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Correlazione tra biopsia solida e liquida nella gestione dei pazienti affetti da adenocarcinoma polmonare: uno studio prospettico.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea

Correlazione tra biopsia solida e liquida

nella gestione dei pazienti affetti da

adenocarcinoma polmonare: uno studio prospettico.

Candidato Relatore

Claudia Meschi Chiar.mo Prof. Antonio Palla

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Indice

Indice delle figure ... 3

Indice delle tabelle ... 4

Elenco delle abbreviazioni ... 5

Riassunto ... 7

Capitolo 1. Il tumore del polmone ... 10

1.1 Epidemiologia ... 10

1.2 Fattori di rischio ... 13

1.3 Patogenesi ... 20

1.4 Cenni di anatomia patologica ... 24

1.5 Caratterizzazione molecolare ... 26 1.5.1 Mutazioni di EGFR ... 27 1.5.2 Mutazioni di KRAS ... 32 1.6 Diagnosi ... 35 1.7 Screening ... 39 1.8 Stadiazione e prognosi ... 40 1.9 Trattamento ... 47

1.9.1 Farmaci inibitori tirosin chinasici di EGFR ... 51

Capitolo 2. Il DNA tumorale circolante (ctDNA) ... 55

2.1 Aspetti biologici del ctDNA ... 55

2.2 Vantaggi e limiti del ctDNA ... 58

(3)

Capitolo 3. Correlazione tra biopsia solida e liquida nella gestione dei pazienti

affetti da adenocarcinoma polmonare. ... 65

3.1 Scopo della tesi ... 65

3.2 Materiali e metodi ... 66

3.2.1 Pazienti arruolati nello studio ... 66

3.2.2 Procedure e strumenti ... 67

3.2.3 Analisi statistica ... 71

3.3 Risultati ... 72

3.3.1 Caratterizzazione molecolare: biopsia solida versus biopsia liquida ... 72

3.3.2 Risposta al trattamento nei pazienti EGFR mutati su ctDNA ... 77

3.3.3 Descrizione dettagliata di due casi clinici ... 83

3.4 Discussione ... 87

3.5 Conclusioni ... 94

Bibliografia ... 96

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Indice delle figure

Figura 1. Frequenza delle principali mutazioni geniche presenti nel NSCLC. ... 26

Figura 2. Rappresentazione schematica della struttura del recettore EGFR. ... 27

Figura 3. Rappresentazione schematica delle vie di trasduzione del segnale di EGFR. 28 Figura 4. Rappresentazione schematica della via di trasduzione del segnale di KRAS. 33 Figura 5. Caratteristiche molecolari della popolazione in studio, in percentuale. ... 72

Figura 6. Mutazioni di EGFR alla biopsia solida, in percentuale... 73

Figura 7. Mutazioni di KRAS alla biopsia solida, in percentuale. ... 74

Figura 8. Mutazioni a carico di altri oncogeni alla biopsia solida, in percentuale. ... 74

Figura 9. Curve di Kaplan-Meier per pazienti EGFR positivi e WT su ctDNA. ... 81

Figura 10. Curve di Kaplan-Meier per pazienti con Δct > o < del valore mediano. ... 82

Figura 11. Evoluzione clinica della paziente A. ... 84

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Indice delle tabelle

Tabella 1. Classificazione clinica TNM: settima e ottava edizione a confronto. ... 42

Tabella 2. Stadiazione TNM: settima e ottava edizione a confronto. ... 42

Tabella 3. Scala ECOG del Performance Status. ... 46

Tabella 4. Principali studi di confronto diretto fra trattamento di prima linea con TKI e chemioterapia nei pazienti EGFR mutati... 49

Tabella 5. Sensibilità e specificità delle diverse metodiche di analisi del ctDNA. ... 59

Tabella 6. Mutazioni di EGFR: confronto tessuto-plasma. ... 75

Tabella 7. Sensibilità e specificità dell’analisi di EGFR su plasma. ... 75

Tabella 8. Mutazioni di KRAS: confronto tessuto-plasma. ... 76

Tabella 9. Sensibilità e specificità dell’analisi di KRAS su plasma. ... 76

Tabella 10. Caratteristiche clinico-molecolari dei pazienti EGFR mutati. ... 78

Tabella 11. Trattamento con inibitori tirosin chinasici e loro efficacia. ... 79

Tabella 12. Presenza o assenza di mutazione EGFR su plasma, mesi di trattamento con TKI e presenza o assenza di progressione di malattia nei pazienti EGFR mutati su tessuto... 80

Tabella 13. Δct, mesi di trattamento con TKI e presenza o assenza di progressione di malattia nei pazienti EGFR mutati su plasma. ... 82

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Elenco delle abbreviazioni

ADH: ormone antidiuretico

AOUP: Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana

APUD: captazione e decarbossilazione di precursori aminici ATP: adenosina trifosfato

BPCO: broncopneumopatia cronica ostruttiva CEA: antigene carcino-embrionale

Cellule NK: cellule Natural Killer cfDNA: DNA libero circolante cfRNA: RNA libero circolante ctDNA: DNA tumorale circolante CTC: cellule tumorali circolanti ddPCR: droplet digital PCR DNA: acido desossiribonucleico DOR: Odds Ratio diagnostico

EBUS-TBNA: broncoscopia con agoaspirato transbronchiale ecoguidato ECOG: Eastern Cooperative Group

EGFR: recettore del fattore di crescita dell’epidermide

EUS-FNA: agoaspirato con ago sottile sotto guida endoscopica GDP: guanosina difosfato

GTP: guanina trifosfato

HB-EGF: fattore di crescita EGF-simile legante l’eparina HR: Hazard Ratio

IARC: Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro IC: intervallo di confidenza

K3EDTA: acido etilendiamminotetraacetico tri-potassico LNA: Locked Nucleic Acid

MALDI-TOF: Matrix-Assisted Laser Desorption and Ionization – Time Of Flight NGS: Next-Generation Sequencing

NSCLC: carcinoma polmonare non a piccole cellule ORR: tasso di risposta oggettiva

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P: livello di significatività

PCR: reazione a catena della polimerasi PET: tomografia a emissione di positroni PFS: sopravvivenza libera da progressione PI3K: fosfatidilinositolo-3-chinasi

PS: Performance Status

RAS-GAP: proteine che attivano le GTPasi specifiche per RAS

RAS-GEF: fattori di scambio del nucleotide guanilico specifiche per RAS RECIST: Response Evaluation Criteria In Solid Tumors

RM: risonanza magnetica

SBRT: radioterapia stereotassica corporea SCLC: carcinoma polmonare a piccole cellule TBNA: agoaspirato transbronchiale

TC: tomografia computerizzata

TGF-α: fattore di crescita trasformante alfa TKI: inibitore della tirosin chinasi

TKI-EGFR: inibitore delle tirosin chinasi di EGFR TNM: tumore, linfonodo, metastasi

TTF: tempo al fallimento terapeutico TTF-1: fattore di trascrizione tiroideo 1 UDP: uridina difosfato

UV: raggi ultravioletti VATS: videotoracoscopia

VEGF: fattore di crescita dell’endotelio vascolare WHO: World Health Organization

WT: Wild Type

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Riassunto

Background

Il tumore del polmone rappresenta la principale causa di morte per patologia neoplastica a livello mondiale. La prognosi infausta è legata principalmente alla difficoltà nell’effettuare una diagnosi precoce e al riscontro di tale neoplasia in fase avanzata nella maggior parte dei casi.

L’adenocarcinoma è il più frequente tra i quattro istotipi principali di tumore polmonare, presentandosi in circa il 40% dei pazienti, in particolare di sesso femminile e non fumatori, con un’incidenza in costante aumento.

Mutazioni del gene EGFR sono descritte nel 10-15% dei casi di adenocarcinoma polmonare e rappresentano un fattore predittivo di risposta al trattamento con inibitori tirosin chinasici. Infatti, gefitinib, erlotinib o afatinib sono impiegati nel trattamento di prima linea di elezione nei pazienti con tumore del polmone in stadio IIIB-IV con mutazione di EGFR. Pertanto, la diagnosi molecolare di tali mutazioni, insieme alla diagnosi istologica, sono indispensabili per un corretto approccio terapeutico. Tuttavia, la diagnosi cito-istologica tramite broncoscopia o biopsia TC guidata in alcuni casi risulta problematica e il materiale prelevato non sufficiente o non idoneo per l’analisi molecolare. Dunque la determinazione dello stato mutazionale della neoplasia sul plasma (biopsia liquida) potrebbe rappresentare un’alternativa alla diagnosi molecolare su campione cito-istologico.

