigmentazioni cutanee, ecc., riguardo ad ulteriori effetti collaterali cutanei.

Relativamente all’effetto tossivo combinato fra chemio e radioterapia, interessante appare un articolo dal titolo “Pelvic radiation with concurrent chemotherapy compared with pelvic and para-aortic radiation for high-risk cervical cancer” di M. Morris e al., The New England Journal of Medicine, 15 aprile 1999, Vol. 340, n. 15: 1137 – 1143, in cui viene trattato l’argomento della maggiore tossicità del trattamento combinato rispetto alla sola radioterapia.

In base allo studio risulta una maggiore sopravvivenza globale in soggetti affetti da carcinoma cervicale negli Stadi fino al IIB, ovvero IB – IIA ma con diametro di cm 5,00 o con coinvolgimento dei linfonodi pelvici, in cui il trattamento riguarda, nel primo gruppo, la sola radioterapia, 45 Gy, per via esterna ed endocavitaria, sulla pelvi e sui linfonodi paraortici, mentre nel secondo, in aggiunta alla predetta dose in Gy, vengono anche somministrati 2 cicli di chemioterapia con cisplatino e 5 FU.

Il tasso di sopravvivenza a 5 anni nel secondo gruppo trattato con terapia combinata è del 73 %, mentre in quello trattato con sola radioterapia è del 58 %.

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Le conclusioni dello studio dimostrano un miglioramento statisticamente significativo della terapia combinata rispetto alla sola radioterapia, in soggetti affetti da carcinomi del collo uterino localmente avanzati.

Gli effetti tossici locali di grado moderato, 3, e di grado severo, 4, intervengono prevalentemente entro i primi 60 giorni dal completamento del trattamento di terapia combinata, sicuramente maggiori rispetto a quelli derivanti dalla sola radioterapia, ma prevalentemente risolvibili con terapie mediche.

In compenso gli effetti terapeutici di controllo locale loco – regionale della malattia neoplastica e di sopravvivenza a 5 anni, appaiono nettamente migliori nel gruppo trattato con terapia combinata.

Le complicanze a distanza di tempo appaiono, invece, in larga misura sovrapponibili, ovvero con differenze non significative sotto il profilo statistico.

Gli effetti a breve termine appaiono sicuramente maggiori nel gruppo della terapia combinata, specie quelli ematologici, presenti in buona percentuale di grado 3, di relativa minima percentuale di grado 4, assenti di grado 5, invero assai limitati nel gruppo della sola radioterapia, con associati scarsi effetti collaterali a carico del retto, nel gruppo con terapia combinata, gravata anche da qualche ulteriore problema accessorio.

In buona sostanza la tolleranza ai trattamenti appare comunque soddisfacente in entrambi i gruppi considerati.

In una relazione tenuta da P. A. De Moor, in data 3 novembre 2007, dal titolo

“Managing chemotherapy side effects” presente su un sito Internet, vengono affrontati i principali effetti collaterali a breve termine legati al trattamento di chemioterapia.

Il primo aspetto trattato riguarda la mielodepressione che si può manifestare, in particolare, con l’anemia.

L’anemia si verifica quando la produzione di globuli rossi è bassa o la distruzione è alta.

Il grado dell’anemia si può determinare con il rilievo del contenuto, in gr/dl, del sangue, dell’emoglobina o con i valori bassi dell’ematocrito.

Ciò comporta una riduzione dell’ossigenazione complessiva dell’organismo.

I sintomi principali dell’anemia comprendono, astenia, facile fatigabilità, vertigini, palpitazioni, ecc.

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Una dieta iperenergetica e, nei casi necessari, una trasfusione, può contribuire a ridurre l’entità del problema.

La trombocitopenia determina problemi di coagulazione, a partire da una quota

< 50.000 piastrine / dl.

In caso di immunosoppressione dovuta a malattie autoimmunitarie e in molti altri casi, una terapia steroidea sistemica può sopperire alle necessità del caso.

La neutropenia, specie se severa, può favorire infezioni opportunistiche anche gravi.

Nausea e vomito, diarrea o stipsi, rush cutanei, ecc., possono rappresentare ulteriori problemi accessori in corso di chemioterapia.

Di un certo significato e valore appare, poi, un articolo dal titolo “Preoperative chemotherapy does not increase morbidity or mortality of hepatic resection for colorectal cancer metastases” di Charles R. Scoggins, e al., Ann Surg Oncol (2009) 16:35-41, in cui viene affrontato l’argomento del trattamento chemioterapico neoadiuvante in caso di metastasi epatiche da tumore del colon retto.

In tale lavoro si è potuto dimostrare che un trattamento preventivo con chemioterapia, in caso di malattia metastatica epatica da cancro del colon retto, non incrementa, di fatto, né la morbilità né la mortalità in tale situazione patologica.

L’approccio al problema metastatico è, di norma, multidisciplinare.

In tal senso è stato condotto uno studio retrospettivo che va dal 1996 al 2006, abbracciando un arco di 10 anni.

I pazienti sono stati, quindi, distinti in due gruppi, a seconda che avessero o meno ricevuto il predetto trattamento neoadiuvante.

Analisi di tipo univariato e multivariato sono state impiegate nello studio.

Quali parametri considerati, sono stati impiegati la sopravvivenza libera da malattia e quella globale.

Il 60 % dei pazienti aveva ricevuto una chemioterapia neoadiuvante.

Le conclusioni indicano che l’uso della chemioterapia preoperatoria non incrementa il rischio di complicanze o di morte dei pazienti trattati, ai fini di una epatectomia parziale delle metastasi epatiche del tumore del colon retto, quale obiettivo finale.

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Ciò dimostra che la terapia neoadiuvante è in grado di rivestire un ruolo attivo in caso malattia metastatica epatica nei tumori del colon retto.

Sono state quindi studiate le condizioni di comorbilità verificatesi nel corso dei trattamenti.

In generale, prima di qualsiasi trattamento, il 57 % dei pazienti presentava delle condizioni di comorbilità, legate all’ipertensione, al tabagismo e al diabete mellito.

Il trattamento chemioterapico preoperatorio perdurava nei pazienti per una media di 4,2 mesi.

L’età media, però, del gruppo pretrattato era di 59 anni circa rispetto a quella del gruppo di controllo, di 68,5 anni di età media.

L’uso della chemioterapia a titolo neoadiuvante preoperatoria non ha avuto un impatto significativo sulla situazione dei margini operatori di resezione.

In particolare non si è verificato un incremento delle perdite di sangue in fase operatoria.

Sono stati usati protocolli di chemioterapia di tipo eterogeneo.

