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Capitolo 5 – Responsabilità per mancato o ritardato rimborso 5.1- Principi a fondamento della piena rintegrazione patrimoniale.

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Capitolo 5 – Responsabilità per mancato o ritardato rimborso

5.1- Principi a fondamento della piena rintegrazione patrimoniale.

A seguito di indebiti pagamenti effettuati dal contribuente, sorge in capo all’ente impositore un dovere di restituzione di tali somme al fine di ristabilire la situazione patrimoniale originaria del contribuente.

Si ha quindi un capovolgimento di quello che è il normale rapporto giuridico esistente tra l’amministrazione finanziaria che è creditrice, e il contribuente, che è debitore. Il contribuente in questo caso infatti si trova ad essere creditore nei confronti

dell’amministrazione finanziaria poichè ha versato delle somme non dovute497.

Le fattispecie che possono generare un indebito498 pagamento da parte del

contribuente sono molteplici: - adempimento spontaneo in caso di dichiarazione o autoliquidazione erronea, - prelievo anticipato d’imposta effettuato in pendenza del verificarsi o del completarsi del presupposto d’imposta, nel caso in cui le somme versata si rilevino successivamente superiori all’ammontare dell’imposta dovuta, - la dichiarazione di incostituzionalità di una norma, con gli effetti retroattivi che ne derivano499.

In ambito fiscale manca però una norma di carattere generale che imponga la

restituzione a favore del contribuente delle imposte indebitamente versate500.

Questa lacuna viene colmata con l’art. 2033501 c.c. rubricato “indebito oggettivo”. Tale

norma enuncia il principio generale di diritto comune secondo il quale le somme indebitamente pagate devono essere restituite.

497 Amatucci F., Principi e nozioni di diritto tributario, Giappichelli Editore, Torino, 2013 pag. 353 498 Fantozzi A., Il diritto tributario, Utet, Torino, 2003, pag. 566 secondo cui l’indebito si concretizza nel

momento in cui durante la fase della riscossione viene effettuato un versamento, differente da quello previsto dalla legge, le cui cause sono essenzialmente riconducibili all’assenza di norma impositiva e all’errore nella fase di attuazione del tributo.

499 Gioè C., Profili di responsabilità civile dell’amministrazione finanziaria, Cedam, Padova, 2007, pag.

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500 Esistono soltanto isolate disposizioni in materia di rimborso, collegate alla disciplina speciale dei

diversi modelli di imposta.

501 Art. 2033 c.c.:”Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha

inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda.

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Il suddetto principio oltre a trovare applicazione ai rapporti di diritto privato trova

applicazione anche ai rapporti di diritto pubblico502. Benchè in diritto tributario manchi

una norma che disciplina specificamente la ripetizione dell’indebito, deve comunque considerarsi applicabile a tale materia il divieto di arricchirsi ingiustamente ai danni di

altri, in quanto espressione di un principio generale dell’ordinamento503. In virtù di tale

principio, colui che ha indebitamente versato, il solvens, ha diritto di ripetere l’indebito versamento, in quanto per effetto di questo, ha avuto un illegittimo depauperamento

a confronto dell’illegittimo arricchimento dell’accipiens504.

In materia tributaria, il diritto alla piena reintegrazione patrimoniale del pregiudizio subito per l’indebito pagamento, trova fondamento anche a livello costituzionale nell’art. 53505.

Il principio espresso dalla suddetta norma costituzionale prevede che nessuno possa essere chiamato a corrispondere un pagamento superiore o non dovuto in base alla propria capacità contributiva. Nel caso in cui ciò accada è quindi legittimo che il contribuente possa richiedere e ottenere il rimborso.

L’art. 53 Cost. non identifica solo il principio solidaristico del concorso alla spesa pubblica in misura progressiva rispetto alla capacità economica, ma indentifica anche

un principio di garanzia in quanto viene imposto un limite all’imposizione tributaria506.

Inoltre il diritto alla piena reintegrazione patrimoniale del contribuente trova fondamento anche negli artt. 3, 23 e 97 della Costituzione; tutte norme tendenti a garantire una parità di trattamento verso i contribuenti. Infatti all’amministrazione finanziaria viene imposto l’obbligo di operare secondo le regole di imparzialità e buon andamento.

Inoltre l’art. 8 comma I nello Statuto del Contribuente, nello stabilire che

“l’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione”, riconosce

502 Corte Cost. n. 77 del 03 luglio 1967 in Giur. Cost. , 1967, pag. 982 503 Falsitta G.,Manuale di diritto tributario, Cedam, Padova, 2012,pag. 456

504 Amatucci F., Principi e nozioni di diritto tributario, Giappichelli Editore, Torino, 2013 pag. 353 505 Art. 53 Cost.:” Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità

contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.”

506 Falsitta G., Manuale di diritto tributario, Parte Generale, Cedam, Padova, 2013, pag. 153 l’autore

sottolinea come l’individuazione della capacità contributiva quale limite massimo all’imposizione evidenzi “l’incontestabile funzione anche garantista, per ciascun membro della comunità, dell’art. 53”

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implicitamente la par condicio del dare e dell’avere del contribuente e

dell’amministrazione finanziaria507.

Il diritto ad ottenere il rimborso delle somme indebitamente versate dal contribuente è stato anche affermato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo.

La Corte Europea dei diritti dell’uomo ha condannato diversi Paesi dell’Unione

Europea, tra cui anche l’Italia508, per i danni causati al contribuente per ritardato

rimborso509. Nel caso italiano la Corte afferma che il ritardato rimborso delle somme

indebitamente trattenute, specie se di rilevante importo, pone il soggetto passivo in una situazione di totale incertezza che aggrava la sua perdita finanziaria ed infrange il giusto equilibrio che dovrebbe sussistere tra le esigenze dell’interesse generale e la salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui. Specificamente viene a mancare quello che è il rispetto dei beni individuali che viene garantito dall’art. 1 del Protocollo

1510 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo511.

L’appartenenza dello Stato Italiano all’Unione Europea ed al Consiglio d’Europa comportano l’obbligo affinchè il legislatore tributario italiano adegui la disciplina

interna ai principi comunitari512. Pertanto i principi affermati dalla Corte di Strasburgo

sono rilevanti ai fini dell’interpretazione della normativa in materia di pagamento di indebito.

