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CAPITOLO I IL QUARTIERE INDUSTRIALE DI POPULONIA

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Academic year: 2021

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CAPITOLO I

IL QUARTIERE INDUSTRIALE DI POPULONIA

I.1. Premessa

Populonia, unica città etrusca costiera, si affermò precocemente come punto di approdo e luogo strategico per le rotte tirreniche, grazie alla sua posizione privilegiata; ma fu anche uno dei principali poli industriali per lo sfruttamento e la lavorazione delle immense risorse minerarie che la zona offriva.

La zona "industriale" di Populonia, situata nella parte bassa della città, a breve distanza dalle necropoli sorte presso il mare, si è rivelata subito di notevole interesse nell'ambito degli studi su questa antica città, soprattutto tenendo conto del fatto che fino a qualche decennio fa l'attenzione per l'area urbana era decisamente secondaria rispetto a quella per le sue necropoli, in linea con le passate tendenze dell'investigazione archeologica (in particolare nel campo dell’Etruscologia). Non solo necropoli dunque: dobbiamo infatti ricordarci che Pupluna era in età etrusca un centro grande e vitale (si calcola che nel IV secolo a.C. fosse abitata da 6000 persone), i cui abitanti furono cercatori di metalli, minatori, operai siderurgici, commercianti di materie prime e prodotti finiti.

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Fig.1- Il quartiere industriale

all’interno del

Parco archeologico di Baratti e Populonia

Fig.2- Visione del Golfo di Baratti, dell’antica Populonia e del quartiere industriale

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Nel 1977- 1978 e nel 1980 la Soprintendenza Archeologica della Toscana, sotto la direzione dell'allora ispettrice Marina Martelli e con la collaborazione di Mauro Cristofani, all'epoca professore di Etruscologia presso l'Università di Siena, diede avvio ad un'accurata esplorazione archeologica nella città bassa; fu scelta un'area, sul Poggio della Porcareccia, potenzialmente molto interessante: la zona era infatti già nota per la presenza di tumuli orientalizzanti ancora emergenti (come la celeberrima Tomba dei Flabelli) e negli anni '50 era stata interessata da altri rinvenimenti di un certo spessore, come un "forno" presso il Tumulo dei Flabelli, un pozzo ed edifici (individuati precedentemente dal Minto negli anni'20).

Il sito specifico dello scavo è ubicato a mezza costa lungo il versante orientale del Poggio della Porcareccia, sovrastante la vallecola dove scorre il Fosso del Conchino; condividendo il medesimo destino delle necropoli populoniesi, esso è risultato disturbato dall'accumulo di scorie iniziato già nel IV-III secolo a.C. e dall'intervento invasivo di mezzi meccanici utilizzati per il loro recupero, che hanno creato voragini e crateri e quindi sconvolto strutture antiche, soprattutto quelle riferibili al cosiddetto “edificio B”.2

I due edifici affiancati esplorati durante le ricerche degli anni '70- '80, denominati A e B, sono a pianta rettangolare con muri a blocchi irregolari di pietra locale disposti a secco. Essi poggiano su uno strato di argilla nativa gialla, utilizzato per lo scavo di cavità, ovvero forni, pertinenti ai livelli di VI e V secolo a.C., di cui costituiva il fondo; questi forni erano generalmente ricoperti con argilla riportata o pietre refrattarie unite da un legante, mentre in un caso la copertura risulta effettuata con materiale biancastro che è risultato essere carbonato di calcio. Nei riempimenti delle cavità dei forni è stata rinvenuta un'abbondante quantità di ferro nonché

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frammenti di tuyères e di vasi, come tazze e piattelli in bucchero grigio. La ceramica rinvenuta nei diversi strati conta anche vasi di importazione greca, in particolare vasi attici a figure nere e rosse e a vernice nera.3 La situazione edilizia è piuttosto complessa: sono state riconosciute almeno tre fasi per questi edifici, apprezzabili soprattutto nell'edificio A, il meno compromesso dagli sconvolgimenti moderni.

