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Academic year: 2021

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1.3 Perché il conflict mapping?

Per un quadro dettagliato riguardo alle motivazione che mi hanno spinto ad adottare una metodologia di studio di un conflitto piuttosto che altre, vorrei fornire una panoramica riguardante gli altri strumenti di studio che possono essere utilizzati dagli specialisti del settore a seconda delle loro finalità.

Per teoria generale del conflitto, s’intende un insieme organico di strumenti concettuali che ci aiutano a comprendere un particolare fenomeno e a spiegare perché e sotto quali circostanze esso si verifica. In particolare, nel caso dei conflitti, questi strumenti concettuali dovrebbero permetterci di comprendere, perché e come è nato; come presubilmente potrebbe evolversi; come agire per prevenire una sua evoluzione violenta e distruttiva e infine, come operare per far terminare la violenza – qualora essa si sia manifestata – e per portare il conflitto a un esito costruttivo e positivo per le parti; inoltre, dovrebbero permetterci di analizzare quelle situazioni nelle quali, anche se in apparente assenza di conflitto e di violenza diretta, a causa di tensioni crescenti o di presenza di violenza strutturale, sia individuabile una condizione di mancanza di pace, nel suo significato più ampio.

Questi strumenti concettuali possono essere di diverso tipo, possono essere paradigmi, modelli e anche leggi: con il termine paradigma ci si riferisce a un quadro di riferimento che possa guidare nell’analisi e nella comprensione di determinate situazioni, ad esempio si può riportare in tale sede il triangolo ABC di Galtung che guida nell’analisi di un conflitto, indicando gli elementi chiave da considerare per una sua comprensione.

Un modello, invece, è una costruzione mentale che descrive una situazione o una realtà. Il linguaggio che viene utilizzato all’interno è di diverso tipo, dal linguaggio naturale a quello formale. Esempi di modelli che possono essere ricondotti sono il “Dilemma del prigioniero” o la corsa agli armamenti di Richardson, i quali però, rappresentano situazioni tipo o pragmatiche che costituiscono l’astrazione o la generalizzazione di situazioni reali.

Una legge, infine, è una relazione o una sequenza di relazioni. E’ il risultato di un processo induttivo: il prodotto dell’osservazione di un rilevante numero di casi in cui la relazione che la legge propone, viene verificata nei fatti. Ma al contempo, è anche, il prodotto di un’attività creativa, che porta a scegliere il tipo di relazione su cui

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focalizzare l’attenzione, e successivamente a generalizzare le osservazioni per giungere alla formulazione di una legge 1.

Dapprima si intende esplicitare la teoria di J. Galtung, considerato, grazie al metodo Transcend, l’iniziatore della peace research in ambito accademico e colui, che ha cominciato a studiare i conflitti in maniera interdisciplinare coadiuvando la propria preparazione matematica con altre conoscenze accademiche.

L’approccio che deriva da tale rete, ha introdotto il concetto di trasformazione non violenta dei conflitti, mettendo altresì in evidenza la natura relazionale prettamente dinamica ed eternamente cangiante del conflitto, che lo stesso autore interpreta utilizzando la metafora del «triangolo del conflitto», nel quale ciascun vertice corrisponde ad un aspetto caratteristico che contribuisce a definirlo:

A (di attitudes) sta per atteggiamenti, attitudini ed emozioni. Indica tutto ciò che sta all’interno dei singoli attori, anche e soprattutto a livello inconscio;

B (di behaviour) indica il comportamento assunto dalle parti, ciò che è visibile e manifesto;

C (di contradiction) indica la contraddizione, gli scopi e le incompatibilità riguardante la relazione fra gli attori

Fig. 1

1 Cit. materiale d’esame del corso “Approccio sistemico all’analisi dei conflitti” , corso di laurea magistrale in Scienze per la pace, anno accademico 2014-2015.

B

C A

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Un conflitto, pienamente sviluppato, comprende tutti e tre questi aspetti, di cui solamente il comportamento è manifesto, mentre gli altri due sono latenti 2.

Non è possibile, quindi, affrontare un conflitto soffermandosi esclusivamente su uno dei tre elementi: tutti e tre devono essere considerati se si vuole che il conflitto venga risolto in maniera costruttiva, stabile nel tempo, e giungendo ad una situazione radicalmente diversa da quella iniziale e migliore per tutti.