Obiettivi

L’obiettivo primario dello studio consiste nel valutare la correlazione tra l’analisi molecolare condotta sul plasma e quella eseguita sul materiale bioptico in pazienti con nuova diagnosi di adenocarcinoma polmonare.

L’obiettivo secondario consiste nel valutare l’impatto della presenza e della quantità relativa (ΔCt) delle mutazioni di EGFR, riscontrate sul plasma alla diagnosi, sulla progressione libera da malattia, nei pazienti in trattamento di prima linea con inibitore tirosin chinasico di EGFR.

Inoltre, sono descritti nel dettaglio due casi clinici nei quali la caratterizzazione molecolare su DNA tumorale circolante è stata ripetuta durante il trattamento,

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Materiali e metodi

Tra Febbraio 2015 e Febbraio 2017 sono stati arruolati 382 pazienti con sospetto clinico di tumore polmonare presso il servizio di pneumo-oncologia dell’Unità Operativa di Pneumologia Universitaria e la sezione di Endoscopia Toracica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana.

Nei 152 pazienti con adenocarcinoma polmonare è stata determinata la presenza di mutazioni su un prelievo istologico mediante la piattaforma Sequenom Mass Array® iPLEX. La presenza delle mutazioni di EGFR e KRAS è stata valutata anche su un prelievo di sangue raccolto contestualmente alla procedura diagnostica, mediante Real-Time PCR. Tutte le analisi cito-istologiche e molecolari sono state effettuate presso il laboratorio di Patologia Molecolare dell’Unità Operativa di Anatomia Patologica III Universitaria dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana.

Risultati

La concordanza dei risultati ottenuti dall’analisi di EGFR su biopsia liquida con quelli ottenuti dall’analisi su biopsia solida è risultata dell’84.2%, con una sensibilità del 62.5% e una specificità del 100%.

La concordanza dei risultati ottenuti dall’analisi di KRAS su biopsia liquida con quelli ottenuti dall’analisi su biopsia solida è risultata del 75.3%, con una sensibilità del 52.8% e una specificità del 100%.

Nei pazienti che presentavano la mutazione di EGFR sul tessuto, e che dunque hanno ricevuto il trattamento con inibitori tirosin chinasici, non sono state evidenziate differenze significative in termini di sopravvivenza libera da progressione in presenza o assenza della mutazione di EGFR sul DNA tumorale circolante (p-value: 0.45). Anche la correlazione tra il valore di Δct dei pazienti mutati sul plasma e la risposta al trattamento non è risultata statisticamente significativa (p-value: 0.32).

In due casi clinici, l’analisi delle mutazioni di EGFR durante il trattamento e al momento della progressione di malattia ha consentito di individuare la presenza di una seconda mutazione di EGFR, ovvero la mutazione di resistenza T790M. In entrambi i casi, la presenza della mutazione è stata confermata sulla rebiopsia ma, in associazione a questa, il preparato istologico ha consentito di identificare la presenza dell’amplificazione di MET in un caso e della trasformazione in carcinoma squamoso nell’altro, due ulteriori meccanismi di resistenza acquisita.

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Conclusioni

La biopsia liquida può rappresentare uno strumento utile nella diagnosi molecolare dei pazienti affetti da adenocarcinoma polmonare. Con le metodiche attualmente a disposizione la sensibilità diagnostica è inferiore a quella sul tessuto, tuttavia la biopsia liquida potrebbe essere impiegata in quei pazienti in cui non è possibile reperire materiale cito-istologico sufficiente o idoneo per la caratterizzazione molecolare.

Nella diagnosi del meccanismo di resistenza acquisita, la facile ripetibilità della biopsia liquida potrebbe giocare un ruolo importante nella precoce identificazione della mutazione T790M, consentendo di anticipare l’evidenza radiologica di progressione. Tuttavia, a causa dell’elevata eterogeneità dei meccanismi di resistenza acquisita al trattamento, la biopsia liquida è da considerarsi uno strumento complementare e non sostitutivo della rebiopsia.

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Capitolo 1. Il tumore del polmone

1.1 Epidemiologia

Il tumore del polmone rappresenta la principale causa di morte per patologia neoplastica. Nel 2012 sono stati stimati 1.8 milioni di nuovi casi, pari a circa il 13% dei tumori maligni diagnosticati nella popolazione generale.

Rappresenta infatti la neoplasia più frequente nel sesso maschile (1.241.600 nuovi casi) e la terza per incidenza nel sesso femminile (583.100 nuovi casi) a livello mondiale1. L’incidenza aumenta con l’età, raggiungendo il picco massimo tra la sesta e la settima decade di vita2.

Negli Stati Uniti il tumore del polmone è la seconda neoplasia più diagnosticata sia nel sesso maschile (14% delle diagnosi di neoplasia) che nel sesso femminile (12% delle diagnosi di neoplasia). I nuovi casi attesi nel 2017 sono 222.500, ovvero circa il 25% del totale delle neoplasie stimate3. Gli individui di razza afroamericana risultano più colpiti rispetto ai caucasici2, mentre i tassi più bassi di incidenza si registrano nella popolazione americana di razza ispanica e asiatica, nei nativi americani e negli indigeni dell’Oceania4.

In Italia nel 2016 sono state fatte 40.000 nuove diagnosi di tumore del polmone nella popolazione generale, corrispondenti all’11% delle nuove diagnosi di neoplasia (delle quali il 15% nei maschi e il 6% nelle femmine). Secondo le stime più recenti infatti un uomo su 10 e una donna su 38 possono sviluppare un tumore del polmone nel corso della loro vita5.

Nel tempo il rapporto di incidenza tra i due sessi ha subito variazioni significative, principalmente in relazione alla progressiva diffusione dell’abitudine tabagica tra le donne3,6. A partire dalla Seconda Guerra Mondiale infatti il consumo di tabacco, che rappresenta il principale fattore di rischio per neoplasia polmonare, ha iniziato a essere comune anche nel sesso femminile, raggiungendo il suo picco di diffusione intorno agli anni ’607. Pertanto negli Stati Uniti l’incidenza del tumore del polmone nelle donne ha iniziato ad aumentare significativamente a partire dal 1973, raggiungendo il plateau alla fine degli anni ’90, con un decennio di ritardo rispetto a quanto si è verificato nel sesso maschile3,8.

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L’incidenza nei maschi, in relazione a una riduzione del numero di fumatori, si è ridotta a partire dalla metà degli anni ‘80, mentre nelle donne si è verificata una modesta riduzione solo a partire dai primi anni 2000. Dal 2004 al 2013 il tasso d’incidenza è andato riducendosi di circa il 2% annuo negli uomini e dell’1% annuo nelle donne3.

Per quanto riguarda la mortalità, i dati mondiali più recenti confermano il tumore del polmone come prima causa di morte per neoplasia nel sesso maschile (1.098.700 morti) e seconda causa di morte per neoplasia nel sesso femminile (491.200 morti), rendendosi complessivamente responsabile di circa 1.6 milioni di morti, circa il 20% delle morti per patologia neoplastica1.

Negli Stati Uniti è la principale causa di morte per neoplasia in entrambi i sessi: per il 2017 sono attese 155.870 morti per tumore del polmone3. Il tasso di mortalità in funzione dell’etnia riflette quello d’incidenza2.

In Italia rappresenta invece la prima causa di morte per neoplasia nei maschi (26% delle morti per cause oncologiche) e la terza causa nelle femmine (11% delle morti per cause oncologiche). Secondo i dati Istat più recenti, nel 2013 si sono verificate 33.483 morti per tumore del polmone. Si stima infatti che un uomo ogni 11 e una donna ogni 46 corrano il rischio di morire a causa di tale patologia5.

Analogamente a quanto riportato per l’incidenza, anche la mortalità ha risentito delle differenze nella diffusione dell’abitudine tabagica nei due sessi nel corso del tempo. Negli Stati Uniti la mortalità per carcinoma polmonare nel sesso femminile, dopo aver riflettuto l’incremento del consumo di tabacco, si è stabilizzata per la prima volta soltanto nel 2003, ovvero con due decenni di ritardo rispetto a quanto avvenuto per il sesso maschile9. Secondo i dati più recenti, attualmente negli Stati Uniti sia la mortalità maschile che quella femminile si stanno riducendo, anche se quest’ultima più lentamente rispetto a quella dell’altro sesso: infatti dal 2010 al 2014 il tasso di mortalità per tumore polmonare si è ridotto del 3.5% annuo negli uomini e del 2% annuo nelle donne3.