I risultati a cui sono giunti Marina Martelli e Mauro Cristofani hanno consentito di retrodatare alla seconda metà del VI secolo a.C. l’inizio dell’attività siderurgica a Populonia, precedentemente fissata dal Minto alla fine del V secolo a.C. Con lo stanziamento delle abitazioni dei siderurgi nella zona della necropoli della Porcareccia si sarebbe trasformata ben presto in un'attività organizzata, regolata forse dall’autorità statale, in spazi appositamente destinati alla manifattura nei quali lavoravano operai, fabbri, artigiani forse non solo etruschi e, almeno in alcuni casi, alfabetizzati. La zona scelta è collocata fuori dalle mura urbane, tuttavia non lontano né dalla città né dagli approdi naturali, ricca di acqua e ben ventilata: tali caratteristiche, unite ai dati provenienti dagli edifici e al fatto che qui non sono state rinvenute tombe i cui corredi siano posteriori alla metà del VI secolo a.C., hanno portato a ritenere che la "vocazione metallurgica" di quest'area ebbe inizio già con il tardo arcaismo.

Alcune evidenze hanno inoltre convinto i due archeologi che il quartiere "industriale" fosse piuttosto esteso, sicuramente non limitato ai due edifici esplorati tra il 1977 e il 1981; innanzitutto sono da segnalare le strutture individuate dal Minto negli anni '20, poste a circa 50 m dalla zona di scavo della Soprintendenza e interessate nel 1978 da lavori di restauro e consolidamento per restituirle alla loro evidenza monumentale: da una

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visione generale dell'impianto questi edifici possono essere ritenuti omogenei a quelli denominati A e B. Al di fuori della cinta muraria sono inoltre segnalate altre zone di abitazione collegate all'attività metallurgica, come quella denominata "Campo Sei", purtroppo però assai compromessa dagli interventi moderni.

Ben consci della necessità di un prosieguo delle ricerche in quest'area per definire meglio la situazione dei quartieri industriali di Populonia, i due studiosi fissarono lo sviluppo di questa zona abitativa- produttiva fino almeno alla metà del IV secolo a.C.: importante il confronto con il Laurion e soprattutto con il quartiere industriale di Thorikos (Attica meridionale), dove lo sviluppo degli insediamenti manifatturieri fiorì nel V e nella prima

metà del IV secolo a.C.4

I.3. Le campagne di scavo 2004- 2006

Dopo gli scavi Martelli - Cristofani nei quartieri "industriali" si sono resi necessari nel 2004 nuovi interventi nell'area, sotto la guida della professoressa Marisa Bonamici, nel quadro di una felice collaborazione tra l'Università di Pisa (Dipartimento di Scienze Archeologiche), la Soprintendenza Archeologica della Toscana e l'Ente Parchi della Val di Cornia. L'obiettivo era quello di indagare l'edificio A in profondità ed estensione e di giungere a nuove interpretazioni alla luce delle più recenti acquisizioni nel campo dell'archeologia populoniese e della siderurgia etrusca. Le indagini si sono svolte in un più vasto quadro di esplorazioni promosse dalla Soprintendenza Archeologica della Toscana volto a definire le dinamiche d'occupazione della città bassa: questo aspetto è particolarmente interessante perché la fondazione degli edifici industriali dovette segnare necessariamente un cambio di destinazione di un'area occupata in età orientalizzante da sepolture di un certo livello.

4 MARTELLI 1981, pp. 171- 172

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L'intervento risultò doveroso non solo dal punto di vista scientifico, ma anche sul piano della conservazione e della valorizzazione delle strutture, in particolare nel momento in cui anche quest'area venne inserita nel percorso di visita del Parco archeologico di Baratti e Populonia. Infine era necessario porre di nuovo l'attenzione sugli edifici industriali di Populonia dal momento che la loro importanza era stata sottovalutata nell'ambito del dibattito archeologico, nonostante gli esiti piuttosto rilevanti ottenuti con le ricerche di Martelli e Cristofani.

