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SATIRA XIII

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Academic year: 2021

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SATIRA XIII

Del mal del bene (il primo capitolo)

al signor Pietro Aretino

Questo e il seguente sono due capitoli che potremmo definire di non-elogio:

l’argomento “del mal del bene” – trattato in due diverse parti, entrambe dedicate

“al signor Pietro Aretino” – viene, in questo primo testo, articolato secondo stilemi

propriamente burleschi; dopo aver preso a soggetto il tema, infatti, l’autore ne passa

in rassegna le proprietà, i contrasti del nome e i diversi aspetti sotto i quali può

essere considerato, intrecciando una filastrocca di curiosi bisticci, ora ben riusciti,

ora diffusamente monotoni.

Signor Piero, la gente a voi dà ’l vanto che quanto al saper ben dir mal del male chi ne sa più di voi sa per incanto, oltra questo, l’è voce universale

che il grande stil, che la penna aretina 5 se vol dir ben del ben più ch’altra vale:

grazie che a pochi il Ciel largo destina1

ma pure ogni scrittor vecchio o moderno va farinoso di questa farina.

Chiunche vuol con inchiostro farsi etterno 10 o loda ’l bene o dice male e peggio

del male, e molti ’l cacciano all’inferno. Or, io che tolto ogni passo mi veggio da mostrare ’l mel dolce e amaro ’l tosco,

scrivendo a voi so’ uscito del carreggio: 15 s’io dico mal del mal, ben del ben vosco,

voi mi lasciate a dietro, e più saria

un portar acqua al fiume e legna al bosco2.

Mi son donque cacciato in fantasia

1 Cfr. Petrarca, Canzoniere CCXIII v. 1: «Gratie ch’ a pochi il ciel largo destina».

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di voler dirvi tanto mal del bene 20 ch’io vi mostri che il bene è cosa ria:

vedete pur che umore oggi mi viene

e se, togliendo a pelar questa gatta3,

stringar ben la gonnella mi conviene,

ma i versi via ne verranno a regatta4 25

per fare al bene un fregio sul mostaccio, ch’è nemico de’ versi a spada tratta.

Or, diamo dentro. Il bene è un benaccio,

una rogna franciosa del pensiero5,

un’amara dolcezza, un dolce impaccio, 30 ma per ben poter dirvene lo intero

faccio un protesto a’ saturnini umori 6

ch’io non vi parlo del ben vivo e vero: già salterebber su gli inquisitori

e mi dirian peggior che luterano 35 se i ben del Ciel non ne traggesse fuori.

Il ben di cui vi parlo è quel ben vano che tanto brama e cerca il mondo tutto senza poterlo mai toccar con mano.

Forse un pedante o logicuzzo asciutto 40 velo diffinirebbe in un momento

3 Avere o dare gatte a pelare vuol dire “impegnare se stessi o altri in compiti

difficili, fastidiosi e spesso infruttuosi, in imprese ardue e di esito incerto”.

4 La locuzione a regata vale “in concorrenza” o “con emulazione”; molti

vocaboli veneti, per natura senza la doppia, vengono talora usati, per ipercorrettismo, con la geminazione.

5 La «rogna franciosa del pensiero» significa, in senso figurato, “errore della

mente”.

6 Il poeta decide di fare in apertura una dichiarazione «a’ saturnini umori» per

non incorrere nell’accusa – considerata la sua volontà di scrivere “mal del bene” – di mettere in dubbio la bontà «del ben vivo e vero», vale a dire quello rappresentato da Dio (l’umor saturnino, genericamente meditabondo, riflessivo e insieme malinconico – perché, appunto, soggetto agli influssi che l’astrologia attribuiva al pianeta Saturno – , diventa qui quello tipico degli “inquisitori”, o comunque dei custodi della dottrina).

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che il bene è quel che ’l mal fa parer brutto. Io non curo toccarne ’l fondamento,

basta per or, che il ben di cui vi dico

è quasi un esser lieto, esser contento. 45 Il nome (prima) è sì vil, sì mendico

che, non avendo un verbo che l’aiti, mille carra di ben vagliano un fico. Come i pali sostengono le viti,

così “dir, far, volere, esser, avere” 50

sostengon questo bene al bene uniti7.

Posto come poca acqua in gran bicchiere di vino, il ben nel “dir” vien sì potente che il ciel volge e la terra a suo piacere.

Facea già il capucin stupir la gente, 55 trasecolar l’inferno, aprirsi ’l Cielo,

quando avea ’l bene e ’l “dire” unitamente, or è fatto nemico del Vangelo

perché dal verbo ’l nome tien disgionto,

né più il suo predicar si stima un pelo. 60 Se il bene al “dir” non fosse unito e aggiunto,

de’ Corneli, de’ Sisti e Todeschini sarebbe un cavol senza l’onto. Un galeon del ben de’ certosini

o de’ nostri moderni graffia santi8 65

senza ’l “far” verbo non val due quatrini. Mille sacca del ben di mille amanti

senza ’l verbo “volere” è in quella stima che a voi mai foro i Franchi e gl’albicanti.