Ovviamente questi tre elementi vanno visti in un rapporto dinamico che evolve nel tempo. Il conflitto è qualcosa di intrinsecamente dinamico, con una sua evoluzione temporale, ed è importante che anche questi elementi caratterizzanti il conflitto possano mutarsi nel tempo. Anche se nel pensiero dell’autore, questa dinamicità è presente in modo chiaro, tuttavia una critica posta al seguente modello è la staticità: il triangolo presenta solamente una sorta di fotografia del conflitto presa in un dato momento. Questa prospettiva è manchevole dell’individuazione dei meccanismi che fanno sì che l’interazione fra atteggiamenti, comportamenti e contraddizioni porti ad una evoluzione del conflitto. Il problema con il paradigma ABC, è che esso non fornisce informazioni sulle modalità attraverso le quali il conflitto evolve.

E’ bene ricordare che tale modello, tuttavia, è possibile applicarlo anche seguendo un approccio nonviolento per la risoluzione dei conflitti. All’interno del quale troviamo posto al vertice A, quello degli atteggiamenti, l’empatia, ovvero la capacità di mettersi nei panni dell’altro, di sentirne e percepirne le emozioni, con lo scopo di aiutare le parti in conflitto a liberarsi dei fantasmi psichici che impediscono loro di comprendere la situazione nella sua totalità. Al vertice B, il comportamento, corrisponde la nonviolenza di azioni e dialogo nella comunicazione, indispensabili per evitare l’ escalation e la deriva del conflitto verso comportamenti violenti e per indagare ciò che avviene all’esterno sotto forma di condotte manifeste e per facilitare il processo di riconciliazione. Al vertice C, contraddizione, corrisponde la creatività, necessaria per far emergere soluzioni che permettano a tutti gli attori di realizzare pienamente i loro obiettivi superando le contraddizioni presenti tra le parti in conflitto 3.

Fig 1: rappresentazione grafica del triangolo di Galtung.

2 P. Consorti, Conflitti, mediazione e diritto interculturale, Pisa university press, Pisa, 2013. Pp. 95, 98.

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Vi è poi un altro modello di studio di un conflitto, il quale prende in esame l’analisi di elementi come posizioni, interessi ed esigenze - contenute nel vertice C, della

contraddizione del modello precedente. La critica che viene mossa al summenzionato modello è quella della staticità: vengono individuati chiaramente alcuni degli elementi importanti di un conflitto, ma non risulta chiaro come essi determinino la dinamica del conflitto e da essa siano influenzati 4.

Fig. 2

L’idea è quella di cercare di distinguere, all’interno della contraddizione che caratterizza un conflitto, le posizioni di principio che hanno le parti e ciò che si pone al di sotto di tali posizioni e le motiva: interessi ed esigenze. Le posizioni tendono a dividere creando situazioni di stallo, sugli interessi è invece possibile, trovare dei punti di incontro. In una posizione intermedia tra i due si pongono le esigenze, i valori, che a volta appaiono non negoziabili ma, altre volte, non è improbabile che fra le due parti ci sia una qualche condivisione di valori 5.

4 Cit. materiale d’esame del corso “Approccio sistemico all’analisi dei conflitti” , corso di laurea magistrale in Scienze per la pace, anno accademico 2014-2015.

Fig. 2: rappresentazione grafica del modello Posizioni, Interessi e Esigenze.

Posizioni Interessi Esigenze A B Interessi e valori condivisi Esigenze e timori condivisi

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L’esempio citato riguardante i modelli, è relativo alla Teoria dei giochi. Esso fu introdotto per la prima volta da J. Von Neumann e O. Morgenstern nel 1944, e definito da A. Rapoport come «la teoria della scelta razionale in una situazione di conflitto, e più in generale in situazioni di interazione tra due o più agenti» 6. All’interno si vede il conflitto come una sorta di gioco, nel quale ciascuna delle parti cerca di perseguire la strategia che massimizza la propria vincita e minimizzi la propria perdita. Tale modello, è possibile applicarlo nell’analisi dei conflitti anche grazie alcuni giochi specifici: il dilemma del prigioniero 7.

In generale, l’utilizzo di tale modello costringe a una forte semplificazione della realtà che si vuole analizzare, con tutti i problemi che ne conseguono. Tuttavia, si tratta di un tipo di strumento che impone una focalizzazione dell’analisi sull’interazione fra le diverse parti, e quindi sugli effetti che le azioni di ciascuno hanno sulle scelte dell’altro. Questa è una differenza molto rilevante rispetto ai paradigmi precedenti, dove l’attenzione si incentra sulle parti e sui loro comportamenti, percezioni ed interessi anziché sulla dinamica delle loro interazioni.