Gli sforzi si sono concentrati su quello che negli scavi precedenti era stato denominato edificio A, più arretrato rispetto alla riva del mare e meno corrotto dagli interventi moderni; sono stati eseguiti due saggi: il saggio A, in un vano periferico del quale emergevano le creste dei muri, e il saggio

B, in un ambiente già parzialmente scavato. 5 Grazie alla sequenza

stratigrafica restituita con le nuove esplorazioni, è stato possibile ricostruire le fasi strutturali del complesso.

I FASE

La prima fase di occupazione del sito risale ad un'epoca anteriore alla vera e propria costruzione del complesso edilizio ed è rappresentata da due lacerti di muro risalenti al pieno VI secolo a.C.: sono il muro n. 12, riutilizzato successivamente dal recinto pertinente all'edificio, e il n. 29, obliterato con la costruzione del complesso. E' attestata, in connessione stratigrafica con questo antico recinto, un'intensa attività di arrostimento del minerale, evidente in corrispondenza del vano A: questo dimostra come Populonia abbia affermato abbastanza precocemente la propria egemonia nel distretto del ferro, controllandone direttamente la lavorazione e la commercializzazione.

II FASE

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Verso la fine del VI secolo a.C. (o poco dopo) venne edificato il complesso (muri n. 12, 1 232, 24, 25, 17,7, 26, 36, 38, 19, 20, 21, 23, 6, 16), nella cui messa in opera possono essere distinte due sottofasi ravvicinate, da ritenersi come stadi tecnici della costruzione più che momenti distinti. Per primo venne realizzato il vano A, rappresentato dai muri n. 1, 12, 24, 25; subito dopo vennero aggiunti gli ambienti coperti e contigui B e C, separati tra loro dal muro n.37. I tre vani A, B, C si affacciano su un cortile all'aperto (recinto D), delimitato dai muri n.12 e 14, che ha l'ingresso sul lato orientale.

Il vano A, già parzialmente scavato, nell'angolo nord-orientale del complesso, è interpretato come ambiente coperto; è stata restituita la seguente successione stratigrafica:

- piano pavimentale costituito da argilla pressata e coperto da uno spesso strato di ematite (probabilmente elbana) frantumata e ridotta in polvere, dal caratteristico aspetto luccicante e violaceo, databile verso la fine del V secolo a.C. (US 110)

- livello di rialzamento costituito da scorie di lavorazione in giacitura secondaria, di pieno V secolo a.C. (US 112-114)

- piano pavimentale che segna la prima occupazione dell'ambiente e quindi dell'edificio, tra fine VI e inizio V secolo a.C. (US 120); anche da questo strato sono stati recuperati cospicui residui dell'attività di frantumazione del minerale.

Si può affermare quindi che fin dalla prima occupazione almeno uno dei vani coperti (vano A) fu utilizzato per ospitare la lavorazione metallurgica e nello specifico la frantumazione del minerale, operazione preliminare e preparatoria alla vera e propria riduzione entro fornaci. I dati stratigrafici indicano inoltre che questa attività fu praticata in almeno due momenti: gli

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ultimi decenni del V sec a.C. (US 110) e i primi decenni del medesimo secolo (US 120). E' da sottolineare come ci si trovi di fronte alla prima evidenza in assoluto di questa fase del procedimento siderurgico, per di più in giacitura stratigraficamente certa e cronologicamente piuttosto antica. Successivamente nella parte occidentale dei vani B e C venne realizzato un sistema di bacini a tenuta idraulica, ricavati sfruttando la naturale pendenza del terreno, così da garantire che essi fossero collocati a una quota sopraelevata rispetto al resto dell'edificio. Queste vasche erano fiancheggiate da due canalette adiacenti ai muri perimetrali rivolti verso Ovest e verso Nord. Questo apparato serviva sicuramente per contenere e far defluire i liquidi e lo dimostrano le tracce di rivestimento in calce bianca e le bocchette che si aprono sui muri perimetrali in corrispondenza proprio dell'impianto. Qui si lavava il minerale per eliminare la parte terrosa dalla roccia metallifera.

