Capitolo 2
Il vasellame fine da mensa dell’ager Firmanus
2.1 Il materiale analizzato delle Unità Topografiche
Il decennale lavoro di ricognizioni svolte nel territorio fermano ha consentito di individuare, al momento settecentonovantatre Unità Topografiche. Le UT analizzate, in questa sede1, che hanno restituito vasellame fine da mensa sono, allo stato attuale delle ricerche, centoquarantanove, per un totale di trecentonovanta esemplari analizzati e schedati. Lo studio dei reperti ceramici presi in esame ci consente di distribuire, al momento, le Unità Topografiche in un arco cronologico complessivo che va dal primo secolo a. C. al settimo secolo d.C., consentendoci di cogliere e puntualizzare la successione diacronica dell’occupazione del territorio ricadente sotto l’influenza della città.
Tali ceramiche hanno una capillare distribuzione nel territorio indagato, sebbene siano da tenere ben presenti gli effetti stocastici che condizionano fortemente il rinvenimento e il riconoscimento di tali classi di vasellame fine: gli esemplari esibiscono, infatti, un elevato livello di frantumazione e abrasione della vernice. Inoltre non è da trascurare l’asportazione dei medesimi da parte di volontari e gruppi archeologici.2
Il materiale, dunque, si presenta frammentario, in alcuni casi di dimensioni estremamente piccole e lacunose, spesso in cattivo stato di conservazione. Ciò non ha impedito, però, che esso venisse suddiviso in classi e tipologizzato puntualmente.
2.2 Le classi ceramiche
Il quadro di alcune delle principali produzioni ceramiche databili dall'età tardo-repubblicana all'età tardo-antica che qui si presenta vuole essere uno strumento indicativo e sintetico delle problematica attuale e della storia degli studi. E' nostra convinzione che i reperti ceramici, debitamente studiati, possano costituire un
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Per la presentazione in extenso dei materiali si rimanda alla monografia su Fermum Picenum, Menchelli S. 2012 , e all’articolo Menchelli S. – Cerbone O. 2012, entrambi in corso di stampa.
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“fossile–guida” per ricostruire la storia economica e sociale del mondo romano ed i contatti commerciali, politici e sociali tra le diverse regioni dell’Impero. Studiare la ceramica significa conoscere i luoghi in cui questi manufatti furono prodotti, attraverso lo studio delle differenti produzioni si può seguirne la diffusione, geografica e cronologica, dei manufatti e le tecniche adottate
2.3 Terra sigillata italica
Se è vero che il primo grande “fenomeno ceramico” di età romana è costituito dalle “ceramiche a vernice nera”, prodotte in Italia centro-meridionale tra la fine del IV – I sec. a.C. 3, commercializzate via mare in tutte le regioni del Mediterraneo che costituiscono un prezioso ausilio per gli scavi di età ellenistica e per quelli di medio e tarda età repubblicana, è importante sottolineare come dall’età cesariana (metà I sec. a.C.) si assiste ad un profondo cambiamento dal punto di vista dell’artigianato italico, con l’affermarsi di nuovi materiali, nuove tecniche di lavorazione, nuovi gusti per le decorazioni, e, soprattutto, una diversa organizzazione del lavoro artigianale e dei modi di diffusione delle ceramiche.
La novità maggiore è rappresentata dalla comparsa della terra sigillata rossa <<aretina>> di Arezzo. Essa, la più celebrata e studiata ceramica di età romana, ha attirato l’attenzione degli studiosi fin dalla fine dell’800–inizi ’900, quando sono state redatte le prime classificazioni tipologiche, sulla base delle decorazioni figurate a rilievo e dei numerosi bolli. Letteralmente il termine “sigillata”, coniato alla fine del XVIII secolo dall’erudito Francesco Rossi, deriva da sigillum – diminutivo di signum (piccola statua) – e si riferisce alle decorazioni figurate ottenute mediante matrici o a rilievo applicato (tecnica à la barbotine): i sigilla da cui deriva il nome di terra sigillata (sigillatus come aggettivo lo ritroviamo in Cicerone4 per definire tale categoria di
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Gandolfi D. 2005, passim, 15 – 34. 4
oggetti), inizialmente si trova adottato, sulla scia del passo pliniano5, a tutte le ceramiche fini a vernice rossa prodotte nel bacino del Mediterraneo.
Il gusto del rosso caratterizza questa nuova produzione che, verso il 40 a.C. si aggiudicò il primato della produzione “industriale”, quando la produzione della Campana A della vernice nera andava esaurendosi. Ad Arezzo erano attive da diversi decenni fabbriche che producevano una variante locale della Campana B, esportata verso l’Italia padana e, tramite Aquileia, verso il limes danubiano. Tra il ’50–’30 a.C. queste fabbriche produssero una classe di materiali, detta <<prearetina>>: una ceramica a vernice nera con un repertorio formale nuovo.
L’inizio degli studi di tale classe si può datare al 1492 quando Marco Attilio Alessi fece la prima segnalazione di bolli su del vasellame a vernice rossa rivenuto al Arezzo; studiosi ed eruditi, dal Vasari al Fabroni, nei secoli successivi, continuarono a segnalare il rinvenimento di tali vasi ad Arezzo6. Il lavoro di Dragendorff7 costituì il primo inquadramento morfo–tipologico della terra sigillata, articolato in cinquantadue forme, nel quale furono riunite tutte le produzioni fini da mensa di età ellenistica e romana ed una prima distinzione in grandi classi di produzione. Lo studioso tedesco fu il primo ad adoperare il termine “terra sigillata”. In quegli stessi anni M. Ihm e H. Dressel avviarono i primi studi sui bolli della ceramica aretina, confluiti nel XI e XV volume del Corpus Inscriptionum Latinorum.
Di fondamentale importanza furono i ritrovamenti di terra sigillata aretina nei castra lungo il limes germanico: Haltern8, lungo il Reno9, Oberaden10.
Poco dopo iniziarono i fondamentali studi di H. Comfort e in Italia quelli di Stenico11 sulle decorazioni delle aretine.
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PLIN. N.H. XXXV, 160-161: Samia etiamnunc in esculentis laudatur. Retinent hanc nobilitatem et
Arretinum in Italia, et calicum tantum Surrentum, Hasta, Pollentia, in Hispania Saguntum, in Asia Pegamun. Habent et Tarallis ibi opera sua et in Italia Mutina: quonian et sic gentes nobilitantur. Haec quoque per maria terraque ultro citroque portantur, insignibus rotae officinae. Ai giorni nostri la
definizione pliniana di tale manufatti sopravvive solo nelle pubblicazioni specialistiche inglesi, la samian
ware definisce i vasi in terra sigillata gallica rinvenuti nelle stratigrafie inglesi.
