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Capitolo 2: Indagine traduttologica

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Capitolo 2: Indagine traduttologica

2.1 Lingue a confronto

In ogni processo di traduzione, come è noto, la necessità di trasporre il contenuto ‒ e, nel caso di testi ascrivibili a un sottocodice, l‘opportunità di mantenere il più possibile la coerenza lessicale ed eventuali strategie specifiche che rivestano funzione ‗tecnica‘ a tutti i livelli dell‘analisi linguistica ‒ deve venire a patti con le inevitabili differenze strutturali tra lingua di partenza e lingua di arrivo. Nello specifico, tuttavia, le versioni platoniche armene sono state definite letterali fino a risultare servili (cosa che, peraltro, le renderebbe uno specchio particolarmente fedele del testo greco e delle sue varianti)1, e ascritte a un tipo di tecnica di traduzione che è pronta a snaturare le caratteristiche della lingua replica in nome dell‘adesione al modello.

Tale impressione è stata in realtà corretta, per l‘Apologia, da Aimi (2008-2009: 23):

la traduzione dell‘Apologia, come è evidente anche a un primo raffronto con il testo greco, si scosta da questo stereotipo. Lo stile complessivo è molto più libero di quello tipico della Yownaban Dproc‛, e guarda più spesso al senso che alla lettera. Frequenti sono le aggiunte esplicative di pronomi, verbi o sostantivi, sottintesi in greco, che rendono il testo più scorrevole e chiaro; le particelle greche non sono tradotte con regolarità; inoltre anche l‘ordine delle parole non è generalmente rispettato.

In ogni caso, al Timeo è stato assegnato fin dall‘inizio degli studi uno statuto particolare: persino Conybeare (1889), che del Platone armeno in generale diceva «the translation is usually very exact, word for word, slavishly literal» (341), riconosceva che gli altri dialoghi «differ somewhat in style» dal Timeo stesso (340). Mariès (1928: 90), che, si noti, accoglieva l‘attribuzione a Grigor Magistros, esprimeva sul Timeo (in particolare sull‘uso del lessico) il seguente giudizio preliminare: «malgré ses bizarreries et ses obscurités (…) à première vue, et pour ce que j‘en ai lu, cette traduction me paraît moins mécanique que la traduction des Catégories d‘Aristote par exemple. On peut admettre que l‘auteur (…) avait conservé (…) un certain sentiment des possibilités de la langue ancienne». Più recentemente, Finazzi (1990a: 65) affermava che «la traduzione dei dialoghi di Platone è condotta secondo il metodo caratteristico delle versioni armene, in quanto conserva parola per parola il testo originale ‒ tranne la traduzione del Timeo che è condotta in maniera più libera con espansioni e spiegazioni del testo».

Per procedere, dunque, ad uno studio a campione della tecnica di traduzione, che analizzi la resa del lessico afferente all‘opposizione ―essere‖ / ―divenire‖ per trovare conferma o, eventualmente, smentire tali giudizi, è opportuno accennare alle ‗possibilità della lingua‘ cui faceva riferimento Mariès. Come è risultato dall‘analisi condotta sul testo del Timeo greco, infatti, il dettato del modello nei passi rilevanti è particolarmente complesso, tanto, a volte, dal punto di vista sintattico, quanto soprattutto per il particolare impiego di un unico verbo,

1

Cfr. ad es. il giudizio di Rossi (1982-1983: 207) sull‘Apologia: «la completa aderenza della versione armena al testo greco fa sì che essa ne rappresenti quasi una glossa continua. Questo la priva di ogni valore letterario o stilistico, ma ne consente la utilizzazione per raffronti critici con il testo greco tradito».

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in numerose articolazioni morfologiche e sintattiche, per veicolare sfumature di significato estremamente sottili, ma significative in prospettiva filosofica.

Da un punto di vista lessicale, l‘armeno dispone dei mezzi per trasferire l‘opposizione tra e. Anche in armeno è infatti riscontrabile «a basic dichotomy (…) corresponding to reflections traditional in Western philosophy since the early Eleatics» (Coigneallaig, 1968: 49), tra elementi ascrivibili alla sfera semantica dell‘essere stativo, soprattutto em e gom2, e a quella del divenire, in primis linim e ełanim. Coigneallaig nota, in proposito, che nel Vangelo di Giovanni, uno dei primi testi di traduzione, la corrispondenza delle due coppie di verbi armeni con erispettivamente,per quanto non meccanica e sistematica, è «strikingly regular» (49). Essa è però neutralizzata negli infiniti: nella lingua classica, infatti, l‘infinito el, modellato sulla prima persona em, non è attestato, per quanto sia invece presente nella lingua di testi ellenizzanti (cfr. ad es. Lafontaine, 1983: 137). L‘infinito gol a sua volta non è elencato tra le forme classiche3

da Minassian (1996), che riporta solo le terze persone4 del presente, dell‘imperfetto e del futuro I. Jensen (1959) annovera invece gol tra le forme classiche (112); altrove, però, afferma che in genere si trovano solo le terze persone (92) e che l‘infinito «ist kaum gebräulich» (103). Tra i testi classici, Mariès (1928: 119) segnala l‘assenza dell‘infinito in Eznik (il dato è confermato da un controllo personale di chi scrive, effettuato sul database Digilib); esso è assente anche, ad esempio, nell‘opera storica di Agatʿangelos, nel Bowzandaran e in Koriwn (in questi ultimi due casi non è in realtà attestata nessuna forma del verbo in esame). Tre infiniti (due alla forma base e uno strumentale) sono invece presenti nell‘opera storica di Ełišē5: pur tenendo conto del margine di incertezza che riguarda la datazione di questo autore6, ciò potrebbe suggerire che, per quanto rara, la forma fosse effettivamente attestata in periodo classico, come riporta Jensen. Del resto, anche se, come sostiene Coigneallaig (1968: 50)7, la prevalenza delle terze persone connette tipologicamente goy a costruzioni impersonali tedesche quali es gibt, es ist/sind, a cui lo accomuna la caratteristica della specificazione (ovvero l‘implicare un‘asserzione di esistenza)8

, anche le suddette forme tedesche ammettono l‘infinito: cfr. es geben (es. soll es geben, paragonabile all‘italiano può darsi).

Se il rapporto tra em e goy è, almeno originariamente, da intendersi come relazione tra forma non marcata e forma marcata implicante esistenza (non a caso, il primo corrispondente greco riportato nel NB: s.v. gom, è mentreè solo il secondo), la relazione tra

linim e ełanim è tuttora oggetto di discussione. Coigneallaig propone, peraltro in termini

molto dubbi per dichiarata assenza di elementi che supportino la propria tesi9, che la coppia di

2

Cfr. LIV (s.v. 2.*h2ues) e Kortlandt (1998) per due diverse proposte etimologiche. 3

Classico è definito di solito l‘armeno del V secolo (il primo secolo dopo l‘invenzione della scrittura da parte di Mesrop / Maštocʿ); si noti, però, che l‘opposizione tra armeno classico ed ellenizzato non è necessariamente (o perlomeno non solo) da interpretare in termini di successione cronologica: numerosi studiosi hanno proposto la coesistenza di diversi livelli di lingua diafasicamente connotati. Si vedano in proposito le indicazioni bibliografiche riportate nel capitolo precedente in merito alla datazione della Yownaban Dprocʿ.

4

Cfr. LIV (s.v. 2.*h2ues): «defektiv, urspr. nur 3. Personen». 5

Le ricerche lessicali sono state effettuate sui testi presenti nel database Digilib.

6

V. Hairapetian (1995: 127 ss. e bibliografia relativa); Thomson (1995 e 2007: s.v.); cfr. Zekiyan (1997).

7

Egli (45), si noti, pur riportando tra parentesi el, non cita gol tra le forme esistenti in armeno classico.

8

Cfr. Beccaria et al. (2004: s.v. specifico/non specifico).

9

La costruzione teorica si appoggia sull‘assenza di elementi che la contrastino, su paralleli con altri sistemi linguistici, sulla mancanza di forme perfettive modellate su linim e sulla scarsa attestazione di ełanim, che spinge l‘autore ad ipotizzare che per quest‘ultimo verbo valgano restrizioni analoghe a quelle operanti per goy.