Molti sono stati anche gli studiosi, da Brams a Sen e Ghosh, che hanno cercato di rendere meno statica la teoria sopra descritta attraverso l’aggiunta di alcune variabili; come quella della conoscenza (o presunta tale) delle mosse dell’avversario, oppure attraverso la comprensione delle motivazioni, degli obiettivi e del contesto in cui il conflitto si inserisce, o infine scoprendole a mano a mano attraverso un processo di apprendimento ad hoc. Anche queste modalità però, non sono prive di errori e di ipotesi parziali 8.

I modelli visti precedentemente, per quanto capaci di guidarci nell’analisi di alcuni fra gli aspetti più rilevanti di un conflitto sono caratterizzati da una rigidità e una staticità di fondo, che impediscono di cogliere appieno la complessità e imprevedibilità della realtà in cui il conflitto si colloca, e di individuarne le dinamiche.

5 Ivi. 6

E. Arielli, G. Scotto, Conflitti e mediazione: introduzione a una teoria generale, Bruno Mondadori, Milano, 2003. P. 35

7Cit. materiale d’esame del corso “Approccio sistemico all’analisi dei conflitti” , corso di laurea magistrale in Scienze per la pace, anno accademico 2014-2015.

8 Ivi.

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Un approccio sistemico, al contrario, è basato su una visione complessiva ed integrata della realtà, non bisogna intenderlo come alternativo agli altri innumerevoli approcci scientifici, bensì come in grado di inglobarli, utilizzandoli per analizzare e investigare specifici aspetti del conflitto. In questo approccio la realtà viene vista come un sistema, cioè un insieme di parti fra di loro interagenti in maniera tale che il tutto, cioè il sistema stesso, sia qualcosa di più che la somma delle parti 9.

La teoria generale dei sistemi, presentata da L. Von Bertalanffy, implica sia la conservazione sia la variazione, il mantenimento del sistema e il conflitto interno; essa può essere utilizzata come lo scheletro logico di una teoria sociologica perfezionata e migliorata. Nel settore dell’analisi dei sistemi e in quello dell’ingegneria, l’ applicazione pratica della teoria dei sistemi a problemi che sorgono in campo economico, governativo e politico internazionale dimostra che si tratta un approccio che funziona e che conduce sia alla spiegazione sia alla previsione. Essa dimostra, in modo particolare, che l’approccio basato sui sistemi non si limita agli enti materiali della fisica, della biologia e di altre scienze naturali, ma è anche applicabile a entità che sono in parte immateriali e altamente eterogenee.

Le difficoltà non si trovano unicamente nella complessità dei fenomeni, ma anche nella definizione delle entità che si prendono in considerazione.

Una parte di tali difficoltà si esprime nel fatto che le scienze sociali vertono su sistemi socio- culturali. I gruppi umani, a partire da quelli più piccoli, relativi alle amicizie personali e alla famiglia, per giungere a quelli più ampi, come nazioni e civiltà, non sono solamente un prodotto delle forze sociali che si trovano, negli organismi subumani: essi costituiscono parte di un universo creato dall’uomo e indicato col termine cultura.

L’universo culturale è sostanzialmente un universo simbolico. A partire dal linguaggio, che costituisce il requisito pregiudiziale della cultura, per giungere alle correlazioni simboliche e a tutto quanto ne segue (stato sociale, leggi, scienza, arte, morale, religione…), il comportamento umano è governato da entità simboliche 10

.

In generale, gli studiosi del pensiero sistemico, hanno cercato di formulare un nuovo approccio utilizzabile per l’analisi del conflitto. Prima di riuscire a elencare le caratteristiche generiche riportate, è bene evidenziare che essi privano il concetto di

9 Ivi.

10 L. Von Bertalanffy, Teoria generale dei sistemi: fondamenti, sviluppo, applicazioni, Mondadori editore, 1971. Pp. 299- 301.

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conflitto, dal contesto e si focalizzano nell’esplorazione dei processi dinamici del conflitto. Pongono il loro punto di vista nelle parti del conflitto e nella loro interazione, esaminando le strategiche interdipendenze dei propri obiettivi, utilizzando la teoria dei giochi, l’escalation dei comportamenti conflittuali utilizzando differenti equazioni, e i processi della risoluzione del conflitto fornendosi di approcci psicologici e sociali. Generalmente queste teorie partono tutte dal presupposto di effettiva esistenza delle parti in conflitto, che assumono interessi e obiettivi difficilmente cambiabili 11.