6 Menchelli S. 2005, 154-167. 7 Dragendorff H. 1895. 8 Loesschke S. 1909. 9 Oxé A. 1933. 10 Albrecht Ch. 1939.
Il 1968 vide due opere destinate a divenire pietre miliari nello studio di tale classe di materiali: la pubblicazione degli scavi di Bolsena ad opera di Ch. Godineau12, che impostò una tipologia usata per i decenni a venire, e la rielaborazione degli inediti di Oxé a cura di Comfort13 che diede alle stampe il Corpus Vasorum Arretinorum con tutti i bolli impressi sulla sigillata. In Italia negli anni ’70 vengono pubblicati gli scavi di Luni, con i contributi della Lavizzari – Pedrazzini14 sulla terra sigillata tardo–italica decorata. M Picon15 poco dopo diede l’avvio a studi archeometrici applicati alla sigillata, al fine di stabilire la provenienza dei reperti ceramici; notevole l’edizione, in quegli anni, dei materiali in terra sigillata dagli scavi di Magdalensberg16 e Novaesium17.
Una nuova tipologia della terra sigillata italica è stata proposta dal Pucci18 nel Supplemento dell’Enciclopedia dell’Arte Antica; lo studioso riserva una particolare attenzione agli aspetti socio–economici della produzione.
Nello stesso supplemento Mazzeo Saracino19 tratta della terra sigillata nord– italica. Un lavoro collettivo ad opera di un’equipe internazionale, facente capo alla rivista Rei Cretearie Romanae Fautorum Acta ha portato ad una nuova sistemazione tipologica di validissima utilità: il Conspectus Formarum Terrae Sigillata Italico Modo Confecto20. Segue in interessante studio della Medri 21 sulle ceramiche tardo italiche decorate, inedite e non. Nel 2000 Kenrick pubblica l’aggiornamento dell’opera di Oxé – Comfort, su supporto cartaceo e CD-Rom.
La ceramica sigillata aretina a vernice rossa, chiamata anche dagli studiosi dell’800 “vasi corallini” (espressione che spiega assai bene le caratteristiche di questa classe di materiali) per la vernice rosso brillante, lucida e coprente, era ottenuta mediante un radicale cambiamento di cottura. Per realizzarla si utilizzavano particolari fornaci a 11 Stenico A. 1966. 12 Godineau Ch 1968. 13 Oxé – Comfort 1968. 14 Lavizzari – Pedrazzini M.P. 1972. 15 Picon M. 1972. 16 Schindler – Scheffenegger 1977. 17 Ettlinger E.1983. 18 Pucci G. 1985.. 19 Mazzeo – Saracino L. 1985. 20 Ettlinger E. et Alii. 1990. 21 Medri M. 1992.
fiamma indiretta, a tiraggio verticale (dette con termine moderno “a muffola”), in modo da proteggere il vasellame dal contatto diretto della fiamma e del fumo, fornite di tubature che collegavano la camera di combustione con l’esterno; sia la cottura che il raffreddamento avvenivano in atmosfera ossidante continua; l’apporto degli ossidi ferrosi generava il colore rosso brillante delle ceramiche.
Il vasellame in terra sigillata italica è manufatto, come generalmente tutto il vasellame fine da mensa, principalmente con argille calcaree22 che consentono una buona lavorazione, in quanto il calcare contenuto in esse (in percentuale superiore al 20%) agisce da fondente e, cementando tra di loro le varie componenti dell’impasto conferisce solidità al corpo ceramico. La porosità del calcare, inoltre, facilitava l’applicazione e l’aderenza del rivestimento. L’ argilla (premettendo che per il vasellame pregiato si utilizzavano filoni già alquanto depurati in origine), dopo l’estrazione veniva lavata e decantata da eventuali impurità; veniva poi modellata a tornio per i vasi lisci e a matrice per quelli decorati a rilievo. Quando la foggiatura era ultimata si aggiungevano gli elementi accessori: piedi, anse, decorazioni applicate, bolli. Si passava poi alla fase dell’essiccamento in modo che i vasi perdessero l’acqua presente nell’impasto (causa di rottura del pezzo) gradualmente e lentamente. Quando i vasi assumevano la consistenza del cuoio si passava alla fase della verniciatura: i vasi venivano immersi in una soluzione colloidale di argilla ricca di sostanze alcaline e ossidi di ferro che costituivano la materia colorante; tale procedimento, associato ad una cottura ossidante–ossidante (cottura tipo C della Picon23) garantiva la caratteristica vernice rossa, lucida e uniforme. In realtà da un punto di vista tecnico non di tratta di una verniciatura strictu sensu (in quanto le mancano i requisiti fondamentali per essere definita tale: la trasparenza, la totale vetrificazione e la completa impermeabilità), bensì di un processo di rivestimento con vetrificazione parziale ed imperfetto, privo di completa impermeabilità.
In questo senso è più appropriato il termine tedesco “glanztonfilm” .
Indice di un cambiamento della tecnica artigianale che avviene a partire dall’età cesariana in poi, con l’apporto di manodopera greco–orientale, legata clientelarmente e servilmente
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Cuomo Di Caprio N. 2007. 23
a personaggi della classe dirigente romana (basti pensare a Pompeo Magno) è la tecnica della foggiatura con l’adozione, per i vasi decorati, dell’uso delle matrici; prassi consolidata in Grecia e Asia minore, ma mai affermatasi prima d’ora nella tradizione artigianale italica.
Degno di attenzione è anche il cambiamento di comportamento degli artigiani che presero l’abitudine di imprimere sui vasi il loro nome o quello dei proprietari delle officine. Studi recenti24 ritengono che i bolli fossero funzionali all’organizzazione del lavoro. Il sistema produttivo di tali materiali era, generalmente, decentralizzato, con le figlianae (manifatture) che potevano essere articolate in diverse officinae (unità di lavoro autonomo), delle quali erano responsabili personaggi che, come recentemente dimostrato da Ph Kenrik.25, evidenziano una molteplicità di situazioni sociali: dagli ingenui, con contratto di locazione, ai liberti, agli schiavi; in alcuni casi i bolli evidenziano una cooperazione fra ceramisti di differente condizione sociale.
I bolli, dunque, erano necessari per sanzionare i rapporti economici e produttivi in atto all’interno delle manifatture ed individuare e valutare, anche economicamente, l’apporto di ciascuna officina.
Lo studio dei bolli apposti sul fondo dei vasi documenta tanto le firme dei creatori delle matrici quanto i nomi dei proprietari o dei gestori delle officine. Ciò ha permesso di ricostruire alcuni aspetti dell’organizzazione produttiva e delle gerarchie che la sorreggevano.