507 Gioè C., Profili di responsabilità civile dell’amministrazione finanziaria, Cedam, Padova, 2007, pag.

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508 Sentenza del 12 giugno 2003 sez I, Strasburgo, Pres. Rozakis il fisco anno 2003, n. 36, II, pag. 5579

caso Buffalo srl contro lo stato italiano

509 Nel caso italiano il ritardo nel rimborso era ultraquinquennale.

510 Art.1 Prot. N. 1, Cedu:” Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può

essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni Precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.

511 Sentenza sopracitata punto 37: ”Stante l'importanza delle somme in contestazione, la Corte

considera che l'indisponibilità prolungata di queste somme ha avuto un sicuro e considerevole impatto sulla situazione finanziaria della ricorrente. A questo proposito, la Corte sottolinea che un ritardo anormalmente lungo nel pagamento di un credito ha per conseguenza l’aggravamento della perdita finanziaria del creditore e lo pone in una situazione d'incertezza.” E punto 39:” n effetti, l'impatto finanziario causato dall’attesa dei rimborsi, raddoppiato per l'inesistenza di ogni ricorso efficace suscettibile di porre rimedio alla durata di questa attesa, e per l'incertezza quanto al momento della liquidazione dei crediti, ha rotto il giusto equilibrio che deve sussistere tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui, segnatamente il diritto al rispetto dei beni.”

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Da quanto sopra detto si evince che il contribuente ha diritto al rimborso delle somme indebitamente versate e il mancato o ritardato rimborso costituiscono illeciti

dell’Amministrazione finanziaria che danno luogo al risarcimento dei danni in favore del contribuente. Il contribuente infatti, a fronte di una lesione della sua sfera patrimoniale, può proporre ricorso di fronte alle Commissioni Tributarie o può presentare istanza di annullamento in autotutela dinanzi allo stesso ufficio che ha emanato l’atto impositivo illegittimo o ha negato il rimborso. Tutto ciò affinchè venga annullato l’atto impositivo e venga disposta la restituzione delle somme indebitamente trattenute.

Il ricorso di fronte alle Commissioni Tributarie può essere esercitato solo nel caso in cui non siano scaduti i termini previsti per l’impugnazione. Questo ricorso si configura diversamente a seconda che il diritto al rimborso dipenda da un versamento

spontaneo del contribuente, o da un atto autoritativo emesso dall’amministrazione

finanziaria513. Nel primo caso infatti, l’azione di rimborso è condizionata

all’accertamento del rapporto creditorio del contribuente nei confronti del fisco e si attiva ad istanza di parte. Nel secondo caso invece il rimborso presuppone la rimozione a pena di decadenza dell’atto impositivo con una azione di annullamento e di

condanna alla restituzione514.

La presentazione dell’istanza di annullamento in autotutela non subisce invece

nessuna limitazione temporale al di fuori della preclusione del giudicato515. Essa può

essere presentata sia in pendenza di giudizio, sia in caso di c.d. non impugnabilità del provvedimento, sia anche dopo che l’atto ritenuto illegittimo o infondato sia divenuto definitivo516.

513 Si fa riferimento all’esecuzione forzata del provvedimento poi dichiarato illegittimo o al caso in cui

viene presentata richiesta di annullamento dell’atto in via di autotutela in quanto l’autotutela non ha effetto sospensivo.

514 Gioè C., Profili di responsabilità civile dell’amministrazione finanziaria, Cedam, Padova, 2007, pag.

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515 Tale limite del giudicato all’esercizio del potere di autotutela è previsto dal D.m. 37/1997.

516 Gioè C., Profili di responsabilità civile dell’amministrazione finanziaria, Cedam, Padova, 2007, pag.

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5.2- Interessi e applicabilità delle sanzioni

Ammesso che il contribuente non deve subire una diminuzione patrimoniale eccedente la capacità contributiva che ha manifestato, nel caso in cui ciò avvenga, l’amministrazione finanziaria deve rimborsare innanzitutto le somme indebitamente

pagate al contribuente.Nel caso in cui l’amministrazione finanziaria ritardi nella

restituzione dell’indebito, è necessario, in primo luogo, il riconoscimento e la

corresponsione degli interessi maturati sulla somma indebitamente versata. In questo modo il contribuente potrà avere una completa reintegrazione patrimoniale.

Nel diritto civile, gli interessi possono distinguersi in base alla funzione che assolvono . Essi si distinguono in interessi compensativi e interessi moratori. Gli interessi

compensativi o corrispettivi rappresentano il corrispettivo del creditore per il fatto che questo ha messo a disposizione del debitore quella determinata somma di denaro. Essi

sono riconducibili all’art. 1282 c.c.517 . Gli interessi moratori assolvono invece la

funzione di ristorare il creditore per il danno subito a causa del ritardo nella

restituzione della somma di denaro e sono riconducibili agli interessi previsti nell’art.

1224 c.c..518. L’art. 1224 c.c., nel regolare il danno nelle obbligazioni pecuniarie, al

comma I stabilisce che: “Nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di danaro, sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali, anche se non erano dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno. Se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura.”

L’interesse legale di cui parla il suddetto articolo è disciplinato dall’art. 1284 c.c.519

517 Art. 1282 c.c. comma I: “I crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi di pieno

diritto, salvo che la legge o il titolo stabiliscano diversamente.”

518 In senso contrario Boletto G., Responsabilità per danni dell’amministrazione finanziaria, in Riv. Dir.

Trib, 2003 pag. 62 nota n. 8 che considera gli interessi per ritardato rimborso come compensativi e non moratori. Secondo l’autore gli interessi per ritardato rimborso hanno un presupposto diverso dagli interessi moratori poiché prescindono del tutto dall’inadempimento impitabile

519 Art. 1284 c.c.:” Il saggio degli interessi legali è determinato in misura pari allo 0,5 per cento in ragione

d'anno. Il Ministro del esoro, con proprio decreto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana non oltre il 15 dicembre dell'anno precedente a quello cui il saggio si riferisce, può

modificarne annualmente la misura, sulla base del rendimento medio annuo lordo dei titoli di Stato di durata non superiore a 12 mesi e tenuto conto del tasso di inflazione registrato nell'anno. Qualora entro il 15 dicembre non sia fissata una nuova misura del saggio, questo rimane invariato per l'anno successivo. Allo stesso saggio si computano gli interessi convenzionali, se le parti non ne hanno determinato la misura.