7 Inizia qui la rassegna dei verbi che, accompagnando il “bene”, danno valore al

suo significato.

8 Graffiare i santi vuol dire “essere assiduo alle pratiche di devozione, più per

abitudine che per sincero spirito religioso”; quindi, graffiasanti vale “bacchettone, bigotto, ipocrita” (cfr. Aretino, Ragionamenti: «ella era una avemaria infilzata, una graffia santi e una scopa chiese»).

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Quanto ben mai diceste in prosa o in rima 70 del ben voi, tolto l’“esser”, saria stato

una vostra bugia, forse la prima. Il ben senza quel verbo inzuccherato

“avere” è proprio un mel senza dolcezza,

un sale sciocco e senza l’erba un prato. 75 Per questi cinque appoggi il ben s’apprezza,

s’attiene a lor come al manico i cesti, questi sono del ben guida e fortezza: e s’altro ’l favorisce appresso a questi,

sia qual si voglia, o da questi diriva 80 o in questi cinque è forza che s’annesti;

già senza ch’io più oltre ve ne scriva, voi potete veder se gli è furfante questo nome più gonfio che una piva.

E non di meno il mondo è sì ignorante 85 che s’un “da” al bene imbelletta la faccia,

lo stima per quel “da” mezzo gigante9:

un “da” se a caso innanzi il ben si caccia, li dona certo che dell’attrattivo

che nulla stringe e tutto ’l mondo abbraccia, 90 anzi, il mondo è venuto sì corrivo

che stima un tristo chi non ha tal nome o falso o vero o propio appellativo. Di qui vien che cercando un tal cognome

l’uomo si priva di piacer, di spassi, 95 e porta mille insoportabil some:

di qui dona via il suo, prodigo fassi l’avaro, un ch’abbia man large e forate

è tenuto uom da ben per fin da’ sassi10,

9 E dopo i cinque verbi, vengono ora elencati altri “appoggi”, grazie ai quali il

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di qui le belle donne inamorate 100 per parer “da” col verso d’un capretto

fanno lo schifo e muorano svogliate,

di qui più d’un santon ser Ciappelletto11

digiuna e fa il divoto all’età nostra,

la cui fede non va più su che ’l tetto, 105 per che l’ipocresia fa bella mostra

d’uomo da ben, se ben fosse un ribbaldo calonizzato per la penna vostra.

E talor (quel ch’è peggio) sotto ’l caldo

del “daben”, sotto un titol sì dannoso, 110 vederete ingannarvi, e state saldo:

vi taglierà la borsa di nascoso

un collo torto12, e vi farà forse anco

il capo più cornuto che peloso;

il “da ben” sì vi mostra ’l nero bianco 115 che a voi stesso parrebbe esser bugiardo

se “da bene” ’l teneste un’oncia manco. Già conobbi un da non fidargli il lardo di Quaresima, e sì dato all’amore

ch’io non so s’a sua madre avea riguardo, 120 il qual, per questo “da ben” truffatore,

dormia sicur con la sua innamorata, che niun pensava a mal né disonore; anzi, ella una da ben dalla brigata,

egli un da bene e mezzo era tenuto, 125

perché il “da ben” copria la cavolata13.

Sendo poi finalmente conosciuto

il ben col “da” per un bugiardo espresso14,

10 Persino ai sassi significa “da tutti”.

11 Il noto ser Ciappelletto della prima novella del Decameron di Boccaccio.

12 Il collotorto è l’ipocrita bigotto.

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non però lor negò porgere aiuto:

poste le sbarre in mezzo, fu permesso 130 talor vedersi, e alla da ben for dati

dugento scudi e più tolti a interesso; e gl’uomini ancor son tanto ingannati

da questo ben col “da” che alcun dice

che stavan casti in letto e non castrati. 135 Or, seguendo del “da” che fa felice

il ben, vo’ dir come sian conosciuti quegli a cui tal favor non si disdice. Dice un proverbio “I da ben son cornuti”,

proverbio nato in grembo alla natura 140 a fin che ognun l’esser da ben rifiuti:

quel dir cornuto è parola aspra e dura, e così, come ognun la fugge e sdegna così dovria fuggir questa bruttura.

Ma per chiarire onde il proverbio vegna, 145 o che gli è tratto da quegli animali

a cui la natura cotal voce insegna (capre, castroni, becchi, buoi e tali

che prononziano in voce bergamasca15

il ben lasciando l’n a’ dottrinali16); 150

o ver, convien che un tal proverbio nasca dall’impossibil, già che niun si vede mostrar corna, se ben corre alla frasca. Se vien dal primo, egli è indegno di fede

peroché niuna pecora è cornuta, 155 pur son tutte da be che ’l ben procede.