Un trend significativamente differente si registra invece in molti paesi europei10, come ad esempio l’Italia: i dati italiani più recenti registrano infatti un decremento della mortalità nei maschi pari al costante incremento della stessa nelle femmine (2.6% annuo)5. In generale in Europa, ma anche in altre parti del mondo, i tassi di mortalità femminile per tumore del polmone risultano ancora in aumento in quei paesi in cui l’abitudine al fumo si è diffusa tra le donne più tardivamente rispetto a quanto avvenuto

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Per quanto riguarda invece la sopravvivenza a 5 anni, questa risulta maggiore per le donne (21%) rispetto agli uomini (16%) in quanto il sesso femminile mostra migliori risposte al trattamento, indipendentemente dallo stadio, dall’istologia e dalla modalità terapeutica impiegata4,13.

In Italia la sopravvivenza a 5 anni è pari al 14.3%, ovvero risulta più elevata rispetto alla media europea (13%), ma inferiore a quella americana (17.7%)5,14.

La sopravvivenza a 5 anni varia significativamente in relazione allo stadio di malattia alla diagnosi: 55.2% in caso di malattia localizzata; 28% in caso di diffusione loco-regionale di malattia; 4.3% in caso di malattia metastatica.

In generale, nonostante le innovazioni diagnostiche e terapeutiche introdotte nella pratica clinica, la prognosi di questa patologia risulta infausta, in quanto la maggior parte delle diagnosi avviene quando la neoplasia è già in fase metastatica3.

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1.2 Fattori di rischio

Numerosi fattori esogeni ed endogeni sono in grado di incrementare la probabilità che un soggetto sviluppi un tumore polmonare nel corso della propria vita.

Da lungo tempo il fumo di sigaretta è ritenuto il fattore di rischio di maggiore importanza15: infatti la distribuzione geografica e temporale delle neoplasie polmonari riflette in larga misura il consumo di tabacco da parte di una determinata popolazione nelle decadi precedenti.

Si stima che nei paesi in cui l’abitudine tabagica è comunemente diffusa il fumo sia responsabile dell’85-90% dei tumori polmonari5 e che il rischio di un fumatore di sviluppare tale neoplasia sia 23 volte superiore per gli uomini e 13 volte superiore per le donne, rispetto a quello di un non fumatore16.

Inoltre il rischio aumenta in relazione al numero di sigarette fumate ogni giorno e alla durata dell’abitudine in termini di anni17.

Nel fumo di sigaretta sono state identificate oltre 4000 sostanze, delle quali circa 60 sono carcinogeni noti. Le molecole principalmente implicate nella carcinogenesi sono gli idrocarburi policiclici aromatici, in particolare il benzo[a]pirene, le N-nitrosammine, le amine aromatiche, l’1,3-butadiene, il benzene, le aldeidi e l’ossido di etilene.

All’interno delle cellule epiteliali bronchiali, questi agenti cancerogeni sono metabolizzati da parte di enzimi microsomiali con reazioni di detossificazione di fase I, che coinvolgono ad esempio il citocromo P-450, o di fase II, catalizzate dalla glutatione S-transferasi, dall’UDP-glucoronosilS-transferasi, dalla sulfotransferasi e altri enzimi. Tale processo è volto a facilitare la detossificazione e l’escrezione delle sostanze tossiche. Tuttavia, in alcuni casi, queste reazioni possono determinare la formazione di metaboliti con un potere cancerogeno maggiore della sostanza originaria per mezzo di un fenomeno detto di sintesi letale.

Se gli intermedi ossigenati formatisi nelle reazioni iniziali sono elettrofili, possono reagire con il DNA o con altre macromolecole. A livello del DNA possono legarsi in modo covalente a siti nucleofili, determinando la formazione di addotti18.

Ad esempio il benzo[a]pirene dopo essere stato convertito a 7,8-diol-9,10-epossido può determinare la formazione di addotti con l’esociclina N2 della guanina19.

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Le differenze interindividuali nella capacità di riparazione del DNA sono determinanti nella cancerogenesi del tumore polmonare, dal momento che la mancata riparazione di alcuni addotti può determinare errori nella sintesi del DNA e la conseguente introduzione di mutazioni a livello di oncogeni, come KRAS, o geni oncosoppressori, come TP53. Questo determina infatti la perdita dei normali meccanismi di controllo della replicazione cellulare e dunque lo sviluppo del tumore18. Contribuiscono inoltre alla carcinogenesi: il legame diretto di alcuni cancerogeni o dei loro metaboliti ai recettori cellulari con la conseguente attivazione di protein chinasi, la presenza di co-carcinogeni, e l’ipermetilazione di geni promotori20.

Nel fumo di sigaretta sono inoltre presenti l’ossido nitrico, responsabile di stress ossidativo, e il polonio-210, che in corso di decadimento emette particelle alfa ad alto potere ionizzante21. Inoltre, la nicotina ha un’azione immunosoppressiva in quanto influisce negativamente sia sui linfociti T che sulle cellule NK, determinando una minor capacità di sorveglianza ed eliminazione delle cellule neoplastiche22.

Tutti i tipi istologici di tumore polmonare si associano al fumo di sigaretta, in particolare il carcinoma a piccole cellule e il carcinoma squamoso. Crescenti evidenze mostrano però che anche l’adenocarcinoma, più comune nei non fumatori, è fortemente associato al fumo di sigaretta23.

Analogamente non vi è una chiara evidenza per quanto riguarda la diversa suscettibilità al fumo in relazione all’etnia, pertanto la maggior incidenza di tumore del polmone riscontrata nella razza afro-americana è da attribuirsi semplicemente a una maggior diffusione del consumo di tabacco in tale etnia rispetto alle altre.

Anche il fumo di sigaro e pipa possono essere responsabili di tumore del polmone, anche se in misura inferiore rispetto al fumo di sigaretta a causa delle differenze nella composizione e nella profondità di inalazione24.

La cessazione dell’abitudine tabagica determina un beneficio per il soggetto a qualsiasi età e il rischio di sviluppare una neoplasia polmonare si riduce progressivamente tra coloro che smettono di fumare, in relazione all’aumentare degli anni trascorsi dalla cessazione. Tuttavia, anche dopo più di quarant’anni dalla cessazione, il rischio rimane comunque leggermente più elevato negli ex fumatori rispetto ai non fumatori18,25.

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Altri fattori di rischio per lo sviluppo di una neoplasia polmonare sono l’esposizione ambientale o professionale al fumo passivo, al radon, all’asbesto, alle radiazioni ionizzanti, ai metalli pesanti (cromo, cadmio, arsenico, nichel) e all’inquinamento atmosferico.

Il fumo passivo, ovvero l’inquinamento ambientale da fumo di tabacco, è stato classificato dalla IARC tra i carcinogeni umani di gruppo 1. L’esposizione ambientale o professionale al fumo passivo è dunque in grado di aumentare il rischio di tumore del polmone. Si stima che sia responsabile complessivamente di 21.400 morti/anno26. Il fumo di sigaretta rappresenta la principale fonte di esposizione involontaria al fumo passivo dal momento che si tratta della più comune modalità di consumo del tabacco18. Le maggiori evidenze riguardano i non fumatori che vivono con un fumatore: per questi individui il rischio di sviluppare una neoplasia polmonare aumenta dal 20 al 30%. La nicotina e i suoi metaboliti, oltre ad addotti di DNA derivanti da carcinogeni del tabacco, possono essere ritrovati nelle urine e in altri fluidi corporei dei non fumatori esposti al fumo passivo27. Quest’ultimo non è filtrato e può contenere dunque maggiori quantità di carcinogeni rispetto a quello inalato: ad esempio i livelli di benzo[a]pirene sono 4 volte più alti di quelli presenti nel fumo inalato28.

Il secondo fattore di rischio principale per la determinazione del tumore del polmone è il radon: circa il 10% delle morti per tumore polmonare sono attribuibili all’esposizione domestica a tale gas29.

Il radon è un gas inerte radioattivo, prodotto dal decadimento del radio, a sua volta derivato dal decadimento dell’uranio. È normalmente presente a livello del suolo terrestre, entrando a far parte della composizione del granito e di altri minerali impiegati nell’edilizia. Nei minatori, esposti all’emissione delle particelle alfa da parte del radon, il rischio di tumore del polmone è risultato consistentemente aumentato30.

Il meccanismo con cui il radon dà il via alla cancerogenesi non è completamente conosciuto, ma si ritiene che le particelle alfa emesse siano in grado di generare radicali liberi e stress ossidativo, i quali possono danneggiare direttamente il DNA cellulare19. Inoltre il sinergismo d’azione del radon con il fumo di sigaretta incrementa significativamente il rischio di sviluppare una neoplasia polmonare31.

