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1.1 Premessa 1. Introduzione

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1. Introduzione

1.1 Premessa

Nonostante gli enormi passi fatti dalla medicina nella cura e prevenzione delle malattie cardiache, quest’ultime rappresentano la principale causa di morte nei paesi industrializzati; in particolare, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, queste causano 17 milioni di morti ogni anno (vedi Figura 1).

Fig.1 Principali cause di morte in Italia nel 2001.

Le cardiopatie ischemiche sono legate ad una parziale o totale occlusione delle arterie, dovuta a eventi trombotici o alla formazione di placche aterosclerotiche che ostruiscono i vasi, limitando il flusso sanguigno (vedi Figura 2).

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La riduzione o l’interruzione del flusso causano il fenomeno dell’ischemia e conseguente morte cellulare.

Un’irrorazione cardiaca insufficiente, dovuta alla riduzione del flusso di sangue arterioso, comporta un apporto di ossigeno e nutrienti che non è in grado di soddisfare il fabbisogno cellulare.

Fig.2 Fenomeno dell’infarto del miocardio.

L’ipossia e gli squilibri metabolici, dovuti all’ischemia causano quindi cambiamenti biochimici, morfologici e funzionali nella cellula del miocardio come alterazione del potenziale di membrana, alterazione della distribuzione degli ioni, swelling cellulare, disorganizzazione del citoscheletro (Collard and Gelmans, 2001).

La mancanza di ossigeno induce un rapido arresto della fosforilazione ossidativa mitocondriale e l’inibizione della sintesi da ATP, la

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principale fonte energetica cellulare. Per compensare la diminuzione di ATP, viene attivata una glicolisi anaerobica che trasforma una piccola percentuale di ADP in ATP e porta ad un accumulo di ioni idrogeno e di lattato con conseguente acidosi intracellulare ed ulteriore inibizione della glicolisi aerobica (Buja et al.,1988). Inoltre la quantità di ADP che non è convertita in ATP dà origine a prodotti come adenosina, inosina e xantine, responsabili dell’aumento di osmolarità intracellulare e del rigonfiamento delle cellule.

L’integrità strutturale dei miociti ischemici è compromessa e il progressivo danneggiamento cellulare è evidenziato dalla rottura della membrana plasmatica mediante vari meccanismi (Buja, 1998; Buja et al., 1988). Infatti, a causa dell’aumento della concentrazione intracellulare di ioni Ca2+ e dell’accumulo di metaboliti derivanti dal metabolismo anaerobico, si ha l’attivazione di proteasi, endonucleasi e fosfolipasi che degradano la struttura della membrana plasmatica. Inoltre il danno a carico della membrana fosfolipidica può essere causato dalla formazione di specie reattive dell’ossigeno e di specie radicaliche che si generano in miociti sopravvissuti all’ischemia in seguito alla riperfusione. Questi radicali causano la formazione di perossidi e superossidi che aumentano l’estensione del danno tissutale inducendo necrosi tissutale.

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Tutte queste degenerazioni alterano la permeabilità della membrana, comportano uno sconvolgimento dell’equilibrio elettrolitico intracellulare ed un completo esaurimento dell’ATP. L’evento finale è quello di una rottura del sarcolemma dei miociti e conseguente morte cellulare (Buja, 2005).

La gravità dell’evento ischemico e la grandezza della zona di necrosi dipende dall’entità dell’occlusione dei vasi coronarici e dalla durata dell’ipossia (Reimer and Jennings, 1979).

Diversi studi hanno messo in evidenza che due processi, il

precondizionamento ischemico (IPC) e il postcondizionamento

ischemico (POC), giocano un ruolo fondamentale nella protezione

miocardica.

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1.1.1 Precondizionamento ischemico (IPC)

Un breve periodo di ischemia innesca un processo cardioprotettivo in grado di incrementare la resistenza miocardica in previsione di un successivo e più acuto attacco ischemico. Questo fenomeno conosciuto come precondizionamento ischemico (IPC), costituisce un vero e proprio meccanismo di auto-difesa, in grado di ridurre l’entità dell’infarto, ed è caratterizzato da: una riduzione delle aritmie durante il periodo di riperfusione (Shiki and Hearse, 1987), una diminuzione del metabolismo energetico durante le prime fasi di ischemia (Murry et al., 1986), un miglioramento del recupero post-ischemico (Cave and Hearse, 1992) ed anche una maggiore protezione dell’endotelio coronarico (Richard et al., 1994).