Queste rappresentazioni del conflitto in termini di organizzazioni, della loro posizione delle variabili sociali ed ambientali e dei loro obiettivi ultimi sono la struttura per una mappatura del graduale cambiamento degli attori, delle relazioni, degli obiettivi, dei problemi e del contesto che comprendere la trasformazione del conflitto stesso. In pratica, un conflitto complesso solitamente comporta molteplici problemi e altrettanti attori ed il processo di trasformazione è solitamente lento e difficoltoso da seguire; in quanto come i cambiamenti avvengono nelle parti, nei loro obbiettivi e nelle loro interazioni, così accadono anche, nel contesto in cui si inseriscono.

Concludendo possiamo affermare che nella pratica, la risoluzione di un conflitto diviene rara nel momento esatto in cui esso compare. Piuttosto è più facile osservare un procedimento di sviluppo della situazione con la formazione di nuovi obiettivi a seguito di cambiamenti sociali verificati. La principale trasformazione di un conflitto, all’interno di una risoluzione dei conflitti, vuole essere inteso come un processo di cambiamento, mutamento e aggiustamento delle posizioni, degli interessi e dei bisogni che vanno a caratterizzare le parti. Tale processo di sistemazione degli obiettivi, di formazione delle regole, delle norme e delle istituzioni, dà agli attori una coerenza sociale ed una unità costitutiva della capacità sociale. La sua scomparta attraverso la polarizzazione e il conflitto, è ciò che costituisce il conflitto stesso 12.

11 H. Miall, Emergent conflict and peaceful change, Palgrave macmillan, New York, 2009. P. 27 12

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Molteplici sono ancora i modelli che si vuole portare all’attenzione in questa sede e che possiamo applicare allo studio di un conflitto, una situazione alla quale non bisogna fornire giudizi positivi o negativi, ma una circostanza che diviene parte integrale con la vita di ognuno, necessaria per la crescita ed il cambiamento. Da ciò si evince la caratteristica organica e dinamica che coinvolge i singoli conflitti. Il modello che suggerisce la studiosa M. Dugan 13 vuole porsi come una via di connessioni fra la teoria e l’analisi da una parte, e la scelta sui modi per la gestione dei conflitti, dall’altra. Il modello che propone è composito da una concatenazione circolare che contengono i problemi specifici che possiamo riscontrare all’interno del conflitto. Queste sono peraltro, analiticamente molto semplici e frequenti e possiamo osservarli sia tra individui sia fra gruppi di ogni dimensione.

In conclusione, i rapporti con i conflitti strutturali genera l’opportunità di creare non solamente fari di luce per scaldarci nell’oscurità del razzismo ma, anche modelli di cosa noi possiamo intendere divenire la società 14.

Fig. 3

13 Marie Dugan, insegnante di peace studies presso il Centre for peaceful change and conflict resolution, alla Colombia University e all’Institute for conflict analysis and resolution alla George Mason University.

14

M. Dugan, «A nasted theory of conflicts», saggio contenuto nel volume T. Woodhouse, H. Miall, O. Ramsbotham and C. Mitchell, The contemporary conflict resolution reader, Polity, Cambrige, 2015. Pp. 113-119.

Fig. 3: Rappresentazione grafica del modello proposto da M. Dugan, ibidem, p. 116.

STRUCTURAL: SYSTEM STRUCTURAL: SUB- SYSTEM RELATIONAL ISSUE- SPECIFIC

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R. Rubinstein 15, invece, discute una possibile risoluzione dei conflitti, quando questi siano strutturali, nel senso che la loro risoluzione richiede una ristrutturazione delle relazioni e del sistema in cui esse sono inserite. Si può definire conflitto strutturale, il prodotto delle relazioni sociali che falliscono soddisfacendo i bisogni basici o la sicurezza degli interessi vitali di una o di entrambe le parti. Spesso, tali conflitti, sono il prodotto delle alterazioni nelle relazioni che erano funzionali per entrambe le parti, ma che ora si sono suddivisi in aspetti cruciali. Alcuni casi di conflitti interpersonali, sono generalmente assunti per richiedere una ristrutturazioni o per una trasformazione del sistema delle relazioni personali abbracciando le parti.