Prescindendo dallo status, è importante stabilire chi era il personaggio che firmava i vasi. Questi poteva essere: 1) il proprietario della manifattura e/o del terreno su cui sorgeva il/i forni, ad es. Cn. Ateius; 2) il responsabile di una officina di una figlina, ad es. Cn. Ateius Zoilus; 3) l’artigiano che produceva il vaso.
Nella sola Arezzo sono state individuate almeno 90 fabbriche dalle più svariate dimensioni, si va da quelle con poco più di 10-20 operai, a quelle che contavano fino a 60 schiavi. I bolli potevano avere anche la funzione di identificare il vasellame per la
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Aubert 1994 ; Fulle 1997. 25
rendicontazione di un determinato contratto o per distinguerli, nel caso che in una stessa infornata venissero cotti vasi di ceramisti differenti26.
I timbri Arreti(num) che rinveniamo su pezzi di certa provenienza non aretina confermano che i bolli potevano avere anche funzione pubblicitaria o di garanzia di qualità. Il fatto che più bolli poi fossero in produzione per più di 60–70 anni segnala che i membri di una stessa gens si susseguivano alla direzione degli ateliers ed i loro nomi dovevano costituire fonte di sicura garanzia di qualità di un prodotto la cui commercializzazione coincideva con l’estensione dell’Impero Romano.
I cartigli sono un buon indicatore cronologico dal momento che la loro forma muta nel tempo. I cartigli databili a prima del 30 a.C. sono di forma quadrata, contenevano monogrammi composti da due o più lettere ed erano impressi radialmente sul fondo del vasi, talora con un quinto apposto al centro; compare di norma il gentilizio e il prenome; manca il cognome il che farebbe pensare ad individui di rango servile. La situazione conosce un cambiamento tra il 30 – 15 a.C. (prima età augustea), quando assistiamo ad un notevole salto della qualità della produzione con la massiccia produzione di vasi figurati realizzati mediante l’impiego di matrici. Il punto più alto di perfezione tecnica è raggiunto in età augustea (27 a.C. – 14 d.C.), dovuto con molta probabilità alla presenza di manodopera di origine grecanica, come comprovano gli stessi bolli
Tra il 15/10 a.C. i bolli multipli disposti a raggiera cedono il posto al marchio singolo apposto entro cartiglio rettangolare contenente lo spazio per due righe di testo, oppure il bollo circolare nel quale il nome era talvolta contenuto entro una ghirlanda. Tra la tarda età augustea e il primo periodo tiberiano assistiamo ad una varietà della decorazione del bollo: trifoglio, quadrifoglio, tabella ansata.
Nel periodo post–augusteo, dal 15 d.C. in poi, si afferma l’uso del bollo in planta pedis con i nomi in forma abbreviata. Tale uso continuò fino alla fine del I sec.
d. C.; le ridotte dimensioni comportarono l’uso dei nomi abbreviati o ridotti alle sole iniziali. I bolli più tardi erano in lunula, caratteristica dei vasai tardo italici ed utilizzati fino alla fase finale della produzione.
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Il principale centro di produzione di terra sigillata italica fu Arezzo. Nella città, come nel suo suburbio da secoli avevano sede manifatture ceramiche che producevano la “vernice nera” e dove, intorno alla metà del I sec. a.C. si realizzò il passaggio dalla vernice nera alla vernice rossa.
Si ritiene che un tale cambiamento di gusto e la conseguente adozione di ceramica a vernice rossa, sia dovuto ad influenze orientali, in particolare della terra sigillata orientale A, prodotta già dalla metà del II sec. a.C. nei centri costieri della Siria e della Cilicia e che giungeva fino alle coste etrusche. In particolare un influsso egeo–orientale è ipotizzabile pure per l’impiego delle matrici per i vasi decorati.
Secondo la Pedroni27 l’inizio della produzione della terra sigillata italica è riconducibile a personaggi come Q. Afranius e C. Septimius, legati a Pompeo e agli anni delle sue vittoriose campagne in Oriente (67-62 a.C.) quando giunsero nell’Etruria tirrenica ingenti capitali, schiavi specializzati, nuove tecnologie (i forni “a muffola” erano già impiegati da circa un secolo in Oriente); sembrerebbe innegabile un rapporto tra la produzione di questa classe di materiali ed il potere politico; rapporto che del resto perdurerà nel tempo, come evidenziato anche dallo stretto legame che intercorreva, ad esempio, tra Cn. Ateius e la sua gens con la classe dirigente augustea. Terminus ante quem per la produzione è il rinvenimento nelle acque di Lione del relitto Planier 3, contenente vasi aretini di forma Consp. 1 associati ad anfore prodotte da M. Tuccio Galeo la cui morte Cicerone data al 47 a.C..
Nella prima fase della produzione (40-20/15 a.C.) oltre che ad Arezzo erano attive le manifatture nella valle del Pò (terra sigillata nord-italica, chiaramente influenzata da quella aretina) e dell’Italia centrale. Tra il 20 a.C. e il 15 d.C. altri centri iniziano a produrre terra sigillata: Pisa, Pozzuoli e Cales. In particolare a Pisa e nel suo territorio vennero impiantate succursali di Cn. Ateius già attivo con succursali a Lione e a La Graufesenque. Le manifatture pisane ebbero notevole fioritura ed un’intensa attività. Un’altra officina fu impiantata in territorio falisco a Vasanello, attiva negli ultimi decenni del I sec. a.C., gestita da Q. Anarchius che bollava i vasi a proprio nome .
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Le stratigrafie ostiensi e di Roma ci attestano attiva la produzione e l’esportazione dei prodotti di Arezzo fino al 80–90 d.C.
La fase finale della produzione definita “tardo–italica” è caratterizzata dalla florida attività delle manifatture pisane, con i ceramisti L. Rasaninus Pisanus e C. P. Pi(sanus)che, intorno al 50. d.C. , iniziano a produrre vasellame liscio; mentre dall’età flavia inizia la produzione dei vasi tardo–italici decorati a rilievo28 con manifatture attive fino a metà del II sec. d.C.