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L’esposizione all’asbesto, un minerale silicato impiegato fin dalla metà del diciannovesimo secolo per la costruzione e la coibentazione, è in grado di determinare diverse patologie respiratorie, tra le quali in particolare l’asbestosi, il mesotelioma pleurico e il tumore del polmone.

La maggior parte degli studi epidemiologici ha riportato una relazione quasi lineare tra la dose di asbesto a cui l’individuo è esposto e il conseguente rischio di sviluppare una neoplasia polmonare.

Il tempo di latenza tra la prima esposizione e l’insorgenza della neoplasia è variabile: in media da 5 a 9 anni, con picchi che possono raggiungere i 30 anni32.

L’esatto meccanismo patogenetico per mezzo del quale l’asbesto è in grado di determinare un aumento del rischio di cancerogenesi polmonare è ancora in studio, tuttavia sembra che l’infiammazione di cui è responsabile e l’interazione delle sue fibre con altri tipi cellulari, come ad esempio i macrofagi, giochino un ruolo determinante33. Inoltre l’asbesto è in grado di agire anche a livello immunologico, inducendo una disfunzione dell’attività citotossica delle cellule NK e modificando l’espressione dei recettori che attivano queste ultime34.

L’associazione tra l’esposizione all’asbesto e il rischio di sviluppare un tumore del polmone è forte: nei soggetti esposti il tasso di incidenza è 5 volte superiore rispetto alla popolazione generale35. Così come per il radon, anche il sinergismo d’azione tra il fumo di sigaretta e l’asbesto risulta estremamente rilevante: per soggetti esposti e forti fumatori il rischio di carcinoma polmonare è infatti dalle 15 alle 50 volte superiore a quanto osservato nei soggetti non esposti e non fumatori36.

Un altro fattore di rischio per lo sviluppo di tumore polmonare è rappresentato dalle radiazioni ionizzanti usate a scopo diagnostico e terapeutico37. Questo incremento del rischio è stato riportato nei sopravvissuti alla bomba atomica, così come nei pazienti trattati con radioterapia38,39.

Un analogo incremento del rischio neoplastico polmonare è legato all’inquinamento ambientale outdoor, dovuto alla presenza di numerosi agenti nocivi atmosferici, molti dei quali generati dalla combustione dei combustibili fossili, come gli idrocarburi policiclici aromatici, e da alcuni metalli, come l’arsenico, il nichel e il cromo40.

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L’esposizione a questi ultimi può essere anche professionale: minatori, fonditori e addetti alla produzione di pesticidi possono entrare in contatto con l’arsenico; la produzione di acciaio inossidabile e di altre leghe metalliche impiega il nichel; il cromo è utilizzato nei processi di cromatura e di platinatura, nella concia delle pelli e nella produzione di vernici.

L’esposizione a incrementati livelli di particolato atmosferico è stato associato a un’aumentata incidenza di tumore polmonare in molti studi condotti negli ultimi cinquant’anni41, tanto è vero che la IARC ha recentemente incluso il particolato tra i carcinogeni umani42.

Una volta inalate, alcune particelle atmosferiche, essendo scarsamente solubili, possono depositarsi nel tratto respiratorio e produrre effetti nocivi.

La deposizione delle particelle inalate dipende principalmente dalla loro dimensione e dalle caratteristiche del respiro (via di inalazione, volume e frequenza respiratoria). A causa di uno squilibrio tra il tasso di deposizione e quello di clearance, queste particelle possono essere ritenute a livello del tratto respiratorio, determinando infiammazione e stress ossidativo, che si sommano all’azione mutagena dei composti inalati42.

Per quanto riguarda invece l’inquinamento ambientale indoor, questo è rappresentato principalmente dall’esposizione domestica a radon, fumo passivo e fumi derivanti da combustibili fossili.

È stato riscontrato che il tasso di incidenza del tumore polmonare nelle donne cinesi non fumatrici è maggiore rispetto a quello rilevabile nelle donne europee43,44 e sufficienti evidenze suggeriscono l’esistenza di un’associazione tra questo riscontro e l’inquinamento ambientale indoor provocato dai fumi originati dal carbone o dal legno, normalmente impiegato per cucinare e per il riscaldamento domestico45. La combustione incompleta del carbone e del legno rilascia nell’aria un gran numero di composti organici e inorganici: si ritiene che quelli principalmente responsabili della cancerogenesi siano gli idrocarburi policiclici aromatici, alcuni composti volatili organici e alcuni metalli46. Questo inquinamento dell’ambiente domestico si riscontra specialmente nel Sud Est Asiatico, ma è significativo in tutti i paesi in via di sviluppo7.

Ulteriori fattori di rischio sono rappresentati dalle caratteristiche intrinseche dell’individuo e dalla presenza di patologie infiammatorie croniche, come la tubercolosi47,48, la BPCO, la fibrosi polmonare idiopatica e la silicosi49.

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Per quanto riguarda la tubercolosi non è chiaro se l’incremento del rischio di carcinogenesi polmonare sia legato allo stato infiammatorio cronico50 del parenchima polmonare o all’azione specifica del Mycobacterium Tuberculosis.

È ben documentato come l’infiammazione polmonare e la fibrosi causate dalla tubercolosi possano indurre un danno genetico, che può incrementare il rischio di tumore polmonare. Allo stesso modo, le cicatrici del parenchima polmonare possono ricoprire un ruolo eziopatogenetico nello sviluppo del tumore51.

Anche la presenza di BPCO correla positivamente con la presenza di tumore del polmone52e molti studi suggeriscono che ciò sia indipendente dall’abitudine tabagica53-55. Vi è ormai un generale consenso nel ritenere che l’infiammazione cronica giochi un ruolo critico nella cancerogenesi. La risposta infiammatoria, che caratterizza la BPCO, determina a livello polmonare cicli ripetuti di danno e conseguente riparazione. Questi effetti biologici persistenti sono in grado di incrementare il rischio di trasformazione del normale epitelio bronchiale in un fenotipo maligno53.

Studi recenti hanno dimostrato che anche la fibrosi polmonare idiopatica è una condizione predisponente allo sviluppo di tumore polmonare e che il carcinoma a cellule squamose è l’istotipo più frequentemente associato a tale patologia, seguito dall’adenocarcinoma. Alla base di ciò ci sarebbero alcune caratteristiche epigenetiche che conducono all’attivazione di comuni meccanismi patogenetici, inclusi la proliferazione e differenziazione cellulare incontrollata e la resistenza all’apoptosi56.

Invece il ruolo della silicosi, una patologia polmonare causata dall’esposizione alla silice, come fattore di rischio per il tumore polmonare è stato considerato in molti studi ma ancora rimane incerto, principalmente a causa della difficoltà di escludere il fumo di sigaretta come fattore di rischio aggiuntivo57,58.

Anche la predisposizione genica gioca un ruolo importante nell’insorgenza del tumore polmonare, specialmente nei soggetti che sviluppano tale patologia in giovane età. Nonostante l’evidenza di predisposizione genica sia difficile da stabilire a causa dei numerosi fattori confondenti legati all’esposizione ambientale, alcuni studi degli ultimi anni suggeriscono che polimorfismi nucleotidici a livello di determinati loci genici abbiano una qualche associazione con l’incremento del rischio neoplastico polmonare. In particolare si ritiene che la diversa suscettibilità individuale allo sviluppo di un carcinoma polmonare sia conseguenza della variabile capacità dell’ospite, geneticamente regolata, di metabolizzare o riparare i danni al DNA indotti dai carcinogeni respiratori.

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Sono associate infatti con un incremento della suscettibilità al tumore polmonare le varianti alleliche di molti geni, alcuni dei quali codificano per proteine coinvolte nel metabolismo di carcinogeni del tabacco, come l’enzima citocromo P450 (gene CYP1A1) e l’enzima glutatione-S-transferasi (GSTM1, GSTT1).

I geni del citocromo P450 (CYP1A1, CYP2A1, CYP3A1, CYP4A1) codificano per enzimi di detossificazione di fase I, che possono metabolizzare gli idrocarburi policiclici aromatici ad epossidi altamente reattivi in grado di legarsi al DNA e determinare un incremento degli addotti di DNA a livello polmonare59.

Gli enzimi di fase II, come la glutatione-S-transferasi, contribuiscono ai fenomeni di detossificazione degli idrocarburi policiclici aromatici.

Evidenze consistenti indicano che una combinazione di polimorfismi nei geni CYP1A1 e GSTM1 correla con maggiori livelli di addotti di DNA e dunque con un rischio aumentato rispetto ai fumatori che non mostrano tale profilo genico60.

