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3. IL VOLONTARIATO 3.1: La presenza del volontariato nel no profit

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3. IL VOLONTARIATO

3.1: La presenza del volontariato nel no profit

Una delle caratteristiche distintive delle organizzazioni no profit non ancora analizzata è la presenza di personale volontario.

In Italia, l’attività di volontariato trova la sua definizione sulla base dell’art. 2 comma 1 della legge 266/91. Quest’ultimo recita che un’attività per qualificarsi come di volontariato: non deve essere realizzata autonomamente, ma svolta all’interno di un’organizzazione. Deve configurarsi come prestazione personale e sostanziarsi in un’attività “spontanea” (intenzionalità del volontario, al di fuori di ogni obbligo derivante da contratto o da legge). Deve essere svolta in modo gratuito, rimanendo estranea a qualsiasi fine di lucro, per perseguire in via esclusiva il fine solidaristico. Con il termine “gratuito” si fa riferimento, invece, ad un’attività svolta senza ottenere od esigere una qualsiasi retribuzione né dall’organizzazione di volontariato, né dal soggetto beneficiario. Con il termine “fine di lucro, anche indiretto” dobbiamo ritenere che l’azione individuale non debba essere volta a perseguire un qualsiasi vantaggio individuale (ad es. un riconoscimento sociale, l’acquisizione di competenze professionali che implichino un maggior peso sul mercato del lavoro).

Il termine “fine solidaristico”, fa riferimento ad un’attività prevalentemente esterna (cioè rivolta in via principale alla comunità e non a soggetti appartenenti all’organizzazione) ed in “stato di bisogno e di svantaggio”. Non si può non sottolineare come l’interpretazione del fenomeno non sia univoca. Si può citare, in questo senso, come la Commissione Europea in una sua comunicazione utilizzi i termini volontari e volontariato precisando che le associazioni e le fondazioni offrono una preziosa formazione a numerosi volontari, molti dei quali spesso trovano successivamente lavoro grazie all’esperienza e alle conoscenze acquisite durante il periodo di volontariato.

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Per molti, in particolare i disoccupati di lungo periodo, il volontariato costituisce un mezzo prezioso per conservare l’abitudine al lavoro in un momento in cui potrebbe essere molto difficile mantenere interessi nella propria vita. Il volontariato può offrire opportunità di arricchimento personale mediante esperienze nuove volte ad acquisire capacità sociali che aumentano le possibilità di occupazione ed, inoltre, il sentimento di appartenenza e di cittadinanza dei giovani. Il servizio Europeo del volontariato affronta questa tematica e fornisce un’esperienza istruttiva basata sulla partecipazione attiva di giovani a un progetto locale. Il volontariato è molto importante anche per le persone anziane in pensione che desiderano continuare ad utilizzare le proprie competenze e a svolgere un ruolo attivo nella società.

Dunque, parlando di volontari, ci siamo abituati a pensare a figure che prestano la loro attività gratuitamente, che apportano lavoro senza ricevere alcuna retribuzione monetaria. Tale definizione, se pur corretta, ci ha allontanato sempre di più dal significato originario di questa tipologia di lavoratore, il cui tratto distintivo non è in primo luogo la gratuità, ma la volontà.

Secondo il dizionario della lingua italiana di De Mauro, il volontario è “colui che compie un’azione per propria volontà, per scelta personale”. La dimensione del piacere nel volontariato, è quella di fare qualcosa volentieri, è quindi una miscela di grande forza (energia) che ogni organizzazione deve sempre considerare e saper indirizzare in maniera utile verso i propri obiettivi.

I ruoli che i volontari svolgono all’interno delle organizzazioni no profit sono molto complessi. Essi contribuiscono a definire le caratteristiche dei servizi prodotti, in particolare i contenuti di relazionalità degli stessi, e a mantenere una performance di servizio solidale che altrimenti richiederebbe costi più elevati e non sopportabili.15 Le funzioni svolte dai volontari sono essenzialmente due:

1. Economica: i volontari sono una risorsa che rende flessibile la produzione e l’erogazione di beni e servizi, consente un aumento della produttività; 15 Borzaga C., Fazzi L. (2000), Azione volontaria e processi di trasformazione del

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garantisce quella creatività e fantasia necessarie a una soddisfazione innovativa dei bisogni.