Importante è sottolineare il cambiamento nella politica commerciale; in quanto gli intraprendenti vasai aretini sostituiscono ben presto la diffusione dei loro prodotti via mare con l’impianto di succursali, prima in Italia e ben presto nelle Province, specie lungo il confine renano e germanico che per la ricettiva presenza di contingenti militari29, che divennero da subito uno dei mercati privilegiati. Nella vasta diffusione di questa produzione ceramica è stato riscontrato un fenomeno di acculturazione e romanizzazione, sintomo di adeguamento delle popolazioni locali ad un modus vivendi30. La commercializzazione aretina avvenne tanto via mare che via fiume, e conobbe diffusione su vasta scala, raggiungendo tutti i territori dell’Impero, dal Mar Nero all’Asia, dal Sahara alle Gallie, fino alla Britannia, con una considerevole abbondanza sul limes renano-danubiano. Servì tanto mercati “militari” che “civili”. Secondo alcuni studiosi l’eccezionale diffusione di questa ceramica fu dovuta al fatto che i carichi di ceramiche completassero i carichi di derrate alimentari, così come la vernice nera aveva viaggiato sui carichi che esportavano vino italico. Analogamente si vorrebbero spiegare così il successivo affermarsi delle sigillate galliche prima (vino e altre derrate), e delle africane poi (monopolio delle derrate alimentari delle Province del Nord Africa).
È nota una certa divisione dei mercati da parte delle manifatture principali che si dislocavano lungo le direttrici privilegiate, sia terrestri, che lungo i punti di sbocco
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Ad Arezzo, nell’officina dell’italico M. Perennius, coadiuvato da Tigranus (uno schiavo di origine orientale che ereditò la conduzione della manifattura), cominciò, intorno al 30 a.C., la produzione dei vasi in terra sigillata decorati a matrice, esauritasi nel corso del principato di Claudio e ripresa, dopo uno iato di quaranta anni, all’inizio del principato di Domiziano dai laboratori di tardo italica.
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Menchelli S. 1997, 191 – 198. 30
fluviali o terrestri. La fortuna della terra sigillata italica può essere spiegata anche col suo pregnante significato simbolico; cioè essa infatti rappresentò un veloce strumento di acculturazione per le popolazioni desiderose di romanizzarsi. <<Augustean civilisation conquered the world ceramically as well militaty, politically and spiritually>>-
2.4 Terra sigillata tardo italica
Con la definizione di Terra Sigillata Tardo Italica si suole indicare una produzione di ceramica fine da mensa di colore rosso prodotta nell’ultimo periodo di attività delle fabbriche italiche. Il termine dunque ha un significato ben preciso definendo una determinata facies, definita dal punto di vista cronologico e tipologico, caratterizzata da precise forme di vasi e decorazioni. Allo stato attuale degli studi si riesce a definire con maggiore sicurezza i vasi in produzione decorata (TSTID); restano invece in gran parte da chiarire le peculiarità della produzione liscia (TSTI) e se essa sia effettivamente una produzione tarda. Oltre le officine aretine, pisane e padane – attive già dalla prima fase della produzione – sono da collocarsi altre fornaci presso Scoppieto, Vasanello, Cales, Pozzuoli, Venosa. Le produzioni italiche continuano per tutto il I sec. d.C., ma con un vivo distacco dalla tradizione precedente; quelle decorate di Arezzo subiscono un brusco arresto dopo il 30 d.C. e non vengono più prodotte; quelle lisce continuano ad essere prodotte, ma con una drastica riduzione delle forme. Questi cambiamenti sono quelli che identificano la facies tardo italica della produzione, da collocarsi tra l’età tiberiana (14– 37 d.C.) e quella flavia (70–96 d.C.).
Dal 50 d.C. in poi possiamo parlare con maggiore certezza di produzione tardo italica, sia decorata che liscia. Caratteristiche di questo periodo sono le forme con decorazione applicata, Conpsectus 3.2.
La data finale della produzione è da porsi intorno alla metà del II sec. d.C. La produzione decorata ha come caratteristiche la forme Dragendorff–Watzinger I, Dragendorff 29 e, più raramente, una coppa emisferica. Peculiari le decorazioni a matrice. Le vernici sono brillanti, talvolta opache e crostose, con una discreta resa; gli impasti sono depurati, di colore hanno la gamma dei beige–nocciola, come le italiche. La tipologia di riferimento per le tardo italiche decorate è Medri 1992.
Il repertorio decorativo è costituito da numerosi soggetti, figurati e non, composti in vari schemi fino ad esaurimento dello spazio disponibile. I bolli sono noti in numero ristretto. Il repertorio iconografico è comune patrimonio per quasi tutte le officine; molto raramente una precisa iconografia è peculiare ad una sola officina e nessuna può avere il carattere di “firma”. I centri produttori sono da identificarsi nella Toscana marittima, Pisa in primis, ma non sono affatto da escludersi altri centri quali quelli campani, napoletani e flegrei , in particolare.
2.5 La terra sigillata padano/adriatica
Con questa definizione si intende riferirsi ad un gruppo di produzioni, per certi versi eterogeneo e distribuito in un arco cronologico piuttosto ampio (dall’età augustea al V sec. d.C.), ma connotato in modo peculiare e definito tanto per ambito produttivo che per contesto geografico di pertinenza. In questo raggruppamento sono state catalogate la Sigillata Padana31, la Sigillata Nord Italica32, la Sigillata Medio Adriatica33, riconoscendo alle ceramiche provenienti da questo contesto geografico, pur ampio, delle caratteristiche comuni, tanto per ambito tipologico delle forme e dei tipi, quanto dal punto di vista mineralogico delle argille con cui sono stati prodotti. Questo raggruppamento vuole essere solo uno strumento indicativo, sintetico e schematico da un punto di vista empirico, ma non riduttivo, della dibattuta problematica delle ceramiche in terra sigillata prodotte in area padano – adriatica34.
M Picon35 ha elencato i criteri chimici in base ai quali ricondurre le argille di queste produzioni ai contesti geografici di pertinenza; tali criteri si basano sulla presenza notevole di nichel e cromo nelle argille ofiolitiche, proveniente dalle Alpi piemontesi e liguri e dell’Appennino liguro – emiliano. Al momento purtroppo non è noto con certezza alcun luogo di produzione, per l’assenza di officine o fornaci. Provengono, da più scavi, negli ultimi anni “frustuli” di indicatori produttivi, che aggiungono nuovi dati, ma non
31 Zabhelicky – Scheffenegger S. 2005, 233-237. 32 Schindler Kaudelka E. 2005, 239-244. 33 Biondani F. 2005 177-197. 34
Per il dettaglio della storia degli studi si rimanda alle opere citate e alla bibliografia precedente. 35
dirimono la questione dei centri produttivi. La diffusione dei bolli da sola non ci attesta la localizzazione certa di impianti produttivi, sebbene concorra alle ipotesi di attribuzione degli stessi. I metodi archeometrici non hanno dato buoni risultati per l’attribuzione geografica di tali ceramiche; recentemente si è potuto fare sia una distinzione tecnologica che una differenza generale dell’impasto, analizzando il metodo di cottura con cui esse sono state realizzate36. Il colore dei campioni cambia tra i 900° C e i 1100 ° C. Questo ha consentito di poter affermare che le ceramiche afferenti a tale classe tecnologica sono stati realizzati con differenti argille, poiché la composizione chimica è uguale sono la composizione mineralogica, la grandezza e la compattezza degli inclusi che consentirebbero ulteriori precisazioni geografiche. Le argille di questa classe possono essere raggruppate, macroscopicamente in tre gruppi, riconoscendo dei comuni parametri sia per gli impasti che per le vernici. Le argille variano da quelle molto depurate e dai toni del rosa arancio e vernice rosso lucida, ad argille con inclusi più grossolani di colore più rosso e vernice più diluita, fino ad esemplari con impasti color nocciola chiaro ricoperti di vernice diluita rosso – bruno opaca.