14 Vale a dire “dichiarato o manifestato esplicitamente”.

15 La parola bergamo può letteralmente stare per “bergamasco” ma, spesso, il

significato ha valore figurato: per “bergamasco” si sottintende sempre un discorso coperto o comunque qualcosa di ingarbugliato; così parlare in bergamo vale “discorrere in modo incomprensibile”.

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Se tal sentenza sia nata o cresciuta sul negativo è cosa manifesta che per falsa debb’esser conosciuta.

Son più di cento a cui ben quadra questa 160 parolaccia “da ben” che ’l mondo inganna,

né però lor vedrete corna in testa,

ma (com’io dissi) il veder sì n’appanna, con tal salsa n’aguzza l’appitito,

questo “da ben” più buso che una canna17, 165

che, non pur oggidì non è fuggito, ma non cura quale un corna né croce, per esser per da ben mostrato a dito. Suol dirsi ancor che il “da” presso alla voce

del becco ha certi contrasegni strani, 170 dimostrativi di quel ben che nuoce:

l’aver peli in le palme delle mani18

è il proprio segno de gl’uomini da bene come gli è propio l’abbaiar de’ cani,

benché aver visto mai non mi sovviene 175 tal contrasegno, e non credo che voi

ci abbiate pel, e credo creder ben. Donque, non sì trovando i segni suoi, seguita che nel mondo ch’è si grande

niun’è da ben come intendiamo noi. 180 Gli è in Piamonte un castel non molto grande

ch’ha nome “Bene”, onde gl’abitatori hanno pel mondo un privilegio grande, che, se ben fosser ladri e traditori,

son sempre uomin da Bene ovunche vanno, 185 né altri è da bene, o sia in Italia o fuori.

17 “Bucato (come lo è una canna)”, quindi “vano”.

18 Avere le mani pelose nelle palme significa “nascondere disonestà sotto modi

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Ma dureria questa predica un anno s’io vi dicessi tutti gl’accidenti

del ben col “da”, sì manifesto inganno.

Per non parer ribbalde oggi le genti, 190 molte famiglie antiche e generose

hanno i cognomi al nome “ben” parenti, e van le genti gonfiate e fastose

per esser Bentivoglie e Ben di die,

Beniviene, Benacce e Benacciose, 195 Benincasa, Benucce, Benadie

Ben assai, Ben voglienti e Benedetti19,

con altre mille o più benacciarie20.

Tutti spazza camini e cuopre tetti,

lasciando un Piero, Pol, Gianni e Martino, 200 per nome proprio lor “beni” son detti,

aggionto come il conio al bagattino a un de’ pali già detti che ’l sostegna, vi dà un nome gentil da ciavattino:

Nascin in ben, Ben vegnuto, Bentivegna, 205

nomi che sempre van dietro a’ tacconi21,

come strani appititi a donna pregna. Poi quelle goffe salutazioni

“ben ande, ben staghe”22 son proprio inganni

di questo ben da scacciar co’ bastoni. 210 Oltra mill’altri mascarati danni

questo nomaccio con un “per” al fianco ogni giorno ne dà cento malanni. Vi sarà detta ingiuria, e saravvi anco

19 Elenco di nomi di famiglie diffusi al tempo.

20 Benacciaria è la forma sostantivata che deriva da benaccio, antico toscano (già

accrescitivo di bene) che, in tono scherzoso, vale “affetto grande”.

21 Il taccone è propriamente la “pezza”; in senso figurato anche “correzione,

espressione copiata e malamente inserita” oppure “aggiunta inutile o erronea”.

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forse fatta in l’avere e in la persona 215 da qualche vieto, stomacoso e stanco:

il “per ben” ve lo scusa, il “per ben” dona ogni offesa, il “per ben dir, per ben fare” fa che il danno è stimato cosa buona.

Né son cent’anni ancor che fu un compare 220 che facendo per ben, ben ogni cosa,

per ben gonfiò la pancia alla comare. Or, doppo diceria tanto tediosa

del nome “ben, da ben, per ben”, mi resta

parlarvi sul quid rei23 di questa cosa. 225

E s’io v’ho, signor Pier, rotto la testa con tante ciance, incolpat’el soggetto, degno di maggior predica che questa: mettendo insieme il tralassato e ’l detto,

questa voce dappoca altro non suona 230 che romor, fumo e vento come un petto;

donque, il ben non puot’esser cosa buona. Ma per meglio sputargli nella faccia

prima vo’ desinar, poi doppo nona24

vi mostrerò che certo egli è cosaccia. 235

23 Latinismo crudo.

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