2. Etica: la presenza di volontari influenza la capacità dell’organizzazione di promuovere processi di erogazione dei servizi basati sul principio della relazionalità, garantiscono cioè che venga posta costante attenzione al contenuto “umano” dei servizi. La presenza dei volontari influenza inoltre l’agire organizzativo. Il personale volontario piuttosto che attenersi alle rigidità imposte dal contratto stipulato con l’utente, privilegia quasi sempre la risposta ai suoi bisogni specifici, stimolando cosi l’organizzazione a seguire, nella produzione dei servizi, un principio di reciprocità.

La funzione dei volontari è in quest’ottica quella di favorire lo sviluppo di comportamenti imitativi da parte del personale retribuito. Essi possono agire da propulsori per l’affermazione di un sistema di regole implicite che favorisce l’incremento dell’impegno lavorativo dei lavoratori retribuiti, oltre quanto loro richiesto dalle norme che regolano il rapporto di lavoro. Inoltre, la compresenza di operatori volontari retribuiti all’interno di una medesima organizzazione tende a ridurre gli effetti della legge ferrea dell’oligarchia, che spinge a orientare lo sviluppo dell’organizzazione in funzione degli interessi degli attori il cui destino materiale dipende dalla sopravvivenza dell’organizzazione stessa.16

Il personale volontario consente di ridurre la possibilità che si verifichi un processo di istituzionalizzazione degli interessi organizzativi, poiché motivato e incentivato da fattori non sempre coincidenti con quelli del personale retribuito. Infine, un’altra funzione svolta dai volontari è di assimilare l’azione organizzativa all’interno di un tessuto più esteso di relazioni sociali, favorendo processi di erogazione dei servizi non appiattiti solo sull’output. La partecipazione dei volontari, che costituiscono figure ponte tra l’organizzazione e l’ambiente, permette, infatti, di intensificare le interazioni

16 Borzaga C., Fazzi L. (2000), Azione volontaria e processi di trasformazione del

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tra l’agire organizzativo e le risorse sociali inespresse, facendole emergere e orientandole a sostenere chi si trova in una situazione di svantaggio.

Un elevato livello di performance potrà perciò essere raggiunto e mantenuto solo e fino a quando essa riuscirà a coniugare le caratteristiche tipicamente associate alla definizione economica d’impresa con una dimensione organizzativa basata su un mix dei fattori produttivi, remunerati e volontari. Questa mix costituisce un’importante garanzia che l’organizzazione continuerà ad essere gestita in modo da perseguire la soddisfazione dei bisogni reali degli utenti. 17

Le organizzazioni no profit che già precedentemente sono state definite “benestanti” sono consapevoli della ricchezza apportata dal volontariato. Sanno che dotarsi di personale che lavora motivato dalla “buona volontà” e dal bisogno di aiutare gli altri, ribadisce il loro status di soggetti naturalmente orientati alla dimensione relazionale del servizio; sanno che coinvolgere volontari è strategico al perseguimento della logica del servizio, dove il benessere dell’utente, quello dell’organizzazione e quello del lavoratore vengono raggiunti contemporaneamente.

Trattenere personale volontario all’interno di un’organizzazione rappresenta ancora oggi una sfida ardua. Molti studi hanno indagato le sorgenti della motivazione e il suo processo di evoluzione nel tempo per capire cosa stimola il volontariato ad aderire ad un’organizzazione, ma soprattutto a rimanervi.

Ma cos’è la motivazione?

La motivazione è definita generalmente come una forza interna che stimola, regola e sostiene le azioni compiute dalla persona e orienta il suo comportamento al raggiungimento di determinati obiettivi.