Tuttavia, le risorse strutturali dei conflitti pongono seri problemi per gli analisti e i risolutori in due circostanze: dove tali, sono nascoste o ignorate e dove invece, sebbene riconosciute, queste strutture sono considerate sia immutabili sia irraggiungibili.

Quando la parte terza, definita facilitatore, tenta di riportare le parti ad un accordo senza migliorare le cause e le condizioni sottostanti al conflitto, si verifica il fallimento della ristrutturazione dei confini e delle fondamentali basi che garantiscono una continuazione del conflitto. Sotto questa circostanza, quando si parla di risoluzioni alternative alle dispute (cft, ADR) non si tratta di alternative di tipo militare, diplomatico o procedimenti legali, ma aggiunte o supplementi ai convenzionali metodi di poteri di base per la gestione dei conflitti.

Vi sono inoltre, due possibili ragioni per questa auto imposizione delle limitazioni, abbastanza evidenti. Tutte le parti in causa vengono considerate come larghi sistemi beneficianti e funzionali, oppure si crede che i tentativi di cambiare sono senza speranza. Il terzo motivo, è meno evidente e più strutturale: la risoluzione dei conflitti, come capo di conoscenza e potere, è stato chiamato all’esistenza del desiderio delle elites nazionali e globali, per mezzi più accettabili ed efficienti di gestire, e non risolvere, i conflitti sociali.

L’esistenza di teorie e pratica nella conflict resolution, incarna questo mandato limitato, il campo attualmente teorizzato e praticato è reso incapace di identificare ed eliminare le fonti strutturali cruciali dei conflitti sociali.

15

R. Rubinstein, avvocato, accademico, attivista, professore all’università Conflict resolution and public affairs at George Mason, Virginia. Il saggio presso cui sono state prese le informazioni è «Conflict resolutions and the structural source of conflict» contenuto all’interno del volume, T. Woodhouse, H. Miall, O. Ramsbotham and C. Mitchell, The contemporary conflict resolution reader, Polity, Cambrige, 2015. Pagine 125-131.

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Analisti e praticanti dei conflitti, congetturano che tali trasformazioni sarebbero impossibili da realizzarsi, senza un intensa violenza, che involontariamente depotenzi le parti per la risoluzione strutturare dei conflitti.

Per spiegare la volontà iniziale di voler utilizzare un determinato metodo di analisi e studio di conflitto si è ritenuto importante riportare le caratteristiche di alcune metodologie di studio, che possono essere impiegate per l’analisi di un conflitto.

A queste ve se ne possono aggiungere altre di ugual importanza ma forse meno conosciute, all’interno dell’ambito accademico:

L’Approccio di Harvard, il quale enfatizza sulle differente tra le posizioni, ciò che le persone dicono di volere, e gli interessi, perché le persone vogliono quelle che dicono di volere. Il conflitto può essere risolto quando il punto di vista degli attori è verso gli interessi piuttosto che sulle posizioni, e quando lo sviluppo congiunto porta ad accettare i principi per affrontare tali differenze.

La Teoria dei bisogni umani, il quale, argomenta che il conflitto è causato dai basici e universali bisogni umani che non vengono soddisfatti. Tali bisogni vengono analizzati, comunicati e soddisfatti per la risoluzione del conflitto.

L’Approccio della trasformazione dei conflitti, che vede il conflitto come un’interazione distruttiva o costruttiva che dipende da come il conflitto il conflitto viene affrontato o trasformato. L’enfasi, all’interno di tale approccio, viene posta nelle differenti percezioni e nel contesto socio culturale in cui viene costruita la realtà 16.

16

S. Mason e S. Rychard, «Conflict analysis tools» saggio presente nel volume, T. Woodhouse, H. Miall, O. Ramsbotham and C. Mitchell, The contemporary conflict resolution reader, Polity, Cambrige, 2015. P. 144.

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Gli altri strumenti che vengono classificati e analizzati dagli autori, S. Mason e S. Rychard, all’interno del volume di T. Woodhouse, H. Miall, O. Ramsbotham and C. Mitchell, the contemporary conflict resolution reader, sono:

La ruota del conflitto: introduce sei importanti dimensioni per l’analisi del conflitto (dinamica, attori, casualità, strutture, problemi e opzioni o strategie). Organizza gli altri strumenti di analisi del conflitto ed è uno strumento “meta”.