2.6 Le produzioni in terra sigillata campana. Le produzioni puteolane e “campano – napoletane”
Alla fine degli anni ’80 P. Arthur avviò una ricerca sulla produzione e l’uso della ceramica romana in Campania; in particolare l’attenzione si rivolse alle ceramiche fini da mensa a vernice rossa, con particolare riguardo all’area che dai Campi Flegrei arriva alla regione vesuviana. Nell’ambito di queste ricerche37 sono stati isolati gruppi di frammenti che per le caratteristiche delle argille sembrano attribuibili a produzioni locali. L’identificazione della <<Tripolitanian Sigillata>> con la produzione della baia di Napoli fu a sua volta definita dal Soricelli alla fine degli anni ’8038, sulla base di corrispondenze vascolari, firme di ceramisti e analisi delle argille è stato possibile definire un’area di diffusione di queste ceramiche, che, oltre la baia di Napoli, l’area vesuviana, la provincia di Caserta, l’area compresa tra l’alta Campania e la provincia di Isernia, la provincia di
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Zabhelicky – Scheffenegger S. 2005, op. cit. 37
Soricelli G. 1987a, 107-122. 38
Salerno (Elea–Velia, Moio della Civitella), interessa anche la Calabria, la Sicilia, le coste del Nord–Africa e, forse, anche la Spagna. I centri produttori di tale vasellame fine da mensa accertati per il momento, sulla base di scarti di lavorazione, bolli, punzoni, indagini archeometriche, paiono essere: Napoli, Pozzuoli, Cuma, Cales. Ma non è da escludere l’esistenza anche di altri centri non ancora identificati.
L’argilla dei frammenti identificabili come “Campano–Napoletane”39 varia dai toni del beige–arancio al nocciola più o meno scuro (tra Muns. 7.5YR 6/7 e 5YR 7/5), in alcuni esemplari l’argilla è di colore marrone–rossiccio (Muns. 5YR 6/6–5/6 ). Microscopicamente sono distinguibili: inclusioni micacee (frequente la biotite, più rara la muscovite), grani di calce, e, in alcuni casi, il pirossene. I frammenti di colore marrone– rossiccio presentano, oltre alla calce e ad abbondanti inclusi micacei, inclusi rossicci e larghe scaglie di mica dorata (muscovite). La vernice varia dal rosso–arancio al rosso– scuro (tra Muns. 2.5YR 4/8–5/8 e 10R 4/8). Generalmente è opaca, sottile, talvolta con inclusioni micacee, si scrosta con relativa facilità, ma in alcuni esemplari si presenta lucida. In alcuni casi l’esterno del vaso è opaco e il piede all’interno non è verniciato. I frammenti più antichi di questa produzione si rinvengono a Pompei in contesti databili intorno alla metà del I sec. a.C. La loro presenza nei contesti vesuviani diviene più rara alla fine dell’età flavia. La presenza di “black sand” in alcuni dei frammenti provenienti da contesti pompeiani lascia ipotizzare la localizzazione di un’officina in ambiente vesuviano. Due scarti di fornace dallo scavo sotto la Chiesa dei Girolamini confermano Napoli come sede di un’officina che potrebbe aver prodotto vasellame fine da mensa senza soluzione di continuità, almeno a livello cronologico, con la precedente produzione ceramica a “vernice nera”. Le ceramiche di questa produzione presentano argille differenti o per l’utilizzo di differenti banchi di argilla oppure quale risultato di differenti tecniche di lavorazione.
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La definizione “ Campano – Napoletane” non compare nella letteratura scientifica; si parla di generiche ceramiche di produzione campana o fabbricate nella baia di Napoli. La definizione “Campano – Napoletana”, presentata da chi scrive,per la prima volta, nella propria Tesi di Laurea del 22/06/2009. La denominazione è stata poi adottata dall’equipe napoletana che lavora a Velia ed è scaturita da dibattiti e da confronti con V. Gassner dell’ equipe austriaca che lavora a Velia, riconoscendo ai prodotti campani delle specifiche peculiarità. I materiali studiati nella sopracitata ricerca hanno consentito di raggruppare i frammenti rinvenuti nelle stratigrafie veline in una serie di impasti di sicura, ma generica, provenienza Campana, da cui si distaccano quelli di chiara provenienza Puteolana.
Gli esemplari di probabile provenienza puteolana presentano argilla di colore nocciola (Muns. 5YR 7/6), di media durezza, minuti inclusi micacei, grani di calce, sporadici granuli rossi e neri. La vernice è rosso scura (Muns. 2.5YR 4/8 e 10R 4/8) poco o per niente brillante, liscia sull’orlo, più ruvida sul resto del vaso o sulle parti decorate. Già il Comfort aveva accostato l’uso di particolari elementi decorativi (l’ovolo a doppia cornice riempito con pigna o festoni modanati pendenti da rosette) come indizio di una probabile provenienza puteolana per diversi frammenti di vasellame a vernice rossa decorati a rilievo40.
Lo studio dei bolli ha reso identificabile, con maggiore certezza, l’esistenza di filiali di ceramica sigillata italica e poi di vere e proprie officine autonome, floride per tutto il I sec d.C. e fino al primo quarto del II sec. d.C., con una diffusione non solo regionale dei loro prodotti ma, come per il precedente gruppo, fino in Calabria, lungo le coste della Sicilia tirrenica e lungo le coste del Nord–Africa.
2.7 Sigillata Africana
Per la definizione di tale classe di materiale resta valido quanto enunciato da A. Carandini nell’Atlante delle forme ceramiche I41. E’ una ceramica fine da mensa fabbricata in diverse officine dell’Africa Proconsolare e della Mauretania Cesariense; appartiene ad un’unica tradizione artigianale che si sviluppa tra fine I sec. a.C. e il VII sec. d.C.; in grado di rispondere alla domanda dei mercati regionali e, soprattutto, del grande mercato mediterraneo ed oltre; è di qualità più o meno raffinata, coperta, del tutto o in parte, con vernice arancione, più o meno liscia e brillante.