Si tratta di un fattore organizzativo determinante in quanto essa è:

 Moltiplicatore di energie

17 Borzaga C., Fazzi L. (2000), Azione volontaria e processi di trasformazione del

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 Catalizzatore, perché una persona fortemente motivata diventa stimolatore per altri

 Risorsa preziosa

A parità di capacità e di condizioni organizzative, è proprio la motivazione a qualificare l’esito raggiunto e ciò spiega perché essa continui a essere oggetto di interesse, studiata ed esaminata nel tentativo di fornire indicazioni su come gestirla. La peculiarità che rende cosi complessa la gestione di questa “energia psichica” nella sfera del volontariato è che essa non è generata da bisogni fisiologici, ma da bisogni psicologici (relazioni sociali, autostima, affermazione personale ecc..), che oltre ad essere difficilmente captabili e misurabili secondo parametri universalmente validi, che contraddistinguono un’effettiva mutabilità nel tempo. La motivazione agisce in maniera processuale, parte da un bisogno la cui carenza percepita porta alla ricerca di modi adeguati alla sua soddisfazione, ricerca che, quanto più viene soddisfatta, tanto più spalanca a nuovi bisogni, più elevati e complessi. L’organizzazione dunque non solo deve verificare se vi è congruenza tra le aspettative del volontario e gli obiettivi che si è prefissata, ma deve anche prestare costante attenzione nel verificare se tale congruenza continua a persistere nel tempo, se le motivazioni che spingono oggi il volontario a collaborare, perché condivise dall’organizzazione, continuano a mantenersi tali.

È possibile suddividere la motivazione in due precisi momenti:

 La motivazione a entrare

 La motivazione a rimanere

Le ricerche effettuate fino ad oggi hanno cercato di scoprire le ragioni che influenzano la scelta iniziale, mentre poco o nulla è stato fatto per capire quali siano le aspettative della prestazione concreta, una volta che si comincia a fare, a lavorare per una determinata organizzazione. Per quanto riguarda la prima motivazione, le ragioni principali che spingono i volontari ad entrare coincidono con i benefici che le organizzazioni offrono ai volontari. Dalla miriade di studi fatti, in tutto il mondo le

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costanti che emergono come “motivazione a partecipare” possono essere cosi riassunte:18

1. Avere contatti sociali, stare in compagnia, condividere esperienze comuni, aumentare il proprio prestigio. Costruire relazioni sociali genuine, senza gli usuali vincoli della tradizione (famiglia) o del contesto lavorativo o scolastico (pressione economica a socializzare); si evita così la necessità di trasgredire per innovare le proprie relazioni. Rapporti “caldi”, immediati, intensi dal punto di vista affettivo, pluralisti. Crescere a livello personale rappresenta una delle motivazioni più forti dei volontari. I volontari con queste esigenze sono reclutati, generalmente, da parenti e amici.

2. Aiutare gli altri (altruismo o superamento di egoismo). Creare benessere ad altri senza ricavarne un vantaggio diretto. Sono reclutati dalle organizzazioni stesse oppure provengono da altre organizzazioni. Per quanto riguarda l’altruismo, è opportuno precisare che ci sono due tipi di altruisti, e precisamente:

 L’egoista illuminato che considera il benessere degli altri anche un vantaggio per sé. Agisce in base ad un impulso personale che possiamo identificare in un bisogno di cooperazione generato dalla dimensione sociale di ogni individuo. È auto gratificante e universalmente riconosciuto come positivo. Può degenerare nel patologico: è il caso di quei volontari che, inconsapevolmente, si trovano ad aver bisogno dei bisognosi per soddisfare il proprio impulso oblativo.

 L’altruista puro, che vede il benessere degli altri come fine in sé, indipendentemente dal vantaggio/svantaggio che ne può trarre personalmente. L’altruismo è perseguire il benessere dell’altro, subordinando me a lui. Questo volontariato agisce in base ad un impulso morale.

18 Pearce J. L. (1994), Volontariato. Motivazioni e comportamenti nelle

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3. Promuovere obiettivi specifici condivisi (quelli dell’organizzazione). I volontari orientati in questo senso si rivolgono all’organizzazione no profit spontaneamente, hanno un proprio progetto che coincide con gli obiettivi dell’organizzazione.

Rispetto alle prime due motivazioni (avere contatti sociali e aiutare gli altri), una volta che l’individuo ha preso la decisione di soddisfare la propria esigenza, tutte le organizzazioni diventano simili, per il volontario. Non è, quindi, assolutamente corretto, in questi casi, concludere che gli obiettivi di chi aderisce coincidono con gli obiettivi dell’organizzazione.