Il precondizionamento ischemico (IPC) è stato scoperto inizialmente nel cuore ma successivamente è stato descritto, in altre forme, in organi diversi e in diverse specie animali, tra cui mammiferi ed anche nell’uomo (Li et al., 1990; Shott et al., 1990). Questo processo si articola in due fasi distinte, la prima detta “classica o precoce” che dura da 1 a 3 ore dopo lo stimolo precondizionante, ed una seconda fase “ritardata”, (seconda finestra), che dura dalle 24 alle 96 ore.

Il meccanismo generale dell’IPC prevede inizialmente il coinvolgimento di sostanze endogene “triggers”, le quali innescano

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una cascata di eventi che porta alla protezione della cellula. Inoltre, un ruolo fondamentale, alla base di questo meccanismo fisiologico è svolto sicuramente dai canali al potassio ATP-sensibili (KATP) ed è stato dimostrato attraverso l’uso di farmaci bloccanti, come la glibenclamide e il 5-idrossidecanoato (5-HD) (Ohnuma et al., 2002). Il ruolo e l’importanza relativa dei mediatori e degli effettori endogeni coinvolti nell’IPC, possono essere inoltre modulati dal quadro endocrino ed in particolare dagli ormoni gonadici (Mendelsohn and Karas, 1999).

I fattori di innesco dell’IPC possono essere classificati in recettore-dipendenti o recettore-inrecettore-dipendenti e sono coinvolti nella prima fase del precondizionamento, seguita dalla fase di ischemia prolungata in cui entrano in gioco altri mediatori e/o effettori (Calderone et al., 2007; Testai et al., 2007). Infatti, adenosina, bradichinina, e prostaglandine esercitano la loro azione tramite l’interazione con recettori specifici, mentre altre sostanze endogene come ossido nitrico (NO), solfuro di idrogeno (H2S), radicali liberi e ioni calcio, non mostrano un’azione selettiva sui recettori.

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a) “Trigger” recettore-dipendenti

Mediatori endogeni come l’adenosina, la bradichinina, la noradrenalina e gli oppioidi sono classificati come agenti recettore-dipendenti e sono capaci di innescare l’effetto cardioprotettivo attraverso l’interazione con specifici recettori accoppiati a proteine G (vedi Figura 3).

Fig.3 Fenomeno del precondizionamento ischemico recettore-dipendente.

Il legame di questi agenti con i loro recettori provoca l’attivazione della fosfolipasi C (PLC) (Thornton et al.,1993) che a sua volta catalizza l’idrolisi del fosfatidilinositolo 4,5-bifosfato (PIP2), generando i secondi messaggeri inositolo 1,3,4-trifosfato (IP3) e diacilglicerolo (DAG) che vanno a stimolare la proteina chinasi C (PKC), un mediatore intracellulare che svolge un ruolo chiave

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nell’IPC (McCully et al., 2001). Attraverso un processo di fosforilazione, la PKC provoca l’attivazione di varie proteine e, tra queste, anche i canali del potassio ATP sensibili (KATP).

Tra le sostanze in grado di attivare l’IPC l’adenosina, è stata la prima ad essere identificata; le concentrazioni di tale mediatore, a livello cardiaco, hanno mostrato un incremento durante brevi periodi di ischemia su ratti, conigli, cani e maiali (Schulz et al., 1998). Inoltre inducendo sia una vasodilatazione che una riduzione dell’inotropismo cardiaco, migliora l’equilibrio tra richiesta e apporto di ossigeno. Gli effetti cardiaci di questo attivatore endogeno sono mediati dall’interazione con i suoi specifici recettori A1 e A3 (Liu et al., 1991), mentre è esclusa la partecipazione del recettore A2 (Schulz et al., 1995). L’adenosina gioca, quindi, un ruolo fondamentale nell’IPC, questo è stato osservato durante brevi periodi i precondizionamento nei maiali o singoli cicli di ischemia-riperfusione nei conigli; tuttavia una funzione altrettanto importante è svolta dalla bradichinina, ed è stata ipotizzata, inoltre un’attività sinergica tra i due mediatori endogeni (Goto et al., 1995).

Nei miocardiociti di ratto sono state osservate sperimentalmente, sia la presenza dei recettori per gli oppioidi δ e κ, sia la loro capacità di produrre oppioidi endogeni che sembrano essere responsabili della

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riduzione della zona infartuata (Zhang et al., 1996; Weil et al., 1998). Tramite l’utilizzo di antagonisti selettivi, numerosi studi hanno dimostrato che i recettori oppioidi δ sono coinvolti nell’IPC e, in particolare, la stimolazione selettiva del sottotipo recettoriale δ1 induce una cardioprotezione ritardata, 24 ore dopo la stimolazione del recettore (Fryer et al., 1999).