Modeste alterazioni epatiche, di tipo steatosico o fibrotico sono state riscontrate in circa il 15 – 20 % dei casi trattati. Una minima infiammazione periportale è stata verificata in circa il 65 % dei casi trattati.

Un ascesso intraddominale, la complicanza più comune, si è verificata in un 8%

dei casi.

Non sono state verificate differenze significative nel tasso di mortalità, con le due metodiche.

Solo 3 pazienti dei 112 esaminati hanno presentato un’insufficienza epatica.

Non sono, da ultimo, state dimostrate differenze significative in termini di sopravvivenza perioperatoria a causa del trattamento preventivo chemioterapico.

In ultima analisi i dati dello studio dimostrano che la chemioterapia preoperatoria non incrementa il rischio di complicanze postoperatorie o di morte di pazienti con metastasi epatiche da tumore del colon retto.

Di carattere più squisitamente sperimentale appare un articolo dal titolo “Less is more, regularly: metronomic dosing of cytotoxic drugs can target tumor angiogenesis in mice.” di Douglas Hanahan e al., The Journal of Clinical Investigation, April 2000, Volume 105, Number 8, nel quale viene argomentato come i farmaci chemioterapici, utilizzati nel trattamento dei tumori, agiscano con un meccanismo di danno nei confronti del DNA cellulare, distruggendo il DNA nelle cellule in replicazione.

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Si vogliono verificare nello studio le dosi massime tollerate di questi agenti citotossici.

Sono, in particolare, la neurotossicità e il danno alla proliferazione nei tessuti ad elevata riproduzione cellulare che sono in contrasto con l’uso ad alte dosi della chemioterapia.

La maggior parte dei regimi chemioterapici si dimostra inizialmente efficace, esitando in una regressione del tumore ovvero in una stabilizzazione della malattia neoplastica, con un prolungamento della sopravvivenza.

Nel tempo si instaura, purtroppo, una resistenza ai farmaci in tumori che diventano maggiormente aggressivi.

Una migliore risposta si verifica con l’uso combinato di farmaci antiangiogenetici, ossia antiendoteliali vasali, associati ai farmaci citotossici, con una tossicità globale complessiva minore.

Viene anche esaltato nell’articolo l’uso dell’infusione continua dei farmaci, già presente in diversi protocolli di trattamento, soprattutto nella malattia metastatica del colon – retto.

Il razionale dello studio rimane la possibilità d’impiego di chemioterapia citotossica a basse dosi, onde poter controllare meglio gli effetti collaterali.

Di carattere più clinico e più indirizzato al tema della discussione appare un articolo dal titolo “Fatigue, depression and quality of lite in cancer patients: how are they related?” Support Care Cancer (1998) 6:101-108 (Springer-Verlag), 1998, di M.R.M.

Visser e E.M.A. Smets, in cui viene condotto uno studio per esaminare se l’astenia e la depressione rappresentino i criteri fondamentali relativi all’incidenza psicosomatica dei regimi di radioterapia.

Entrambi i parametri utilizzati fanno riferimento alla qualità della vita dei soggetti esaminati.

Si è verificato che l’astenia e la depressione non seguono lo stesso andamento nel tempo, in quanto dopo radioterapia, l’incremento dell’astenia rimane stabile, mentre la depressione, in contrasto, decresce.

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Pertanto correlazioni concorrenti fra astenia e depressione appaiono piuttosto modeste.

Ancora più specifico e attinente rispetto al tema trattato appare un articolo, tradotto in italiano, dal titolo “La mortalità entro 30 giorni dalla chemioterapia: un governo clinico (benchmarking) del problema per i pazienti oncologici” di M. O' Brien e al., Br J Cancer. Dicembre 2006, 18; 95 (12) 1632-1636.

In questo lavoro scientifico si parte dal presupposto che non esistano dati nazionali britannici riguardo alla mortalità precoce legata all’uso della chemioterapia, rispetto ai dati esistenti legati, invece, agli interventi chirurgici.

Nello studio vengono, pertanto, identificate le morti precoci entro 30 giorni dalla chemioterapia con una disamina delle cartelle cliniche elettroniche disponibili, essendo i regimi indifferentemente somministrati a titolo curativo o palliativo, indicando la causa della morte, il numero dei trattamenti prestati in precedenza e la finalità dei trattamenti medesimi, come ricavati dai documenti.

L’indagine è stata, pertanto, condotta, su 1.976 pazienti, curati fra aprile e settembre 2005, che avevano ricevuto la chemioterapia.

L’incidenza dei decessi appare alquanto alta, con 161 decessi nei primi 30 giorni di trattamento, pari al 8,1 % del campione.

124 decessi del totale di 161 erano, però, dovuti, alla progressione della malattia.

Dei restanti 37 decessi, solo 12 erano legati, in realtà, all’uso della chemioterapia, 6 per neoplasie solide e 6 per tumori ematologici.

In 7 / 12 decessi da chemioterapia, pari al 4,3 % del totale dei decessi, la terpia antiblastica appariva la causa della morte e il motivo era legato ad una sepsi neutropenica.

Per i restanti 25 decessi sul totale dei 37 individuati, le informazioni sulle cause dei decessi apparivano insufficienti.

Si sono, in ogni caso, verificate più morti dopo il terzo ciclo, o per cicli ancora più numerosi che in caso di primo trattamento di seconda linea.

In buona sostanza e in ultima analisi i decessi si sono verificati, in caso di chemioterapia curativa solo in 12 del 161 pazienti considerati, con un tasso di mortalità complessiva nell’ordine appena dello 0,5 %, sul totale, che per i tumori gastrointestinali

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saliva, come tasso di mortalità considerato, sempre per la chemioterapia curativa, al 1,5

%.

Come si è potuto, in realtà costatare, la gran parte delle morti era legata alla progressione della malattia neoplastica, specie nelle situazioni di chemioterapia palliativa.

Volendo, poi, passare in rassegna il tasso di mortalità legato alla chemioterapia, per singolo gruppo di tumori, è stato possibile verificare quanto segue.

In una serie di 926 pazienti con tumore del polmone, di cui il 52 % in stadi I – III e il 48 % in stadio IV, il decesso era intervenuto entro le prime 4 settimane dal trattamento; lo stesso si è verificato nel 2,3 % per tossicità correlata alla chemioterapia e nel 1,6 % per polmonite acuta da radioterapia.

Senza sorpresa appare il fatto della minore incidenza di morte da chemioterapia nelle forme di neoplasia avanzata polmonare.

Nel caso di identico studio su pazienti affetti da LNH, di età intorno ai 60 anni, sottoposti al regime CHOP, il tasso di mortalità individuato legato alla chemioterapia è apparso piuttosto elevato, pari a circa il 13 %.