Il vano C, anch'esso coperto, era collegato al cortile all'aperto D grazie ad una stretta apertura e doveva avere la stessa funzione del vano A. Lo scavo ha portato a riconoscere due livelli di frequentazione:

- piano di calpestio (US 299) di inizio V secolo a.C., riferibile alla prima occupazione del vano; qui sono state rinvenute tracce di frantumazione del minerale e un impianto costituito da una cavità (US 275) a pianta pseudo- circolare dotata di un tubulo fittile per l'immissione di acqua ottenuto con un coppo. Data l'assenza di carboni e di qualsiasi residuo di lavorazione del minerale, si ipotizza che si tratti di un bacino per la decantazione dell'argilla.

- livello più recente (US 271), databile nel pieno V secolo a.C., coperto da uno strato di polvere di ematite, come nel vano A

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Da tutti questi dati si è potuto stabilire che nella prima fase di vita dell'edificio, nei vani coperti si svolgevano le attività che precedono il vero e proprio arrostimento e cioè lavaggio e frantumazione del minerale e preparazione dell'argilla.

Le operazioni di combustione del minerale e di lavorazione a fuoco del metallo, che comportavano l'uso intensivo del fuoco e il raggiungimento di temperature molto elevate, si svolgevano nei dintorni dell'edificio ma di certo non al suo interno; sono state rinvenuti infatti resti di forni e di forge in situ databili alla metà del V secolo a.C., e quindi ad un livello precedente la messa in opera del cortile E, in una zona adiacente alla fabbrica verso Ovest.

III FASE

Verso la fine del V secolo a.C. (o inizio del IV secolo a.C.) l'edificio venne interessato da una ristrutturazione collegata ad un ampliamento delle sue funzioni. La novità più importante è la realizzazione, nella zona adiacente al muro perimetrale Ovest, di un recinto scoperto (E): qui sono state portate alla luce fornaci e altri apprestamenti siderurgici in una sequenza continua dalla fine del V secolo a.C. alla prima metà del III secolo a.C. La presenza di queste strutture era stata già segnalata durante la precedente esplorazione nei livelli sottostanti l'edificio ma non nell'ambito dello stesso: questo mancato rinvenimento dipende dal fatto che i vecchi scavatori si erano occupati dei vani coperti A, B, C e del cortile adiacente (D), mentre la lavorazione a fuoco era collocata entro il cortile E, esplorato solo con i successivi scavi.

Il vano E, all'estremità sud-occidentale del complesso, è stato scavato interamente in occasione delle più recenti campagne di scavo. Qui sono stati trovati apprestamenti siderurgici sovrapposti in una sequenza continua

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dalla fine del V sec a.C. alla prima metà del III sec a.C.; è interessante in particolare un potente strato con resti di fornaci di arrostimento in situ, collocabile nella prima metà del III sec a.C.: durante la rimozione di questo strato sono stati identificati tre cumuli di resti di lavorazione, due dei quali addossati ai muri perimetrali e alloggiati entro cavità rivestite di pietrame e di grossi frammenti ceramici (US 103-111, 107, 117-118). Lo strato di obliterazione delle strutture è costituito da terra mista a pietrame e scorie, nonché ceramiche databili intorno alla metà del III secolo a.C. (US101)

Nei vani coperti A, B, C, si rileva una nuova pavimentazione consistente in un piano d'argilla pressata che oblitera le vasche dei vani B e C ma non la canaletta adiacente ai muri perimetrali, che mostra, in corrispondenza del vano C, un fondo rialzato da pietre, tegole, e grossi frammenti vascolari. In questa fase i vani ricoprono una nuova funzione e cioè lo stoccaggio di

ceramiche importate e forse di materie prime pregiate.

Quest’interpretazione si accorda con i livelli ricchissimi di ceramiche di alto livello qualitativo e contenitori di derrate come olle e anfore, che i precedenti scavi avevano già riportato alla luce. Infine è stato rilevato che nel vecchio cortile D probabilmente si svolgevano le attività di trattamento preliminare del minerale, in continuità con la fase precedente.