Per quanto riguarda la motivazione a rimanere, si può affermare che il mantenimento dei volontari passa dalla presa di consapevolezza da parte dell’organizzazione dell’evoluzione dei loro bisogni nel tempo e dell’importanza di offrire ai volontari la possibilità di svolgere un ruolo attivo dopo l’ingresso attraverso la messa a punto di comportamenti e relazioni gratificanti e contemporaneamente funzionali alla realizzazione dei fini dell’organizzazione.

Comunicazione e clima organizzativo sono elementi che influiscono notevolmente sulla scelta del volontario se rimanere o abbandonare l’organizzazione, ma essi divengono vacui se prima il volontario non trova congruenza tra ricompense attese e ricompense effettivamente distribuite. L’organizzazione dovrà allora assicurarsi di aver posto ogni individuo nel luogo più adatto, di avergli affidato dei compiti in linea con le sue esigenze/risorse, di aver fatto tutto il possibile per fargli percepire la sua utilità. Tutte queste considerazioni hanno come obiettivo quello di risvegliare le menti dei manager e dirigenti che si occupano della gestione del personale. Il volontario è una figura complessa, la cui motivazione cambia una volta entrato dentro l’organizzazione. Sul bisogno altruistico prende il sopravvento quello di appartenenza e di socialità, che solo una buona modalità di conduzione dell’organizzazione può soddisfare.

Per quel che riguarda l’ingresso inoltre, può succedere che una certa fama, determinata da un certo stile di gestione, nota nell’ambiente circostante, possa fungere da deterrente anche nei confronti di quanti si sentono attratti dalla voglia di appartenere

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(partecipare/entrare), visto che questi, in genere, decidono di entrare in base allo stimolo ricevuto da parenti e amici (quindi da persone già influenzate dallo stile di gestione). Immagine e prestigio sociale, modalità di conduzione dell’organizzazione, progettazione di strumenti integrativi per trattenere i volontari rappresentano quindi il giusto mix per garantirsi il meglio delle risorse umane, in termini di produttività economica e sociale nelle organizzazioni no profit.

3.2: La gestione del volontariato

Il volontariato rappresenta un serbatoio enorme di potenzialità e risorse che una cattiva gestione potrebbe interamente vanificare; per evitare ciò appare opportuno analizzare i principali problemi che minacciano la stabilità e la continuità del rapporto del volontariato con l’organizzazione e gli strumenti che li demotivano.

Le criticità:

1. Il volontario si distingue spesso come un individuo che manifesta alta attenzione alla relazione ma bassa attenzione al risultato. La sua preoccupazione non è quella di verificare se l’utente finale è soddisfatto del risultato raggiunto, ma se è soddisfatto dell’aiuto che gli ha prestato. A ciò si ricollega un’altra criticità: il volontario esprime spesso scarsa attenzione al proprio modo di fare, afferma di fare del suo meglio e non si preoccupa di come l’utente vive la prestazione di servizio da lui offerta. Questo atteggiamento trova una sua spiegazione nell’assenza di vincoli contrattuali ed economici, che può indurre il volontario a sentirsi largamente autonomo nell’esercizio delle proprie mansioni. In mancanza di una strategia di contrasto di queste tendenze, l’organizzazione può venire a trovarsi in seria difficoltà nel rispettare determinati standard di qualità dell’erogazione dei servizi. L’assunzione di un comportamento organizzativo più integrato non può essere ottenuta, però, attraverso gli strumenti di controllo e di indirizzo comunemente utilizzati per il personale retribuito, ma tramite influenze interpersonali, appelli ad alcuni valori condivisi, nonché con la selezione dei compiti e delle sfere d’azione.