Ben il 63 % dei decessi, in tal caso, si è verificato dopo il primo ciclo di CHOP.

Un’infezione opportunistica è stata causa di circa 82 % dei decessi da chemioterapia.

Ancora una volta il performance status è apparso fattore prognostico indipendente rispetto alla morte correlata al trattamento chemioterapico.

Incentrato, invece, sulla qualità della vita dei pazienti affetti da tumori maligni è un articolo dal titolo “Quality of life in cancer patients - an hypothesis” di K C Calmati (Department of Oncology, University of Glasgow), Jounal of medical Ethics, 1984,10,124-127, nel quale vengono trattati gli effetti a lungo termine dei trattamenti dei tumori, enfatizzati rispetto a quelli a breve termine.

Il termine qualità della vita, ovvero buona qualità della vita, è quello maggiormente usato nelle comuni espressioni.

Esso non riguarda solo gli effetti specifici delle sedi di trattamento ma coinvolge numerosi fattori riferiti sia al corpo che alla mente dell’individuo.

Esiste un problema legato anche alla semplice definizione della qualità della vita, da collegare alla possibile comparazione di un individuo con un altro.

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Si possono, comunque monitorare e quantificare dei fattori oggettivi al riguardo.

Il livello delle attività possibili, i sintomi, le attività sociali, l’ansia, ecc., possono essere testati attraverso dei questionari.

Appare abbastanza intuitivo che, per la definizione della qualità della vita, la stessa:

 può essere solo stimata e descritta a livello individuale;

 riguarda molti aspetti della vita;

 è relativa all’abilità di identificare gli aspetti essenziali;

 lo stato di salute e i trattamenti possono essere modificati da tali obiettivi fondamentali;

 gli obiettivi possono essere realistici;

 qualche azione viene richiesta per ridurre il gap potenziale, potendo ciò accadere con le risorse individuali o con ausilio di altre persone;

 il gap fra le aspettative e la realtà necessita che la forza per migliorarlo vada indirizzata verso ogni singolo paziente;

 per ciascun obiettivo va individuato il gap esistente.

Sulla base di tutto ciò possono essere sviluppate delle ipotesi migliorative, attraverso una serie di diagrammi di aspettative e ambizioni individuali, l’impatto sulla salute dipendente dalla variabile tempo, le modifiche sulla salute derivanti dal tempo, la riduzione delle aspettative atte al miglioramento della percezione effettiva del miglioramento della qualità della vita, le condizioni fisiche o sociali allegate al trattamento, ecc.

L’enfatizzazione delle ipotesi di miglioramento della qualità della vita può solo riguardare la situazione individuale del paziente, con gli annessi benefici a breve termine e a lungo termie.

Considerando che in molti casi la realtà dei fatti non può consentire evidenti miglioramenti della cura e della qualità di vita conseguente, le aspettative di miglioramento possono giocare un ruolo decisivo sull’asse delle decisioni in specifiche circostanze.

In un articolo dal titolo “Morbidity and Mortality Analysis of 200 Treatments With Cytoreductive Surgery and Hyperthermic Intraoperative Intraperitoneal Chemotherapy Using thè Coliseum Technique” di Arvil D. Stephens e al., Annals of Surgical Oncology,

(17)

6(8):790-796, viene affrontato l’argomento del difficile trattamento della carcinomatosi, o della sarcomatosi, peritoneale.

La terapia combinata fra chirurgia e chemioterapia intraperitoneale con ipertermia, di fatto, in base ai risultati dello studio, ha dimostrato la presenza di morbilità, di grado III – IV, in circa il 27 % dei casi considerati.

In buona sostanza lo studio dimostra una morbilità del 27 % e un tasso di mortalità relativamente basso, pari al 1,5 % nel caso di chemioterapia intraoperatoria per carcinomatosi peritoneale da neoplasie del tratto gastrointestinale.

Peraltro la frequenza delle complicanze è associata con l’estensione dei trattamenti chirurgici e non con il trattamento consensuale di chemioterapia.

Riguardo, poi, alla valenza economica del trattamento chemioterapico, rispetto alla sua efficacia reale, si legga un contributo scientifico dal titolo “When is treatment for cancer economically justified? Discussion paper” di B Jennett, Journal of the Royal Society of Medicine, Volume 83, January 1990, n. 25.

La validità effettiva di ogni terapia dipende dalla probabilità che la stessa incida sulla durata e qualità della vita.

Talvolta i trattamenti impongono, però, nei pazienti curati non solo dei disconfort ma delle mutilazioni o delle perdite di funzioni, ovvero rischi di altri tipi di effetti indesiderati.

Occorre pertanto giustificare, da parte del clinico i trattamenti bilanciando gli svantaggi in rapporto al possibile miglioramento della qualità e della durata globale della vita.

In effetti il governo clinico dei tumori coinvolge diverse discipline.

La maggior parte dei tumori si presta soprattutto ai trattamenti di tipo chirurgico.

In definitiva esistono rischi e tassi di mortalità, o di eventi avversi collegati agli interventi chirurgici, con la relativa mortalità perioperatoria o a lungo termine, con probabilità, talvolta, poco stimabili in alcuni pazienti.

Viene spesso ignorata, nella scelta dei trattamenti, l’importanza delle valutazioni soggettive dei pazienti.

Nell’ambito del contesto delle decisioni terapeutiche individuali occorre, quindi, fare, le relative valutazioni riguardanti l’utilità effettiva dei trattamenti medesimi e della varietà delle opzioni di trattamento.

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La scelta del trattamento riguarda in speciale modo la radicalità dei trattamenti chirurgici con i relativi esiti delle mutilazioni, rispetto all’incremento delle speranze di vita.

Diventa rilevante, pertanto, anche ai fini economici, la pianificazione dell’allocazione delle risorse in rapporto alla previsione di una particolare forma di trattamento, non potendosi ignorare il ruolo cruciale della selezione clinica e delle decisioni terapeutiche conseguenti che diano luogo più facilmente a benefici concreti ed obiettivi, in termini di sopravvivenza e di miglioramento delle performances.

Incentrato sull’argomento dell’astenia da chemioterapia e della relativa misurazione con apposite scale è il lavoro dal titolo “A systematic review of the scales used for thè measurement of cancer-related fatigue (CRF)” di O. Mìnton e P. Stone, Annals of Oncology 20: 17 – 25, 2009, in cui si specifica, nella prefazione, che l’astenia rappresenta la complicanza più frequente legata alla chemioterapia, in tutti gli stadi di malattia neoplastica.

I risultati dimostrano l’esistenza di ben 14 scale che comprendono i criteri d’inclusione.