Tuttavia, il ruolo dei recettori κ oppioidi nell’IPC, come quello di altri “triggers” (prostaglandine, adrenalina, angiotensina ed endoteline), è ancora poco chiaro (Bugee and Ytrehus, 1995; Wang et al., 2001). Recenti evidenze sperimentali suggeriscono inoltre che un ruolo di effettore/mediatore diretto dell’IPC possa essere attribuito anche agli estrogeni (Wang et al., 2006), accanto alla loro capacità di modulare positivamente per via indiretta altri effettori/mediatori (Mendelsohn and Karas, 1999).

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b) “Trigger” recettore-indipendenti

Gli agenti recettori-indipendenti intervengono nel processo di IPC senza interagire con particolari recettori. Tra questi un esempio è l’ossido d’azoto (NO), un fattore endogeno capace di offrire cardioprotezione, che si ritiene abbia un ruolo maggiore durante la fase ritardata dell’IPC; un’inibizione dell’enzima NO-sintetasi (NOS) provoca una riduzione di tale fenomeno nei ratti (Lochner et al., 2000). Al contrario, la somministrazione di farmaci donatori di NO (NO-donors), influisce in modo significativo, sulla riduzione del danno miocardico post-ischemico in differenti specie animali. Al momento il ruolo dell’NO nella fase tardiva dell’IPC è noto, mentre il suo coinvolgimento nella prima fase non è ancora stato chiarito.

Un’altra molecola gassosa, fin’ora nota solo come agente tossico, il solfuro di idrogeno (H2S), sta emergendo quale modulatore endogeno condividendo con l’NO quasi tutti i sui effetti benefici sul sistema cardiovascolare, senza però costituire una fonte di metaboliti tossici. L’IPC comporta sostanzialmente una riduzione dell’accumulo di cataboliti come il lattato (Murry et al.,1990), quindi una diminuzione dell’acidosi intracellulare, della glicolisi anaerobica, inoltre si ha un cambiamento della concentrazione di H+/Na+, una down-regulation del

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TNF-α e l’attivazione dei canali al potassio ATP sensibili mitocondriali (mito-KATP) (Belosjorow et al., 1999).

1.1.2 Postcondizionamento (POC)

La fase di riperfusione, provoca un danno che non risulta evidente alla fine della fase ischemica e che si manifesta attraverso disfunzione endoteliale, microvascolare e metabolica, necrosi cellulare ed apoptosi. Tale danno può essere attenuato mediante il fenomeno del postcondizionamento: rapide e intermittenti interruzioni di flusso nella prima fase della riperfusione. Questo meccanismo di protezione coinvolge ligandi come adenosina e oppioidi, che sono necessari per innescare i processi mediati dalla protein chinasi C e dai canali mito-KATP. Inoltre, è in grado di inibire le vie della proteina p38 e della MAP chinasi ed attenuare il danno alle cellule endoteliali ed ai miocardiociti da parte di agenti ossidanti, proteasi e cellule infiammatorie; l’effetto inibitorio si manifesta anche sul “membrane permeability transition pore” (MPTP). Infatti uno stimolo di tipo postcondizionante provoca l’apertura dei canali KATP, specie quelli mitocondriali, evento che, riducendo il sovraccarico di Ca2+ all’interno del mitocondrio, impedisce l’apertura permanente del MPTP indotta

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dagli ioni Ca2+ stessi fornendo protezione contro il danno da riperfusione.

Studi clinici, effettuati su pazienti con infarto acuto del miocardio, hanno mostrato che il postcondizionamento, come l’IPC, produce una significativa riduzione dell’entità dell’infarto (Vinten-Johansen et al., 2005; Zhao and Vinten-Johansen, 2006).

Teoricamente, può avere maggiori applicazioni cliniche rispetto all’IPC, in quanto, la terapia non deve essere somministrata prima dell’evento ischemico, ma al momento della riperfusione (Vinten- Johansen et al., 2005).

I cicli di ischemia-riperfusione vengono misurati in secondi e sono più brevi nelle specie più piccole (10-15 sec in ratti e topi) e più lunghi nelle specie più grandi (30 sec in cani e conigli), mentre negli uomini sono di 60 sec (Staat et al., 2005).

I primi studi, mirati a mostrare gli effetti cardioprotettivi del postcondizionamento, vennero effettuati sul modello di cane, applicando 1 h di occlusione coronarica e 30 minuti di riperfusione; nella prima fase di riperfusione si alternavano tre cicli di 30 sec di riperfusione e 30 sec di occlusione (Zhao et al., 2003).