Altri geni coinvolti sono quelli responsabili della riparazione del DNA, incluso XRCC1, XPA, XPC e XPD, che codificano per proteine implicate nella riparazione per escissione di nucleotidi61. I tre principali loci identificati da studi di associazione genome-wide volti a identificare i polimorfismi determinanti la predisposizione al tumore polmonare includono quelli nelle regioni 15q25, 5p15 e 6p2161-67.

Vi è inoltre una correlazione tra storia familiare di tumore del polmone e rischio di sviluppare tale neoplasia: quest’ultimo incrementa del doppio nei fumatori con storia familiare di tumore polmonare e aumenta ulteriormente se un membro familiare ha manifestato la neoplasia in giovane età o più parenti ne sono affetti68. Inoltre si tratta di un fattore di rischio indipendente dall’abitudine tabagica, visto che aumenta anche negli individui non fumatori che presentano storia familiare di tumore al polmone69.

Tuttavia, pur essendo presente in una minoranza di casi una componente ereditaria, per il rischio di sviluppare un tumore del polmone rimane preponderante il peso del fumo di sigaretta e degli altri fattori ambientali.

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1.3 Patogenesi

Si ritiene che il tumore del polmone si sviluppi attraverso un processo multistep caratterizzato dal susseguirsi di anomalie genetiche ed epigenetiche che, realizzandosi in regioni genomiche critiche dal punto di vista funzionale, ne guidano l’iniziazione e l’evoluzione clinica.

Questa instabilità genomica sottende all’insieme delle alterazioni fenotipiche comuni alle neoplasie invasive, quali l’anomala regolazione della crescita cellulare, l’evasione dell’apoptosi, la capacità di invasione tissutale e metastatizzazione, la neoangiogenesi tumorale e l’insensibilità all’invecchiamento cellulare18,70.

Le anomalie nelle vie di segnalazione coinvolte nella crescita cellulare consistono nell’attivazione di oncogeni o nell’inattivazione di geni oncosoppressori.

I principali oncogeni interessati in caso di tumore polmonare sono EGFR, RAS e MYC. La loro iperespressione o attivazione continua conferisce un incremento della capacità proliferativa cellulare che fa sì che cellule neoplastiche mantengano il loro fenotipo maligno. Le alterazioni di MYC sono più frequenti nei carcinomi polmonari a piccole cellule (SCLC), mentre quelle di EGFR e KRAS nei carcinomi polmonari non a piccole cellule (NSCLC)71.

I geni oncosoppressori che nel tumore del polmone possono risultare deleti oppure inattivati a causa di mutazioni sono invece TP53 e RB1.

TP53 è quello più frequentemente inattivato e codifica per la proteina p53. Essa funge da fattore di trascrizione e la sua espressione è indotta in risposta a un danno del DNA. La proteina p53 determina infatti l’arresto transitorio del ciclo cellulare al fine di impedire che una cellula danneggiata possa replicarsi in modo incontrollato e consentirne la riparazione o, in caso di danno troppo esteso, l’apoptosi. Dunque la perdita di funzione di p53 consente alla cellula danneggiata di replicarsi, favorendo così l’espansione clonale della cellula neoplastica o preneoplastica. L’espressione di p53 è alterata in circa il 90% dei SCLC e in circa il 50% dei NSCLC72, più comunemente nei fumatori piuttosto che nei non fumatori73. Le mutazioni che interessano il gene TP53 nei tumori polmonari sono prevalentemente a carico dei codoni 157, 245, 248 e 273. Tali mutazioni sono generalmente transversioni guanina-timina e guanina-adenina, con una frequenza maggiore rispettivamente nei fumatori e nei non fumatori.

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In particolare le transversioni guanina-timina, che non sono comuni nei non fumatori, rappresentano quasi il 50% di tutte le mutazioni nei soggetti fumatori e si realizzano in un numero limitato di codoni, che sono stati identificati come siti a livello dei quali i metaboliti del benzo[a]pirene determinano la formazione di addotti74.

Inoltre è stato dimostrato che l’inattivazione di TP53 e l’attivazione di KRAS nei tumori polmonari non a piccole cellule correla con l’esposizione al fumo di sigaretta e contribuisce a una riduzione della sopravvivenza sia negli stadi precoci che in quelli avanzati di malattia.

RB1 è invece un gene che codifica per una fosfoproteina nucleare coinvolta in eventi trascrizionali che assumono un ruolo centrale nella regolazione del ciclo cellulare e in particolare nella transizione della cellula da G1 a S. In una cellula quiescente la proteina Rb lega il fattore di trascrizione E2F impedendogli di dare inizio alla divisione cellulare.

Affinché la replicazione cellulare possa aver luogo, la proteina Rb deve essere fosforilata da chinasi ciclina-dipendenti (CDK 4 e/o 6) e cicline (ciclina D o E), in modo tale che non sia più in grado di legare E2F. Alla fine di ogni ciclo replicativo la proteina Rb viene defosforilata in modo tale che possa tornare a legare E2F.

I più comuni meccanismi di inattivazione della via di segnalazione legata al gene RB1 sono la perdita di espressione della proteina Rb, l’iperespressione di CCND1 (che codifica per la ciclina D1) e il silenziamento di CDKN2A. Quest’ultimo codifica infatti per la proteina p16 (anche nota come INK4a) che ha il ruolo di inibire la formazione del complesso attivo ciclina D1-CDK4 responsabile della fosforilazione della proteina Rb. Ne consegue l’accorciamento della fase G1 e lo stimolo della proliferazione cellulare. L’assenza o la mutazione della proteina Rb si riscontra in circa il 90% dei SCLC e dal 15% al 30% dei NSCLC72. L’inattivazione di CDKN2A è presente invece in più del 70% dei casi di NSCLC e l’amplificazione di CCND1 nel 10% dei SCLC.

Anche la metilazione dei promotori dei geni oncosoppressori può essere responsabile della crescita cellulare incontrollata. Più di 80 geni sono stati riportati in letteratura in quanto possibili bersagli di ipermetilazione in presenza di tumore polmonare, inclusi geni ben caratterizzati quali RARαβ, TIMP3, CDKN2A, RASSF1A, MGMT, FHIT, DAPK, ECAD, e GSTP1.

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Al contrario della mutazione genica, l’ipermetilazione del promotore, che si realizza negli stadi precoci della cancerogenesi, è un fenomeno reversibile in quanto determina solo un’attivazione o disattivazione costitutiva del gene, senza modificare in effetti il DNA che lo costituisce.

Oltre alla crescita incontrollata, l’evasione dall’apoptosi rappresenta un’altra importante proprietà delle cellule tumorali. BCL2 e p53 sono i geni principalmente coinvolti nelle vie apoptotiche. Una riduzione della presenza delle proteine pro-apoptotiche codificate da questi geni garantisce alle cellule tumorali la capacità di resistere all’apoptosi, determinandone dunque un rilevante vantaggio ai fini della sopravvivenza.

In particolare, la proteina BCL2 risulta iperespressa nel 75-95% dei SCLC e nel 10-35% dei NSCLC72.

Hanno un ruolo nella patogenesi del tumore polmonare anche la capacità di invasione tissutale e di metastatizzazione, legate alla perdita di inibizione da contatto e all’espressione di proteine in grado di demolire la matrice extracellulare, come ad esempio le metalloproteasi. Sono stati condotti diversi studi per valutare il ruolo di queste proteine nel promuovere l’invasività e la metastatizzazione neoplastica75-77.

L’adenocarcinoma diffonde primariamente per via linfatica ed ematica e, se periferico, può diffondere alla pleura mimando un mesotelioma. Circa un quinto degli adenocarcinomi alla diagnosi presentano metastasi a distanza, che possono interessare più frequentemente l’encefalo, le ossa, i surreni o il fegato78.

Inoltre sono stati condotti numerosi studi sul ruolo ricoperto dai fattori di crescita per i vasi sanguigni nelle neoplasie polmonari.

VEGF è il più potente fattore pro-angiogenico ed è frequentemente prodotto ad alti livelli dal tumore del polmone. Un’elevata angiogenesi rappresenta un fattore prognostico negativo in quanto correla con la presenza di metastasi e con una scarsa sopravvivenza.

Infine si ritiene che anche l’insensibilità all’invecchiamento cellulare rappresenti uno dei principali eventi patogenetici alla base della cancerogenesi polmonare.

Nel carcinoma del polmone è stata ampiamente documentata un'iperattività telomerasica, responsabile della replicazione illimitata dei telomeri.