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2. Un secondo problema deriva dal carattere molto labile del legame tra organizzazione e volontario: l’elevato turnover. Tale criticità può dipendere da svariate ragioni, dall’assenza di motivazione all’assenza di corrispondenza di valori tra organizzazione e risorsa, alla semplice assenza di prospettive di lavoro futuro. Non ci sono indicazioni chiare sul come attirare i volontari. Raramente il volontario dà voce alle proprie lamentele, preferisce andarsene e basta. Oppure rimane per dovere, per lealtà alla causa o al gruppo, ma con resistenze sempre più forti e motivazione sempre più debole. Per ridurre il fenomeno complesso del turnover è necessario prima di tutto comprenderne la causa, la quale può variare da organizzazione a organizzazione. Gli strumenti di intervento possono essere diversi: rendere convenienti le programmazioni orarie; cercare di assegnare ai volontari dei compiti via via più significativi; operare, attraverso i processi di selezione, una corretta valutazione di conformità tra le aspettative e ciò che l’organizzazione può realmente offrire; porre attenzione sul sistema di apprezzamento dell’azione svolta dal volontario; dare la possibilità ai volontari di vedere rappresentati i propri interessi e orientamenti nei processi decisionali dell’organizzazione; predisporre attività specifiche di formazione e aggiornamento; migliorare la qualità del contesto organizzativo in cui opera.19

3. Un terzo problema riguarda l’integrazione tra personale dipendente e volontario. La compresenza di queste due tipologie di lavoratori pone specifici problemi gestionali, perché pur condividendo valori ed obiettivi comuni, li interpretano in modo personale, percepiscono e vivono l’organizzazione in modo diverso, collaborano con essa sulla base di aspettative e motivazioni in parte differenti, e adottano di conseguenza diversi stili di partecipazione, di impegno e disponibilità. Queste diversità, che sono in realtà opportunità per migliorare la qualità dei servizi, se non vengono gestite in maniera efficiente possono provocare conflitti e atteggiamenti di intolleranza. È importante quindi 19 Ambrosio G., Bandini F. (1998), La gestione del personale nelle aziende no

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definire strategie di lavoro che puntino alla qualità delle prestazioni attraverso l’integrazione delle competenze del personale remunerato e del valore aggiunto caratterizzante l’azione volontaria.20

Andando più nello specifico, le azioni che un’organizzazione no profit può intraprendere per evitare il verificarsi di questo problema sono: definire i valori che devono guidare i comportamenti e le modalità di relazione all’interno del gruppo attribuendo pari dignità a entrambe le tipologie di risorse umane; prevedere momenti di formazione congiunta, utile soprattutto per superare i timori e i pregiudizi e dunque per favorire l’integrazione e un metodo di lavoro basato sulla cooperazione; formare dei gruppi di lavoro misti in cui gli obiettivi, richiedano competenze, abilità, esperienze e disponibilità di tempo che possono essere ottenute solo dalla partecipazione congiunta dei volontari e personale retribuito; prevedere appositi momenti di socializzazione; dare importanza alla valutazione del lavoro di entrambe le categorie, prevedendo delle occasioni-momenti di valutazione cui partecipano tutti i membri dell’organizzazione; monitorare la qualità del clima organizzativo e delle relazioni all’interno del gruppo in modo da poter intervenire ai primi segnali di tensione o di mal contento.

È bene dunque ricordare che il buon funzionamento e l’armonia all’interno di un gruppo di lavoro non sono casuali ma si costruiscono lentamente attraverso una gestione attenta dei bisogni dei singoli individui e dei bisogni del gruppo come insieme. 21

Una volta definiti i principali problemi di gestione dei volontari, appare importante individuare i principali comportamenti che posso disincentivare il loro impegno:

 Favoritismi (affinità elettive non gestite)

 Doppi giochi sotterranei

20 De Palma E. (2008), Azione volontaria e strategie organizzative. Come

migliorare la partecipazione dei volontari, Quaderni per il volontariato n.11, pag

63-64.

21 De Palma E., (2007), Accogliere e motivare i volontari, Collana strumenti, pag. 73-74.

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 Critiche immotivate (dietro le quinte)

 Colpevolizzazioni (reazioni)

 Atteggiamenti giudicanti (anche inconsapevoli)

 Non riconoscere i meriti (quando ci sono)

 Pressioni psicologiche (invece che aiutare le persone a esprimersi)

 Ruoli fissi (far fare ai più deboli e generosi)

 Gelosie (non gestite)

Qualche consiglio in più nella gestione dei volontari:

1. Comunicare con chiarezza il proprio scopo per catturare coloro che ne condividono i fini. Dar valore ai comportamenti in uso nell’organizzazione per raggiungere i fini e comunicarli ai potenziali volontari come possibili strumenti/occasioni per soddisfare le proprie aspettative/bisogni;