Le conclusioni indicano che l’uso delle scale unidimensionali è utile e frequente, essendo raccomandato l’utilizzo del questionario EORTC QLQ C30 di sottoscale dell’astenia o FACT F.

Anche utile e relativamente frequente è l’uso di quelle multidimensionali.

Volendo, poi, passare a valutare l’impatto dei singoli regimi e protocolli, ai fini della tollerabilità dei trattamenti, è possibile leggere una serie di articoli in tal senso.

Da un lavoro dal titolo “Randomized phase II trial of gemcitabine-cisplatin with or without trastuzumab in HER2-positive non-small-cell lung cancer” di U. Gatzemeier e al., Annals of Oncology,15: 19-27, 2004, si possono trarre spunti interessanti, in tal senso.

In pazienti affetti da carcinoma polmonare non small cells, in Stadi III – IV, viene applicato un protocollo di chemioterapia con gemcitabina e cisplatino.

Viene verificata una maggiore efficacia con l’aggiunta di Trastuzumab al predetto protocollo, rispetto al solo trattamento descritto, con una buona tolleranza complessiva e scarsi effetti indesiderati.

Oltre, quindi ad un beneficio clinico apprezzabile, non sono stati notati altri effetti secondari.

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Incentrata invece sulla tossicità conseguente alla chemioterapia è una rewiew dal titolo “Greater Risks of Chemotherapy Toxicity in Elderly Patients With Cancer” di Lazzaro Repetto, The Journal of Supportive Oncology, 2003, 1(suppl. 2): 18 – 24, in cui, in particolare, viene specificato che le complicanze della chemioterapia citotossica sono più comuni in pazienti anziani, di età pari o superiore a 65 anni, piuttosto che nei soggetti giovani o giovani adulti.

Infatti complicanze come la mielodepressione, le mucositi, la cardiodepressione, la neuropatia periferica o la neurotossicità centrale sono da ritenersi relativamente frequenti in soggetti anziani.

I cambiamenti fisiologici legati all’età possono incrementare la tossicità della chemioterapia, per una riduzione del numero delle cellule staminali, una riduzione complessiva delle funzioni o della capacità di riparazione dei danni cellulari, una progressiva perdita delle proteine corporee, ed un accumulo dei grassi nell’organismo.

In effetti un declino delle funzioni organiche può alterare la farmacocinetica della gran parte degli agenti chemioterapici nei pazienti anziani, essendo la tossicità poco prevedibile.

La presenza di comorbilità incrementa il rischio della tossicità per gli effetti esercitati sull’organismo.

Peraltro, i farmaci usati per le comorbilità possono, a loro volta, interagire con i farmaci chemioterapici potenziando la tossicità in pazienti anziani.

Studi prospettici in pazienti anziani con linfomi o tumori solidi hanno riscontrato che l’età rappresenta un fattore di rischio per la neutropenia indotta dalla chemioterapia e per le complicanze dello stesso tipo.

Può essere presente l’anemia a causa della stessa malattia o della chemioterapia, e, se poco corretta, può alterare l’attività dei farmaci e incrementare la tossicità.

Quindi, i pazienti anziani sono a severo rischio di tossicità sulla base dei fattori patologici precedenti al trattamento che andrebbero valutati opportunamente per determinare i regimi più adatti e i fattori specifici prognostici correlati.

Perciò la gestione del trattamento chemioterapico, associato ad un adeguato supporto di cure per le comorbilità esistenti, rappresenta un elemento cruciale nei soggetti anziani ai fini delle migliori possibilità di sopravvivenza ovvero per provvedere alle terapie palliative.

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Per esempio la gestione delle complicanze neutropeniche con i fattori di stimolazione midollare rende possibile l’utilizzo di una dose standard di chemioterapici con possibili buoni esiti conseguenti.

Una migliore precisazione dell’attività dei farmaci e della tossicità in pazienti anziani si rende necessaria per sviluppare le linee guida di trattamento.

Studi randomizzati su farmaci antitumorali, condotti in pazienti anziani, affetti da tumore, sono stati debitamente condotti e hanno permesso di accertare gli effetti favorevoli di un certo numero di agenti e i relativi profili di tossicità in questi tipi di pazienti.

Come è noto, con l’età diminuisce la facoltà delle cellule di riparare adeguatamente il DNA eventualmente leso.

La riduzione del comparto delle cellule staminali midollari riduce la capacità di mobilità di queste cellule nel midollo osseo di persone anziane e può comportare la necessità di ricovero dopo chemioterapia in questi casi.

Identici problemi di ricambio si possono verificare per le mucose e la cute, in caso di chemioterapia, per la limitata capacità rigenerativa cellulare di tali tessuti.

La riserva funzionale di molti tessuti od organi può essere anche severamente compromessa in pazienti anziani, con serie possibilità di cardiopatie e neuropatie indotte dai farmaci chemioterapici.

La presenza di comorbilità croniche è sicuramente assai frequente in soggetti anziani, di tipo eminentemente cardiovascolare, bronchitico cronico, ipertensivo, prostatico, nei soggetti di sesso maschile, e anche psichiatrico depressivo.

Multiple o specifiche comorbilità possono compromettere il buon esito dei trattamenti o impedirli del tutto.

Anche la diarrea o il diabete presenti in corso di trattamento possono aggravare il rischio di mortalità da chemioterapia.

Multipli trattamenti farmacologici possono anche interferire con la chemioterapia.

Mielodepressione, mucositi, cardiotossicità da antracicline, neuropatie periferiche o centrali, nefropatie, rappresentano tutte importanti fattori di tossicità da chemioterapia.

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Ciò ha comportato lo sviluppo di regimi di chemioterapia a bassa tossicità, rispetto alle dosi standard, comparando benefici e tossicità.

Una situazione di anemia e/o neutropenia e/o piastrinopenia antecedenti ai trattamenti, ovvero un basso indice di massa corporea, rappresentano tutti fattori di predittività negativa di tossicità indotta da chemioterapici.

In uno studio relativo alla qualità della vita di pazienti neoplastici, anche sopravviventi a lungo termine, dal titolo “Quality of Life in Breast Cancer Patients—Not Enough Attention for Long-Term Survivors?”, di B. Holzner e al., Psychosomatics 2001;

42:117-123, vengono esaminate pazienti trattate in precedenza per tumore della mammella.

Questo studio includeva 87 pazienti donne di età 53,9, + o – 8,7 anni, di media che avevano ricevuto le terapie per tumore mammario.

Ad una distanza di tempo > 5 anni di sopravvivenza, la qualità della vita appariva ridotta nelle aree emotiva, sociale, e funzione sessuale, rispetto all’epoca precedente al trattamento, anche, quindi, dopo un lungo periodo di sopravvivenza, onde la necessità verificata di un supporto psico - oncologico in questi casi.