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Circa l’80% dei NSCLC e quasi il 100% dei SCLC presentano livelli di telomerasi rilevabili, mentre le cellule normali non esprimono un’attività telomerasica sufficiente a mantenere l’integrità dei telomeri. Inoltre, il fatto che nei NSCLC alti livelli di attività telomerasica si riscontrino negli stadi avanzati di malattia suggeriscono che le telomerasi possano contribuire alla progressione tumorale79.

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1.4 Cenni di anatomia patologica

Il tumore del polmone è una patologia eterogenea, che comprende diversi sottotipi istologici, ognuno dei quali dotato di notevole rilevanza clinica e patologica. Sulla base dell’attuale classificazione istopatologica WHO80, oltre il 95% dei carcinomi polmonari sono riconducibili a quattro istotipi principali: il carcinoma squamoso, l’adenocarcinoma, il carcinoma indifferenziato a grandi cellule e il carcinoma a piccole cellule (SCLC). Storicamente, nella pratica clinica, il carcinoma squamoso, l’adenocarcinoma e il carcinoma indifferenziato a grandi cellule sono raggruppati sotto il termine di carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC).

Si ritiene che i SCLC originino dalle cellule neuroendocrine del sistema APUD, mentre i NSCLC da precursori delle cellule epiteliali bronchiali (cellule ciliate o cellule indifferenziate). I NSCLC rappresentano nel complesso l’80% dei tumori diagnosticati, a fronte di un 20% rappresentato dai SCLC.

Per decenni il carcinoma squamoso è stato il tipo istologico più diagnosticato, tuttavia negli ultimi 25 anni la sua incidenza si è ridotta, a fronte di un aumento dell’incidenza dell’adenocarcinoma. Questo si è verificato nei paesi in cui la diffusione dell’abitudine tabagica è andata riducendosi, ad esempio negli Stati Uniti, in cui questo trend si riscontra in entrambi i sessi20.

In Europa invece, dato l’aumento del numero di donne fumatrici, trend simili si riscontrano prevalentemente negli uomini, mentre nelle donne sia il carcinoma squamoso che l’adenocarcinoma risultano in aumento81.

In Italia, rappresenta attualmente il tumore più diagnosticato in entrambi i sessi, seguito appunto dal carcinoma squamoso5. Anche negli Stati Uniti è il tumore polmonare più comune, rappresentando il 38.5% dei casi82,83.

I motivi dell’incremento del tasso di incidenza dell’adenocarcinoma non sono chiari, ma potrebbero aver contribuito gli avanzamenti in campo diagnostico nell’individuazione delle neoplasie delle vie aeree distali18. Inoltre, sembrano avere un ruolo anche le recenti modifiche apportate nella produzione di sigarette, ovvero l’introduzione di filtri ventilati e i maggiori livelli di nitrosammine specifiche del tabacco20.

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L’adenocarcinoma polmonare è un tumore epiteliale maligno caratterizzato da differenziazione ghiandolare, con strutture acinari o papillari e produzione di mucina. Origina spesso da bronchi di piccolo calibro e dunque nelle regioni polmonari periferiche, sebbene possa presentarsi anche in sede centrale74.

Quando localizzato centralmente può comprimere oppure ostruire le vie aeree; quando presente in regione periferica coinvolge frequentemente la pleura.

Macroscopicamente appare come una lesione solida intraparenchimale ben delimitata ma non incapsulata e dall’aspetto lobulato e traslucido, in virtù dell’intensa produzione di mucina. Possono essere presenti anche aree emorragiche o necrotiche.

Dal punto di vista istopatologico, sulla base del grado di differenziazione ghiandolare, può essere distinto in ben differenziato, moderatamente differenziato e scarsamente differenziato.

Più il tumore è indifferenziato e più le strutture acinari, tipiche del pattern ben differenziato, lasciano il posto a strutture papillari, fino a che il tumore può arrivare ad assumere un aspetto solido, con elementi cellulari atipici e pleomorfi, di difficile caratterizzazione e inquadramento.

Inoltre il contenuto di mucina intracellulare o intraghiandolare varia in base al grado di differenziazione. Negli adenocarcinomi ben differenziati, la componente ghiandolare maligna può presentare raccolte intraluminali di materiale mucinoso, mentre nei tumori a componente solida e scarsamente differenziati la presenza di mucina è minima e maggiormente evidente a livello intracellulare.

La presenza di un sottotipo istologico piuttosto che un altro sembra correlare con la storia di fumo del paziente: i fumatori sviluppano infatti con maggior frequenza rispetto ai non fumatori un adenocarcinoma a pattern di crescita solido, che risulta quello con peggior prognosi.

Per quanto riguarda le caratteristiche immunoistochimiche, l’adenocarcinoma polmonare può risultare positivo per molti epitopi carcinomatosi, inclusi CEA, B72.3, CD15 (LeuM1), BER-EP4, cheratine ad ampio spettro, cheratine a basso peso molecolare (CAM 5.2), citocheratina 7, napsina, proteine del surfattante, PE-10 e TTF-1. In alcuni casi anche la citocheratina 20 può risultare positiva84.

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1.5 Caratterizzazione molecolare

Negli ultimi anni, lo studio più accurato delle caratteristiche molecolari dei tumori polmonari ha messo in evidenza il ruolo determinante dal punto di vista prognostico e terapeutico di alcuni geni legati alla proliferazione cellulare85,86.

Le mutazioni di alcuni geni si sono dimostrate un fattore predittivo di risposta a terapie a bersaglio molecolare estremamente efficace.

Il genoma del NSCLC può rivelarsi estremamente eterogeneo: le anomalie genetiche presenti possono interessare molteplici geni ed essere rappresentate da mutazioni puntiformi, piccole delezioni o inserzioni e formazione di geni di fusione87.

Nell’adenocarcinoma polmonare le alterazioni più frequentemente riscontrate interessano principalmente i geni EGFR, KRAS, ALK, ROS1, RET, BRAF e HER2. In particolare i protoncogeni più frequentemente mutati sono EGFR e KRAS88, le cui mutazioni sono in genere mutualmente esclusive89, sebbene siano stati riportati occasionalmente in letteratura casi di doppia mutazione90.

La mutazione di EGFR può però associarsi nell’1-2% dei casi al riarrangiamento di ALK91, mentre le mutazioni di KRAS possono coesistere con quelle del gene PIK3CA92.

Attualmente per EGFR e ALK sono disponibili terapie a bersaglio molecolare (gefitinib, erlotinib, afatinib per EGFR; crizotinib per ALK) e dunque è utile ricercare mutazioni a carico di questi geni al fine di attuare la strategia terapeutica più appropriata nei pazienti con adenocarcinoma polmonare in stadio avanzato (IIIB o IV)91. Più dibattuto rimane il ruolo della determinazione di KRAS dal momento che non sono ancora disponibili specifici inibitori diretti93. Tuttavia, la mutazione di KRAS rappresenta un fattore prognostico per le neoplasie polmonari e contribuisce a identificare un sottogruppo di pazienti con peculiari caratteristiche cliniche.

Figura 1. Frequenza delle principali mutazioni geniche presenti nel NSCLC.

Fonte: Reckamp K.,“Lung Cancer-Treatment and Research”, Springer (2016)

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1.5.1 Mutazioni di EGFR

Il locus del gene che codifica per EGFR è situato a livello del braccio corto del cromosoma 7 in posizione 12 (7p12).

EGFR (ErbB1) fa parte della famiglia ErbB dei recettori umani del fattore di crescita epidermico, che include anche HER2 (ErbB2), HER3 (ErbB3) e HER4 (ErbB4)94. È un recettore tirosin chinasico transmembranario dal peso molecolare di 170 kDa costituito da una porzione extracellulare, una transmembrana e una intracitoplasmatica95.

La porzione extracellulare, costituita da quattro domini, contiene il sito d’interazione con il ligando. Oltre al fattore di crescita dell’epidermide (EGF), il recettore può legare anche altre molecole aventi un dominio EGF-like, ovvero il TGF-α, il HB-EGF, l’anfiregulina, l’epiregulina e l’epigenina96.

Un singolo dominio transmembrana collega la porzione extracellulare a quella intracellulare. Quest’ultima è costituita da un dominio tirosin chinasico,

da un dominio juxtamembrana e da una coda carbossi-terminale che presenta siti di autofosforilazione95.

A livello del dominio tirosin chinasico la porzione N-terminale contiene, oltre al sito di legame per l’ATP, una regione regolatoria importante per il passaggio dalla conformazione attiva a quella inattiva. La porzione C-terminale è costituita invece da segmenti che contengono il sito catalitico necessario al trasferimento dei gruppi fosfato dall’ATP al substrato, rappresentato dai residui amminoacidici di tirosina97.