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Dobbiamo ora verificare l’applicabilità della suddetta normativa civilistica

E’ ora necessario verificare se la normativa civilistica (art. 1224 c.c. e art. 1284 c.c.) in tema di danni nelle obbligazioni pecuniarie è applicabile al ritardato rimborso delle somme indebitamente pagate dal contribuente da parte dell’amministrazione finanziaria.

In materia tributaria al credito d’imposta non viene applicata la sopraesposta

normativa civilistica (art. 1224 c.c. comma I e art. 1284 c.c.) benchè il credito d’imposta sia una obbligazione pecuniaria. Si ritiene infatti applicabile alla materia tributaria la normativa civilistica solo con riferimento ai principi generali riconducibili alle regole generali in tema di tardivo adempimento.

Infatti in materia tributaria la disciplina dei relativi interessi moratori è regolata da norme speciali tributarie. In questo senso però deve evidenziarsi la non omogeneità dell’attuale normativa tributaria, infatti se per alcuni tributi non è prevista nessuna normativa che regoli gli interessi moratori per le imposte indirette è possibile far riferimento all’art. 5 della L. n. 29/1961, per le imposte sui redditi agli artt. 44 e 44 bis del D.p.r. 602/1973 e per l’iva all’art. 38 bis del D.p.r. 633/1972.

Queste disposizioni stabiliscono il diritto di ogni contribuente a ricevere interessi, nella misura prevista dalla legge, sulle maggiori somme effettivamente pagate ma non dovute ed inoltre stabiliscono il principio di maturazione degli interessi per semestri interi.

Gli interessi per ritardato rimborso di imposte pagate e per rimborsi eseguiti mediante procedura automatizzata, previsti rispettivamente dagli artt. 44 e 44-bis DPR n.

602/73, sono dovuti annualmente nella misura del 2% e semestralmente (per ogni

semestre intero) nella misura dell' 1 % a partire dal 1 gennaio 2010520.

Gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto; altrimenti sono dovuti nella misura legale.

Se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.

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Nel caso dell’iva indebitamente versata c’è stata una innovazione, in quanto l’articolo 13 del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175, ha sostituito l’articolo 38-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, innovando

significativamente la disciplina relativa all’esecuzione dei rimborsi iva. La novità riguarda la decorrenza del termine di tre mesi per l’esecuzione dei rimborsi. Tale decorrenza è stata anticipata alla data di presentazione della dichiarazione (il

precedente testo faceva riferimento alla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione), con conseguente accelerazione del processo di erogazione dei rimborsi. Il tasso degli interessi da calcolarsi sulle somme indebitamente versate è del 2%. Per le altre imposte indirette, l’art. 5 L. n. 29/1961 stabilisce che sulle somme pagate per tasse e imposte indirette sugli affari e ritenute non dovute a seguito di

provvedimento in sede amministrativa o giudiziaria, spettano al contribuente gli

interessi di mora nella misura dell’1%521 a decorrere dalla data della domanda di

rimborso.

E’ da evidenziare522 però che l’ammontare dei tassi di interesse stabiliti dalla legge o

dai Decreti ministeriali è differente a seconda che creditore sia il contribuente o l’Amministrazione finanziaria. Si viene così a creare una disparità di trattamento che può dar vita ad una illegittimità costituzionale. Questo in violazione del principio di uguaglianza fissato dall’art. 3 della Costituzione poiché il pagamento degli interessi di mora deve avere la stessa misura in quanto trattasi di un elemento finanziario che

prescinde dall’aspetto sanzionatorio523.

521 L’art. 3 del D.M. 21 maggio 2009 ha statuito che “gli interessi per i rimborsi delle somme non dovute

per tasse e imposte indirette sugli affari, previsti dagli articoli 1 e 5 della legge 26 gennaio 1961, n. 29 sono dovuti nella misura dell’1 per cento per ogni semestre compiuto, a decorrere dal 1 gennaio 2010”

522 Ad. Esempio nel caso delle imposte dirette se il creditore è l’amministrazione finanziaria il

contribuente deve versare per il ritardo: il 4% di interessi sulle imposte o maggiori imposte a partire dal giorno successivo a quello di scadenza del pagamento e fino alla data di consegna al

concessionario dei ruoli nei quali tali imposte sono iscritte; b) il 4,5% di interessi in caso di pagamento rateizzato o sospeso ai sensi dell’art. 19 D.P.R. 602/1973; c) a questi si cumulano gli interessi del 6,8358% (che diventerà il 5,7567% a partire dall’1 ottobre 2010) per mancato pagamento nei 60 giorni dalla data della notifica della cartella di pagamento, e che scaduto tale termine si computeranno dalla data della notifica della cartella stessa.

Nel caso in cui, al contrario, sia l’amministrazione a dover rimborsare il contribuente, la legge stabilisce che questa debba pagare: a) a partire dall’1 gennaio 2010, il 2% annuo e l’1% semestrale.

523 Villani M., Due pesi e due misure nel diritto tributario: gli interessi di mora, in Quotidiano di

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I vari decreti ministeriali che si sono succeduti hanno modificando, di volta in volta, l’ammontare dei tassi di interesse applicabili, ma ancora non si è risolto il problema

della disparità di trattamento sull’applicazione degli interessi524.

Tale disparità invece, non esiste in materia di tassi di interesse applicabili ai tributi locali525.

Anche in tema di sanzioni si hanno delle disparità di trattamento tra amministrazione finanziaria e contribuente. Il contribuente è infatti costretto a dover attendere degli

anni prima di ottenere il rimborso526, mentre l’amministrazione finanziaria pretende

l’immediato pagamento delle somme ad essa spettanti, pena l’applicazione di pesanti sanzioni amministrative oltre, come detto, l’applicazione di interessi a tassi maggiori. Se è il contribuente che paga in ritardo i tributi, esso deve pagare quindi una sanzione.

Mentre nessuna sanzione è prevista a carico del fisco nel caso contrario527. Negli ultimi

anni comunque il problema dei rimborsi è stato attenuato con la compensazione tra dare e avere dei tributi e contributi. Questa è stata la novità più rilevante in vigore dal 1998528.