Un articolo dal titolo “Physiologic Evaluation of the Patient With Lung Cancer Being Considered for Resectional Surgery : ACCP Evidenced-Based Clinica! Practice Guidelines (2nd Edition)”, di Gene L. Colice e al., Chest 2007;132;161S-177S, indica come nei soggetti trattati chirurgicamente per tumori polmonari, la situazione fisiologica preoperatoria, specie la valutazione cardiovascolare e la spirometria, con la misura del FEV1, appaiono dirimenti rispetto agli esiti favorevoli del trattamento chirurgico.

In soggetti con FEV1 < 80 % dovrebbe essere stimata la riserva respiratoria postoperatoria, onde prevenire le complicanze, ciò al fine di identificare i pazienti che presentano un incremento del rischio con resezione standard del tumore polmonare.

Riguardo, poi, all’efficacia e alla tollerabilità dei trattamenti chemioterapici in soggetti con malattia neoplastica avanzata, è possibile leggere numerosi articoli.

Questo tipo di approccio riguarda soprattutto la malattia neoplastica avanzata e il relativo trattamento di I o II Linea, in caso di ripresa della malattia medesima.

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In una Review dal titolo “Second and subsequent lines of chemotherapy for metastatic breast cancer: what did we learn in the last two decades?” di F. Cardoso e al., Annals of Oncology 13: 197 – 207, 2002, viene affrontato l’argomento della chemioterapia di II Linea nel caso di malattia metastatica mammaria.

Viene qui specificato che sia la chemioterapia che l’ormonoterapia vengono adottate nelle forme neoplastiche avanzate della mammella con risultati alterni.

Esiste un generale consenso nell’utilizzo della terapia citotossica ai fini del prolungamento della sopravvivenza, anche se i risultati sono modesti, anche riguardo alla somministrazione di terapie di II Linea.

Si è anche dimostrato che la chemioterapia nella malattia avanzata mammaria ha un impatto sicuramente positivo sulla qualità di vita delle pazienti.

Altresì nel caso di terapia palliativa, la qualità di vita appare migliore in modo apprezzabile, negli assi dello stato fisico, psicologico e sociale.

Gli autori pongono un distinguo fra miglioramento della sopravvivenza e della qualità della vita, non essendo i due concetti affatto coincidenti.

In ultima analisi alcuni studi paiono dimostrare un vantaggio in termini di sopravvivenza e di qualità della vita, per i trattamenti di II Linea della malattia avanzata mammaria, rispetto all’assenza di trattamento in questi casi.

Di un certo rilievo, pertanto, nel filone del trattamento della malattia neoplastica avanzata, appare un articolo dal titolo “Chemotherapeutic Management of Stage IV Non-small Cell Lung Cancer” di Mark A. Socinski e al., Chest 2003;123;226S-243S (supplemento), in cui viene discusso il tema dell’esito dei trattamenti in caso di malattia avanzata polmonare.

Si sottolinea come la malattia avanzata polmonare sia da ritenere certamente incurabile, allo stato delle conoscenze attuali, con la chemioterapia o con altri trattamenti.

La chemioterapia rimane un’opzione terapeutica in una certo numero di pazienti in Stadio IV.

Essa non dimostra avere un impatto sulla sopravvivenza ma piuttosto sulla rilevanza dei sintomi clinici e sulla qualità della vita.

(23)

Soprattutto in questo senso pare recitare un ruolo la terapia di II Linea.

Un cenno, poi, merita la trattazione della psico – oncologia, ovvero delle implicazioni psicologiche della terapia oncologica nei pazienti.

Dopo gli anni ’70 è stato affrontato infatti il problema della comunicazione della diagnosi oncologica.

In pratica, allo stato attuale la psico – oncologia ha 2 dimensioni:

 la prima dimensione è quella che si occupa della reazione dei pazienti nei vari stadi della malattia neoplastica, e anche della famiglia e dello staff oncologico;

 la seconda esplora i fattori psicologico, sociale e relativamente a quelli che hanno un impatto sul rischio legato al cancro, riguardo alla sopravvivenza conseguente.

Tutto questo appare in un articolo dal titolo “Psychological Care of Patients:

Psycho-Oncology's” di Jimmie C. Holland, Journal of Clinical Oncology, Vol. 21, N.

23s (December 1 Supplement), 2003: pp 253s-265s (DOI:

10.1200/JCO.2003.09.133).

L’attuale psico – oncologia manifesta un ruolo nella ricognizione, mediante la comunità degli oncologi e i trattamenti clinici, degli aspetti della prevenzione del tumore valutati attraverso i cambiamenti dello stile di vita, della valutazione della qualità della vita, del controllo dei sintomi, delle cure palliative e della sopravvivenza.

In tal senso sono state formulate apposite Linee Guida di tipo pratico.

Riguardo, invece, al tema relativo all’impatto dei trattamenti chirurgici sulla qualità della vita, testata sui tumori principali, appare assai valido un lavoro scientifico dal titolo “The Extent of Lung Parenchyma Resection Significantly Impacts Long-Term Quafity of Life in Patients With Non-Small Cell Lung Cancer” di Tobias Schulte e al., Chest 2009; 135;322-329 (Prepublished online August 8, 2008; DOI 10.1378/chest.08-1114).

Nelle conclusioni, in pratica, viene dimostrato che una resezione più conservativa dei tumori polmonari, laddove possibile, quale una lobectomia o una bi lobectomia, consente una qualità di vita nettamente migliore rispetto ai pazienti trattati con pneumectomia, con una sopravvivenza lievemente inferiore nei soggetti trattati in modo più radicale con pneumectomia.

(24)

Tutto ciò parrebbe esaltare altresì il ruolo della terapia neoadiuvante non solo ai fini della resecabilità dei tumori ma, in particolare, per i trattamenti più conservativi consentiti, anche relativamente alla qualità di vita dei pazienti.

In definitiva una trattamento chirurgico meno esteso consente un migliore recupero funzionale e una migliore qualità di vita in tutti i casi, onde la necessità di terapie medico – chirurgiche sempre più mirate e specifiche e con maggiore risparmio di tessuto sano.

Ma un netto miglioramento della qualità di vita si verifica altresì nel caso di chemioterapia orale rispetto a quella sistemica per via endovenosa, come riferito da un articolo molto recente dal titolo “Health – related quality of life with colorectal cancer who receive oral Uracil and Tegafur plus Leucovorin”di Akira Tsunoda e al., Jpn J Clin Oncol 2010:40(5) 412-419, laddove viene testata la chemioterapia adiuvante con florouracile / Tegafur associata a leucovorina nel trattamento standard dei tumori del colon retto Stadi II – III.