L’albero del conflitto: tale strumento ha a che fare con la differenza tra fattori strutturali e dinamici e visualizza come problemi all’interno del conflitto si ricollegano a questi due aspetti.

Il modello dell’escalation di Glasl: il modello mira ad adattare alla nostra strategia di intervento nel conflitto, il livello di escalation raggiunto dalle parti nel conflitto stesso.

L’analisi prospettiva del conflitto di INMEDIO (CPA): tale analisi si concentra sulle differenti prospettive delle varie parti in causa. Mettendoli fianco a fianco, uno può vedere dove ci sono differenze e dove cose in comune. Essa segue le fasi della mediazione.

La mappatura dei bisogni- paure: similare al metodo sopracitato, questo strumento mette in luce gli attori e i loro problemi, interessi, bisogni, paure, possibilità e opzioni. Permette anche, per una chiara comparazioni fra le similitudini e le differenze degli attori l’utilizzo di tabelle.

Il multi modello di ruolo causale: esso si concentra sul nesso di casualità, nelle differenze quantitative di contenuto e attori, dinamica e strutture… 17

.

A questo punto sarebbe importante, esplicitare meglio gli strumenti sopra indicati. Tutti gli strumenti di analisi dei conflitti sono strutturati allo stesso modo: vi è una descrizione dello strumento, viene esplicitato l’obiettivo del strumento, e infine, le istruzioni passo passo su come utilizzare tale strumento.. Gli strumenti possono essere classificati in base alla loro attenzione sulle dinamiche, agli attori, al nesso di causalità, alle strutture, ai problemi e le opzioni o strategie.

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La ruota del conflitto, è uno strumento che fornisce una prima visione del conflitto, inteso come i rapporti d’attrito fra le parti. Dal punto di vista grafico la ruota, simboleggia la completezza e il movimento, e in maniera unificata da rappresentazione del conflitto da esaminare. All’interno di tale modello troviamo: 1. gli attori o parti, che rappresentano le persone, le organizzazioni o i paesi coinvolti nel conflitto. Se sono coinvolti direttamente nel conflitto vengono definiti "parti del conflitto", se sono coinvolti trasformando il conflitto, essi sono chiamati "parti terze". Le parti interessate hanno un interesse nell’esito del conflitto, ma non sono direttamente coinvolti; 2. i problemi o i temi del conflitto, che rispecchiano ciò di cui le parti discutono; 3. la dinamica che si riferisce al livello di escalation del conflitto, il livello d’intensità dell’interazione, il temperamento e l’energia che trasforma le parti nella relazione conflittuale; 4. il contesto o la struttura, il quale, spesso è considerato al di fuori del conflitto che viene preso in considerazione; 5. il nesso di casualità: i conflitti non sono mai mono causali, ma sono multi causali e sono caratterizzati dall’interazione di fattori sistemici; ed infine, 6. opzioni, strategie o modi per affrontare il conflitto, che vengono utilizzate o che potrebbero essere utilizzate, sia dalle parti stesse coinvolte sia da parti terze per giungere ad una descalation del conflitto.

Per utilizzare tale strumento è opportuno compiere due passaggi: in un primo passo viene disegnata la ruota (come in Fig. 4) ed elencati i sei aspetti che la compongono, in un secondo passo, invece, vengono scelti gli eventuali strumenti per l’analisi del conflitto per un approfondimento ulteriore delle sezioni 18.

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Fig. 4

Il secondo modello che viene riportato è definito l’albero del conflitto, ed è una visualizzazione dell’interazione fra fattori strutturali, manifesti e dinamici. Viene spesso utilizzato per differenziare gli orizzonti temporali dei vari approcci alla trasformazione del conflitto. Alla base troviamo i primi, nella rappresentazione del tronco vi sono posti i problemi manifesti, che collegano i fattori strutturali da quelli dinamici che si pongono al vertice (rappresentati dalle foglie che si muovo). I fattori strutturali sono le cause profonde, le ragioni alla base del conflitto. Sono di difficile influenza nel breve periodo, e se evitati, il conflitto può manifestarsi più tardi. Questa è la zona tipica per la cooperazione. Sono ad esempio, gruppi storici, élite politiche, stati deboli e discriminazioni culturali. I problemi manifesti, sono il tema del conflitto fra le parti (e possono essere i campi profughi o terre alienate), mentre i fattori dinamici, sono il modo di comunicare, il livello di escalation, gli aspetti della relazione fra le parti… Lavorare con essi comporta un breve orizzonte temporale, le reazioni agli interventi sono veloci e talvolta imprevedibili. Essi possono essere la religione, la paura, scioperi, problemi di comunicazione o colpi di stati.