Kin et al (2004), dimostrarono che il periodo in cui viene effettuato il postcondizionamento, risulta essere un fattore critico per ottenere una

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efficace cardioprotezione. I cicli riperfusione-ischemia, infatti, devono essere applicati necessariamente all’inizio della fase di riperfusione, se effettuati anche solo 1 min dopo, l’effetto protettivo si annulla.

Allo scopo di determinare se la protezione indotta dal postcondizionamento poteva incrementare quella indotta dall’IPC, sono stati combinati i due protocolli in un modello di infarto acuto sul cane; secondo alcuni autori l’effetto protettivo derivante dalla combinazione non era additivo, mentre altri hanno dimostrato il contrario utilizzando un modello in vivo di coniglio, in cui 45 min di ischemia erano seguiti da 3 h di riperfusione (Halkos et al., 2004; Yang et al., 2004).

Non è ancora certo se l’effetto cardioprotettivo persista per lunghi periodi o se semplicemente provochi un ritardo del danno cardiaco; alcuni autori sostengono che il postcondizionamento riesca ad attenuare il danno nella prima fase di riperfusione, e non nelle successive 6-24 ore, altri invece affermano che si ottenga un risultato a partire da 24-72 ore dall’insulto ischemico. L’azione cardioprotettrice attribuita al postcondizionamento sembra, quindi, rappresentare una riduzione del danno a lungo termine, piuttosto che il ritardo del danno (Arguad et al., 2005). Il meccanismo di ischemia riperfusione provoca un danno a livello dell’endotelio vascolare

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coronarico, espresso come riduzione della risposta vasodilatatoria mediata dall’ossido nitrico sintetasi, tendenza dei neutrofili ad aderire all’endotelio in seguito alla diminuzione della produzione di NO e un’aumentata produzione di anione superossido.

Il postcondizionamento riduce, quindi, l’espressione della P-selettina, l’adesione dei neutrofili all’endotelio e il loro accumulo nell’area a rischio, attenuando così, l’attivazione e la disfunzione endoteliale (Zhao et al., 2003).

Durante il periodo di riperfusione, oltre al processo necrotico, si innesca anche il meccanismo di apoptosi, ovvero morte cellulare programmata; pochi studi sono stati mirati a valutare gli effetti del postcondizionamento in questo contesto, Zhao et al (2005), hanno riportato che il postcondizionamento, applicato in seguito ad un prolungato periodo di ipossia, è capace di ridurre l’apoptosi. Questo meccanismo sembra dovuto all’inibizione delle caspasi 3 e 9 e al mantenimento dell’equilibrio tra Bcl 2e Bax, necessario a favorire una condizione antiapoptotica (Zhao et al., 2005).

Il fenomeno del postcondizionamento rappresenta, quindi, un’efficiente procedura cardioprotettiva per il trattamento del danno da riperfusione in pazienti affetti da patologie cardiache, in particolare, nei pazienti in cui la patologia dell’arteria coronaria è

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aggravata da fattori di rischio come ipertensione, ipercolesterolemia, diabete ed obesità (Staat et al., 2005).

Sia l’IPC che il postcondizionamento, vedono coinvolte nei loro meccanismi, simili vie e molecole endogene, sebbene queste svolgano ruoli differenti. Le specie reattive dell’ossigeno (ROS) possono agire da innesco per ottenere una cardioprotezione durante la prima fase del postcondizionamento, meccanismo mediato dai canali KATP e dalle protein chinasi (Penna et al., 2006).

Nonostante questo, apportano un notevole contributo al danno da riperfusione; Zhao et al (2003), hanno osservato, infatti, un’elevata generazione di radicale superossido nel cuore post-ischemico dopo 3 h di riperfusione, ma non è ancora chiaro se il postcondizionamento attenui specificamente la produzione di ROS. Questa è associata ad elevati livelli plasmatici di malondialdeide, un marker della perossidazione lipidica. Il postcondizionamento, quindi, riduce significativamente la produzione, in vivo, di anione superossido in un cuore postischemico dopo 1 e 3 h di riperfusione, ciò è correlato ad una riduzione dei prodotti di perossidazione lipidica a livello plasmatico (Zhao et al., 2003).

In vitro, invece, la riduzione di ROS con il postcondizionamento è

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della necrosi cellulare), ma può essere anche il risultato di un incremento delle difese endogene anti-ossidanti del miocardio, ad esempio mantenendo i livelli di glutatione ridotto (Serviddio et al., 2005).