I risultati dimostrano un netto vantaggio della qualità della vita valutata in rapporto alla situazione pretrattamento, rispetto ad altri protocolli di trattamento convenzionali, con tutte le scale adottate eccetto le funzioni cognitive, la dispnea, l’insonnia, la stipsi e la diarrea.

Le conclusioni indicano che tutti i fattori correlati con la qualità della vita non vengono deteriorati durante la somministrazione del predetto schema di chemioterapia orale in pazienti con tumori del colon retto, al di fuori degli effetti dovuti al danno chirurgico, mentre in luogo di una tossicità da chemioterapia di grado III, rispetto ai controlli, si presenta una tossicità di grado I – II.

Infatti la gran parte dei casi trattati con terapia orale presenta una tossicità assai lieve, di grado 0 – 1, in quota nettamente superiore ai soggetti con tossicità di grado 2 – 3, con assenza totale di casi con tossicità di grado 4.

I risultati di questi studi meritano, in ogni caso, future conferme.

Rispetto alla qualità di vita in funzione delle cure prestate, in altri tipi di tumori comuni, appare valido un articolo dal titolo “Assessing Quality of Life in Patients With Head and Neck Cancer” (Cross-validation of the European Organization for Research and Treatment of Cancer (EORTC) Quality of Life Head and Neck Module (QLQ- H&N35) di Allen C. Sherman e al., (reprinted) Arch Otolaryngol Head Neck Surg, vol.

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126, aprile 2000, in cui viene affrontato il difficile tema della riabilitazione e della qualità di vita connessa nei soggetti con tumori testa collo.

Lo studio riguarda pazienti in fase avanzata di tumori testa – collo, monitorati, prima del trattamento, durante il trattamento, a distanza di 6 mesi dalla fine del trattamento e dopo oltre 6 mesi dal trattamento.

In effetti i sintomi e i trattamenti dei tumori avanzati testa – collo hanno, di norma, un impatto devastante sulla qualità di vita, specie rispetto alla respirazione e alla deturpazione facciale.

Attraverso la somministrazione di appositi questionari, secondo protocolli, i risultati dimostrano una accettabile riabilitazione sotto il profilo funzionale e generale.

Vengono comparati, in particolare, i sottogruppi di pazienti affetti da tumore, nelle diverse fasi di trattamento.

I risultati dimostrano un impatto favorevole di misure specifiche di supporto, atte al miglioramento della qualità della vita, attraverso la riabilitazione e altri accorgimenti mirati, nel caso di pazienti in malattia neoplastica avanzata testa – collo.

Riferito al problema particolare della neutropenia in fase di chemioterapia, è un articolo dal titolo “Evaluating the Total Costs of Chemotherapy-Induced Febrile Neutropenia: Results from a Pilot Study with Community Oncology Cancer Patients” di Charles L. Bennett e al., The Oncologist 2007;12:478 - 483, in cui la neutropenia febbrile successiva alla chemioterapia, complicanza di maggiore impatto epidemiologico della chemioterapia, viene indagata relativamente all’impatto sui costi dei trattamenti, compresa la morbilità arrecata.

I fattori prevalentemente associati con i costi elevati diretti delle cure riguardano, in speciale modo:

 la diagnosi di linfoma e la cure dei pazienti degenti;

 alti costi indiretti, genere maschile vs genere femminile;

 alti costi totali per la diagnosi di linfoma e la degenza.

In definitiva è possibile stimare i costi totali legati alla neutropenia tumore correlata.

I costi indiretti sono legati alle cure ambulatoriali dei pazienti con neutropenia febbrile, riguardando tali costi 1/5 dei costi totali di supporto, in tali casi, dei soggetti degenti in ospedale.

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Altro tumore primitivo nel quale la qualità della vita (HRQOL) appare di assoluto rilievo, rispetto alle cure, appare quello cerebrale, come si desume da un articolo dal titolo “Review On Quality Of Life Issues In Patients With Primary Brain Tumors” di M. J.

B. Taphoorn e al., The Oncologist 2010; 15: 618 – 626, in cui si arguisce come la qualità della vita in soggetti affetti da gliomi cerebrali inoperabili rappresenti, nell’ambito delle cure fatte a qualunque titolo, un elemento decisivo.

Tale specifico parametro pare avere un significato prognostico e viene posto alla stregua di altri parametri clinici come l’età e il performance status.

I soggetti con glioblastoma multiforme possono essere sottoposti a regimi di chemioterapia con una combinazione di procarbazina, lomustina, vincristina e temozolomide.

La combinazione chemio e radioterapia parrebbe prolungare i tempi di sopravvivenza.

Gli effetti del trattamento su HRQOL vanno valutati separatamente.

Le terapie di supporto comprendono antiepilettici e corticosteroidi.

Il predetto indice sulla qualità di vita rappresenta una varabile indipendente prognostica in vari tipi di tumore.

I punteggi di tale tipo di scala sono da ritenersi importanti ai fini delle decisioni sulle linee guida da adottare da parte dei medici impegnati nei trattamenti oncologici.

Assai importante appare anche la valutazione della qualità della vita in soggetti sopravviventi a lungo termine dopo trattamenti antitumorali, come si evince da un contributo scientifico dal titolo “Quality of Life in Long-Term Survivors of Adult-Onset Cancers” di Carolyn Cook Gotay e al., Journal of the National Cancer Institute, Vol. 90, N. 9, May 6, 1998, essendo stato tale aspetto, nel tempo, poco indagato.

Molti studi hanno impiegato dei questionari per verificare la qualità della vita nei lungo – sopravviventi.

In molti casi si riscontrano esperienze ancora negative nei sopravvissuti, per effetto dei tumori e/o dei trattamenti, ovvero per il completamento delle terapie.

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La funzione sessuale, la soddisfazione in rapporto alle cure e alla situazione generale, il buon funzionamento degli organi bersaglio delle terapie rappresentano aspetti nevralgici in molto sopravviventi.

I numerosi report esistenti sui sopravviventi di cancro supportano la tesi della misurazione positiva degli aspetti concernenti la qualità della vita come elementi peculiari rispetto ai problemi di queste popolazioni di pazienti.

Anche la morbilità perioperatoria, unita agli effetti a breve termine della chemioterapia adiuvante, rappresentano argomenti di studio di grande interesse nella comunità scientifica, come appare da un articolo dal titolo “Perioperative Morbidity and the Rush to Chemotherapy” di William P. McGuire III e al., Journal of Clinical Oncology Volume 23, number 4, february 1 2005, laddove vengono discusse e argomentate le terapie chirurgiche e chemioterapiche riferite al carcinoma ovarico.