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verbi ascrivibili al ―divenire‖ abbia un rapporto reciproco analogo a quello che oppone em a

gom (goy), e che ełanim sia quindi la forma marcata implicante esistenza.

In realtà, proposte più o meno recenti, che pur spiegano differentemente la relazione tra le due forme dal punto di vista diacronico, concordano in genere nel considerarle, sincronicamente, riconducibili ad un unico paradigma, suppletivo o meno, e quindi non distinte dal punto di vista semantico e funzionale. L‘elemento fondamentale in tal senso è la constatazione che, all‘indicativo aoristo, esistono solamente forme del tipo ełē, mentre il presente ełanim conosce pochissime attestazioni, se non nessuna, in epoca classica. Godel (1982), in un articolo la cui prima versione, poi leggermente modificata, risale al 1953, sottolinea che, da un‘indagine svolta sul Vangelo di Matteo e sui primi dodici capitoli dell‘opera di Eznik (in un‘edizione non precisata) non risulta nessuna forma di presente, mentre se ne trovano solo due in Movsēs Xorenacʿi (la cui datazione è però oggetto di discussione e oscilla tra il V e l‘VIII-IX, talora inizio X secolo)10

. Greppin (1981) segnala a sua volta l‘assenza di forme di presente nel Bowzandaran, in Ełišē, in Łazar Pʿarpecʿi, in Agatʿangelos. Come ricorda lo stesso Greppin, due forme di presente (terza persona plurale) sono attestate in realtà in Eznik nell‘edizione veneziana del 182611

(parr. 2.13 e 2.15); nei passi corrispondenti (par. 217 e 229) delle edizioni di Mariès – Mercier (1959) e Minassian (1992), tuttavia, le forme in questione non compaiono: è possibile dunque che, nell‘edizione del 1826, esse fossero frutto di un intervento dell‘editore12

.

La scarsità o assenza di forme di presente è stata giustificata essenzialmente in due modi diversi: potrebbe trattarsi di una retroformazione tarda o di una forma più antica interessata da evoluzione fonetica. Godel (1982) pensa che ełanim sia una retroformazione a partire dall‘aoristo ełē, e che tutte le forme siano etimologicamente riconducibili a un paradigma unico. In questa ottica, i participi ełeal e leal sarebbero ‒ anche, appunto, in prospettiva etimologica ‒ del tutto equivalenti: leal sarebbe la forma più antica del participio aoristo, mentre ełeal sarebbe il risultato di una sovraestensione dell‘aumento in e- anche in forme che ne erano originariamente sprovviste. Le coppie di doppioni (futuro / congiuntivo, imperativo, participio) presenti nel sistema, che si oppongono tra l‘altro per la presenza o meno della e- iniziale e la natura della laterale, si qualificherebbero inoltre, almeno in alcuni testi del periodo classico, come semplici allotropi. La preferenza per l‘una o l‘altra forma sarebbe determinata dalla posizione che il verbo assume all‘interno della frase, o dalla natura del sintagma, «les formes courtes servant surtout de copule, les formes longues comportant l‘emploi absolu» (16). In particolare, in Eznik, leal sarebbe impiegato nella formazione dei tempi composti, e ełeal «en apposition». Barton (1970), riprendendo Godel, sostiene a propria volta l‘unità del paradigma e lo status di retroformazione di ełanim; egli ritiene però che alcune forme di linim, ovvero l‘imperativo ler, il futuro / congiuntivo II del tipo licʿis (la prima persona non sarebbe atteststa), il participio leal, classificate dal punto di vista descrittivo e sincronico come aoristi, sarebbero in realtà derivate dalla «unaugmented simple thematic present stem» (21) senza infisso nasale. Quanto ad ełeal, si tratterebbe invece di un participio costruito sul tema dell‘aoristo, il quale sarebbe però, a propria volta, neologico, avendo preso le mosse da una forma di imperfetto arcaico. Lindeman (1973 – 1974) pensa a sua volta ad un unico paradigma di forme etimologicamente connesse, e considera ełanim una retroformazione. Greppin (1981) rimette in discussione l‘idea che le forme di linim ed ełē appartengano ad un solo paradigma, e pensa invece a due diverse radici, una attestata solo al presente, l‘altra solo all‘aoristo, caratterizzate da affinità semantica e somiglianza formale,

10

V. ad es. Hairapetian (1995: 141-143), Thomson (1981: XVII-XVIII), e i riferimenti bibliografici presenti in Thomson (1995 e 2007: s.v.).

11 Eznəkay Kołbacʿwoy Bagrewanday episkoposi Ełc Ałandocʿ. 12

Si consideri comunque che, come accennato nel capitolo precedente, le edizioni veneziane ottocentesche potrebbero dipendere da un manoscritto differente da quello oggi superstite.

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che, divenute quasi indistinguibili per motivi fonologici, avrebbero conosciuto un ulteriore avvicinamento semantico e sarebbero state infine considerate un unico verbo. Anche in questo caso, comunque, ełanim sarebbe una retroformazione. Mańczak (1984) ha un‘opinione differente: ełanim sarebbe la forma più antica, e linim e le altre voci senza e- e con diversa velare sarebbero il risultato di uno sviluppo fonetico irregolare, ovvero una abbreviazione dovuta alla frequenza d‘uso. La scarsità di attestazioni di ełanim in periodo classico sarebbe dovuta al fatto che il presente, in quanto forma più usata, sarebbe stato colpito per primo dall‘abbreviazione.

Riassumendo, dunque, il traduttore armeno13 aveva a disposizione elementi lessicali che gli consentissero di rendere con precisione l‘opposizione ―essere‖ / ―divenire‖. Ovviamente, però, i verbi menzionati non sono gli unici ad essere riconducibili, in armeno, all‘ambito semantico esteso dell‘essere (come enon esauriscono l‘analogo settore del lessico greco: si consideri ad esempio che conosce peraltro un certo numero di attestazioni nel Timeo). Elementi almeno potenzialmente ascrivibili all‘essenza (o esistenza) e alla generazione, la cui presenza è attestata nel Timeo armeno, sono, ad esempio, verbi quali

aṙlinim,―esistere‖, ―essere innato‖; goyanam, ―essere creato‖, ―esistere‖; bałkanam,

―consistere‖, ―essere costituito‖, ―essere composto‖, ―esistere‖, ―nascere‖; cnanim, ―nascere‖ (kam non sembra invece ricorrere mai in senso esistenziale). Accanto ad essi bisogna considerare un verbo di significato causativo, che, in accezione mediale, potrebbe essere coinvolto nella trasposizione del lessico greco in esame, ovvero katarem, ―compiere‖ (il medio katarim viene glossato in Ciakciak, 1837: s.v. anche con «linel», nell‘accezione di «farsi, succedere»). Tra i sostantivi, si segnala almeno la presenza di goyacʿowtʿiwn e

goyowtʿiwn, ―essenza‖, ―sostanza‖; linelowtʿiwn, ―esistenza‖, ―generazione‖; ēak, ―ente‖; bnowtʿiwn, ―natura‖, ―sostanza‖. Una verifica delle corrispondenze tra greco e armeno, con

particolare attenzione a quelle che risultassero biunivoche o fortemente costanti, servirà a individuare le voci riconducibili all‘opposizione tra l‘ambito lessicale di  e quello di che è oggetto di attenzione in questa sede.

La possibilità che alcuni di questi elementi entrino in gioco nella resa della dicotomia lessicale greca riguarda, in particolare, un verbo ascrivibile alla sfera della generazione come

cnanim (―nascere‖, ―generare‖), peraltro connesso etimologicamente con 14. Anche prescindendo dalle sfumature semantiche di minore rilevanza, più o meno latamente riconducibili alle accezioni fondamentali, la compresenza, in dei significati di ―nascere‖ e ―diventare‖ ‒ la distinzione tra i quali è senz‘altro cognitivamente significativa ‒ avrà infatti inevitabilmente posto il traduttore di fronte a una scelta: optare per una corrispondenza biunivoca tra lessema greco e lessema armeno, o adottare, di volta in volta, una traduzione ad hoc. La prima opzione, si noti, sarebbe stata praticabile senza difficoltà: i dizionari classici (NB, Ciakciak, 1837; Bedrossian 1875-1979), ma anche il ben più recente Łazarean (2000), ascrivono infatti a linim e alle forme riconducibili alla radice ełe- i significati di ―nascere, essere, diventare‖. Ciò non è sorprendente: come è noto, la corrispondenza tra il verbo greco e quello/i armeno/i è piuttosto consistente almeno in un libro del Nuovo Testamento, e quindi in qualche modo sancita e sanzionata; anche altrove nelle Scritture si danno peraltro corrispondenze tra e linim anche nell‘accezione di nascere (cfr. Gen 17.17)15. Questo avrebbe evidentemente facilitato l‘uso del lessema armeno

13

Qui e in seguito si usa il sostantivo al singolare per comodità di esposizione, senza che la scelta voglia suggerire necessariamente che la traduzione del Timeo sia opera di una sola persona. Per attestazioni di traduzioni realizzate da più persone in collaborazione, cfr. il capitolo precedente.