Figura 2. Rappresentazione schematica della struttura del recettore EGFR.

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In seguito all’interazione con il ligando, si verifica una modificazione conformazionale a livello della porzione extracellulare del recettore, che facilita la formazione di dimeri con altre molecole della stessa famiglia recettoriale. A seconda che il recettore dimerizzi con un altro recettore EGFR oppure con un altro recettore della famiglia ErbB, si ha la formazione rispettivamente di omodimeri o di eterodimeri. Tale meccanismo di dimerizzazione mediata interamente dal contatto recettore-recettore distingue EGFR dagli altri recettori tirosin chinasici95.

A livello intracellulare, la formazione di dimeri e la modificazione conformazionale indotta da ligando favorisce la trans-fosforilazione da parte del dominio tirosin chinasico di una molecola della coda carbossi-terminale del pattern del dimero.

I residui di tirosina autofosforilati sulla coda carbossi-terminale di EGFR funzionano da sito di ancoraggio per proteine adattatrici che svolgono la funzione di secondi messaggeri nelle cascate di segnalazione intracellulari.

L’autofosforilazione coincide con l’inizio della trasduzione del segnale a valle attraverso vie coinvolte nella proliferazione cellulare e nell’inibizione dell’apoptosi.

Le principali vie di trasduzione del segnale regolate da EGFR includono: la via di STAT/JAK, la via PI3K-AKT e la via delle RAS-MAP chinasi98.

Figura 3. Rappresentazione schematica delle vie di trasduzione del segnale di EGFR. Fonte: El-Rayes e LoRusso, 2004

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Fisiologicamente, la via di trasduzione del segnale viene attivata fintanto che il recettore interagisce con il proprio ligando; viene inattivata invece in seguito a defosforilazione dei residui tirosinici della coda carbossi-terminale da parte di protein tirosin fosfatasi. Un altro meccanismo di inibizione della via di trasduzione del segnale è rappresentato dall’internalizzazione e degradazione lisosomiale del complesso recettore-ligando.

Nell’adenocarcinoma polmonare la presenza di mutazioni del dominio tirosin chinasico di EGFR, come ad esempio la mutazione L858R o le delezioni in-frame dell’esone 19 (ex19del), determinano una forma costitutivamente attiva del recettore. Pertanto il recettore rimane attivo anche in assenza del ligando, continuando a trasmettere i segnali di crescita e di aumentata sopravvivenza cellulare alle vie di trasduzione intracellulare99.

Mutazioni del dominio tirosin chinasico di EGFR sono riportate in circa il 10-15% della popolazione caucasica affetta da NSCLC, ma possono arrivare a oltre il 50% in pazienti appartenenti a sottogruppi selezionati100.

Infatti la maggior frequenza di tali mutazioni, note come classiche o attivanti, si riscontra negli adenocarcinomi (20-40%), nel sesso femminile (40-60%), nell’etnia asiatica (30-50%) e nei non fumatori (50-60%)101.

Può trattarsi di delezioni, mutazioni puntiformi missenso oppure inserzioni in-frame a livello degli esoni dal 18 al 21 del gene EGFR, che sono appunto quelli che codificano per parte del dominio tirosin chinasico100.

Nel 90% dei casi le mutazioni di EGFR interessano l’esone 19 e 21, mentre nel restante 10% dei tumori polmonari le mutazioni di EGFR interessano gli esoni 18 e 20100. La mutazione a carico dell’esone 19 è frequentemente una delezione in-frame di triplette che codificano per la sequenza conservata LREA (delE746-A750) e la si riscontra in circa il 45% dei tumori polmonari EGFR mutati100.

La mutazione più frequente a livello dell’esone 21 è invece la L858R, ovvero una mutazione puntiforme missenso per sostituzione della leucina con l’arginina nel codone 858, presente nel 40-45% dei tumori polmonari EGFR mutati100.

A livello dell’esone 18 sono invece presenti sostituzioni nucleotidiche (G719C, G719S, G719A), mentre a livello dell’esone 20 si riscontrano inserzioni in-frame (5-10%). Altre mutazioni ricorrenti sono quelle puntiformi G719X nell’esone 19 (3%), la

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Queste mutazioni hanno la capacità, dimostrata in vitro e in vivo, di incrementare l’attività chinasica del recettore EGFR, promuovendo dunque l‘azione anti-apoptotica attraverso la via PI3K-AKT e la proliferazione cellulare attraverso le vie delle MAP chinasi e di STAT3/5103,104. Attraverso l’attivazione di queste vie di trasduzione, la crescita e la sopravvivenza della cellula tumorale diviene dipendente dalle sole mutazioni di EGFR, al contrario di quanto avviene nelle cellule normali o in quelle neoplastiche non dipendenti dalla mutazione di EGFR103.

Le mutazioni a carico degli esoni 19 e 21 sono infatti predittive della risposta agli inibitori tirosin chinasici (TKI) di EGFR105-107, dato che la cellula neoplastica mutata risulta 100 volte più sensibile ai TKI rispetto alla cellula Wild Type103.

L’aumentata sensibilità ai TKI è verosimilmente dovuta al fatto che tali mutazioni determinano una minor affinità per l’ATP, con cui essi competono per il legame al sito catalitico del recettore100.

Le mutazioni che interessano la zona di passaggio tra l’esone 19 e 20 (767-774) del gene EGFR sono invece associate a resistenza ai TKI di prima generazione: in particolare una mutazione puntiforme nell’esone 19 (D761Y), una mutazione puntiforme nell’esone 20 (T790M) e un’inserzione (8d770_n771insNPG) nell’esone 20.

Tra queste la più comune è la mutazione T790M, dovuta alla sostituzione aminoacidica di una treonina con una metionina in posizione 790 nell’esone 20 dello stesso allele di EGFR che presenta la mutazione attivante108,109.

Si ritiene che la treonina 790 sia un residuo “gatekeeper”, in quanto posizionata all’ingresso della tasca idrofobica a livello della quale si realizza il legame dell’ATP, e che la sua sostituzione con un residuo di metionina, molto più voluminoso, possa creare un ingombro sterico tale da impedire il legame dei TKI al dominio chinasico108,110,111. Inoltre, recentemente è stato dimostrato che la mutazione T790M aumenta l’affinità del dominio tirosin chinasico per l’ATP sfavorendo il legame dei TKI con meccanismo ATP competitivo112.

La maggior affinità del recettore per l’ATP ne riduce la capacità di fosforilare i propri bersagli molecolari, portando di conseguenza a una riduzione della velocità di crescita delle cellule con doppia mutazione rispetto a quelle con la sola mutazione attivante113,114.

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Nella maggior parte dei casi tale mutazione si associa a resistenza acquisita al trattamento con TKI110, tuttavia sporadicamente (0.5-3%) può essere presente in associazione a una mutazione attivante anche prima del trattamento con TKI, rappresentando dunque un meccanismo di resistenza innata al trattamento108,115.

Quando associata a resistenza acquisita, sembra determinare una miglior prognosi, in quanto i pazienti portatori mostrano una minor incidenza di nuovi siti metastatici, miglior performance status (PS) e maggiore sopravvivenza116.

La sua presenza all’esordio di malattia correla invece con una peggior prognosi117.

La mutazione T790M di EGFR può essere presente già prima dell’inizio del trattamento ma, interessando solamente una piccola percentuale dei cloni neoplastici, molto inferiore al livello di sensibilità del sequenziamento tradizionale, può essere individuata solo utilizzando metodi ad alta sensibilità. In questi casi è stata dimostrata una ridotta PFS al trattamento e ciò avvalora l’ipotesi che i TKI determinino la selezione degli occasionali cloni cellulari con doppia mutazione già presenti alla diagnosi, determinando resistenza acquisita115.

La mutazione T790M si ritrova in circa il 50% dei pazienti che sviluppano resistenza acquisita ai trattamenti con TKI115,118. Per questo motivo, la rivalutazione dello stato mutazionale mediante biopsia solida, o liquida, è raccomandata nei pazienti con mutazioni attivanti di EGFR che siano andati incontro a progressione di malattia durante il trattamento con TKI. L’eventuale presenza della mutazione T790M dovrebbe indirizzare verso la scelta di un trattamento con osimertinib, un TKI di terza generazione, attivo anche in presenza della mutazione T790M.

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1.5.2 Mutazioni di KRAS

Della famiglia degli oncogeni RAS, KRAS è il più comunemente mutato in corso di adenocarcinoma polmonare (circa il 30%), con differenze nella frequenza di incidenza che variano in base al gruppo etnico119. È infatti meno frequente negli asiatici (5-10%) rispetto ai caucasici (25-35%) e agli africani (15-25%)120-122.