La realizzazione di tale strumento nell’applicazione dell’analisi del conflitto, si compone di alcuni passaggi: da una prima rappresentazione grafica dell’albero, ad una successiva delinea personale delle cause principali, delle azioni manifeste e dei fattori dinamiche che influenzano tale conflitto.

2. Problemi 6. Opzioni/ Strategie 5. Casualità 4. Contesto/ Strutture 3. Dinamiche 1. Attori Relazioni

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Successivamente un facilitatore gestisce una possibile discussione della posizione dei fattori che i soggetti hanno posto: non esiste giusto o sbagliato, ma diviene un momento di riflessione rispetto alla diversa visione del conflitto da parte delle parti. Infine in base alla posizione e alla relazione dei diversi fattori, si aprono discussioni circa una possibile trasformazione del conflitto 19.

L’escalation teorizzata da Glasl, e riportata all’interno del saggio, è uno strumento che mostra l’aumento progressivo della tensione all’interno di un conflitto e viene utilizzato per decidere come e quando operare azioni per la trasformazione di essi. Inizialmente, gli attori rimangono convinti che gli aspetti cooperativi della relazione siano preponderanti, e che possa esistere una soluzione di mutuo beneficio alla controversia; in una fase successiva, la prospettiva degli attori muta e si ritiene il conflitto risolvibile solamente con un beneficio; infine quando entra in gioco la violenza, l’obiettivo degli attori divine il danneggiamento dell’altro anche a costo di provocare sofferenze a se stessi 20. All’interno di questo contesto parlare di trasformazione dei conflitti significa l’insieme di sforzi che vanno a disinnescare i conflitti. L’applicazione di tale modello segue due linee generali, in una prima fase vi è l’analisi del livello di escalation raggiunto dalle parti e nella fase successiva, una volta determinato il livello di escalation, vi è la valutazione di un potenziale e adeguato intervento per la trasformazione del conflitto 21 .

I nove stadi che l’autore individua sono: irrigidimento, polarizzazione e dibattito, tattica del fatto compiuto, preoccupazione per l’immagine e ricerca degli alleati, perdita della faccia, strategia della minaccia, distruzione limitata (sabotaggio), disintegrazione e distruzione reciproca 22.

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Articolo «conflict analysis tools» scritto da Simon Mason and Sandra Rychard, editore Swiss Agency for Development and Cooperation, SDC Conflict Prevention and Transformation Division (COPRET) Freiburgstrasse 130 CH-3003 Bern, preso dal sito internet,

http://www.css.ethz.ch/content/dam/ethz/special-interest/gess/cis/center-for-securities-studies/pdfs/Conflict-Analysis-Tools.pdf consultata il giorno 23 marzo 2016. P. 4.

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E. Arielli, G. Scotto, Conflitti e mediazione: introduzione a una teoria generale, Bruno Mondadori, Milano, 2003. P. 74.

21

Articolo «conflict analysis tools» scritto da Simon Mason and Sandra Rychard, editore Swiss Agency for Development and Cooperation, SDC Conflict Prevention and Transformation Division (COPRET) Freiburgstrasse 130 CH-3003 Bern, preso dal sito internet,

http://www.css.ethz.ch/content/dam/ethz/special-interest/gess/cis/center-for-securities-studies/pdfs/Conflict-Analysis-Tools.pdf consultata il giorno 23 marzo 2016. p. 6.

22

E. Arielli, G. Scotto, Conflitti e mediazione: introduzione a una teoria generale, Bruno Mondadori, Milano, 2003. Pp. 71-74.

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L’analisi prospettiva del conflitto di INMEDIO (CPA, inmedio’s conflict perspective analysis), è un metodo per analizzare un conflitto in un processo graduale, sviluppato dai mediatori Inmedio per le micro, meso e macro aree.

Esso si concentra sui diversi punti di vista delle parti coinvolte e consente un apertura di questi. Può essere impiegato all’interno di una consulenza fra colleghi, per la preparazione ad un procedimento di mediazione oppure come strumento di coaching. Gli obiettivi che si prefissa tale strumento sono quelli di separare i fatti dalle interpretazioni delle singole persone influenzate dai problemi, dalle posizioni, dagli interessi, dai bisogni o dalle paure; il consentire un cambiamento di prospettiva, nell’immedesimazione nei panni dell’altro; un ampliamento delle prospettive ed infine, l’elaborazione di nuove ipotesi per una soluzione del conflitto.