14

Cfr. Martirosyan (2008: 291-292) e Idem (2010: 342-343) e indicazioni bibliografiche relative; per l‘etimologia dell‘aoristo cnaw (―generò‖, ―nacque‖) v. Lindeman (1985). Cfr. LIV (s.v. *ĝenh1). 15

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in corrispondenza di quello greco, in diverse accezioni, anche nelle opere successive. La letteratura armena nasce del resto con la traduzione della Bibbia, la quale ha esercitato un‘influenza determinante sulla produzione successiva, e di traduzioni si nutre nella prima parte della sua storia: i vocaboli armeni giungono quindi spesso a ricoprire l‘intera gamma semantica dei loro corrispettivi greci, che questa fosse loro propria etimologicamente o meno. Nel caso il Timeo attestasse l‘impiego di corrispondenti diversi, dunque, ciò deporrebbe contro l‘ipotesi di un usus vertendi che procede per corrispondenze automatiche, e in favore di una ricerca di comprensione e di resa adeguata al contesto.

La traduzione non è però, evidentemente, solo trasposizione di lessico. Nel caso specifico, di fronte all‘esigenza di rendere le numerose voci di sfruttate da Platone come parte del lessico filosofico, il problema più significativo è costituito dalle caratteristiche del sistema verbale armeno, che non dispone di un set di forme differenziate altrettanto ampio. Ciò riguarda, in particolare, gli infiniti e i participi, che svolgono un ruolo fondamentale nell‘esprimere le diverse articolazioni che il ―divenire‖ può assumere. Per ogni verbo, non considerando la possibile presenza di allotropi, l‘armeno conosce solo un infinito, che deve potenzialmente corrispondere a dieci forme greche: infinito presente attivo e medio, infinito aoristo attivo, medio e passivo, infinito perfetto attivo e medio, infinito futuro attivo, medio e passivo (nel caso di  non si danno evidentemente forme attive, se non al perfetto). Per quanto riguarda i participi16, l‘armeno dispone di un participio presente in -oł / -ōł (awł)17, formato sul tema del presente o dell‘aoristo, semanticamente affine a un nomen agentis, con funzione di aggettivo o sostantivo ma non di subordinata circostanziale e non attestato per tutti i verbi; di un participio futuro in -ocʿ, formato sull‘infinito, che viene impiegato anche per formare il futuro perifrastico; di un participio in -eal, indifferente alla diatesi, formato a partire dal tema del presente o da quello dell‘aoristo (esistono anche forme alternative senza apprezzabile differenza di significato: cfr. Jensen, 1959: 105-106), che svolge anche funzione circostanziale, e può essere impiegato in tal senso, di fatto, per rendere quasi tutti i participi greci (presente attivo e medio, aoristo attivo, medio e passivo, perfetto attivo e medio). Si noti che, indipendentemente dall‘etimologia che si accoglie e anche qualora leal fosse effettivamente costruito su un tema di presente, i participi leal e ełeal non sarebbero in rapporto di opposizione temporale o aspettuale tra loro, ma, di per sé, assolutamente equivalenti.

In merito alle forme finite del verbo, bisogna segnalare che l‘armeno non ha forme sintetiche di perfetto opposte all‘aoristo (mentre conosce l‘opposizione non durativo – durativo tra aoristo e imperfetto)18. Dispone, però, di una perifrasi costruita con il participio in -eal in associazione con em o linim, per esprimere lo stato risultante (nota semplicemente come ―perfetto‖: cfr. ad es. Lyonnet, 1933; Jensen, 1959: 121; Ouzounian, 2001-2002).

Spesso, tuttavia, perfetti greci sono resi, nel Timeo, con aoristi armeni (cfr. Dragonetti, 1988: 57): questo non è, ancora una volta, sorprendente, dato che i primi esempi di tale corrispondenza si trovano nella traduzione delle Scritture. Significativamente, tra i verbi intransitivi «exprimant un état ou un processus psychologique, émotionnel, ou physiologique, c‘est-à-dire des predicats non agentifs» di cui compare, nei Vangeli, il perfetto, Ouzounian (2001-2002: 15) elenca cnanim, ―nascere‖ e meṙanim, ―morire‖, ma non linim. Anche in casi in cui il perfetto di manteneva senz‘altro, nel greco del Vangelo, valore stativo, si 16

Cfr. Minassian (1996: 49).

17

Cfr. Meillet (1903: 502-503); Jensen (1959: 104) per una possibile distinzione d‘uso delle due forme (poi confuse) preservata nei manoscritti più antichi.

18

Sulla presenza, in armeno, di vestigia di una articolazione aspettuale legata a categorie morfologiche, e non solo espressa con mezzi lessicali o sintattici, cfr. Jensen (1959: 114 ss.); Minassian (1996: 50-51); Hovhannisyan (1972); Tchekhoff (1979); Schmidt (1985).

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usa del resto in armeno una forma di aoristo. Si veda, ad esempio, Gv 1.319, laddove a ―e senza di esso non venne ad esistere nemmeno una cosa (di ciò) che esiste‖, corrisponde ew aṙancʿ nora ełew ew očʿinčʿˋ or inčʿ

ełewn, ―senza di esso non venne ad esistere niente, che venne ad esistere‖: l‘opposizione tra la

forma di aoristo e quella di perfetto è, evidentemente, neutralizzata in traduzione.

Come si è segnalato nei capitoli precedenti, del resto, la koiné in cui sono scritti o tradotti i testi sacri giudaico-cristiani conosce ‒ anche nel caso di ‒ perfetti ormai temporalizzati, che sarebbero stati resi, naturalmente, con dei preteriti; la percezione del perfetto nel greco tardo, inoltre, avrebbe senz‘altro influito anche sull‘interpretazione di forme che avevano, nelle intenzioni dell‘autore, azionalità stativa. Dunque, a maggior ragione per quanto riguarda il Timeo, non solo la divergenza tra il sistema di partenza e quello di arrivo, ma anche la distanza cronologica dal greco dell‘autore e la conseguente difficoltà di interpretare determinate opposizioni avrebbe costituito un potenziale ostacolo alla trasposizione dell‘ambito semantico e lessicale in esame.

2.2 Tecnica di traduzione

2.2.1 Premessa

Le peculiari caratteristiche del dettato del Timeo, legate al metodo filosofico di Platone delineato nella prima parte del lavoro, non possono non avere ricadute sul momento interpretativo e traduttivo. Come nota Jowett (2004: senza indicazione di pagina) «of all the writings of Plato the Timaeus is the most obscure and repulsive to the modern reader»; Lozza (1994: VII) rileva a propria volta quanto sia «straordinariamente complessa la struttura dei periodi, spesso anacolutici; frequenti le ripetizioni didattiche», concludendo che si tratta di «un dialogo (…) di non facile approccio, tale da richiedere, per essere il più possibile inteso, un commento continuo». Prevedibilmente, tale difficoltà interessa anche e maggiormente il lettore antico alloglotto, lontano dal contesto di produzione originario. Per interpretare il testo armeno, e quindi la funzione e il senso che gli elementi del lessico filosofico, direttamente oggetto di interesse in questa sede, assumono, bisogna considerare quindi tanto la strutturazione che esso assume in rapporto al greco, poiché questo può chiarire l‘interpretazione che i traduttori, lavorando su un dettato spesso ambiguo nella lingua modello, scelsero, sia il senso che un lettore avrebbe potuto desumere accostandosi unicamente all‘armeno e prescindendo dalla lettura dell‘originale, poiché ciò può gettar luce sulle corruttele o gli interventi normalizzanti che il testo ha subito nel corso della trasmissione. Non si può, inoltre, trascurare la possibilità che determinate scelte esegetiche e traduttive siano condizionate dall‘influsso della cultura cristiana, nella quale gli autori della versione armena erano immersi, e dalle interpretazioni dei commentatori neoplatonici, di cui si è fornito in precedenza un saggio; si considerino, in proposito, le illuminanti osservazioni di Jowett (2004: senza indicazione di pagina):