KRAS è situato sul braccio corto del cromosoma 12 in posizione 12 (12p12) e codifica per una piccola GTPasi.

La proteina KRAS gioca un ruolo centrale come mediatore della trasduzione del segnale a valle dei recettori di crescita123, risultando attiva in quella mediata da EGFR124.

Essa ha un peso molecolare di 12.6 kDa ed è costituita da 4 domini. Di questi, i primi due sono importanti per la trasduzione del segnale e congiuntamente formano il dominio-G, ovvero la tasca di legame per il nucleotide guanilico GDP o GTP. Il terzo dominio, che rappresenta la porzione carbossi-terminale, presenta invece una regione ipervariabile che guida le modifiche post-trascrizionali e determina l’ancoraggio della proteina KRAS alla membrana plasmatica.

Tale proteina funziona come un interruttore molecolare, dal momento che si alterna rapidamente tra uno stato conformazionale inattivo, in cui la cellula è quiescente, e uno attivo, che stimola la replicazione cellulare.

Lo switch dalla forma inattiva a quella attiva è regolato da due classi di proteine di segnalazione: RAS-GEF, che stimolano la dissociazione di GDP e quindi l’assunzione di GTP dal citosol, e RAS-GAP, che aumentano la velocità di idrolisi del GTP legato. Il legame di un fattore di crescita con il rispettivo recettore presente sulla membrana cellulare determina la fosforilazione del GDP legato alla forma inattiva di KRAS a GTP. Questo evento, mediato dalle RAS-GEF (es. SOS), induce il cambiamento conformazionale della proteina alla forma attiva. Una volta attivata, KRAS è in grado di stimolare regolatori della proliferazione situati a valle tramite le vie di segnalazione MAPK, STAT e PI3K. In condizioni normali, l’attivazione di tali vie intracellulari è di breve durata, in quanto l’attività GTPasica intrinseca di RAS, attraverso l’interazione con le RAS-GAP, idrolizza il GTP a GDP, con il conseguente rilascio di un gruppo fosfato e il ritorno della proteina al suo stato inattivo.

La proteina KRAS può essere mantenuta in forma attiva dalle mutazioni dei codoni 12 e 13, che inibiscono i fenomeni di idrolisi del GTP.

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Figura 4. Rappresentazione schematica della via di trasduzione del segnale di KRAS. Fonte:Jančík S et al., 2010

Le mutazioni del gene KRAS sono localizzate più frequentemente nelle posizioni 12 e 13 dell’esone 1; meno frequentemente nei codoni 61, 63, 117, 119 e 146124.

In particolare la mutazione più frequente nel tumore del polmone consiste nella sostituzione della glicina in posizione 12 con la cisteina (G12C) o con la valina (G12V), anche se occasionalmente è possibile riscontrare mutazioni del codone 13 e, più raramente, del codone 61125.

Mutazioni puntiformi, in particolare a carico del codone 12, si riscontrano dal 16 al 40% degli adenocarcinomi polmonari125, particolarmente nella popolazione caucasica fumatrice126 e in forme muco-secernenti o solide. Sono invece meno comuni nei carcinomi squamosi (5%) e nei SCLC125,127.

Le mutazioni KRAS si ritrovano raramente in soggetti non fumatori126 e la formazione di addotti del DNA, secondaria agli effetti del fumo, sembra proprio legata a tale oncogene128.

La presenza di mutazioni di KRAS rappresenta un fattore prognostico negativo129, anche se il sottotipo specifico di mutazione potrebbe fornire maggiori informazioni sull’aggressività della neoplasia.

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Nonostante siano necessari ulteriori studi a riguardo, è stato suggerito che la mutazione G12D di KRAS si associ a una migliore prognosi rispetto a quella G12V o G12R130. Al momento non esistono trattamenti specifici per i pazienti con adenocarcinoma KRAS mutato, anche se sono attualmente in studio numerose molecole, possibili inibitori diretti di KRAS131.

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1.6 Diagnosi

Ai fini di una corretta impostazione diagnostica, oltre alla raccolta anamnestica di eventuali fattori di rischio e comorbidità, è indicato l'esame obiettivo, l'esecuzione di una radiografia del torace e l’esecuzione di una TC del torace. In caso di riscontro di una sospetta lesione neoplastica, l'esecuzione di una biopsia istologica o di un prelievo citologico93.

Dal punto di vista clinico, spesso segni e sintomi non si manifestano fino a uno stadio avanzato di malattia, specialmente in presenza di un tumore periferico, come è spesso l’adenocarcinoma polmonare. In caso di localizzazione periferica infatti, i sintomi tendono a manifestarsi solo quando la massa neoplastica raggiunge grandi dimensioni, potendo determinare dispnea, dolore toracico e versamento pleurico. I tumori localizzati centralmente tendono invece a manifestarsi più precocemente con i segni e i sintomi caratteristici dell’ostruzione polmonare, come tosse persistente, dispnea progressiva, sibili, emoftoe e polmoniti ricorrenti.

Tipici di uno stadio avanzato di malattia sono invece i sintomi sistemici come l’astenia, l’anoressia, la febbre, il calo ponderale, la disfagia, il dolore osseo e le alterazioni neurologiche.

Più raramente, è possibile il riscontro di dolore e impotenza funzionale dell’arto superiore dovuto a un tumore polmonare apicale (tumore di Pancoast), della sindrome della vena cava superiore, della sindrome di Bernard-Horner e di sindromi paraneoplastiche (sindrome di Lambert-Eaton, ipercalcemia e sindrome da inappropriata secrezione di ADH)74.

La radiografia del torace, che solitamente rappresenta il primo esame diagnostico da eseguire, ha il limite della bassa sensibilità nell’individuazione di un eventuale interessamento dei linfonodi mediastinici o di altre strutture del mediastino e della parete toracica.

Un’indagine più approfondita è consentita dalla TC del torace, che consente di valutare con sufficiente accuratezza il parenchima polmonare, l’interessamento dei linfonodi ilo-mediastinici, della componente vascolare e di tutte le altre strutture mediastiniche, in modo tale dunque da poter pianificare l’eventuale esecuzione di ulteriori indagini invasive.

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Ai fini stadiativi, la TC dovrebbe includere anche l’addome superiore, in modo da poter verificare nella stessa seduta l’eventuale interessamento del fegato e dei surreni.

Rimane maggiormente discussa l’indicazione a estendere fin dall’inizio dell’iter diagnostico l’esame TC all’encefalo nei pazienti clinicamente asintomatici.

In associazione alla TC, si è progressivamente affermato il ricorso alla PET con 18FDG. Essa si è dimostrata infatti utile nella caratterizzazione del nodulo polmonare singolo132 e nella stadiazione di malattia, per escludere la presenza di metastasi a distanza93.

Un limite della PET è rappresentato dalla risoluzione delle apparecchiature attualmente disponibili, che non consentono di valutare noduli inferiori a 8-10 mm133.

Inoltre i tumori neuroendocrini, gli istotipi ben differenziati e gli adenocarcinomi possono presentare un metabolismo glucidico ridotto, e dunque avere una ridotta sensibilità alla PET con 18FDG93.

Ai fini diagnostici l’accertamento istologico rimane di essenziale importanza per programmare l’iter terapeutico dei NSCLC e SCLC. La scelta dell’esame più appropriato dipende dalle dimensioni e dalla localizzazione della sospetta neoplasia polmonare. Gli esami più utilizzati sono la broncoscopia e l’ago-biopsia TC guidata.

I pazienti con sospetta lesione neoplastica alla TC, in assenza di controindicazioni gravi, possono essere sottoposti a una broncoscopia.

Gran parte dell’albero bronchiale può essere esplorato direttamente o indirettamente tramite questa metodica, che rappresenta dunque uno strumento utile a fini diagnostici sia per lesioni a sede centrale sia per lesioni periferiche.

In caso di lesioni centrali, la sensibilità diagnostica della broncoscopia varia a seconda della combinazione di tecniche impiegate: la biopsia è in grado di offrire una resa diagnostica dell’80% (anche se alcuni studi riportano una sensibilità maggiore del 90%), mentre il brushing e il lavaggio bronchiale dimostrano singolarmente sensibilità inferiori e dovrebbero essere utilizzate solo come integrazione.

In caso di lesioni periferiche invece la sensibilità diagnostica varia in relazione a diversi fattori, quali le dimensioni della lesione, i rapporti con l’albero bronchiale e il tipo di strumento impiegato.

In generale la broncoscopia è una metodica sicura e le complicanze sono rare: emorragia (0,6-5,4% dei casi) e pneumotorace (1-3,4% dei casi).

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