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Farsi spazio. Algerini in métropole

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Academic year: 2021

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Parte Seconda

Farsi spazio. Algerini in métropole

Il migrante giunto nel paese di destinazione è “spogliato” dei suoi luoghi di origine e si trova in uno stato di momentanea nudità1. Una frontiera è stata varcata e, secondo Zanini,

questo vuol dire “uscire da uno spazio familiare, conosciuto, rassicurante, ed entrare in quello dell'incertezza”2. In sostanza, viene a mancare il senso dell'abitare e dell'appartenere a un luogo.

Nel Castello di Kafka, l'ostessa si rivolge all'agrimensore dicendogli: “Lei non è del Castello, lei non è del paese, lei non è nulla. Eppure anche lei è qualcosa, sventuratamente, è un forestiero, uno che è sempre tra i piedi, uno che vi procura un mucchio di grattacapi”3.

Lo straniero è infatti qualcuno che non appartiene fin dall'inizio al nostro ambiente e che, quando vi entra, porta con sé un insieme di caratteristiche, di elementi nuovi, che modificano necessariamente lo spazio da noi appreso e praticato fino a quel momento attraverso una consuetudine di relazioni col mondo circostante4. Per il migrante diventa di vitale importanza ridisegnare uno spazio capace di accogliere il suo mondo di credenze, di significati, di simboli o, più semplicemente, la sua cultura. Fino a quando questo atto di ridefinizione non si esaurisce, l'esperienza del migrare rimane in una condizione di confine.

Georg Simmel5 offre un primo specifico contributo allo studio delle figure sociali dell'emarginazione, in particolare il povero e lo straniero. Lo straniero di Simmel, colui che, a differenza del viandante, “oggi viene e domani rimane”, è portatore di una “lontananza”, di una diversità culturale, che lo colloca in una posizione esterna e lo esclude dalle attività centrali della comunità che lo ospita.

Tuttavia, l'individuo svincolato dalla propria cultura e dalle proprie tradizioni si contraddistingue per alcune caratteristiche originali, analizzate da Park6. L' “uomo marginale”, come viene definito l'immigrato, si trova ai margini di due culture e di due società ma è anche il risultato della nascita di nuove culture, nuove società, è il prodotto

1 Sul concetto di “nuda vita” dell'individuo, spogliato di ogni esistenza politica, si veda Agamben G. (1995), Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino.

2 Zanini P. (1997), Significati del confine, Mondadori, Milano, p. 11. 3 Kafka F. (1976), Il Castello, Mondadori, Milano, p. 87.

4 Cfr. Zanini P. (1997), p. 60.

5 Simmel G. (1989), Sociologia, Edizioni di Comunità, Milano; in particolare “Excursus sullo straniero”, p. 580 e segg.

6 Park R.E. (1928), Migrazione umana e l'uomo marginale, in Tabboni S. (a cura di) (1986), Vicinanza e lontananza, Franco Angeli, Milano.

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incidentale di un processo di acculturazione, effetto dell' “imperialismo economico politico culturale”. Ciò che gli autoctoni possono sperimentare solo in modo intermittente e temporaneo, rappresenta per l’uomo marginale la condizione permanente, che lo rende aperto, emancipato, libero e cosmopolita.

Il concetto che riassume al meglio l'approccio alle migrazioni portato avanti in questo elaborato è l'espressione utilizzata da Sayad7: la migrazione come “fatto sociale totale”. Perché parlare di migrazione è parlare della società nel suo insieme, o meglio di due società, nelle loro dimensioni diacroniche, cioè in una prospettiva storica (storia politica, storia demografica), ma anche nelle loro estensioni sincroniche, cioè dal punto di vista delle strutture presenti nelle società e del loro funzionamento.

In questa prospettiva, dopo aver offerto uno spaccato del contesto algerino nel quale nascono le emigrazioni, passiamo alla dimensione francese dell'immigrazione.

Come ogni immigrazione, anche quella algerina, viene avvertita come minaccia al bene della sicurezza, come elemento di turbamento di equilibri faticosamente conquistati, e di conseguenza mantenuta a lungo ai margini, della società e delle città.

L’instabilità e l’inferiorità abitativa mantengono questa condizione di esclusione, di esistenza diminuita, al di qua del riconoscimento pieno del diritto di cittadinanza e di appartenenza. Il radicamento alla città incomincia e riceve impulso dalla sistemazione in una abitazione dignitosa. La casa non è, infatti, soltanto un riparo puro e semplice; viceversa, è un bene complesso, anzi un insieme di beni, materiali e simbolici.

Muovendo dal quadro francese in materia di gestione dell'abitare e alloggi sociali, si prendono in esame le forme di habitat che inizialmente i lavoratori algerini occupano/creano. Dagli alberghi e dormitori, finanziati dai padroni per i quali si era impiegati o da associazioni caritatevoli, all'habitat auto costruito delle bidonvilles.

L'inserimento nell'agenda governativa della questione abitativa specifica dei migranti algerini, a partire dagli anni della decolonizzazione, riconoscerà l'emergenza ormai generalizzatasi.

La questione dell'alloggio non era stata risolta strutturalmente dal governo francese, che, negli anni che seguono la Seconda Guerra Mondiale fino al Plan Courant del 1953, privilegia gli investimenti nell'industria e lascia perlopiù all'azione privata e associativa la questione dell'alloggio. E' verso la fine degli anni '50 che lo Stato decide di investire nella costruzione e nella ristrutturazione del territorio: la definizione di strumenti giuridici e normativi specifici (norme di costruzione delle Hlm, le Zup, la Sonacotral, il Fas...) renderà possibile una politica abitativa, seppur con i notevoli limiti che vedremo.

7 Cfr. Sayad A. (2008), L'immigrazione o i paradossi dell'alterità. L'illusione del provvisorio, Ombre Corte, Verona.

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In ultima analisi affronteremo l'approccio abitativo che lo Stato francese avrà nei confronti delle famiglie algerine e dei lavoratori celibi. Mentre le prime saranno rialloggiate in “città di transito” o “d'urgenza” nell'attesa delle nuove costruzioni (i grands ensembles nelle banlieues); ai lavoratori celibi saranno dedicate delle strutture specifiche per “senza famiglia”. I “foyer per lavoratori migranti” saranno analizzati nella loro genesi e nei meccanismi totalizzanti messi in atto, per concludere con l'evoluzione di tali strutture fino ai giorni nostri.

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