2. Avvalersi di contatti diretti per far scattare la scelta (passaparola, anche di altri volontari);

3. Comunicazione interna per trasmettere continuamente lo stato dell’organizzazione e per permettere ad ognuno di capire il valore del proprio apporto. Le organizzazioni non hanno il tempo e la possibilità di intervenire per modificare atteggiamenti negativi; devono quindi prevenire il fenomeno attraverso la creazione di condizioni favorevoli ad un’elevata soddisfazione delle persone attraverso la varietà delle occasioni, l’autonomia operativa, la possibilità di dare un contributo realmente personale;

4. Presidiare la qualità delle relazioni interpersonali (che rappresentano una delle principali ragioni d’ingresso e, in assoluto, l’interesse principale per tutti, dopo l’ingresso). Ognuno deciderà di restare dentro l’organizzazione se potrà constatare personalmente e continuamente la propria utilità. I volontari vanno seguiti continuamente perché dinamiche relazionali non volute ma presenti, possono generare le condizioni per un abbandono: l’impossibilità di soddisfare il bisogno (relazionale) per cui si è entrati;

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5. Non abusare del carisma dei fondatori. Valorizzarli come simboli e come fonte di informazione, superarli come modo di gestire l’organizzazione (in genere hanno uno stile molto soggettivo e arbitrario, poco democratico), puntando alla definizione di regole razionali e condivise.

3.3: Un settore in crescita

Al 31 Dicembre 2011, le istituzioni no profit attive in Italia erano 301.191 (+28 per cento rispetto al 2001). L’incremento riguarda quasi tutte le regioni italiane, con punte sopra la media nazionale al Centro e nel Nord-Ovest (rispettivamente 32,8 e 32,4 per cento in più rispetto al 2001).

Rilevante l’apporto di risorse umane impegnate nel settore. Le istituzioni non profit contano infatti sul contributo lavorativo di 4,7 milioni di volontari, 681mila dipendenti, 271mila lavoratori esterni e 5mila lavoratori temporanei. Sono quattro istituzioni su cinque a usufruire del lavoro volontario, mentre il 13,9 per cento delle istituzioni rilevate opera con personale dipendente e l’11,9 per cento si avvale di lavoratori esterni (lavoratori con contratto di collaborazione). Rispetto al 2001, raddoppia il numero delle istituzioni con lavoratori esterni (35977 istituzioni non profit nel 2011 contro 17394 nel 2001) con un incremento del numero di collaboratori del 169,4 per cento.

Cresce in modo consistente il numero delle istituzioni che utilizzano lavoratori temporanei (1796 istituzioni non profit nel 2011 contro 781 di dieci anni prima) con un incremento del 48,1 per cento. Più contenuto, ma comunque positivo, è l’incremento delle istituzioni con addetti (+9,5 per cento) con una crescita del personale dipendente pari al 39,4 per cento rispetto al 2001. Infine le istituzioni che si avvalgono di volontari crescono del 10,6 per cento rispetto al 2001, registrando un aumento del 43,5 per cento del numero dei volontari.

Per la realizzazione delle proprie attività un’istituzione no profit italiana può contare, in media, su 16 volontari, 2 dipendenti e 1 lavoratore esterno, composizione che può

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variare notevolmente in relazione ai settori d’intervento, alla struttura organizzativa adottata e alla localizzazione territoriale.

Il lavoro volontario rappresenta la quota principale (83,3 per cento) delle risorse umane del settore non profit. Il contributo del lavoro dipendente è pari al 11,9 per cento delle risorse umane complessivamente impiegate, mentre sono pari rispettivamente al 4,7 per cento e allo 0,1 per cento i lavoratori esterni e temporanei. Il settore della Cultura, sport e ricreazione si conferma come la naturale vocazione del non profit italiano, con oltre 195 mila istituzioni, pari al 65 per cento del totale nazionale. Segue, per numero di istituzioni, il settore dell’Assistenza sociale (che include anche le attività di protezione civile), con 25mila istituzioni (pari all’8,3 per cento del totale). Il settore delle Relazioni sindacali e rappresentanza d’interessi, con 16mila istituzioni, costituisce il 5,4 per cento del totale, valore vicino a quello rilevato per l’Istruzione e la ricerca, pari al 5,2 per cento (15mila istituzioni). Gli altri settori comprendono: Religioni (2,3 per cento), Filantropia e promozione del volontariato (1,6 per cento), Cooperazione e solidarietà internazionale (1,2 per cento) e Altre attività (0,5 per cento).