L’interesse principale per questa classe di materiale è dato principalmente dal perdurare della sua produzione, che ne fa uno dei “fossili guida” per le cronologie dei contesti imperiali, e dalla sua diffusione, al punto tale che si è di sovente usata l’espressione di “mercato globale”42, è attestata dalle coste dell’Atlantico al Mar Nero, dalla Scozia alla Valle del Nilo e all’Etiopia.
40 Comfort H. 1962, 448-456; 1982, 45-48 . 41 Carandini A. 1981, 11. 42 Gandolfi D. 2005 b, 195-233.
Sebbene nota già dalla metà dell’800, la prima tipologia della classe viene formulata a metà del secolo scorso, quasi contemporaneamente, dal Waagé (1948)43 che studiava i materiali provenienti dagli scavi di Antiochia sull’Oronte, e, in Occidente, da Nino Lamboglia, che studiava i contesti di Albintimilium44.
L’espressione “terra sigillata chiara” fu utilizzata per questi manufatti dal Lamboglia nel 1941; più tardi i risultati delle sue ricerche furono sistematizzati nelle annate XXIV e XXIX della “Rivista di Studi Liguri”, dove compare la prima classificazione e la prima cronologia fissata sulle stratigrafie occidentali allora note. Importante il lavoro di J. W. Solomonson45 che tentò per primo un’equivalenza tra le classificazioni del Lamboglia e del Waagé ed affrontò lo studio dei rapporti tra la sigillata africana e altre espressioni della cultura figurativa della Proconsolare, con un particolare riferimento alle ceramiche decorate. Contributi importanti sono le edizioni degli scavi condotti dall’Università “La Sapienza” di Roma nelle Terme del Nuotatore ad Ostia, dove si identifica la fabbrica della A/D e si avvia lo studio della africana da cucina: per la prima volta si affronta la problematica tra produzioni ceramiche e le problematiche economiche ed artigianali del prodotto46. L’opera tutt’ora fondamentale per lo studio della sigillata africana resta il volume di J. W. Hayes del 1972: “Late Roman Pottery”, integrato nel 1980 dal “Supplement”, che presenta, oltre allo studio tipologico, la ricostruzione della dimensione di questo fenomeno economico e produttivo della media e tarda età imperiale la cui continuità perdura oltre l’invasione vandala dell’Africa e si arresta alla conquista araba. Un’altra tappa fondamentale è il già citato Atlante, edito dell’81 come primo supplemento dell’Enciclopedia dell’Arte Antica dove le tipologie di Hayes vengono arricchite di numerose varietà e varianti, derivate soprattutto dallo studio dei reperti di Ostia e di Cartagine; vengono aggiunte anche le fabbriche di A/D e C/E. Particolare rilievo riveste la pubblicazione del Mackensen M.47 relativa alla fabbrica di El Mahrine, che produsse sigillata D dal IV al VII sec. d. C.
Lo studio costituisce la prima analisi completa di una fabbrica di sigillata africana, con la classificazione tipologica delle forme, il catalogo degli stampi e la relativa cronologia. In
43
Waagé F.O. 1948, op. cit. 44 Lamboglia N. 1958, 1963. 45 Solomonson J. W. 1968, 1969. 46 Carandini A. 1970. 47 Mackensen M. 1993.
anni più recenti un importante, e tutt’oggi fondamentale contributo, per lo studio, la classificazione e l’identificazione delle produzioni ceramiche africane, è dato dal lavoro ventennale di M. Bonifay. 48, imprescindibile per l’apparato formale, per la puntualizzazione cronologica delle forme e per i centri di provenienza.
2.2.8 La Sigillata Focese
Con tale definizione si intende una ceramica fine da mensa prodotta tra la fine del IV/ inizi V sec. d. C. sino alla metà del VII sec. d. C. prodotta a Focea nell’attuale Turchia occidentale. Essa è l’unica presenza di ceramica orientale diffusa in maniera consistente in Italia tra le ceramiche fini da mensa tardo-antiche. La definizione “Late Roman C” fu coniata da Waagé nella sua pubblicazione degli scavi sull’Agorà di Atene e riproposta da J. W. Hayes49 nella sua grande sintesi; lo studioso inglese ne fornì il primo inquadramento crono – tipologico, tutt’oggi valido. La classe ceramica mantiene uniformi le sue caratteristiche, nonostante la lunga durata della sua produzione50. La classe è caratterizzata da uno scarso numero di forme, dieci, ognuna delle quali articolata in alcune varianti. Sono tutte forme aperte, coppe e scodelle, con piccolo piede ad anello o con “falso piede”. La forma 3 e la forma 10 sono le più attestate e note, perdurano per circa due secoli e sono capillarmente diffuse lungo le coste mediterranee. Su tale vasellame è presente sia la decorazione a rotella che quella a stampo51. È possibile che la sua ampia e capillare diffusione di sia dovuta alla spinta del mercato di Costantinopoli, che avrebbe fatto da “volano” all’incremento della sua produzione e della sua distribuzione, in concomitanza con la crisi delle esportazioni delle fabbriche della Proconsolare determinata dalla fondazione del regno vandalico in Africa.
48
Bonyfai M. 2004. 49
Hayes J.W. 1972 op. cit. Lo stesso studioso ha poi proposto (Hayes J.W.1980) di denominare questa produzione “sigillata Focese” abbandonando la classificazione alfabetica di Wageé.
50
Gandolfi D. 2005 op. cit. 51
2.9.1 Il problema degli impasti: campionatura e classificazione
La presenza di cinque differenti classi e, all’interno di esse, l’identificazione di nove produzioni, di ceramica sigillata, rappresentati da un’attestazione di trecentonovanta esemplari, distribuiti in centoquarantanove Unità Topografiche ha reso necessario stabilire dei comuni parametri per lo studio e la classificazione di ciascuna classe ceramica in sigillata e di ogni sua produzione identificata. Al fine di creare una valida griglia di informazioni dove presentare non solo un’affinata tipologia di confronto per i materiali ma definire un quadro cronologico preciso, supportato da una sicura origine di provenienza delle ceramiche, per sfruttare al meglio le preziose potenzialità dei materiali, oggetto della presente ricerca, si è pensato di affiancare lo studio tipologico dei materiali ad un’attenta analisi degli impasti. Lo studio della campionatura e della classificazione degli impasti effettuato per ogni classe ceramica è stata eseguita in loco, avendo a disposizione tutti i materiali che sono oggetto d’indagine della presente ricerca. Ci si è avvalsi dell’uso di una lente 12X per l’analisi autoptica degli impasti, visibili in sezione ed in frattura, e delle vernici. In questo modo è stato possibile determinare delle caratteristiche comuni degli impasti, per distinguerli e raggrupparli in base alle alle differenti paste – o fabric52 – con cui essi sono composti.