―the influence which the Timaeus has exercised upon posterity is due partly to a misunderstanding. In the supposed depths of this dialogue the Neo- Platonists [sic: n. d. A.] found hidden meanings and connections with the Jewish and Christian Scriptures, and out of

19

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them they elicited doctrines quite at variance with the spirit of Plato. Believing that he was inspired by the Holy Ghost, or had received his wisdom from Moses, they seemed to find in his writings the Christian Trinity, the Word, the Church, the creation of the world in a Jewish sense, as they really found the personality of God or of mind, and the immortality of the soul. All religions and philosophies met and mingled in the schools of Alexandria, and the Neo-Platonists had a method of interpretation which could elicit any meaning out of any words. They were really incapable of distinguishing between the opinions of one philosopher and another— between Aristotle and Plato, or between the serious thoughts of Plato and his passing fancies. They were absorbed in his theology and were under the dominion of his name, while that which was truly great and truly characteristic in him, his effort to realize and connect abstractions, was not understood by them at all. Yet the genius of Plato and Greek philosophy reacted upon the East, and a Greek element of thought and language overlaid and partly reduced to order the chaos of Orientalism‖.

2.2.2 Opposizione tra ―essere‖ e ―divenire‖

Procedendo ad analizzare la traduzione del testo armeno relativamente agli elementi lessicali rilevanti, è opportuno segnalare, innanzitutto, che, come prevedibile, l‘opposizione ―essere‖ / ―divenire‖ è effettivamente mantenuta. Si consideri, in proposito, un passo di carattere tecnico, ovvero il famoso 27 d 6 ‒ 28 a 1, in cui si presenta l‘opposizione tra i due tipi di realtà (eterna vs. fenomenica):

/  

―che cos‘è ciò che è sempre, e non ha divenire, e che cos‘è ciò che diviene sempre, e non è mai?‖.

Nella tradizione greca, come è noto, è attestata anche una variante che comporta l‘assenza del secondo che Dillon (1989) ipotizza essere stato aggiunto per un‘emendazione ideologica (cfr. parte I, cap. II). Il testo armeno, in 13.31-32 ms. (= 91.11-12 st.) recita:

zin՞čʿ20 or ē mišt, ew li/nelowtʿiwn očʿ owni` ew zin՞čʿ ē or lini isk` ew očʿ erbēkʿ ē

―che cosa (è) quello che è sempre, e non ha divenire, e che cosa è quello che invece diviene, e non è mai?‖,

suggerendo in effetti un modello greco che non conoscesse la seconda occorrenza dell‘avverbio temporale (in disaccordo, peraltro, con il manoscritto A; v. Jonkers, 1989: 120). I participi sostantivati, si noti, sono resi con perifrasi relative (a differenza di quanto accade in altri casi nello stesso Timeo: v. infra).

Nel prosieguo del brano (28 a 1 ss.), mentre il testo greco si presenta come:

20

Il manoscritto riporta il segno di interpunzione <:> (corrispondente al punto fermo) dopo zin՞čʿ. Il segno è in questo caso da espungere.

(8)

195     

―l‘uno si coglie con il pensiero tramite il ragionamento, essendo sempre nelle medesime condizioni, l‘altro invece è valutabile con l‘opinione, tramite la percezione non razionale, poiché nasce e perisce, ma non è mai davvero‖,

l‘armeno (13.32 ss. ms. = 91.12 ss. st.), a prescindere da singole interpretazioni discutibili, adotta una lettura sintattica complessiva che non coincide con quella solitamente preferita dai traduttori:

sakayn or / imacʿowtʿeamb baniw parownakelin ē` mišt ənd inkʿean ē` ew ayn / or tʿowicʿi zgayakan gol` anban karcmamb, ew lini` ew / korowsani čšmartapēs` očʿ erbēkʿ ē

―ma ciò che si può cogliere con il pensiero tramite il ragionamento, è sempre secondo sé stesso, e quello che sembrasse essere percepibile con i sensi, tramite un pensiero irrazionale, e diviene, e perisce davvero, non è mai21‖.

Dal punto di vista della struttura globale, è evidente che il traduttore ha interpretato come un participio sostantivato considerando come il predicato; Mariès (1928: 105) ritiene peraltro questa interpretazione del greco condivisibile. Sempre secondo Mariès, la resa di con ənd inkʿean suggerisce che il modello greco presentasse piuttosto la lezione il che è senz‘altro possibile: si noti, comunque, che Jonkers (1989), come del resto Burnet (1902) e Rivaud (1963), non registra questa variante; la corrispondenza / ənd inkʿean è peraltro attestata altrove (v.

infra). è stato sicuramente inteso in senso verbale, come congiuntivo aoristo di

il che ha determinato una ristrutturazione di tutta la frase:è stato tradotto come se fosse un pronome relativo, sembra essere stato reso con

zgayakan (gol), e probabilmente letto (Mariès, 1928: 104),è stato svolto in anban karcmamb. Il segno di interpunzione presente nel manoscritto dopo čšmartapēs è

dovuto a risegmentazione successiva della frase, e deve essere senz‘altro spostato prima della parola, autorizzando una traduzione con ―e diviene e perisce e non è mai‖. Relativamente alla resa dell‘opposizione ―essere‖ / ―divenire‖, anche in questo caso mantenuta, si noti che la voce di che nel contesto significa verosimilmente ―nascere‖ in opposizione al successivo ―perire‖, è resa con una voce di linel (v. infra).

La dicotomia ―essere‖ / ―divenire‖ è preservata, in generale, anche in casi in cui, nella lingua classica, sarebbe stata neutralizzata. Come forma di infinito per ―essere‖ si utilizza infatti gol, anche in impieghi copulativi (come nel passo appena analizzato): ad esempio, in corrispondenza del brano greco in 18 a 4-7 in cui si parla dell‘anima dei guardiani, la sequenza   21 V. infra.

(9)

196

 

―dicevamo infatti, credo, di una natura dello spirito dei guardiani, che doveva essere allo stesso tempo notevolmente coraggiosa e incline alla filosofia, perché potessero diventare in modo corretto benevoli verso gli uni e implacabili verso gli altri‖

 

è resa (3.4 ss. ms. = 77.18 ss. st.) con:

zi ew bnowtʿiwn hogoyn pahpanołacʿn tʿowi / inj gol ayspēs hamangamayn cʿasmnatesak` ew i/mastasēr zanazanapēs. zi aṙ erkakʿančʿiwrsn h/naricʿē socʿa owłłabar linel hezkʿ` ew džowarinkʿ

―perché anche la natura dello spirito dei guardiani mi sembra essere così insieme irascibile e saggia in misura considerevole; affinché fosse loro possibile diventare correttamente miti e ostili gli uni verso gli altri‖.

Questo testo, si noti, proviene dalla sezione introduttiva e presenta in greco un dettato relativamente piano. La struttura in armeno è stata semplificata: nella prima parte il verbum

dicendi è stato eliminato, come anche il verbo modale, e l‘inciso è stato tradotto come il

verbo principale; la frase subordinata è, conformemente al greco, un‘infinitiva. Nella seconda parte, la finale è resa, conformemente al greco, con una subordinata al congiuntivo; invece della costruzione personale del greco si adotta una costruzione impersonale del verbo modale, con regolare inserimento del pronome dimostrativo al caso obliquo per esplicitare ―a chi‖ fosse possibile diventare come segue. L‘ordine delle parole non è rispettato rigidamente e, nel complesso, il senso è preservato. I due infiniti sono resi, rispettivamente, con gol e linel. Nella tradizione manoscritta non sono attestate varianti che possano aver influenzato il dettato armeno, che si giustifica comunque agevolmente a partire dal testo greco tradito.