Il settore d’intervento risulta in parte legato all’assetto istituzionale e alla struttura organizzativa. Le associazioni riconosciute – e dunque maggiormente strutturate – sono infatti relativamente più diffuse, rispetto al valore nazionale (22,7 per cento), nei settori della sanità (37 per cento), dell’Ambiente (29,4 per cento) e della Cooperazione e solidarietà internazionale (28,8 per cento); mentre le associazioni non riconosciute caratterizzano maggiormente i settori delle Relazioni sindacali e rappresentanza di interessi (con l’82,7 per cento del totale, a fronte di una loro diffusione complessiva pari al 66,7 per cento), della Cultura, sport e ricreazione (73,3 per cento) e della Tutela dei diritti e attività politica (71,7 per cento).

Le cooperative sociali italiane operano in prevalenza nei settori dello Sviluppo economico e coesione sociale, per l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati (in cui si rileva una presenza pari al 49 per cento, a fronte di un dato nazionale del 3,7 per cento), dell’Assistenza sociale e protezione civile (17,8) per cento e della Sanità (10,9

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per cento). Le fondazioni sono relativamente più attive nei settori dell’Istruzione e della Ricerca (11 per cento nel settore, a fronte di una loro diffusione complessiva pari al 2,1 per cento) e della Filantropia e promozione del volontariato (9,9 per cento). Rispetto alle tipologie di risorse umane impiegate, i settori di intervento mostrano una differente caratterizzazione. Il settore della cultura, sport e ricreazione assume rilevanza in termini di percentuale di volontari attivi (59,2 per cento, pari a oltre 2,8 milioni di persone). I settori dell’assistenza sociale e protezione civile, Sanità, Istruzione e ricerca, Sviluppo economico e coesione sociale rivestono un ruolo rilevante in termini di lavoro dipendente (complessivamente i quattro settori che contano l’85 per cento dei lavoratori dipendenti, pari a 579mila persone).

Grafico istituzioni no profit, volontari e dipendenti per settore di attività.

Altro settore Relazioni sindacali Tutela dei diritti e attività politica Sviluppo economico e coesione sociale Ambiente Assistenza sociale e protezione civile Sanità Istruzione e ricerca Cultura, sport e ricreazione

0 10 20 30 40 50 60 70

Dipendenti Volontari Istituzioni

I settori di attività in cui è maggiore la presenza di istituzioni mostrano dinamiche differenziate: quello della Cultura, sport e ricreazione e quello dell’Istruzione e ricerca presentano un notevole incremento di volontari (rispettivamente +67,8 per cento e +54,4 per cento), mentre il numero degli addetti cresce in misura assai più ridotta (+0,7 per cento e +15,1 per cento). Diversamente, nei settori della Sanità e

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dell’Assistenza sociale e protezione civile il numero di addetti aumenta più di quello dei volontari.

Per quanto riguarda il no profit sul territorio, almeno la metà delle istituzioni non profit trova collocazione nel Nord del Paese (per un totale di 157.197 unità) con una quasi equa distribuzione della restante parte tra Centro (64677 unità pari al 21,5 per cento) e Mezzogiorno (79317 unità pari al 26,3 per cento).

Le aree che presentano una maggiore diffusione di istituzioni non profit registrano anche un bacino più vasto di risorse impiegate. Il Nord-Est e il Nord-Ovest registrano, infatti, il rapporto più elevato di volontari (pari rispettivamente a 1146 e 892 per 10mila abitanti) e dipendenti (141 e 156 per 10mila abitanti) rispetto alla popolazione residente. Quasi la metà dei dipendenti impiegati nelle istituzioni non profit italiane (45,9 per cento) è concentrata in tre regioni: Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna, mentre in termini assoluti, Lombardia, Veneto, Toscana, Emilia Romagna e Piemonte raccolgono il numero più elevato di volontari (superiore alle 400mila unità di personale volontario).

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