Le fasi che caratterizzano tale strumento possono essere riassunte quanto segue: presentazione e descrizione del conflitto da un punto di vista; identificazione di tutti gli attori coinvolti; registrazione ed osservazione dei fatti realmente accaduti; delinea degli interessi e delle motivazioni alla base della situazione di conflitto; brainstorming sulle possibili opzioni per la risoluzione del problema, infine una scrematura delle alternative trovate e conclusione del processo 23.

La mappatura dei bisogni- timori degli attori, è un modello orientato alla chiarificazione dove ogni problema, interesse, aspettativa, o esigenza e paura di ogni attore sono posti a confronto per una rapida consultazione. Tale strumento può essere utilizzato per analizzare il punto di visto di ogni attori nei riguardi del conflitto, da parte una parte terza per chiarire ipoteticamente la percezione degli attori, ed infine durante un procedimento di mediazione. Gli obiettivi che questo modello si prefigge riguardano l’aiuto che fornisce alle parti per comprendere meglio la percezione dell’altro, la stimolazione della discussione fra gli attori e per affrontare bisogni e paure per giungere, se possibile, alla formulazione di opzioni per risolvere la situazione.

I passi nell’attuazione di questo strumento divengono abbastanza intuitivi, si incomincia con il disegno di una tabella nella quale vengono poste le variabili generali, successivamente una delle parti in conflitto, o una parte terza facilitante, compila la

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Articolo «conflict analysis tools» scritto da Simon Mason and Sandra Rychard, editore Swiss Agency for Development and Cooperation, SDC Conflict Prevention and Transformation Division (COPRET) Freiburgstrasse 130 CH-3003 Bern, preso dal sito internet,

http://www.css.ethz.ch/content/dam/ethz/special-interest/gess/cis/center-for-securities-studies/pdfs/Conflict-Analysis-Tools.pdf consultata il giorno 23 marzo 2016. P. 8.

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seguente tabella comportando un cambiamento della prospettiva e rendendo gli attori capaci di immedesimarsi nei panni dell’altro 24

.

Infine, l’ultimo modello che abbiamo citato poc’anzi, è il multi modello di ruolo causale, il quale colloca il conflitto con radici nella psicologia, nella sociologia, nell’ambito socio- economico, politico e nelle condizioni a livello internazionale. Gli obiettivi, riguardano la costruzione di modelli casuali che distinguono le diverse qualità e fattori che portano ad un conflitto e per facilitare la localizzazione dei punti per una trasformazione del conflitto di breve o lungo termine a seconda dell’esigenza. La rappresentazione di tale modello si basa sull’individuazione di fattori predeterminati, come ad esempio, le cause più profonde, gli obiettivi delle parti in causa, le variabili politiche, sociali, economiche che influenzano i contenuti e la dinamica del conflitto, ed infine gli elementi stimolatori che influenzo la velocità, l’intensità e la durata del conflitto; a seguito vengono poi riprodotti tramite collegamenti le relazioni fra tali fattori e viene discusso delle potenziali azioni che producono cambiamenti nei fattori individuati 25.

A questo punto, sento di poter giustificare la scelta dell’approccio sistemico e del modello basato sulla mappatura del conflitto per lo studio e l’analisi di un conflitto, in quanto essi si presentano a mio avviso più completi sia a livello generale, sia per lo scopo del presente elaborato.

Lo strumento della mappatura del conflitto, presentato nel paragrafo precedente, fonda il suo studio e i suoi obiettivi sugli attori e sulla loro interazione. Così facendo, diviene un buon strumento per iniziare l’analisi di un conflitto: l’asimmetria di potere all’interno viene, inoltre, rappresentata attraverso le relative misure dei cerchi degli attori, mentre l’ostilità e le alleanze sono simboleggiate con le linee 26

. 24 Ivi, p. 10. 25 Ivi, p. 11.

26 S. Mason e S. Rychard, «Conflict analysis tools» saggio presente nel volume, T. Woodhouse, H. Miall, O. Ramsbotham and C. Mitchell, The contemporary conflict resolution reader, Polity, Cambrige, 2015. P. 145. Inoltre, cft p.

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