Tuttavia, attualmente non è ancora certo se la riduzione delle ROS rappresenti un meccanismo attivo del postcondizionamento o una risposta al ridotto danno tissutale. In opposizione agli effetti citotossici delle ROS, queste sono state associate anche ad un’azione cardioprotettiva durante l’IPC (Zhao and Vinten-Johansen, 2006). Zhao et al (2006), suggeriscono che uno dei meccanismi tramite cui il postcondizionamento riduce il danno da riperfusione, sia l’inibizione della risposta infiammatoria alla riperfusione, anche se è stata dimostrata la presenza di una componente protettiva indipendente dal processo infiammatorio; tuttavia le citochine pro-infiammatorie, il TNF-α e l’ interleuchina-6 vengono ridotte dal fenomeno di postcondizionamento.

Anche il fattore tissutale partecipa al danno miocardico, tramite l’attivazione dell’endotelio vascolare, indotta dalla trombina, la quale stimola l’espressione vascolare della P-selettina e contribuisce direttamente alla morte cellulare, tramite meccanismi associati al sovraccarico di Ca2+. In cuori postcondizionati è stata osservata una

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riduzione dell’espressione del fattore tissutale, ma anche dell’attività della trombina; quindi la down-regulation di entrambi i fattori, associata all’inibizione della risposta infiammatoria locale causata dalle fasi di ischemia-riperfusione, può essere identificata come un meccanismo di cardioprotezione da postcondizionamento (Zhao and Vinten-Johansen, 2006).

Un altro trigger coinvolto nel postcondizionamento, è l’adenosina, infatti l’attivazione dei recettori adenosinici svolge un ruolo importante nella cardioprotezione. Questo è stato dimostrato utilizzando antagonisti non selettivi di tali recettori e selettivi per gli A2A e A3, somministrati prima del postcondizionamento, provocando così l’annullamento dell’effetto cardioprotettivo (Zhao et al., 1996). L’adenosina è implicata anche nella cardioprotezione esercitata dal postcondizionamento “remoto”, in cui la riperfusione successiva all’ischemia miocardica è preceduta da 5 min di occlusione di una delle arterie renali. La riperfusione renale viene avviata 1 min prima dell’inizio della riperfusione dell’arteria coronaria, tale procedura consente di ottenere una significativa riduzione della misura dell’infarto; tuttavia, sia un’occlusione permanente dell’arteria renale che un ritardo di 1 min nell’effettuare l’occlusione-riperfusione, non sono efficaci (Kerendi et al., 2005).

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Tra i fattori di innesco del postcondizonamento, anche gli oppioidi occupano un posto di rilievo; l’inibizione di tali recettori da parte di antagonisti non selettivi, ad es. il naloxone, somministrato 5 min prima della riperfusione (in presenza o meno del postcondizionamento), annulla l’effetto protettivo osservato in modelli in vivo di ratto; questo è stato rilevato anche provocando un’inibizione selettiva dei sottotipi recettoriali k e δ. Tuttavia, non è ancora chiaro se il postcondizionamento incrementi il rilascio di oppioidi endogeni o migliori le caratteristiche di legame di tali recettori (Kin et al., 2005). Un altro mediatore, a cui viene attribuito un effetto cardioprotettivo sia nell’IPC sia nel postcondizionamento, è l’NO che, come le ROS, svolge un duplice ruolo durante le fasi di ischemia-riperfusione. Infatti, il danno endoteliale osservato subito dopo l’inizio della riperfusione, può essere in parte correlato ad un aumento della produzione endogena di NO (Lefer et al., 1992).

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1.1.3 Poro di transizione di permeabilità mitocondriale

(MPTP)

Quando il metabolismo energetico cellulare risulta compromesso, come avviene durante un’ischemia, i livelli di Ca2+

intracellulare aumentano (ciò è dovuto all’entrata di Ca2+

extracellulare); questo incremento nel citosol, è compensato dalla ricaptazione dello ione nel mitocondrio (Zhang et al., 2006).

L’MPTP si attiva in risposta a stress ossidativi o incrementi di Ca2+ , riducendone così la concentrazione e favorendone il rilascio dalla matrice durante il periodo di riperfusione; durante la fase ischemica invece il poro non è aperto (Halestrap et al., 2004).

In condizioni fisiologiche, la membrana mitocondriale interna risulta impermeabile alla maggior parte dei metaboliti e degli ioni, e l’MPTP assume una conformazione chiusa. Il meccanismo di apertura del poro, oltre ad essere Ca2+-dipendente, è anche pH-dipendente, in condizioni di ipossia, infatti, la concentrazione di acido lattico aumenta riducendo il pH, questa marcata concentrazione di protoni nella cellula attiva lo scambiatore Na+/H+, che provvede alla fuoriuscita di H+ e l’entrata di Na+. La pompa Na+/K+-ATPasi è disattivata per mancanza di ATP, il Na+ non può essere estruso dal citosol, quindi si attiva lo scambiatore Ca2+/Na+ che spinge Na+

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all’esterno, con conseguente entrata di Ca2+

nel compartimento intracellulare (Crompton, 1999; Kroemer et al., 1998).