524 Villani M., Interessi di mora: al Fisco ritardatario spetta un trattamento più «favorevole», in Eutekne,

il quotidiano del commercialista, 9 novembre 2010

525 L’art. 1, comma 165, disciplina la materia degli interessi applicabili ai tributi locali, stabilendo che i

relativi tassi siano uguali per le ipotesi di versamento in ritardo dell’imposta da parte del contribuente e per le ipotesi di ritardati rimborsi nei confronti dei contribuenti. Infatti, l’art. 1, comma 165, suddetto stabilisce che: “La misura annua degli interessi è determinata, da ciascun ente impositore, nei limiti di tre punti percentuali di differenza rispetto al tasso di interesse legale. Gli interessi sono calcolati con maturazione giorno per giorno con decorrenza dal giorno in cui sono divenuti esigibili. Interessi nella stessa misura spettano al contribuente per le somme ad esso dovute a decorrere dalla data dell'eseguito versamento”.

526 Infatti il contribuente è spesso costretto, dopo aver presentato la istanza all’agenzia competente

sulla quale si è formato il più delle volte il silenzio-rifiuto, ad impugnare quest’ultimo di fronte alle Commissioni dovendo passare per tutti e tre i gradi di giudizio prima di ottenere il riconoscimento del rimborso. Inoltre il contribuente a differenza dell’amministrazione finanziaria per poter far valere il proprio credito riconosciuto nella sentenza, dovrà attendere il passaggio in giudicato.

527 Gioè C., Profili di responsabilità civile dell’amministrazione finanziaria, Cedam, Padova, 2007, pag.

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528 L'articolo 17 del Dlgs 9 luglio 1997, n. 241, ha modificare radicalmente le disposizioni in materia di

riscossione dei tributi, prevedendo espressamente la facoltà del contribuente di compensare debiti e crediti d'imposta. Fino all'entrata in vigore dell'articolo 17 del Dlgs n. 241/97, l'istituto della

compensazione ha trovato applicazione limitatamente ai debiti e ai crediti relativi alla medesima imposta e risultanti da due dichiarazioni annuali successive. Iniziale il legislatore ha esteso la compensazione anche a fattispecie i cui rapporti obbligatori contrapposti attengono a tributi di tipo diverso (Iva, imposte sui redditi, ritenute alla fonte) ovvero concernenti prestazioni non aventi propriamente natura tributaria (come, ad esempio, i contributi previdenziali) e nonostante che gli obblighi di dichiarazione relativi restino per più versi distinti; con l'articolo 50, comma 7, del Dlgs 15 dicembre 1997, n. 446, è stata aggiunta la lettera d-bis) all'articolo 17 del Dlgs 241/97, estendendo

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5.3- Rimborsi e anatocismo

L’anatocismo disciplinato dall’art. 1283529 c.c. fa riferimento alla c.d. capitalizzazione

degli interessi prevendendo che, salvo usi contrari, gli interessi scaduti possano produrre ulteriori interessi solo però dal momento della domanda giudiziale o per effetto di una convenzione posteriore alla loro scadenza, sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi.

Poiché l’art. 1283 c.c. si colloca all’interno delle norme che disciplinano l’obbligazione pecuniaria, è necessario verificarne l’applicabilità alla materia tributaria e più

specificatamente ai rimborsi d’imposta.

La tesi circa l’applicabilità di tale norma alla materia tributaria è stata affrontata più volte. La questione è stata definitivamente risolta, con l’art. 37 comma 50 del D.l. n. 223 del 4 luglio 2006, convertito con modificazioni dalla L. n. 248 del 4 agosto 2006, disponendo che:” gli interessi previsti per il rimborso di tributi non producono in nessun caso interessi ai sensi dell'art. 1283 del codice civile”.

Precedentemente a questo intervento normativo, l’applicabilità di tale norma alla materia tributaria era stato inizialmente negato e poi invece successivamente

l'istituto compensativo anche all'addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche; con l'articolo 2, comma 1, lettera b), n. 1), del Dlgs 23 marzo 1998, n. 56, con effetto dal 1° gennaio 1999, è stata aggiunta la lettera h-bis), che ha esteso la compensazione anche al saldo per il 1997 dell'imposta sul patrimonio netto delle imprese e del contributo al Servizio sanitario nazionale; alla fine del 1998, con l'articolo 2, lettera a), del Dlgs 19/11/1998, n. 422, è stato eliminato dalla formula dell'articolo 17, I comma, l'inciso "titolari di partita I.V.A.", ampliando nuovamente la categoria di contribuenti ammessi a operare la compensazione; con l'articolo 2, comma 1, lettera b), n. 2), del Dlgs 23 marzo 1998, n. 56, è stato aggiunto il comma 2-bis) all'articolo 17 del Dlgs 241/97, non ammettendo alla compensazione di cui al comma 2 i crediti e i debiti relativi all'imposta sul valore aggiunto da parte delle società e degli enti che si avvalgono della procedura di compensazione prevista dall'ultimo comma dell'articolo 73 del Dpr 633/72; con l'articolo 1, comma 10, del Dlgs 28 settembre 1998, n. 360, l'istituto della compensazione è stato esteso alle "addizionali" relative alle imposte sui redditi; con l'articolo 34, commi I e II, della legge 23 dicembre 2000, n. 388(10), il limite massimo dei crediti che possono essere compensati "orizzontalmente" è stato portato a 516.456,90 euro per ciascun periodo d'imposta.

529 Art. 1283 c.c. :” In mancanza di usi contrari (1), gli interessi scaduti possono produrre interessi solo

dal giorno della domanda giudiziale (2) o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi.” Con tale norma è stata ribadito un principio operante nel cod. civ. del 1865 all’art. 1232. L’art. 1283 c.c. prevede tre fattispecie di anatocismo a seconda della fonte da cui deriva l’obbligo di corrispondere gli interessi sugli interessi: anatocismo giudiziale, convenzionale, consuetudinario. In campo tributario si faceva riferimento a quello giudiziale, il quale diventa operativo in ragione di una domanda giudiziale formulata espressamente dal creditore. Sull’anatocismo: Dagna P., Profili civilistici dell'usura, Cedam, Lavis, 2008, pag. 206 e seg.

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affermato con due sentenze della Corte di Cassazione del 1999. Inizialmente la non applicabilità dell’art. 1283 c.c. alla materia tributaria era dovuta al fatto che tale articolo veniva ritenuto applicabile alle sole obbligazioni di natura civilistica e per il fatto che le disposizione speciali in materia tributaria regolavano già compiutamente

gli effetti della mora debendi 530.

Successivamente venne riconosciuto il diritto del contribuente ad ottenere in suo favore gli interessi anatocistici e quindi l’applicabilità dell’art. 1283 c.c. al sistema tributario. Questo riconoscimento si ebbe con le sentenze della Corte di Cassazione n.