Gol, che non ha in questo caso valore tecnico, rende 28 c 3)anche in 14.16 ms. (=

91.33 st.), dove regge linel, il quale corrisponde a in senso tecnico (v. infra). Altri esempi di gol in corrispondenza di si trovano in 5.26 ms. (= 80.13 st.; 20 a 8 gr.); 7.25 ms. (=83.12 st.; 21 e 7 gr.); 12.23 ms. (= 89.24 st.; 26 d 3 gr.); 12.25 ms. (89.26 st.; 26 d 4 gr.), etc. Altrove gol rende anche, non sorprendentemente, l‘infinito futuro : si veda ad es. 15.31 ms. (= 93. 25 st.; 30 b 2 gr.); 18.29 ms. (= 97.4 st.; 33 d 2 gr.); 63.22 ms. (= 146.22 st.; 70 e 5 gr.).

In 9.19 ms. (85.28 st.), tuttavia, gol asin22, ―sono dette essere‖, occorre in corrispondenza di ―da essa si dice che siano sorte‖ di 23 c 6-7; il brano, che si trova nella sezione introduttiva, è in effetti ristrutturato nella traduzione. Laddove il greco ha:



 

―da essa si dice siano sorte le più belle imprese e le più belle istituzioni tra tutte quelle (lett. ―quante‖) di cui sotto il cielo23 noi abbiamo appreso per sentito dire‖,

22

(10)

197 l‘armeno (9.18-20 ms. = 85.26-29 st.) legge:

oroy gełecʿik gorckʿ ew kʿałakʿavarowtʿiwnkʿ, gełecʿkagoyn kʿan zamenayn / kʿałakʿacʿ gol asin` kʿan zaynocʿik` orčʿapʿ mekʿ nerkʿoy erkni ənka/leal emkʿ lowr

―le cui belle imprese e istituzioni si dice siano (le) più belle di tutte le città24

, di tutte quelle, quante noi sotto il cielo abbiamo conosciuto per aver udito‖.

Dal punto di vista linguistico, si noti che il secondo termine di paragone è regolarmente introdotto da kʿan z-, ma è posto in genitivo invece che in accusativo, verosimilmente per calco parziale sul partitivo presente nel modello greco.  è interpretato e reso come riferito alle ―città‖ poiché si sta effettivamente parlando della ―città degli Ateniesi‖25 (ayd

kʿałakʿd` Atʿenacʿwocʿ26

, ―questa città degli Ateniesi‖: 9.16-17 ms. = 85.24 st.;

―quella che ora è la città degli Ateniesi‖: 23 c 5 gr.). In ogni caso la corrispondenza / gol, evidentemente dovuta ad un‘interpretazione del contesto (favorita dalla posizione di ), non compromette in nessun modo la distinzione filosofica impostata nel dialogo tra la dimensione dell‘essere e quella del divenire. Un altro esempio si trova in 15.32 ms. (= 93.26 st.), dove gol rende di30 b 3; laddove il greco diceva , ―è impossibile che a qualcosa venisse ad essere la mente senza l‘anima‖, l‘armeno, ponendo regolarmente il soggetto in dativo ed eliminando il finale, dice ew mtacʿ aṙancʿ hogwoy

gol anhnar ēr, ―ed era impossibile che si desse la mente senza lo spirito‖. L‘enumerazione

potrebbe continuare.

Gol, come altre forme riconducibili a un verbo per ―essere‖, è inserito anche in punti in cui

il greco non presenta la copula. Per esempio, in 3.13 ms. (= 77.30 st.), laddove il greco in 18 b 3 aveva, in dipendenza da un verbum dicendi, ―(è stato detto) che bisognava che considerassero‖, l‘armeno, mantenendo la struttura infinitiva (ma rendendo il soggetto dell‘infinitiva greca con il dativo, conformemente all‘uso armeno)27

, risponde con hamaril28

gol part, ―(è stato detto) che (per loro) era necessario considerare‖. Un inserimento analogo si

trova ad esempio in 3.25 ms. (= 78.7 st.), in corrispondenza di 18 c 9 del greco (v. infra). L‘infinito al genitivo è inserito per rendere un sintagma preposizionale del greco (26 e 3) in 12.31 ms. (= 90.3 st.): ―a causa della affinità‖ è reso con vasn əntani

goloyn, ―per l‘essere affine‖.

Gol compare anche allo strumentale, in corrispondenza di participi circostanziali del greco;

l‘impiego di una forma di infinito così declinata era noto anche alla lingua classica, in cui 23

Sulla locuzione ―sotto il cielo‖, cfr. Tinti (2010b: 220 ss.).

24

Per l‘impiego degli aggettivi con suffisso -agoyn come superlativi assoluti, v. Minassian (1996: 299).

25

Tale resa potrebbe anche essersi generata a partire da un testo greco che presentasse una glossa  accanto a la tradizione manoscritta superstite non conosce comunque tale variante: v. Burnet (1902: ad loc.) e Rivaud (1963: ad loc.); Jonkers (1989). Su possibili tracce di glosse si tornerà in seguito.

26

Il nome è minuscolo nel manoscritto.

27

Cfr. Minassian (1996: 131 ss.).

28

(11)

198

però essa manteneva la sua funzione modale. Invece «l‘Ecole Hellénistique en abuse et l‘utilise pour rendre des participes temporels ou autres» (Mercier 1978-1979: 74)29

. Si veda, ad esempio, 5.10 ms. (= 79.31 st.), dove molorakan golov, lett. ―con l‘essere vaganti‖, rende ―essendo vaganti‖, ―poiché sono vaganti‖,di 19 e 4. Ancora, in 5.17 ms. (= 80.5 st.), in corrispondenza di ―essendo di una città ben regolata‖,di 20 a 2, si trova i kʿaǰōrēn golov30 kʿałakʿē, lett. ―essendo (proveniente) da una

città che mantiene bene le leggi‖, con un ablativo preposizionale di provenienza in corrispondenza del genitivo del greco. Altri esempi si trovano in 10.17 ms. (= 87.1 st.; 24 d 1 gr.); 10.23 ms. (= 87.9 st.; 24 d 6 gr.), etc. In 84.30 ms. (= 168.4 st.), golov rende il participio futuro di 87 c 6 gr.

Altrove, gol corrisponde a participi predicativi: così in 6.27 ms. (=81.34 st.) si trova

handipēi gol, ―capitava che ci fosse‖, per il greco ―capitava che fosse‖, di

21 b 2.

Sono attestate anche alcune forme di indicativo del medesimo verbo. Si veda, ad esempio, l‘occorrenza in 8.5 ms. (= 83.27 st.), in corrispondenza di un ―essere‖ esistenziale del greco: ―un Greco vecchio non esiste‖ (22 b 5). In armeno, comunque, la frase è diversa: si legge infatti zi cer Ellenacʿi` očʿ goy lsel, ―non è possibile sentire (di) un greco vecchio‖. Esistono due possibili spiegazioni: la prima e più probabile è che goy corrisponda effettivamente a ―esiste‖, e che lsel sia in realtà una corruttela del participio lseal (che nel manoscritto sarebbe stato scritto lsel con un diacritico sopra la e), corrispondente a con cui inizia la frase successiva. In tal senso emenda l‘editore ottocentesco (zi cer

Ellenacʿi` očʿ goy: Lseal…). Un copista armeno avrebbe, in tal caso, adattato la punteggiatura

alla presenza dell‘infinito, conservando, si noti, una frase di senso compiuto. La seconda ipotesi è che il traduttore armeno leggesse un infinito al posto del participio; tale variante non è però attestata nella tradizione superstite (cfr. Burnet, 1902 e Rivaud, 1963: ad

loc.; Jonkers, 1989), e richiederebbe tra l‘altro che il ―vecchio Greco‖ fosse, nel testo greco,

l‘oggetto in accusativo (ma una ristrutturazione sarebbe senz‘altro stata possibile in un manoscritto che conoscesse la variante con l‘infinito). In ogni caso, questa particolare occorrenza di goy (―esiste‖ o ―si dà che‖) esprime correttamente una presupposizione di esistenza (e ciò giustifica la sua presenza in luogo di un ē non marcato).