I criteri di cui si è tenuto conto sono stati: l’analisi dei componenti principali e secondari del corpo ceramico, dal punto di vista mineralogico; la loro concentrazione all’interno del corpo ceramico; la presenza e le dimensioni degli inclusi. I frammenti sono stati confrontati con campioni definiti mediante indagini archeometriche, conservati presso la Banca Dati analisi Archeometriche del Laboratorio di Topografia, Dipartimento Scienze Storiche del Mondo Antico, Università di Pisa.
2.10.1 Terra Sigillata Italica.
Impasto caratterizzato da una forte matrice calcarea dell’argilla.
Ben depurato, presenta fratture nette, la sensazione al tatto è polverosa, duro in frattura, gli inclusi che ritroviamo ad esame autoptico sono: muscovite, biotite– rada-calcare e quarzo, piccoli e piccolissimi, appena visibili ad occhio.
52
TSI1 e 2: Il colore è beige, o beige rosato, (Muns. 7.5YR 1.5/3-8 e 1.6/3-8). Centro di provenienza: Arezzo.
TSI3: Il colore è tendenzialmente più rosato e scuro degli impasti di provenienza aretina, presenta anche una lieve percentuale di mica dorata in più, (Muns. 5YR 1.7/2-4)
Centro di provenienza: Pisa.
La superficie ha una gamma cromatica che va dal rosso corallo, negli esemplari più antichi e meglio cotti, al rosso brunito, per giungere fino al rosso matto, negli esemplari troppo cotti, (Muns. 2.5 YR 5/6-8 e 1.6/4-8, Muns. 10 R 4/4-8 e 5/4-8 ). Essa è generalmente lucida, brillante, raramente opaca. Si presenta compatta, aderente, omogenea.
2.10.2 Terra Sigillata Campano – Napoletana e Puteolana
Impasto mediamente depurato, presenta a volte fratture nette, altre volte irregolari, la sensazione al tatto è liscia talvolta, generalmente ruvida. Presenta frequenti inclusi micacei, molta biotite, più rara la muscovite, a volte presente in larghe scaglie, grani di calce e, molto spesso, il pirossene.
TSI4 e TSI5 : L’argilla dei frammenti di questo gruppo varia dai toni del beige–arancio al nocciola più o meno scuro (tra Muns. 7.5YR 6/7 e 5YR 7/5), in alcuni esemplari l’argilla è di colore marrone–rossiccio TSI6(Muns. 5YR 6/6–5/6).
Centri di provenienza: non ancora identificati con certezza.
L’argilla dei suddetti impasti è comunque di certa provenienza Campana. Per gli esemplari in cui il pirossene è presente in grandi quantità si può ipotizzare una provenienza dall’area vesuviana. Per gli impasti più depurati e meglio cotti è lecito supporre una provenienza napoletana, ove le manifatture erano avvezze a produrre vasellame fine da mensa di ottima qualità. Per gli impasti più grossolani e meno depurati e con una fattura meno accurata si è anche ipotizzato ad una provenienza in centri della Campania interna o della zona tirrenica a sud di Paestum.
È stato possibile attribuire ciascuna sigillata, una volta che è stata identificata essere di tale produzione, ad un preciso impasto.
La vernice varia dal rosso–arancio al rosso–scuro (tra Muns. 2.5YR 4/8–5/8 e 10R 4/8). Generalmente è opaca, sottile, talvolta con inclusioni micacee, si scrosta con relativa facilità, ma in alcuni esemplari si presenta lucida.
La terra sigillata di produzione puteolana esibisce un impasto ben depurato, fratture piuttosto nette e regolari, di media durezza, compatto, polveroso al tatto. Presenta minuti inclusi micacei, più frequente la muscovite (inclusi dorati), calcare e quarzo piccoli e piccolissimi, piccoli inclusi gialli, di probabile origine tufacea, sporadici granuli rossi e neri.TSI6: L’argilla è di colore nocciola (Muns. 5YR 7/6, 7/4 6/4–6),
Centro di provenienza: Pozzuoli. La vernice è rosso scura (Muns. 2.5YR 4/8 e 10R 4/8), è più o meno brillante, talvolta opaca, liscia sull’orlo, più ruvida sul resto del vaso o sulle parti decorate.
2.10.3 Sigillate padano/adiatiche
Le ceramiche afferenti a tale classe tecnologica possono essere suddivise in tre gruppi macroscopici: STP/A1, STP/A2, STP/A3. Le argille degli esemplari studiati presentano impasti ben depurati, con inclusi di piccole e medie dimensioni di muscovite, biotite e inclusi bianchi opachi. Le vernici presentano differenti rese cromatiche e qualitative. STP/A1: argilla rosa arancione ben depurata (Muns. 7.5YR1.6/3-8) e vernice rosso bruna lucida, con radi e piccolissimi inclusi micacei.
STP/A2: argilla di colore arancione o rosso arancione ( Muns. 10R 4/8 ), con maggiore concentrazione di inclusi micacei e inclusi bianchi opachi di dimensioni maggior rispetto al gruppo precedente; vernice diluita arancione o rossa.
STP/A3: argilla di colore nocciola chiaro ( Muns: 5YR 7/6 ) con vernice diluita rosso – bruno opaca, raramente lucente.
2.10.4 Sigillate Africane
Le ceramiche rinvenute offrono una gamma vasta e, oltremodo, completa delle produzioni africane, coprendo l’arco cronologico che va dalla fine del primo – inizi del secondo secolo dopo Cristo, fino al tardo-antico. Le produzioni fin qui riconosciute, in
conformità alla classificazione della sigillata africana sono: Sigillata Africana A, e le fabbriche A1, A2. Sigillata Africana C, e le fabbriche C1, C2, C1-C2, e C3. Sigillata africana D, e le fabbriche D1, D2.
Nella nostra classificazione verrà fatta precedere la sigla TSA (Terra Sigillata africana) per definire l’impasto di ogni fabbrica, e la sigla STSA (Superficie Terra Sigillata africana) per definire la superficie. Esse sono state stabilite tendendo conto dei parametri comuni di colore, tanto per l’impasto che per la superficie, non solo di ogni produzione identificata, ma anche di ogni fabbrica.
Si fornisce, inoltre, una scheda esemplificativa e riassuntiva dei campioni significativi.
Sigillata Africana A (fine I – III sec. d.C.)