552531 e n. 9273532 del 1999.

Secondo le suddette sentenze infatti, la presenza della Pubblica Amministrazione , in qualità di creditore o debitore, non altera la struttura del rapporto obbligatorio. Le correlative posizioni di debito e di credito vengono a porsi sul piano del diritto sostanziale in termini paritari, anche quando il rapporto abbia avuto origine da una fattispecie regolata dal diritto pubblico.

L’obbligazione tributaria, una volta originata, è assoggettata,per ciò che concerne gli

aspetti di diritto sostanziale, alla disciplina di diritto comune contenuta nel codice civile al pari di quelle che intercorrono tra soggetti privati, salvo le specifiche ed espresse deroghe previste dal diritto positivo. L'applicabilità dell' art. 1283 c.c., che consente la capitalizzazione degli interessi, sia pure entro limiti ben precisi, non può essere pregiudizialmente esclusa alla materia tributaria. In generale le norme fiscali che regolano il rimborso delle imposte versate in eccesso, infatti, nulla prevedono a tale riguardo. La disciplina delle obbligazioni tributarie, come ogni altra obbligazione che trovi fondamento in “fatti” regolati dal diritto pubblico, deve essere ricavata per quegli

530 In tal senso: Gioè C., Profili di responsabilità civile dell’amministrazione finanziaria, Cedam, Padova,

2007, pag. 167 e Peddis F., La responsabilità dell’amministrazione finanziaria per omesso o ritardato rimborso, in La Responsabilità Civile dell'Amministrazione Finanziaria, Questioni teoriche e politiche, a cura di Rossi P., Giuffrè Editore, Milano, 2009, pag. 209

531 Sent. Cass. n. 552 del 9 ottobre 1999, in Riv. Dir. trib., II pag. 439

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aspetti che non sono specificamente disciplinati dalle norme speciali, nelle precise

disposizioni contenute nel primo titolo del quarto libro del codice civile533.

La questione è stata definitivamente risolta con l’art. 37 comma 50 del D.l. n. 223 del 4

luglio 2006534 convertito con modificazioni dalla L. n. 248 del 4 agosto 2006. E’ stato

disposto da tele norma che i tributi, di qualsiasi tipo, non producono interessi anatocistici. Sarà comunque legittimo richiedere i maggiori interessi maturati sui

tributi richiesti a rimborso,per crediti maturati sino al quattro luglio 2006535 (entrata in

vigore della normativa).

La legge n. 248 del 2006 ha natura quindi innovativa, in quanto, precedentemente alla citata disposizione normativa, gli interessi sugli interessi erano spettanti, ammesso che

ricorressero le condizioni dell'articolo 1283536 del c.c..

Questo improvviso cambiamento sembra più ispirato da logiche di opportunità e di “cura” del gettito che da specifiche ragioni di coerenza e funzionalità sistematica.

Infatti, come da tempo sostenuto dalla Cassazione537, non vi è ragione alcuna per

sostenere che la specialità della materia tributaria rappresenti un ostacolo

all’applicabilità della norma civilistica. Quest’ultima potrebbe essere integrata nella disciplina del rimborso purchè ne siano rispettati i presupposti. Inoltre in virtù della compatibilità della materia tributaria con la disciplina civilistica delle obbligazioni pecuniarie (salvo divieti espressi come nel caso in esame) si può confermare come alla disposizione del D.l. n. 223/2006 sia da attribuire carattere di eccezionalità e che

533 Peddis F., La responsabilità dell’amministrazione finanziaria per omesso o ritardato rimborso, in La

Responsabilità Civile dell'Amministrazione Finanziaria, Questioni teoriche e politiche, a cura di Rossi P., Giuffrè Editore, Milano, 2009, pag. 209.

Nel corso degli anni si son avute altre sentenze favorevoli all’applicabilità dell’art. 1283 c.c. alla materia tributaria: Sezione I civile, sentenza n . 2079 del 23 febbraio 2000 in il caso.it

- Sezione I civile, sentenza n. 2081 del 23/02/2000 in Dir. e prat. Trib., 2000, pag. 91 - Sezione Tributaria, sentenza n. 5790 del 19/04/2001 in Giur. it., 2002, pag. 647

534 C.d. Decreto Bersani

535 Fuoco N. e Fuoco B., La Corte di cassazione conferma l’ interpretazione, Anatocismo fiscale Gli

interessi sui tributi non dovuti, in Italiaoggi, 17 maggio 2011, pag. 22.

536 Anche in materia tributaria era infatti necessario che gli interessi anatocistici fossero richiesti con

domanda giudiziale e che gli interessi da capitalizzare fossero già scaduti e dovuti per almeno 6 mesi. Non può invece riguardare la materia tributaria l’inciso “in mancanza di usi contrari” atteso che gli usi non rappresentano fonte del diritto tributario.

(12)

conseguentemente debba essere interpretata restrittivamente alla sola ipotesi di cui all’art. 1283 c.c.538.

5.4- Risarcimento del maggior danno e elementi probatori

L’amministrazione finanziaria è tenuta, come precedentemente detto, a rimborsare le somme che sono state indebitamente pagate dal contribuente a titolo di imposta e, in caso di ritardato rimborso da parte dell’amministrazione finanziaria, il contribuente ha diritto a ricevere anche gli interessi corrispettivi.

Il ritardato rimborso di un credito di imposta da parte dell’Amministrazione finanziaria, potrebbe però causare al contribuente un maggior danno eccedente quello risarcito

con la corresponsione degli interessi moratori previsti dalla legge tributaria539.

In materia civilistica il II comma dell’art. 1224 c.c. stabilisce che: “Al creditore che dimostra di aver subito un danno maggiore spetta l'ulteriore risarcimento. Questo non è dovuto se è stata convenuta la misura degli interessi moratori.”

Nella problematica del risarcimento dei maggior danni per ritardato rimborso, assume particolare importanza il danno da “svalutazione monetaria”, cioè il danno che il creditore può subire per l’effetto depauperativo dell’inflazione legato alla sensibile

diminuzione del potere d’acquisto della moneta540.

Il maggior danno, conseguente al ritardato rimborso, potrebbe essere causato541 anche

dalla mancata possibilità di impiego del denaro nel ciclo produttivo, ovvero nella

necessità di avvalersi di un prestito bancario542.