L’asportazione completa del tumore ovarico primitivo, anche con un’escissione allargata, appare essenziale ai fini terapeutici, unita all’uso della chemioterapia adiuvante.

Anche la chemioterapia preoperatoria pare esercitare un ruolo primario ai fini del buon esito dei trattamenti.

Non mancano, specie nel caso di tumori localmente avanzati, come spesso capita, e per interventi altamente demolitivi, complicanze postoperatorie come trombosi venosa o eventi embolici, allungamento dei tempi di recupero funzionale degli organi addominali coinvolti, e altri problemi legati allo stato di avanzamento della neoplasia ovarica che comportano uno scadimento delle condizioni generali con calo ponderale e perdita di proteine, un ampio volume dell’ascite, ecc., ovvero un deficit netto di tipo nutrizionale.

La chemioterapia citotossica, intrapresa da 4 a 6 settimane dopo l’intervento chirurgico, può comportare la presenza di rush cutanei proporzionali alla grandezza iniziale del tumore.

Però il lasso di tempo che intercorre fra intervento chirurgico e chemioterapia pare avere notevole rilevanza ai fini della sopravvivenza, non potendosi tollerare lunghe latenze fra i due trattamenti.

L’intervallo temporale, d’altronde, si suppone maggiore per interventi più demolitivi e per tumori più estesi, ovvero in presenza di ascite e di turbe nutrizionali concorrenti.

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Occorre, in ogni caso, un accettabile perforance status per iniziare la chemioterapia.

Un problema serio può essere costituito, come accennato, dal trattamento dei linfomi nei soggetti anziani, come si desume da un lavoro dal titolo “Comprehensive Geriatric Evaluation in Elderly Patients With Lymphoma: Feasibility of a Patient-Tailored Treatment Pian”, in cui viene riportato come la cura chemioterapica dei pazienti anziani non possa essere effettuata in modo completo e incisivo, ossia ottimale, per la fragilità intrinseca di questi pazienti.

I maggiori ostacoli sono rappresentati dalla tossicità dovuta alla chemioterapia e ai possibili effetti negativi sulla qualità di vita di questi pazienti.

Normalmente, infatti, i pazienti anziani vengono esclusi dagli studi clinici e dai trials clinici.

L’uso di apposite scale può consentire di monitorare e valutare, le funzioni, la nutrizione, lo stato psichico ed emotivo, gli aspetti cognitivi, quelli socio – economici e lo stato fisico del paziente.

Occorre, quindi, un approccio multidimensionale e multidisciplinare per l’identificazione dei problemi dei pazienti, sulla base di scale standardizzate e validate, come le attività giornaliere di vita, ADL, le attività strumentali IADL, la scala di depressione geriatrica, lo stato del Mini Mental test, ecc..

I LNH rappresentano un caso classico in cui la giovane età rappresenta un fattore prognostico positivo ai fini della completezza e degli effetti dei trattamenti.

Comunque esistono molti studi su pazienti anziani che dimostrano che gli stessi sono in grado di tollerare terapie aggressive ad alta tossicità e regimi specifici, con risultati molto simili a quelli attesi nei pazienti giovani.

Il lavoro è stato pubblicato sul Journal of Clinical Oncology, Vol. 21, N. 4 (February 15), 2003: pp 754-756, di D. Bernardi e al..

Reazioni avverse vengono segnalate con l’utilizzo del Rituximab in aggiunta ai protocolli classici in caso di neoplasie maligne ematologiche, specie LNH a basso grado di malignità, come riportato nel contributo scientifico dal titolo “Rituximab Therapy in Hematologic Malignancy Patients With Circulating Blood Tumor Cells: Association With Increased Infusion-Related Side Effects and Rapid Blood Tumor Clearance” di John C.

Byrd, e al., Journal of Clinical Oncology, Vol 17, N. 3 (March), 1999: pp 791 -795.

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Si rileva, infatti, che la somministrazione di Rituximab può innescare anche severe reazioni all’inizio dell’infusione del farmaco.

La tossicità prevalente, malgrado l’effetto citotossico a carico degli elementi figurati maligni presenti nel sangue, si rivela, in questo caso, a carico dei polmoni, quale organo bersaglio.

Si possono anche associare altri effetti, come una grave trombocitopenia, ovvero un’alterazione dei valori degli elettroliti ematici, anche con eventuale presenza di ascite.

Nello studio, l’età media dei pazienti trattati era di 68 anni, ad ulteriore convalida che gli effetti tossici indesiderati avvengono soprattutto a carico dei soggetti più anziani.

La qualità della vita rappresenta sempre un parametro molto spesso considerato negli studi, come nel caso di un lavoro dal titolo “Comparison of Quality-of-Life

Questìonnaires in Women Treated for Breast Cancer: The RAND 36 - Item Health Survey and the Functìonal Living Index - Cancer.”, di L. M. Hutson e al., Physical

Therapy, Volume 85 . Number 9, September 2005, in cui viene raffrontata, tramite utilizzo di appositi questionari, la qualità della vita in soggetti trattati chirurgicamente per tumore della mammella.

Nelle conclusioni si registra una sostanziale identità sotto il profilo della qualità della vita e della risonanza psicologica nelle pazienti di due sottogruppi, con o senza linfedema residuo dopo trattamento chirurgico del tumore della mammella, specie se comparati per età o per tasso di sopravvivenza.

Lo studio conferma la rilevanza, quindi, delle dimensioni fisica, psichica e sociale, relativamente ai parametri codificati per la qualità della vita, ma non relativamente alla dimensione generale della salute.

Molti fattori appaiono responsabili di quanto riscontrato, come i differenti metodi adottati per la misura dei parametri associati, e le differenti questioni associate alla salute.

Ancora basato sulla qualità della vita, ma relativamente al confronto fra soggetti trattati con laringectomia e con chemioterapia combinata con radioterapia, in caso di tumore localmente avanzato della laringe, distinti in due sottogruppi, è possibile apprezzare uno studio dal titolo “Quality of life for patients following total laryngectomy vs chemoradiation for laringea preservation” di E. Hanna e al., Arch Otolaryngol head neck surg, Vol. 130, July 2004, pagg. 875 – 879, in cui viene dimostrato che esistono effettivamente delle differenze, ma non relativamente al singolo parametro della qualità della vita, nei due casi.

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Infatti nei soggetti trattati con laringectomia radicale totale prevalgono disturbi sensitivi, dolore e nell’incremento della tosse.

Nel caso della chemio radiazione, utilizzata a scopo neoadiuvante, i problemi riguardano soprattutto la sensazione di bocca asciutta, ossia la xerostomia.

Non sono state verificate significative differenze sotto il profilo della sopravvivenza nei due gruppi considerati.