Lo stesso vale per l‘occorrenza in 9.23 ms. (=85.33 st.): in corrispondenza della frase nominale ―nessuna invidia31, Solone‖di 23 d 4, l‘armeno ha

maxankʿ očʿ goy ov Sołon, ―non c‘è invidia, o Solone‖. Si veda anche 13.1 (= 90.7 st.; 26 e 6)

in cui očʿ goy significa ―non è possibile‖. Si danno anche occorrenze alla terza persona dell‘imperfetto: ad esempio goyr in 18.19 ms. (= 96. 28 st.; 33 c 3 gr.) e 18.25 ms. (= 96.34; 33 c 7 gr.), entrambe in accezione esistenziale.

Esistono occorrenze di goy/gol anche in contesto tecnico: l‘infinito sostantivato compare ad esempio per rendere il sintagma participiale sostantivato ―ciò che è nelle medesime condizioni‖, di 28 a 6-7: in 14.5 ms. (= 91.19 st.) si legge infatti aṙ noynpēs

goln mišt hayi, ―guarda sempre all‘essere che è nelle stesse condizioni‖. La traduzione, si noti,

ascrive correttamente la definizione in oggetto all‘ambito dell‘essere, anche se l‘elemento lessicale non compare in greco. Lo stesso accade (con una forma di imperfetto) in corrispondenza di ―ciò che è nelle stesse condizioni e

29

Cfr. anche Mowradean (2004: 306) e indicazioni bibliografiche relative per la presenza di questa struttura in versioni di testi patristici.

30

L‘elemento deittico / ‗articolo‘ -n è aggiunto al participio dall‘editore ottocentesco.

31

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199

allo stesso modo‖,di 29 a 1, reso in 14.20 ms. (= 92.1-2 st.) con ayn or noynpēs ew əst

inkʿean goyr, ―ciò che esisteva allo stesso modo e secondo sé stesso32‖.

Riassumendo, se gol rende l‘infinito (e occasionalmente l‘infinito futuro )anche in funzione di copula, le occorrenze di terze persone sembrano sempre veicolare una presupposizione di esistenza. Non si danno esempi di prime o seconde persone.

Il presente non marcato del tipo em è, come prevedibile, abbondantemente attestato, anche laddove il greco preferisce espressioni nominali (es. 2.6 ms. = 76.4 st. = 17 a 3 gr.). Forme del verbo in questione vengono del resto frequentemente inserite in armeno, talora anche come parte di una perifrasi usata per rendere un verbo greco differente: si consideri ad esempio la corrispondenza tra hnar icʿē socʿa, ―sarebbe possibile per loro‖, di 3.6-7 ms. (= 77.21 st.), e ―potrebbero‖, di 18 a 6. D‘altro canto, accade che l‘armeno risponda ad una forma di ―essere‖, presente in greco, con una resa alternativa: si veda ad es. 2.20 ms. (= 76. 22 st. = 17 c 1 gr.), laddove a ―così sarà‖,corrisponde ayspēs ew araricʿ, ―così anche sarà fatto‖.

L‘infinito el (non noto alla lingua classica) non compare mai nel Timeo nella forma base. Esiste però un‘unica occorrenza di un participio futuro elocʿ, ―che sarà‖, costruito su un infinito analogo, usato in 47.23-24 ms. (= 130.12 st.) per rendere ―che sarà‖,di 58 c 4 gr. Si danno inoltre alcune occorrenze di infinito declinato allo strumentale (cfr. supra), che rendono participi circostanziali: si veda, solo a titolo di esempio, la sequenza erkow elov, ―essendo due‖, in 32.3 ms. (= 112.9 st.), che risponde a ―essendo due‖, di 44 d 3. Ancora, in 88.15 ms. (= 171.27 st.), ibrow očʿ elov boys` erkrayin, ayl erknayin, ―a causa del non es sere una pi ant a t errest re, m a cel est e ‖, t raduce             ―perché siamo una pianta non terrestre ma celeste‖,di 90 a 6 gr.; si noti il soggetto in nominativo.

Le occorrenze al genitivo, concordate con un soggetto in un‘imitazione del genitivo assoluto greco33, sono invece da interpretare, verosimilmente, come casi obliqui di una forma participiale eal (v. Ciakciak, 1837: s.v.), che però non è attestata in quanto tale nel Timeo. Ad esempio, in 2.16 ms. (= 76.17 st.) si trova la sequenza merj eloy ko verstin` darjeal

canowscʿes mez, ―essendo tu presente di nuovo, un‘altra volta (le) esporrai a noi‖, anche se, si

noti, in greco in questo passo (17 b 7) vi è un semplice participio congiunto: ―tu essendo presente ce le riporterai alla memoria‖. Il prefisso di  è reso in armeno con un aggettivo, così come il prefisso del verbo al futuro è reso con un participio in funzione avverbiale. Un altro esempio, che rispecchia stavolta la struttura del greco, si trova in 16.4 ms. (= 94.1 st.): ew sora eloy, ―ed essendoci questo‖, rende di senso analogo, presente in 30 c 2 gr. Come si può notare, e come era del resto prevedibile, la famiglia lessicale di em si usa anche per rendere verbi di esistenza diversi da  Altrove si trovano casi di genitivo assoluto con un participio al plurale (che è formalmente identico, si noti, al participio futuro di 47.23-24 ms.): in 85.28 ms. (= 169.3 st.), ad esempio, krkin cʿankowtʿeancʿ elocʿ, ―essendoci duplici desideri‖, riproduce  di senso analogo, presente in 88 b 1.

Per quanto riguarda gli elementi nominali afferenti all‘ambito lessicale dell‘essere, la resa di denota, quantomeno, la capacità di distinguere, e soprattutto la volontà di mantenere differenziato in traduzione, il sostantivo impiegato in accezione filosofica nel senso di

32

Per ―secondo sé stesso‖, v. supra.

33

Cfr. Bolognesi (2000a: 16); v. Mercier (1978-1979: 73) per esempi di ‗genitivo assoluto‘ nella lingua della Yownaban Dprocʿ.

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200

―essere‖, ―essenza‖ dalle occorrenze del medesimo nel significato materiale di ―ricchezze‖, ―beni‖. Così, l‘occorrenza al dativo (di limitazione) in 20 a 2, riferita alle ricchezze di Locri, è resa in 5.18 ms. (= 80.6 st.) con goyiwkʿ, strumentale (di limitazione) di goykʿ (gen. goyicʿ), ―sostanze, averi‖ (cfr. NB, Ciakciak, 1837, Bedrossian, 1875 – 1879 e Łazarean, 2000: s.v.). Si noti, in vista di un futuro e auspicabile confronto della tecnica di traduzione di tutti i dialoghi platonici del manoscritto 1123, che, stando a quanto segnala Finazzi (1974: 206), nel V libro delle Leggi vi è almeno un‘occorrenza di goykʿ in corrispondenza di (in accezione materiale).

Il sostantivo in contesto tecnico viene invece reso con goyowtʿiwn in 15.4 (= 92.23 st.; 29 c 3 gr.) e 19.28 (=98.11 st.; 35 a 4 gr.). Estremamente significativo è il fatto che, a partire da 35 b 1, si usa invece solo goyacʿowtʿiwn, in 20.1 ms. (= 98.18 st.; 35 b 1 gr.), 20.4 ms. (= 98.21 st.; 35 b 3 gr.), 21.20 ms. (=100.13 st.; 37 a 3 gr.), 21.23 ms. (= 100.16 st.; 37 a 5 gr.), 22.23 ms. (=101.19 st.; 37 e 5 gr.), 40.10 ms. (= 122.8 st.; 52 c 4 gr.). Questo secondo sostantivo è paradigmaticamente connesso con goyacowcʿičʿ, che è il modo in cui nel Timeo è chiamato il demiurgo34, e con goyacʿowcʿanem, ―dare l‘esistenza‖, usato in un‘occasione per rendere 35―fabbricare‖, ―creare‖ (per le forme passive del medesimo verbo si usa

goyanam)36, e può anche essere tradotto con ―sostanza‖ (cfr. Ciakciak, 1837). Il cambiamento

lessicale avviene dopo che, in 35 a 3-4, si parla della nascita di un ―nuovo genere di essere‖ (per l‘ultima volta espresso con goyowtʿiwn); non sembra azzardato ritenere che il traduttore volesse, con il mutamento lessicale, enfatizzare il cambiamento, e che abbia interpretato (peraltro erroneamente) tutte le successive occorrenze della parola in riferimento a questo nuovo tipo di essere intermedio nato con la composizione dell‘anima.