L’apertura dell’MPTP provoca, indirettamente, il rilascio nel citosol di proteine pro-apoptotiche, incluso il citocromo C, che conducono in apoptosi la cellula. Per questo motivo, l’attivazione di tale poro rappresenta un importante fattore responsabile del danno da riperfusione, a livello dei miocardiociti. La struttura di questo poro è composta dall’associazione di varie subunità: adenina nucleotide translocasi (ANT), un canale anionico voltaggio-dipendente (VDAC) ed altre proteine come esochinasi, creatinchinasi e il recettore periferico per le benzodiazepine (BPR) (vedi Figura 4). La ANT funziona da antiporto ADP-ATP a livello della membrana interna mitocondriale, infatti ha il ruolo di importare ADP nel mitocondrio e esportare ATP nel citosol. Inoltre, si alterna tra due conformazioni, in cui il complesso ADP-ATP può essere legato dal lato della matrice o dal lato del citosol e solo quest’ultima permette l’attivazione dell’MPTP (Le Quoc and Le Quoc, 1988).

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Fig.4 Struttura molecolare e localizzazione dell’MPTP.

Il VDAC è una struttura proteica presente sulla membrana esterna mitocondriale e permette il passaggio di soluti a basso peso molecolare. Crompton et al (2002), hanno dimostrato che anche la ciclofillina D (Cyp-D) fa parte dell’MPTP ed è fondamentale per la sua attivazione. Questa, infatti, viene attivata da elevati livelli di Ca2+ nella matrice mitocondriale e da stress ossidativi ed è capace di modulare i cambiamenti conformazionali dell’ANT, che dalla funzione di trasportatore di ADP, acquista le caratteristiche dell’MPTP (Crompton et al., 2002).

È stato anche dimostrato che il pH della matrice e il potenziale di membrana mitocondriale possono modulare l’MPTP indipendentemente dalla concentrazione di Ca2+; infatti questo risulta

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essere un canale voltaggio-dipendente, la cui apertura si verifica anche quando la Cyp D è inibita e non si può legare al Ca2+ (Bernardi, 1992). L’apertura dell’MPTP, come già accennato, è coinvolta indirettamente nel rilascio del citocromo C, fattore mitocondriale capace di indurre condensazione e frammentazione a livello nucleare, per questo l’attivazione del poro è associato ad apoptosi cellulare. Lo squilibrio osmotico che si verifica, provoca un rigonfiamento della membrana interna mitocondriale con conseguente rottura della membrana esterna ed uscita di altre proteine pro-apoptotiche nel citosol (Petit et al., 1998).

Altri autori hanno dimostrato, invece, che tale rilascio si può verificare indipendentemente dall’apertura dell’MPTP e dalla rottura della membrana mitocondriale, quindi l’attivazione dell’MPTP non sembrerebbe essere l’unico meccanismo di regolazione di proteine apoptotiche, tra cui il citocromo C (Gogvadze et al., 2004).

Un ruolo importante è, inoltre, svolto dalla famiglia di proteine Bcl-2, che regolano l’integrità della membrana esterna mitocondriale, al contrario dell’MPTP che agisce su quella interna. La proteina anti-apoptotica Bcl-2, blocca il rilascio mitocondriale del citocromo C, mentre altre proteine pro-apoptotiche, come la Bax e la Bak, sembrano formare il canale, sulla membrana esterna, attraversato dal citocromo

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C per giungere al citosol e attivare il processo apoptotico (Korsmeyer et al., 2000).

Un’altra questione riguarda la ciclosporina A che è in grado di bloccare il rilascio del citocromo C; ciò non avviene tramite la via dell’MPTP, ma attraverso il rimodellamento delle creste mitocondriali. Armstrong ed i suoi colleghi ritengono che l’MPTP, pur essendo un elemento regolatore del processo apoptotico, possa cooperare con la famiglia delle proteine pro-apoptotiche Bcl-2 per regolare i processi di morte cellulare, infatti hanno osservato che, inizialmente, il citocromo C è dissociato dalle interazioni elettrostatiche e idrofobiche con la cardiolipina e altri componenti della catena di trasporto di elettroni; e dopo aver raggiunto lo spazio transmembranale, effettua il passaggio attraverso la membrana esterna tramite il canale Bax o Bak per giungere al citosol (Armstrong, 2006).