IV FASE

La fase più recente nella storia degli stabilimenti industriali è piuttosto incerta ed è rappresentata da livelli di crollo. L'occupazione dell'edificio, o almeno parte di esso, a scopo residenziale cessò tra la fine del IV e l'inizio del III secolo a.C. così come furono sospese quelle attività compatibili con la presenza umana tra cui, sembrerebbe, il trattamento preliminare dell'ematite. Il momento di disattivazione dell'edificio è da collocarsi verosimilmente nel primo quarto del III secolo a.C., sia sulla base della

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sequenza stratigrafica, sia dei materiali a vernice nera. Successivamente nell'edificio, che era ormai un rudere senza copertura, si installò un'attività di riduzione del minerale, sicuramente inconciliabile con una frequentazione umana a scopo abitativo, dato che comportava l'uso del fuoco ad altissime temperature. Dopo quest’ultima fase la zona venne abbandonata e ricoperta da cumuli di scorie ferrose, frutto di un’intensa

attività manifatturiera nel periodo delle guerre puniche.6

Con i nuovi dati a disposizione, che arricchiscono e completano quelli forniti dai precedenti scavi, è stato possibile tentare un'interpretazione del sito, suscettibile naturalmente di future integrazioni e modifiche. La fabbrica, così come probabilmente quella adiacente non esplorata, venne eretta in un'area esterna alla cerchia urbana, non più utilizzata come necropoli, che ospitava già un'attività di lavorazione del minerale ferroso all'aperto, con tanto di forni di arrostimento; alcuni reperti rinvenuti durante le operazioni di scavo si ricollegano proprio alle operazioni di arrostimento come frammenti di tuyères, porzioni di pareti di forno, mattoni crudi bruciati pertinenti alla fornace, ciottoli utilizzati come pestelli, scorie.. Per quanto riguarda la funzione si può affermare con certezza che la destinazione industriale dell'edificio fu tale fin dalla sua edificazione, protraendosi per un lungo periodo (prima metà VI- metà III secolo a.C.): questo può definitivamente mettere a tacere una corrente che vorrebbe post-datare e sottovalutare il ruolo di Populonia nella lavorazione del minerale ferroso, sia locale che elbano. E’ stato possibile ricostruire almeno nelle sue linee fondamentali come si doveva svolgere l’attività siderurgica. Il materiale grezzo era organizzato in cumuli che poggiavano in fosse scavate artificialmente nel suolo e che si elevavano sul livello del terreno. Per la combustione veniva usato carbone vegetale, di cui si

6 BONAMICI 2007 A, pp. 93-94, 96, 100- 101, BONAMICI 2006, pp. 257; BONAMICI 2007 B pp. 432- 437; Etruria mineraria, p. 84

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conservano impronte sotto forme di vacuoli entro scorie, ma anche frammenti integri; durante il processo le scorie ferrose probabilmente defluivano allo stato liquido attraverso un’apertura apposita e scorrevano entro una canaletta. Questo spiegherebbe l’assenza tra i resti delle strutture dei forni, di scorie ferrose.

I vani ospitarono non solo attività industriali e artigianali, ma furono occupati anche a scopo abitativo, come dimostra il repertorio ceramico, ovvero da un lato il suo alto grado di ricomponibilità dall'altro il numero elevato di materiali figurati e iscritti. In particolare nel vano A, al di sotto del livello delle fornaci, è emerso uno strato in cui mancano tracce della lavorazione metallurgica ma non certo testimonianze di vita: il materiale qui prelevato infatti, risalente alla seconda metà- fine IV sec a.C., è composto da materiale di tipo domestico, con contenitori da dispensa (olle, anfore vinarie, pelves) e vasellame fine da mensa (ceramica a vernice nera attica ed italica e ceramica figurata sovradipinta sia locale che etrusco- meridionale). E’ evidente che l’attività manifatturiera del vano è successiva al suo utilizzo a scopo abitativo anche se già a questo livello cronologico dovevano svolgersi alcune attività produttive legate allo stoccaggio e allo scambio di merci e alimenti pregiati, come emerge dalla presenza di ceramiche di alto livello e di numerosi vasi- contenitori.