Il sostantivo bnowtʿiwn, ―natura‖, ―essenza‖, si noti, non è invece impiegato nella resa di elementi afferenti alla famiglia lessicale di , ma risponde regolarmente alle numerosissime occorrenze del greco  (la prima è in 2.28 ms. = 77.8 st. = 17 c 10 gr.; l‘ultima in 89.28 ms. = 173.7 st. = 91 b 5 gr.). Nel manoscritto (2.2-3), del resto, al dialogo è attribuito il sottotitolo saks bnowtʿean, ―sulla natura‖ (riportato nell‘edizione ottocentesca: 76)37.

Un ulteriore elemento lessicale da segnalare è ēak38, che compare nel Timeo in

corrispondenza di participi presenti di ―essere‖ e designa le ―cose che sono‖. In 22.4 ms. (= 100.33 st.; 37 c 3 gr.) e 33.12 ms. (= 114.24 st.; 46 d 5 gr.), il genitivo plurale ēakacʿ39 rende participi sostantivati al plurale () che definiscono semplicemente ―le cose che esistono‖, senza riferimento al mondo dell‘essere (perché in effetti, in questi due casi, si rimanda a realtà del mondo fenomenico). Analogamente, il nominativo plurale ēakkʿ, ―enti‖, in 51.33 ms. (=134.24 st.) è inserito in un passo in cui il greco (61 d 5) aveva un participio neutro plurale sostantivato in accezione non tecnica ( ―le cose che sono riguardo al corpo e all‘anima‖).

In 37.3 ms. (= 118.23 st.), invece, tevakan ibrow ēakkʿ, ―come enti permanenti‖, rende un participio non sostantivato, che ha in greco funzione verbale: nel passo (49 e 3) si afferma infatti l‘illiceità di chiamare le realtà sensibili con appellativi come questo, che li indicherebbero ―come se fossero permanenti‖. In questo caso, a differenza 34 Es. in 14.4 ms. (= 91.18 st.; 28 a 6 gr.); 14.21 ms. (= 92.3 st.; 29 a 3 gr.); 25.29 ms. (= 105.21 st.; 40 c 1-2 gr.), etc. 35 In 61.26 ms. (= 144.29 st.; 69 c 4 gr.). 36 In 14.26 ms. (= 92.10 st.; 29 a 7 – 28 b 1 gr.); 16.19 ms. (= 94.18 st.; 31 a 4 gr.); 71.10 ms. (= 154.8 st.; 76 d 7 gr.); 76.12 ms. (= 159.13 st.; 80 e 4 gr.). 37

Sulla natura di dialogo del Timeo, v. Fronterotta (2006: 9 ss.) e bibliografia relativa.

38

Il database LALT segnala come sconosciuta la data della prima attestazione, ma indica la presenza del sostantivo già nel VI secolo.

39

(14)

201

che altrove40, il senso non è compromesso: il sostantivo armeno è usato però per descrivere non, genericamente, realtà che ―si danno‖, in accezione non tecnica (come nei primi esempi), ma cose che ―sono‖, in senso filosoficamente pregnante. Ciò trova riscontro, del resto, nella polisemia del participio nel testo greco: alle ―cose che sono‖ in senso tecnico risulta riferita, tanto in greco quanto in armeno, l‘occorrenza in 38.19-20 ms. (= 120.9-10 st.; 51 a 1 gr.), laddove zamenecʿown mišt ēakacʿn (…) nmanowtʿiwns, ―le imit azioni di tutti gli enti eterni‖, rende ―le copie di tutte le cose che sempre sono‖. Un altro esempio, al singolare, si trova in 40.11 ms. (= 122.9 st.; 52 c 6 gr.):  ―a ciò che è realmente‖,è tradotto con ayn or hastatapēs

ēak ē, ―ciò che è certamente (o ―stabilmente‖) essenza‖.

Non sempre, tuttavia, la resa armena riproduce adeguatamente le occorrenze investite, in greco, di rilevanza filosofica. Si consideri in proposito 37.28 ms. (=119.16 st.), laddove (50 c 5), ―copie delle cose che sempre sono‖, è reso con aylocʿ

ēakacʿn` mišt en nmanokłʿ, che è interpretabile, come indica anche la punteggiatura presente

nel manoscritto, con ―sono sempre copie di altre realtà‖. A onor del vero, la lettera del testo greco autorizzerebbe anche questa seconda interpretazione, che però è senz‘altro da scartare, alla luce del valore tecnico che la definizione ―le cose che sempre sono‖ assume nel Timeo. Una situazione analoga si trova in 49.2 ms. (= 131.24 st.): la traduzione del segmento yoržam

yałags ēakacʿn dicʿē mišt zbankʿ41, ―qualora lasci da parte sempre i discorsi riguardo agli enti‖, è facilmente giustificabile a partire dal greco  ―qualora (…) lasciando da parte i discorsi riguardo alle cose che sempre sono‖, di 59 c 7-8. La posizione di mišt (―sempre‖) indica però che l‘avverbio è stato inteso come riferito a con il risultato che la formula ―la cose che sono sempre‖ è perduta nel testo armeno.

In ogni caso, prescindendo dai casi di mancata comprensione, che un testo come il Timeo indubbiamente favorisce, questa resa di alcuni participi sostantivati (o presunti tali) testimonia un metodo di lavoro che non procede unicamente per corrispondenze automatiche, ma si sforza di distinguere le funzioni degli elementi. Altrove, come è noto (es. 13.31-32 ms.), participi sostantivati del verbo per ―essere‖ sono resi diversamente (es. con perifrasi relative). Mariès (1928: 103 e 109) afferma che la distinzione tra la resa con ēak e quella con la relativa risiede nella funzione, poiché la relativa sarebbe impiegata quando il participio da tradurre «garde sa force verbale». In realtà, come si è visto, dal punto di vista dell‘interprete moderno la ripartizione non è così netta, poiché in casi in cui il participio, seppur sostantivato, è accompagnato da avverbio, il traduttore armeno adotta comunque ēak. Di fatto, le occorrenze di in contesto tecnico conoscono un trattamento non uniforme: è però probabile che le diverse strategie adottate riflettano effettivamente una differente interpretazione data ai participi dal traduttore stesso.

Dell‘opposizione tra diverse forme di e della resa di si tratterà in seguito (2.2.4 e 2.2.5); per ora basti segnalare che non c‘è, nel Timeo, nessuna attestazione del

40 Ēakkʿ rende un participio che in greco non era sostantivato (―in quali cose essendo

fondati‖: 63 a 7) anche in 53.23 ms. (= 136.15 st.): il dettato platonico è comunque, in questo caso, anacolutico, e non sorprende quindi che il traduttore si sia trovato in difficoltà nell‘interpretare e trasporre il testo. Un completo fraintendimento, con inserimento del sostantivo in corrispondenza di un participio predicativo del greco, vi è inoltre in 77.26 ms. (160.32 st.; 82 a 5 gr.): la sequenza  ―i generi si trovano ad essere‖diviene, in armeno, seṙkʿ (…) patahecʿan ēaks, ―i generi (…) hanno incontrato gli enti‖.

41

Casi in cui una forma di nominativo plurale è presente dove ci si attenderebbe, invece, un accusativo sono attestati altrove nel manoscritto platonico (e non solo): v. infra, 2.2.4.

(15)

202

verbo ełanim al presente, mentre sono attestate le forme costruite sul tema del presente linim e quelle di aoristo del tipo ełē. Si danno anche doppioni quali licʿi / ełicʿi, leal / ełeal.