Nel secondo caso della chemio radiazione combinata, finalizzata al risparmio della laringe, si segnalano alti tassi di effetti tossici e rilevanti complicanze correlate al trattamento.

Ciò determina spesso un serio impatto sull’incremento della morbilità in questi pazienti, con seria incidenza sulla qualità della vita dei predetti pazienti.

Occorre pertanto sviluppare nuovi protocolli e nuovi studi atti a migliorare e attenuare gli effetti tossici dei trattamenti combinati conservativi, mantenendo, in ogni caso, il valore aggiunto del risparmio della laringe.

Riguardo ancora alle possibili complicanze e alla morbilità e alla mortalità associate al trattamento radioterapico in soggetti affetti da tumore della mammella iniziale è possibile leggere un articolo dal titolo “Assessment of Coronary Heart Disease Morbidity and Mortality After Radiation Therapy for Early Breast Cancer” di Katherine A.

Vallis, e al., Journal of Cìinical Oncology, Vol 20, N. 4 (February 15), 2002: pp 1036- 1042, venendo segnalato nello stesso lavoro scientifico un eccesso di morbilità e di mortalità relativamente alle malattie coronariche in donne trattate con radioterapia per forme iniziali di tumore della mammella, nel corso di 10,2 anni di follow up.

L’incidenza di tale tipo di patologia coronarica è stata confrontata fra le 2.128 pazienti dello studio di coorte e una popolazione femminile di controllo di pari età.

Si sono registrati nel corso del tempo considerato 70 eventi coronarici che hanno riguardato 56 donne trattate con radioterapia primitiva.

In accordo con i criteri MONICA di identificazione, si sarebbero verificati, rispettivamente, 53 eventi e 6 eventi coronarici, rispettivamente nei due gruppi di confronto, ciò che indicherebbe una differenza statisticamente significativa degli eventi coronarici che prevarrebbero nel gruppo radio trattato.

Identici studi sono stati condotti sul trattamento di altri tipi di tumori, per investigare sia gli effetti tossici dei trattamenti chemioterapici che la morbilità associata, sia per i soli presidi chirurgici che chemioterapici, sottoposti a confronto.

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Contemporaneamente sono state verificare le reciproche stime di sopravvivenza, dei vari trattamenti, onde valutare il rapporto costi – benefici, in ogni caso.

Tale è la situazione verificata in un lavoro dal titolo “Preoperative chemotherapy with and without additional radiochemotherapy: benefit and risk for surgery of stage III non-small celi lung cancer” di Michael Semik, e al., Eur J Cardiothorac Surg 2004;26:1205-1210, in cui viene testata l’utilità della terapia neoadiuvante combinata chemio – radioterapica, nel caso di tumori localmente avanzati polmonari, Stadio III.

Lo studio, come forse era prevedibile, indica un maggiore tasso di resezioni nel caso della terapia preoperatoria, ma con un tasso più alto di complicanze, specie l’insufficienza respiratoria indotta.

Va considerato che il tasso globale di sopravvivenza a 5 anni dei tumori polmonari allo Stadio III, è inferiore al 10 %.

In effetti i tassi di mortalità associata al trattamento, nel caso della terapia neoadiuvante, appaiono incrementati rispetto alla sola chirurgia.

Tutto ciò non sembra sminuire, in ogni caso, il valore della terapia neoadiuvante, al punto che nelle triplici modalità di trattamento possibili, chemioterapia neoadiuvante, chemio – radioterapia neoadiuvante, sola chirurgia, laddove però sia possibile ottenere una resezione completa e una radicalità completa controllata istopatologicamente, i tassi di sopravvivenza globale a 3 anni sfiorano il 40 – 60 % dei casi considerabili in tutte le predette modalità di trattamento impiegate.

Comunque i tassi di mortalità dei vari approcci di trattamento sfiorano il 10 % e sono prevalentemente attribuibili agli interventi chirurgici.

La chemioterapia neoadiuvante parrebbe, peraltro, ottenere i migliori risultati, in termini di resecabilità del tumore.

Ciò non toglie che la fibrosi successiva a chemioterapia può rendere la resezione chirurgica più complessa.

L’insufficienza respiratoria acuta rappresenta, in ogni caso, la principale causa di mortalità chirurgica.

La gran parte dei decessi si verifica < 30 giorni dall’intervento.

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Il rischio di insufficienza cardiaca acuta è maggiore entro 3 giorni dopo pneumectomia destra.

In conclusione il rischio chirurgico appare identico con o senza radioterapia neoadiuvante preoperatoria.

L’insufficienza respiratoria acuta prevale nei soggetti trattati, in modo sequenziale, con chemio e radioterapia combinate, ai fini della completa resezione.

Più mirato appare uno studio dal titolo “Taste alterations in cancer patients receiving chemo terapy: a neglected side effect?” di A. Zabernigg e al., The Oncologist 2010; 15: 913 – 920, in cui vengono discussi gli aspetti legati alla qualità della vita nel caso di trattamento chemioterapico.

In questo studio si dimostra che gli effetti di sede e i riflessi sulla qualità della vita sono assai frequenti nei soggetti trattati con chemioterapia, in una percentuale alta e allarmante, pari a circa il 69,9 % dei casi.

Specialmente i pazienti trattati con Irinotecan dimostrano un indice TAs, relativo agli effetti di sede, significativamente maggiore rispetto agli altri gruppi

Viceversa pazienti trattati con Gemcitabina e agenti a base di platino dimostrano un basso indice TAs.

Le maggiori associazioni fra TAs e qualità della vita (QOL) riguardano molte dimensioni della qualità della vita, specie la riduzione dell’appetito e l’astenia.

L’importanza della qualità della vita, quale parametro di riferimento della percezione dei trattamenti antitumorali, si percepisce da diversi lavori scientifici sul tema specifico, come quello dal titolo “Outcomes and quality of life following breast cancer treatment in oider women: When, why, how much, and what do women want?” di Jeanne Mandelblatt e al., 17 Septernber 2003, Health and Quality of life Outcomes, 2003, 1:45, nelle cui conclusioni si arguisce che, ad eccezione della dissezione ascellare, i processi di cura, e, non tanto, le terapie in quanto tali, sembrano essere i più importanti determinanti della qualità di vita a lungo termine delle pazienti anziane.

In particolare si è verificato che, nelle suddette pazienti, sono le interazioni e i decrementi delle funzioni, associate alle condizioni di comorbilità, che vengono prevalentemente associate ai trattamenti.

Per esempio, nel caso di pazienti diabetiche con neuropatia periferica, l’aggravarsi della condizione morbosa, in rapporto alle terapie antiblastiche,

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