538 Peddis F., La responsabilità dell’amministrazione finanziaria per omesso o ritardato rimborso, in La

Responsabilità Civile dell'Amministrazione Finanziaria, Questioni teoriche e politiche, a cura di Rossi P., Giuffrè Editore, Milano, 2009, pag. 210

539 Della Valle E., Ficari V., Marini G. (a cura di), il processo tributario, Cedam, Padova, 2008, pag. 196 e

seg., Boletto G., Responsabilità per danni dell’amministrazione finanziaria, in Riv. Dir. Trib, 2003 pag. 62 e seg., Vassallo L., Gargiulo G., Rimborsi dei crediti da dichiarazione e maggior danno da

svalutazione monetaria, in Dialoghi Tributari, 1/2009, pag. 76 e seg.

540 Gioè C., Profili di responsabilità civile dell’amministrazione finanziaria, Cedam, Padova, 2007, pag.

158

541 Secondo Ascarelli T., Studi giuridici sulla moneta, Milano, 1952, XII, Il maggior danno del II comma

art. 1224 c.c. trova nella svalutazione monetaria solo una tra le possibili ipotesi di applicazione, potendo essere molti altri gli eventi che non possono trovare pieno risarcimento nel pagamento degli interessi moratori.

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Il pregiudizio che il creditore subisce è quindi un pregiudizio specificamente connesso al ritardo nell’inadempimento. Il creditore non avrebbe subito tale pregiudizio se il

debitore avesse rispettato il termine previsto per il rimborso543.

Si rende quindi necessario verificare l’applicabilità del II comma dell’art. 1224 c.c. alla materia fiscale.

A differenza del I comma dell’art. 1224 c.c. che non trova applicazione in materia tributaria, in quanto gli interessi sono già regolati da norme speciali tributarie, deve invece ritenersi applicabile in campo tributario il comma II della suddetta norma. L’applicabilità del II comma dell’art. 1224 c.c. alla materia tributaria trova conferma in

giurisprudenza544, in quanto le disposizioni tributarie in materia di rimborso d’imposta,

in deroga al diritto comune, non prevedono nessuna disposizione al riguardo. In assenza quindi di una specifica disposizione tributaria che preveda diversamente, la risarcibilità del maggior danno non è incompatibile con la materia tributaria. L’obbligazione tributaria, essendo riconducibile alle obbligazioni pecuniarie c.d. di

valuta545, ha per oggetto una somma di denaro e rispetto ad essa trova applicazione il

principio nominalistico546 secondo il quale il debitore alla scadenza dovrà pagare la

somma prevista. Le eventuali variazioni del valore reale della moneta non avranno alcuna incidenza sull’importo oggetto della prestazione pertanto dovrà essere sempre corrisposta la somma originariamente indicata.

542 Patti S.,Vacca L., Trattato delle obbligazioni, Volume 5, Cedam, Lavis,2010, pag. 448 L’idea è che è

risarcibile ogni danno conseguente all’impossibilità, determinata dalla mancanza tempestiva disponibilità della somma nel patrimonio del creditore, per le perdite e i mancati guadagni a ciò conseguenti

543 Peddis F., La responsabilità dell’amministrazione finanziaria per omesso o ritardato rimborso, in La

Responsabilità Civile dell'Amministrazione Finanziaria, Questioni teoriche e politiche, a cura di Rossi P., Giuffrè Editore, Milano, 2009, pag. 211

544 Sent. Cass. Sezioni Unite n. 16871 del 31 luglio 2007, in Guida al lavoro, 2007, pag. 48, Sent. Cass.

Sez. I, n. 11225 del 28 agosto 2000 in Mass. Giur. It., 2000, sent. Cass. Sez. trib. n. 2087 del 4 febbraio 2004 in Dir. e prat. Trib., 2004, II pag. 635

545 L’altro tipo sono le obbligazioni pecuniarie c.d. di valore che non hanno direttamente per oggetto il

denaro ma il valore di un bene. Per queste si considera il valore del bene che quindi può mutare nel tempo. Non si applica a queste il principio nominalistico.

546 Principio nominalistico previsto dall’art. 1277 c.c.: “I debiti pecuniari si estinguono con moneta

avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale. Se la somma dovuta era determinata in una moneta che non ha più corso legale al tempo del pagamento, questo deve farsi in moneta legale ragguagliata per valore alla prima.”

(14)

Nonostante l’applicabilità del principio nominalistico, non è escluso però che rispetto all’obbligazione possa essere risarcito il maggior danno da svalutazione monetaria. Viene così superata la tesi secondo la quale il principio nominalistico renderebbe

irrilevante ogni variazione di valore della moneta547. Il risarcimento del danno da

svalutazione non va infatti contro il principio nominalistico ma anzi lo presuppone: il creditore riceve un danno dal ritardato pagamento proprio perché il debitore estingue il debito mediante il versamento di una somma di denaro corrispondente all’importo

nominale del debito ma con moneta deprezzata548. L’obbligazione di rimborso

connessa al rapporto tributario originario rimane un’obbligazione di valuta perché il valore da considerare per il rimborso coincide con quello nominale. Invece

l’obbligazione ulteriore riferita al risarcimento del maggior danno identifica un obbligazione autonoma dipendente dal ritardato adempimento del debitore. La circostanza che il processo inflattivo non sia generato dal debitore, non pregiudica il diritto al risarcimento, giacchè tale diritto sorge come conseguenza del

comportamento del debitore549.

Inoltre l’applicabilità del suddetto II comma alla materia fiscale non può dirsi venuta meno neanche con il D.l. 223/2006 analizzato nel precedente paragrafo che ha escluso il fenomeno dell’anatocismo per i crediti da rimborso.

Come evidenziato, infatti, si ritiene attribuibile al D.l. 223/2006 carattere di

eccezionalità. Per cui la norma sopraesposta deve essere interpretata restrittivamente riferendosi alla sola ipotesi dell’anatocismo.

Riguardo la possibilità del contribuente di chiedere il risarcimento del danno causato da ritardato rimborso, è pacifico che la competenza sia del giudice tributario nel caso

547 Bianca Massimo C., Diritto Civile, La responsabilità, Milano, 1994, pag. 207 ravvisa nella

corresponsione degli interessi l’unica forma risarcitoria della mora.