Si noti inoltre che, prevedibilmente, un verbo ad alta frequenza come linim non è unicamente riservato, nella traduzione armena, alla resa di . Come nel caso di em, esso può essere inserito per svolgere una costruzione nominale greca: in 50.33 ms. (= 133.21 st.), ad esempio, l‘aggettivo sostantivato ―quella che non è compatta‖,di 60 e 8 – 61 a 142

, è tradotto con la perifrasi relativa zayn or očʿ lini bałkacʿeal, ―quella che non è composta / messa insieme‖. Esempi analoghi si danno anche nella resa di strutture participiali: ad esempio, ―ciò che resta‖di 58 d 1 è trasposto in 47.28 ms. (= 130.16 st.) con ain or (…) mnacʿeal lini, ―ciò che è rimasto / rimanente‖; ad  ―quante (sono) lanciate verso l‘alto / verso il cielo‖, di 80 a 2 risponde [orčʿ]apʿ i barjowns tʿołeal linin43, ―quante vengono rigettate verso il cielo / le altezze‖, di 75.8 ms. (= 158.12-13 st.).

Sono attestati inoltre casi in cui linim risponde a forme di : ciò non è sorprendente, dato che, come è risultato anche dallo studio delle occorrenze di  nel Timeo greco, vi sono margini di sovrapposizione tra i contesti d‘uso di un verbo stativo e quelli della sua controparte trasformativa, la cui componente dinamica può essere peraltro, in determinate circostanze, meno rilevante44. Non a caso, i principali strumenti lessicografici sull‘armeno antico (cfr. NB, Ciakciak, 1837, Bedrossian, 1875 – 1979: s.v. linim; Hovhannisyan, 2010:

s.v. linel) ascrivono a linim anche il significato di ―essere‖45.

Nella traduzione armena del Timeo si segnalano, in particolare, un certo numero di casi in cui linim rende  quando il riferimento è al futuro, ambito in cui la sovrapposizione è particolarmente facile, poiché alla nozione di uno stato successivo si associa, piuttosto naturalmente, quella del ―raggiungimento‖ di tale stato (cfr. Dahl, 2000: 351)46

. Così, in 60.27 ms. (= 143.34 st.), linicʿi, ―verrà ad essere‖, ―sarà‖, risponde a ―sarà‖,di 68 d 7. Altrove, perifrasi con il participio futuro linelocʿ, ―che verrà ad essere‖, ―che sarà‖, rendono participi futuri47 o, in un caso, una forma di indicativo futuro di : ad esempio, in 66.8-9 ms. (= 149.12-13 st.), zor linelocʿn ēr (…) zexowtʿiwn, ―l‘intemperanza che era destinata ad esserci‖, rende  di significato analogo, presente in 72 e 4 gr.; in 8.9 ms. (= 84.5 st.), linelocʿ en, ―sono destinate a verificarsi‖, rende ―ci saranno‖,di 22 c 2. Del resto, il participio futuro del tipo elocʿ, ―che sarà‖, ―destinato ad essere‖ ‒ peraltro attestato una sola volta nel Timeo ‒ è una forma artificiale, mentre linelocʿ, definito nel database LALT «early classical», è presente in armeno sin dalla traduzione della

42

Questa è la lezione presente in A e V (v. Burnet, 1902 e Rivaud, 1963: ad loc.; Jonkers, 1989: 84, 115), e, evidentemente, nel modello della versione armena. La variante accolta a testo in Burnet e Rivaud, e presente tra l‘altro in F, è invece ―la terra non compatta‖.

43

Nel manoscritto vi è una breve lacuna prima di -apʿ.

44

Questo naturalmente non contrasta con l‘osservazione di Jensen (1959: 139), che annovera linim tra i verbi «die eine Modifikation des Sein-Begriffes in sich schließen (modale Copula)», evidentemente a causa, appunto, della sua componente azionale dinamica.

45

Mercier (1978-1979: 72) segnala, per la Yownaban Dprocʿ, la tendenza a sostituire linim e ełanim a em in funzione di verbo ausiliare. Sull‘uso di linim nei composti, cfr. Minassian (1996: 120, 429) e Jensen (1959: 140).

46

«(…) It seems quite natural that the distinction between being and becoming should blur with respect to the future, since the prototypical situation involves both the state itself and the event that marks its beginning».

47

L‘occorrenza di participio ―che sarà‖, di 38 c 3 è resa invece, in 23.10 ms. (= 102.13 st.) con la forma di indicativo futuro icʿē, riconducibile al paradigma di em.

(16)

203

Bibbia (v. NB: s.v.): si veda, ad esempio, l‘occorrenza in Amos 3.1048, laddove il greco aveva una forma di futuro 49 Come si è anticipato, comunque, la distinzione terminologia tra ―essere‖ e ―divenire‖ non è generalmente compromessa, poiché, quando i verbi greci sono in compresenza, la corrispondenza con le rispettive controparti armene è mantenuta senza difficoltà.

Altrove, linim rende inoltre verbi greci differenti; si considerino, a titolo di esempio, le seguenti corrispondenze: linicʿi (―diventerà‖) / (―che si è costituito come‖) in 50.15 ms. (= 133.1 st.; 60 d 1 gr.)50; hasow linicʿi (―colga‖) / ―colga‖in 63.28 ms. =146.29 st.; 71 a 4 gr.); linelov51 ―essendo‖ / (―essendo‖)in 14.26 ms. (= 92.10 st.; 29 b 1 gr.); linicʿi (―nascerà‖, ―ci sarà‖) / ―insorge‖, ―nasce in‖) in 15.18-19 ms. (= 93.10 st.; 29 e 2 gr.)52.

2.2.3 Verbi composti

Gli ultimi due esempi riportati nel sottoparagrafo precedente attestano che il traduttore, di fronte a un composto, non sentiva il bisogno di trasferire anche il prefisso in armeno, qualora il significato del verbo semplice fosse contestualmente adeguato. Casi simili si trovano in 15.32 ms. (= 93.26 st.; 30 b 3 gr.), dove, come è noto, gol rende ;in 6.3 ms. (= 80.25 st.), dove patrast em53 (…) zardareal, ―sono pronto (…), preparato‖ rende

(...) (…) ―sono presente (…) preparato (…) e prontissimo‖di 20 c 1-2, etc. Particolarmente interessante è il doppio esempio in 78.2 ms. (= 161.6-7 st.), laddove linelov ew očʿ linelow, ―essendoci e non essendoci‖, rende ―essendo aggiunto (ma anche ―venendo ad essere‖) ed essendo tolto (ma anche ―essendo assente‖)‖ di 82 b 4: qui il primo

48 Cfr. Amalyan (2000: ad loc.) 49 Cfr. Ziegler (1984: ad loc.). 50

Quello che era un participio (sostantivato) del greco è reso in armeno con un verbo di modo finito.

51

Si noti, però, che nel manoscritto è presente l‘abbreviazione lv, che altrove l‘editore ottocentesco svolge con elov (anche se una distinzione potrebbe essere data dalla presenza, nel caso l‘abbreviazione si riferisca ad elov, di un diacritico, che in questo caso sembra mancare; è però altrettanto possibile che tale assenza sia dovuta a motivi di spazio, dato che il diacritico sulla parola immediatamente precedente si estende parzialmente anche sopra lv). Per linelov è d‘altra parte attestata l‘abbreviazione linlv (es. in 39.28 ms. = 121.23 st.; 78.2 = 161.6-7 st.). Una corrispondenza em / del resto, è ben giustificabile e ricorre altrove (v. supra). In ragione di questa possibile incertezza, gli esempi di elov analizzati in precedenza sono stati selezionati tra quelli in cui la forma è scritta per esteso.

52

Si riporterà a breve un altro esempio di resa con il futuro / congiuntivo I di una forma di presente del greco.

53

Così emenda Sowkʿrean che, dalla sequenza patrastē md es zardrl presente nel manoscritto trae la frase patrast em <ar>d es zard<a>r<ea>l, ―io sono dunque pronto, preparato‖. Comunque si decida di intendere e svolgere il segmento d es, l‘emendazione è senz‘altro corretta per quanto riguarda la ricostruzione della prima persona del verbo essere dopo patrast. Si noti che, poco oltre, al semplice ―ricevere‖ del greco (20 c 3) risponde zaṙ i jēnǰ asacʿealsn əndownel, ―ricevere le cose dette da voi‖ (6.4 ms. = 80.26 st.), che desume dal contesto ed esplicita che cosa Socrate si dichiari pronto ad accogliere. Nella tradizione manoscritta greca non è attestata nessuna variante che può aver determinato tale espansione (v. Burnet, 1902 e Rivaud, 1963: ad loc.; Jonkers, 1989).

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