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1.1.3.a Ruolo dell’MPTP nel postcondizionamento e nell’ IPC

Un recente studio di Arguad, effettuato su conigli anestetizzati sottoposti a 30 min di ischemia e 4 o 72 ore di riperfusione ha permesso di osservare la stretta relazione tra MPTP e IPC o postcondizionamento. È stato osservato che sia l’IPC, realizzato mediante l’applicazione di un periodo di occlusione (5 min) e uno di riperfusione (5 min), sia il postcondizionamento, realizzato effettuando quattro cicli di 1 min di occlusione e 1 min di riperfusione, iniziando 1 min dopo la riperfusione, limitano la misura dell’infarto in maniera simile all’inibitore specifico dell’MPTP, NIM811 somministrato al momento della riperfusione. I mitocondri, isolati dalle rispettive aree a rischio, sono stati esposti a somministrazioni ripetute di CaCl2 per quantificare la concentrazione necessaria ad aprire l’MPTP e differenziare così i mitocondri trattati dai controlli. Arguad et al (2005), hanno osservato che l’inibizione dell’apertura dell’MPTP con il postcondizionamento era molto simile a quella osservata con l’IPC e a quella successiva al trattamento con NIM811 all’inizio della riperfusione; infatti, sia i mitocondri dei cuori precondizionati, che quelli postcondizionati, che pretrattati con ciclosporina A, mostravano un aumento di resistenza al sovraccarico di Ca2+.

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Le caratteristiche morfologiche mitocondriali, nei cuori pre- e postcondizionati, sono risultate, quindi, maggiormente preservate rispetto ai controlli che, al contrario, presentavano danni a carico delle creste e rottura delle membrane, legati all’apertura dell’MPTP (Arguad et al., 2005).

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1.2 Canali al potassio ATP sensibili (K

ATP

)

I canali al potassio ATP sensibili (KATP) sono stati descritti per la prima volta da Noma 1983 nei miociti ventricolari di cavia (Noma, 1983), e solo in seguito, identificati in vari tipi di tessuti, come le cellule ß pancreatiche,le cellule muscolari lisce vascolari, i neuroni, cellule epiteliali) (Noma, 1983; Mironova et al., 1997). Inoltre, sono espressi in modo evidente sia sulla membrana sarcolemmatica cellulare (sarc-KATP) sia sulla membrana interna mitocondriale (mito-KATP) e svolgono varie funzioni fisiologiche, ad esempio intervengono nella regolazione della secrezione di glucosio e insulina, nel rilascio di neurotrasmettitori e nel controllo del tono vascolare.

Il canale KATP è un complesso etero-ottamerico costituito da due subunità:

 una subunità Kir6.x (Kir6.1 o Kir6.2 ) che costituisce il poro del canale

 una subunità SUR che costituisce il sito recettoriale delle sulfaniluree (Susumu and Takashi, 2003).

La subunità Kir 6.x è costituita da due segmenti transmembranali, M1 e M2, connessi da una regione intracellulare selettiva per il K+, dove è presente un residuo amminoacidico comune a tutte le subunità Kir 6.x (Gly-Phe-Gly). La subunità SUR, appartiene alla superfamiglia ABC

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(ATP-binding cassette), ed è formata da tre domini transmembranali: TMD0, costituito da cinque segmenti, e TMD1 e TMD2, costituiti da 6 segmenti (Conti et al., 2001). Tra le porzioni carbossiterminali dei domini TMD1 e TMD2 sono presenti due grandi loops intracellulari, detti NBF-1 e NBF-2 (Aguilar and Bryan, 1999) (vedi Figura 5).

La subunità SUR esiste in differenti isoforme: SUR1 maggiormente localizzata a livello pancreatico, SUR2A presente soprattutto nelle cellule cardiache e SUR2B nei vasi (Yamada et al., 1997).

a

b c

Fig.5 a Rappresentazione schematica della struttura del canale KATP, b struttura

ottamerica formata da 4 subunità Kir 6.x e 4 subunità SUR, c immagine del modello molecolare del canale KATP nella membrana plasmatica.

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Differenti combinazioni delle subunità Kir6.x e SUR portano all’espressione di varie isoforme di canali KATP localizzati in tessuti differenti e dotati di diverse caratteristiche fisiologiche e farmacologiche (Gribble et al., 1997) (Tab. 1). I canali KATP sono inibiti dall’elevata concentrazione intracellulare di ATP e attivati dall’MgADP (Noma, 1983).

Tab.1 Isoforme dei canali KATP.