548 Secondo Giovannini A., Processo tributario e risarcimento del danno (sulla pienezza ed esclusività

della giurisdizione speciale), in Riv. Dir. Fin., 1999, I pag. 206:” A me sembra che il risarcimento adeguato alla svalutazione non obliteri il principio nominalistico. (…) non si tratta di assegnare all’obbligazione base la capacità di sfuggire al principio nominalistico così da renderla sensibile alle oscillazioni del potere di acquisto della moneta e trasformarla in debito di valore.

549 Giovannini A., Processo tributario e risarcimento del danno (sulla pienezza ed esclusività della

(15)

della condanna alla corresponsione degli interessi moratori550, è dubbio invece se al

giudice tributario possa essere richiesto anche il risarcimento del maggior danno.

Secondo parte della dottrina e delle giurisprudenza551, la domanda del maggior danno

è un’azione risarcitoria autonoma rispetto a quella instaurata ai fini della restituzione dell’indebito e quindi esula dalla cognizione delle Commissioni tributarie. La tesi più

affermata552 invece, ritiene che la competenza sia del giudice tributario in quanto la

giurisdizione delle Commissioni tributarie può dirsi piena. La domanda risarcitoria sul maggior danno verrebbe fatta rientrare negli “altri accessori” indicati nell’art. 2 del D.gls 546/1992 dal momento che la domanda di risarcimento non comporta per il

giudice una cognizione più ampia rispetto a quella relativa alla domanda principale553.

La sentenza delle Sezioni Unite n. 16871 del 31 luglio2007 stabilisce infatti che “la domanda risarcitoria sul maggior danno costituisce una conseguenza della

controversia tributaria”554. La domanda di accertamento danni si collocherebbe in

posizione subordinata rispetto alla domanda principale e alla soluzione che questa incardina, ma si legherebbe ad essa in virtù della regola desumibile dall’art. 31 c.p.c.

sulla connessione per accessorietà555. In virtù di questo legame l’improponibilità

dell’azione principale determinerebbe l’improponibilità dell’azione accessoria.

550 Sentenza 722 del 15 ottobre 1999, in Riv. Dir. Trib., 2001 II, in quanto costituiscono prestazione

accessoria al rimborso del tributo.

551 Bellagamba G., il contenzioso tributario dopo il decreto legge 16 maggio 1996 n. 259, Torino, 1996

pag. 59, Del Federico L., La giurisdizione, in Giur. Sist. Dir. trib., diretta da Tesauro, Torino, 1998. la domanda del maggior danno è un azione risarcitoria autonoma rispetto a quella instaurata ai fini della restituzione dell’indebito e quindi esula dalla cognizione della Commissioni tributarie. Anche la giurisprudenza precedente prevedeva che la competenza sul risarcimento del maggior

danno fosse del giudice ordinario. Il giudice tributario era competente solo per le controversie d’imposta e quelle riguardanti la spettanza degli interessi che accedono ai crediti di natura tributaria. In tal senso: Sent. Sezioni Unite n. 6360 del 20 luglio 1987 in Boll. Trib., 1987, pag. 1481 e sent. Sezioni unite n. 1645 del 16 febbraio 1991

552 Sent. Cass. n. 8277 del 10 ottobre 1994 in www.utetgiuridica.it e sent. Sez. Unite n. 16871 del 31

luglio 2007 in bancadati fisconline. La giurisprudenza precedente prevedeva che la competenza sul risarcimento del maggior danno fosse del giudice ordinario. il giudice tributario era competente solo per le controversie d’imposta e quelle riguardanti la spettanza degli interessi che accedono ai crediti di natura tributaria. In tal senso: Sent. Sezioni Unite n. 6360 del 20 luglio 1987 in Boll. Trib., 1987, pag. 1481 e sent. Sezioni unite n. 1645 del 16 febbraio 1991 in Giur. Imp, 1992.

553 Della Valle E., Affidamento e certezza del diritto tributario, Giuffrè Editore, Milano, 2001, pag. 38,

Peddis F., La responsabilità dell’amministrazione finanziaria per omesso o ritardato rimborso, in La Responsabilità Civile dell'Amministrazione Finanziaria, Questioni teoriche e politiche, a cura di Rossi P., Giuffrè Editore, Milano, 2009, pag. 210.

554 In tal senso anche sent. cass. Sez. Unite n. 11483 del 21 dicembre 1996, in Corr. Trib., 1997, pag.

1636, sent., sez Unite n. 14274 del 21 marzo 2002 in Dir. prat. Trib., 2002, II pag. 308

(16)

Alla richiesta di rimborso si aggiunge infatti la contestazione, da parte del

contribuente, del ritardo nell’adempimento e la dimostrazione dell’esistenza di un

danno eccedente la forfettizzazione legale operata con gli interessi556.

Il tema della risarcibilità del maggior danno si pone poi il problema della prova della lesione patrimoniale.

Riguardo a questa materia c’è stata una profonda evoluzione giurisprudenziale

culminata con la sentenza delle Sezioni Unite n. 19499/2008557.

556 Boletto G., Responsabilità per danni dell’amministrazione finanziaria, in Riv. Dir. Trib, 2003 pag. 67.

Per l’autore: “L’azione di risarcimento derivante da ritardato adempimento del debito di rimborso comporta un’indagine sul contenuto dell’obbligazione tributaria che funziona da momento genetico, diretto ed immediato, del diritto di cui il contribuente deduce la lesione.

557 Riguardo il percorso evolutivo: inizialmente nel periodo che va dalla fine degli anni ’40 sino all’inizio

degli anni ’70 la giurisprudenza ha costantemente ritenuto che la prova fornita dal creditore dovesse essere una prova piena e rigorosa, essendo questi tenuto a dimostrare rigorosamente il pregiudizio sofferto per effetto dell’inadempimento dell’obbligazione pecuniaria; trattandosi, in particolare, del maggior danno da svalutazione monetaria il creditore aveva innanzi tutto l’onere di allegare

l’effettiva verificazione di un deprezzamento della moneta, sia nell’an che nel quantum e, in secondo luogo, doveva provare di aver subito un particolare pregiudizio per non aver potuto disporre