Ma chi risiedeva in questa parte della città bassa di Populonia, nel cuore pulsante delle attività produttive? Si può fare qualche ipotesi: sicuramente artigiani, mercanti, forse anche individui di condizione servile e di origine straniera. La presenza di iscrizioni su vasi, anche su ceramica “comune” di qualità non elevata, potrebbe attestare un certo livello di alfabetizzazione, almeno per quanto riguarda alcuni componenti della comunità.

Nel vano D è stata scoperto un frammento di terracotta architettonica, più precisamente una sima laterale dipinta sulla sponda con un motivo a

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meandro a fasce rosse e nere e sulla faccia inferiore con un fregio di losanghe affiancate a contorno nero con, all’interno, piccole losanghe campite in rosso: i modelli più puntuali, soprattutto per quanto riguarda la decorazione, sono etrusco- meridionali di età tardo-arcaica. E’ stata esclusa l’appartenenza di questo elemento di copertura al tetto del complesso industriale perciò si è pensato, come edificio di pertinenza più probabile, ad un edificio sacro sorto nei dintorni del quartiere industriale per le esigenze religiose dei suoi abitanti.

Infine per quanto riguarda la cronologia dell'edificio è stato possibile sostanzialmente proseguire sulla strada tracciata dai precedenti scavatori: esso fu eretto verso la fine del VI secolo a.C. e venne abbandonato intorno alla metà del III sec a.C. Si può sicuramente calare la microstoria del sito in un quadro più ampio, cioè essa deve essere letta alla luce degli avvenimenti che interessarono la città di Populonia, il mondo etrusco e le potenze che nel corso dei secoli si sono incontrate e scontrate sul Mar Tirreno. La fase più antica dell'edificio si pone a conclusione di un periodo di tensioni e conflitti, culminato nella battaglia di Alalia o del Mar Sardo (540 a.C.), che ridimensionò la vitalità e la preponderanza delle metropoli dell'Etruria Meridionale (soprattutto Caere) sul distretto minerario e sullo sfruttamento dei giacimenti di ferro elbani: Populonia non può che aver beneficiato dei nuovi equilibri che si erano venuti a creare nell'area tirrenica e che la riguardavano così da vicino.

La ristrutturazione dell'edificio, che lo rende un complesso polifunzionale destinato alla produzione e allo scambio, coincide con un momento storico che vede la presenza siracusana nell'area mineraria e il potenziamento del porto di Populonia, che ormai accentra e detiene il monopolio della lavorazione e dello smercio del minerale; inoltre la città assume il ruolo di centro primario per lo scambio e le importazioni di merci pregiate. A conferma dei privilegi e del nuovo ruolo di Populonia in questo "regime di

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protettorato" c'è d'altra parte l'abbandono, dalla seconda metà del V secolo a.C., di alcuni piccoli centri costieri del distretto populoniese dediti ad attività metallurgiche, come Fonteblanda presso Orbetello e Rondelli presso Follonica7. Il dato cronologico più tardo che riguarda l'edificio si colloca infine in un momento storico di generale insicurezza dovuto alla crescente presenza di Roma nell'area; a Populonia venne realizzata la seconda imponente cinta muraria, il cui tracciato isolava il promontorio dall'entroterra e quindi escludeva di fatto il vecchio quartiere industriale

dall'ambito urbano, causandone un'inevitabile decadenza.8

Fig.3- Edificio industriale A: planimetria delle strutture (aggiornata a ottobre 2006)

7 ARANGUREN 2004, pp. 323-338 8

BONAMICI 2007 A pp. 91-93 e 97- 98, 102; BONAMICI 2007 B, pp. 437-438, 441-442; BONAMICI 2006, pp.259-260

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Fig.4- Visione aerea della zona industriale Populonia, in particolare dell’edificio A N

Fig.5- Il

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Fig.6- Il cortile D

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