È la più antica delle produzioni africane, prodotta nella Tunisia settentrionale, nell’area vicino Cartagine. Prenderà il posto delle ultime produzioni tardo italiche e galliche nei mercati mediterranei. È di qualità più o meno raffinata, con vernice rosso arancione, più o meno liscia e brillante.È stata distinta in due fabbriche:
A1 = caratterizzata da argilla di color rosso mattone, di consistenza granulosa, ed inclusi di piccole dimensioni (quarzo, calcare e mica), identificato con la sigla TSAA1: La vernice è fine e brillante, di colore simile al corpo ceramico e ricopre l’intera superficie del vaso.
TSAA1 Colore: Muns.10 R 5/8. Cottura: omogenea.Frattura: netta. Sensazione al tatto: ruvida. Durezza e Consistenza: molto dura e compatta Inclusi: quarzo, calcare e mica. Vernice: Colore: Muns. 10 R 6/8. Brillantezza: brillante. Consistenza: sottile
Grado di aderenza: aderente.
A2 = argilla meno fine della precedente, TSAA2, con vernice progressivamente più opaca e meno fine.
TSAA2: Colore: Muns 10R 6/8. Cottura: omogenea. Frattura: nette. Sensazione al tatto: ruvida.Durezza e Consistenza: molto dura e compatta. Inclusi: quarzo, calcare e mica. Superficie: Colore: Muns 10 R 5/8. Brillantezza: opaca. Consistenza: sottile. Grado di aderenza: aderente
Sigillata Africana C (inizi III – metà / seconda metà V sec. d.C.)
Intorno agli inizi del III sec. d.C. entrano in funzione le fabbriche della Tunisia centro– orientale, localizzate nell’area dell’antica Byzacena gravitante intorno al porto di Hadrumentum. Tale produzione venne riconosciuta la prima volta da Nino Lamboglia tra i materiali dello scavo di Albintimilium. Nell’Atlante I sono state distinte cinque fabbriche o sottotipi, secondo le osservazioni già effettuate da J. W. Hayes53.
Nell’ager Fimanus sono state individuate due delle cinque fabbriche identificate.
C1= argilla assai fine, liscia al tatto e pareti di spessore molto fine, di colore arancio scuro, TSAC1, associata a vernice di colore rosso scuro, corposa e brillante, di aspetto quasi marmorizzato, STSCC1.
TSAC1: Colore: Muns 7.5 YR 1.7/6.Cottura: omogenea .Frattura: netta. Sensazione al tatto: liscia. Durezza e Consistenza: dura e compatta. Inclusi: quarzo, rada muscovite, occasionalmente poca biotite, piccoli. Superficie: Colore: Muns 7.5 YR 1.7/8.Brillantezza: brillante. Consistenza: compatta. Grado di aderenza: aderente
C2 = argilla simile alla precedente, che tende ad essere più lamellare e a scheggiarsi, con tonalità più rosate, TSAC1. Vernice sottile, più diluita e opaca generalmente, con sfumature rosate e copre interamente la parete esterna del vaso, STSAC2.
TSAC2: Colore: Muns 7.5 YR 1.8/6.Cottura: omogenea. Frattura: piuttosto irregolari. Sensazione al tatto: polverosa. Durezza e Consistenza: dura e compatta. Inclusi: quarzo, muscovite occasionale di piccole dimensioni e calce, piccoli. Superficie: Colore: Muns 7.5 YR 1.8/8. Brillantezza:opaca. Consistenza: sottile
Grado di aderenza: aderente
C3= argilla meno depurata, più ricca di inclusi, TSaC3. Vernice rossiccia o rosata, opaca, raramente brillante. Generalmente ricopre solo la fascia esterna sotto l’orlo.
TSAC3: Colore: Muns 5 YR 1.7/6.Cottura: omogenea . Frattura: netta. Sensazione al tatto: ruvida. Durezza e Consistenza: dura e compatta. Inclusi: muscovite, quarzo e
53
biotite, medi e piccoli. Superficie: Colore: Muns 5 YR 1.7/6 Brillantezza: opaca. Consistenza: sottile. Grado di aderenza: aderente
Sigillata Africana D (fine III – VII sec. d.C.)
È l’ultima delle produzioni in Sigillata Africana, prodotta a partire dalla fine del III sec. d.C. con un repertorio tipologico del tutto innovativo, vernice generalmente stesa solo all’interno dei vasi e fino all’orlo esterno; a partire dal 320 d.C. circa è frequente la presenza della decorazione a stampo sul fondo interno dei vasi. L’area di produzione è stata individuata nella Tunisia settentrionale, che aveva il suo sbocco naturale intorno al porto di Cartagine, dove sono state identificate alcune officine: Pheradi Maius, Henchir el Biar, Oudna, El Mahrine.
Le officine produssero fino al VII sec. d.C. ; i prodotti rimasero in circolazione fino alla conquista araba di Cartagine. Secondo quanto descritto da Hayes l’argilla di questa produzione è lievemente granulare, con una maggiore concentrazione di inclusi, più ruvida al tatto. La vernice ha uno spessore variabile e tende ad essere meno lucida che nelle produzioni precedenti. Della D sono state distinte due sotto tipi, D1 e D2, anche se non sempre è agevole distinguere le due produzioni.
D1= nella sua fase iniziale riprende la produzione della A2. Argilla granulosa di colore arancione–mattone. Vernice arancio, ma anche rosata e più rossiccia, opaca, generalmente riveste solo l’interno del vaso.
TSAD1: Colore: Muns 5YR 7/6. Cottura: omogenea. Frattura: netta. Sensazione al tatto: ruvida. Durezza e Consistenza: dura e compatta. Inclusi: muscovite, quarzo e biotite, medi e piccoli. Superficie: Colore: Muns 5YR 7/8. Brillantezza: opaca Consistenza: sottile. Grado di aderenza: aderente.
D2= Argilla più granulosa, di colore arancio tendente al bruno. Vernice densa e brillante, che non aderisce perfettamente al corpo ceramico
TSAD2:Colore: Muns 5YR 7/8.Cottura: omogenea .Frattura: netta. Sensazione al tatto: ruvida. Durezza e Consistenza: dura e compatta. Inclusi: muscovite, quarzo e biotite, piccoli. Superficie:Colore: Muns 5YR 6/8. Brillantezza: lucida. Consistenza: spessa Grado di aderenza: poco aderente.
2.10.5 La Sigillata Focese (LRC)
Le ceramiche afferenti alla classe della Sigillata focese presentano un’argilla rossa (Muns. 5YR 6/6–5/6), depurata, dalla grana fine e compatta, ben cotta, dalle fratture nette; la superficie è ricoperta da un rivestimento rosso – violaceo, molto sottile e aderente, e opaco. Nel nostro DB la pasta è indicata con la siglia TSF.