tempestivamente del denaro dovutogli, parimenti sotto il profilo sia dell’an che del quantum . Le critiche a tale impostazione sottolineavano come questa richiedesse una vera e propria probatio diabolica dal momento che era alquanto difficile, se non del tutto impossibile, dimostrare che, effettuando idonei investimenti, si sarebbero scongiurati gli effetti negativi della svalutazione. Successivamente seguì un impostazione giurisprudenziale contraddistinta dall’automatismo della rivalutazione monetaria. La Cassazione affermò drasticamente il principio secondo cui la perdita del potere di acquisto della moneta realizza automaticamente un danno concreto e reale del quale il creditore non deve fornire alcuna prova, perché la svalutazione costituisce, sotto questo profilo, un fatto notorio, la cui entità può facilmente desumersi da indici pubblicizzati di sicura attendibilità. Anche tale orientamento suscitò delle critiche in quanto con esso si aveva una sostanziale

trasformazione dei debiti di valuta in debiti di valore e l’elusione del principio nominalistico. Infine l’evoluzione giurisprudenziale fu contrassegnata dall’applicazione di un regime di presunzioni legate alla categoria soggettiva di appartenenza . Con la suddetta sentenza la scadenza del debito non poteva produrre alcuna diretta conseguenza sull’obbligazione pecuniaria in quanto tale, rimanendo essa pur sempre assoggettata, fino al momento del pagamento, al principio nominalistico e potendosi solo ipotizzare una obbligazione aggiuntiva che sorge dall’inadempimento e che ha per oggetto il risarcimento del danno previsto dall’art. 1224 c.c.; di conseguenza, il danno da

svalutazione non si identifica con il fenomeno inflattivo, cioè con l’inflazione in sé, ma si configura in relazione alle conseguenze pregiudizievoli che dalla stessa sono derivate al singolo creditore sicché il danno medesimo consiste nella lesione patrimoniale in concreto subita dal creditore per non aver potuto disporre della somma nel tempo in cui avrebbe dovuto essere pagato. Le Sezioni Unite hanno, quindi, ammesso la possibilità di utilizzare presunzioni fondate su condizioni e qualità personali del creditore e sulle modalità di impiego del denaro coerenti con tali elementi, al fine di consentire una valutazione il più possibile soggettiva del danno medesimo, senza tuttavia rinunciare al ricorso a criteri generali tali da permettere, ove possibile, una quantificazione forfettaria e da favorire la semplicità e speditezza della liquidazione.

Con la sentenza n. 19499 del 16 luglio 2008 in Altalex Massimario, 2008, pag. 34 vengono enunciati principi di ordine generale validi per tutte le obbligazioni pecuniarie e quindi applicabili anche nella materia tributaria. Viene superata la suddivisione dei creditori in categorie

(17)

L’art. 1224 c.c. II comma prevede espressamente che il creditore è tenuto a dimostrare di aver subito un maggior danno, ma tale prova può risultare complessa in quanto non è agevole stabilire quale sarebbe stata la situazione patrimoniale del creditore nel caso

in cui l’adempimento dell’obbligazione fosse stato tempestivo558.

L’art. 7 D. lgs 546/1992 vieta l’utilizzo nel giudizio tributario del giuramento559 e della

prova testimoniale560 e questo potrebbe essere di ostacolo, rendendo difficile

l’accertamento e la quantificazione del danno, non tanto per il danno da svalutazione monetaria, ma quanto per la prova di altre ipotesi di maggior danno.

Infatti per quanto riguarda il danno da svalutazione monetaria e il relativo

risarcimento, questo può essere facilmente valutato dal giudice con il metro della comune esperienza, non essendo necessario che il creditore dimostri in concreto

l’esistenza e l’entità del danno561. Per le altre ipotesi di maggior danno, invece i limiti

probatori suddetti possono rendere più difficile, sia la prova, sia l’accertamento, sia quantificazione del danno. Nel caso in cui il “maggior danno” si sia concretizzato in un

pregiudizio diverso562 rispetto alla svalutazione monetaria, l’unico rimedio

prospettabile potrebbe essere quello di devolvere al giudice ordinario la domanda di risarcimento ex art. 1224 c.c. II comma. Nei casi in cui il giudice tributario non avesse quindi gli strumenti per accertare e quantificare il danno, la domanda andrebbe proposta dinanzi al giudice ordinario. Infatti il giudice ordinario è l’unico in grado di

558 Peddis F., La responsabilità dell’amministrazione finanziaria per omesso o ritardato rimborso, in La

Responsabilità Civile dell'Amministrazione Finanziaria, Questioni teoriche e politiche, a cura di Rossi P., Giuffrè Editore, Milano, 2009, pag. 222

559 In diritto processuale il giuramento è un mezzo di prova, che consiste in una dichiarazione che una

parte fa, in giudizio, della verità di determinati fatti a essa favorevoli, accompagnata dal solenne giuramento.

560 La prova testimoniale consiste nella raccolta sotto giuramento di dichiarazioni rese da soggetti che

non sono parte del processo e che sono a conoscenza dei fatti di causa.

561 Come invece normalmente accade. Nel caso classico di danno da svalutazione monetaria le

limitazioni probatorie di cui all’art. 7 d.lgs. 546/92 non inciderebbero in quanto la prova non richiede il ricorso a questi due rimedi. Giovannini A., Processo tributario e risarcimento del danno (sulla pienezza ed esclusività della giurisdizione speciale), in Riv. Dir. Fin., 1999, I pag. 207 e seg., Boletto G., Responsabilità per danni dell’amministrazione finanziaria, in Riv. Dir. Trib., 2003, I, pag 68 nota 25, Gioè C, Profili di responsabilità civile dell’amministrazione finanziaria, Cedam, Padova, 2007, pag.2

562 Esempio il maggior danno si è concretizzato nell’ insolvenza dell’avente diritto al rimborso, il quale

non è in grado di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni e si ha la conseguente dichiarazione di fallimento

(18)

accertare, in virtù di un apparato probatorio “completo”, se vi sia stato da parte

dell’amministrazione finanziaria un comportamento doloso o colposo563.

Da ultimo è da sottolineare che la domanda di risarcimento del maggior danno costituisce domanda distinta e nuova rispetto alla richiesta del pagamento degli interessi. Pertanto esse richiedono entrambe una formulazione espressa senza che il giudice possa provvedere d’ufficio.

563 Della Valle E., Ficari V., Marini G. (a cura di), il processo tributario, Cedam, Padova, 2008, pag. 252,

Boletto G., Responsabilità per danni dell’amministrazione finanziaria, in Riv. Dir. Trib., 2003, I, pag 68, Conforme anche sent. cass. Sez. Unite n. 15 del 30 novembre 2006 e n. 8958 del 3 aprile 2007 disponibili in fisconline.

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