I canali KATP nel tessuto cardiaco svolgono varie ed importanti funzioni specialmente nello stress metabolico causato dall’ischemia e dall’ipossia (Fujita and Kurachi, 2000), infatti la loro attivazione

Subunità Kir Subunità SUR

Pancreas Kir 6.2 SUR 1

Neuroni Kir 6.2 SUR 1

Muscolo cardiaco Kir 6.2 SUR 2A

Muscolo scheletrico Kir 6.2 SUR 2A

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comporta un aumento della resistenza cardiaca al danno ischemico. Durante l’ischemia si ha un decremento nella concentrazione di ATP che causa l’attivazione dei canali KATP miocardici. L’incremento dell’efflusso di ioni K+

causa l’accorciamento della durata del potenziale d’azione e l’inibizione dell’ingresso di ioni Ca2+all’interno della cellula. Si previene così il sovraccarico di Ca2+e si riequilibria il bilancio tra la richiesta e l’apporto di energia alla cellula (Noma, 1983).

Nel sistema vascolare, i canali KATP regolano il tono muscolare dei vasi e quindi anche la pressione sanguigna. L’attivazione di questi canali, fisiologica o indotta da farmaci, porta all’iperpolarizzazione della membrana plasmatica che causa rilasciamento muscolare, forse dovuto all’inibizione dei canali al Ca2+

voltaggio-dipendenti.

Nei vasi coronarici, durante l’ischemia, i canali KATP sembrano essere coinvolti nel processo di vasodilatazione e rilasciamento dei muscoli vasali. Infatti la glibenclamide, farmaco bloccante non selettivo dei canali KATP, inibisce questo processo di vasodilatazione (Daut et al., 1990); al contrario, la somministrazione di farmaci attivatori, come cromakalim e pinacidil, induce l’abbassamento della pressione arteriosa e il rilasciamento della cellula muscolare liscia dei vasi (Weston et al., 1992).

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1.2.1 Regolazione dei canali al potassio KATP sensibili

Nelle cellule miocardiche, l’apertura del canale KATP risulta sensibile alle differenti condizioni metaboliche: viene inibito, infatti, da un’elevata concentrazione di ATP intracellulare e attivato da nucleosidi difosfato intracellulari. L’inibizione del canale non richiede fosforilazione né idrolisi di ATP e può essere scatenata anche da analoghi dell’ATP non idrolizzabili, essendo indotta dal semplice legame dell’ATP al canale. L’ATP può esplicare la sua azione sia sottoforma di acido libero (ATP4-) sia complessata con lo ione Mg2+ (MgATP); questi effetti inibitori da parte dei nucleotidi coinvolgono probabilmente l’interazione con la subunità Kir6.2. Numerosi studi affermano che i canali KATP possono essere modulati anche dal pH, da uno stato SH-redox, dall’NO, dall’adenosina, dall’acetilcolina etc (Mannhold, 2004).

In condizioni fisiologiche, i canali KATP si trovano, preferenzialmente, in uno stato chiuso o inattivato, mentre durante un’ischemia miocardica, o più generalmente in condizioni di stress metabolico cellulare, la loro apertura è incrementata da una diminuzione di ATP e da un accumulo di metaboliti ischemici.

Questo canale, quindi, agisce sia da sensore che da modulatore del metabolismo energetico cellulare e svolge un ruolo fondamentale per

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quanto riguarda la protezione del cuore da un insulto ischemico (O’Rourke et al., 1994; Fujita and Kurachi, 2000).

L’apertura dei sarc-KATP, indotta da uno stato di ipossia, ischemia, o da attivatori farmacologici, accelera la ripolarizzazione della membrana del miocardiocita dopo la depolarizzazione, causando un accorciamento della durata del potenziale di azione (APD) e prevenendo lo scambio Na+/H+, con una conseguente inibizione dell’entrata di Ca2+

nella cellula (vedi Figura 6).

Fig.6 Meccanismi coinvolti nell’apertura dei canali sarc-KATP e mito-KATP.

Tutto ciò previene l’accumulo di Ca2+

intracellulare, dannoso per la cellula, e consente di riequilibrare il bilancio tra apporto e richiesta di

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energia (Noma, 1983).

Molte ricerche sperimentali hanno ipotizzato che l’IPC possa essere attribuito, esclusivamente o in gran parte, all’attivazione dei canali KATP mitocondriali e che possa essere escluso, quindi, il ruolo dei canali sarc-KATP (Mubagwa and Flameng, 2001; Sato et al., 2000). I mitocondri sono organuli responsabili della sintesi di ATP all’interno della cellula; in casi di crisi energetica questa funzione viene incrementata e l’apertura dei mito-KATP ripristina parzialmente il potenziale di membrana, permette un’ulteriore estrusione di H+

e inibisce, inoltre, l’aumento della concentrazione intra-mitocondriale di Ca2+, creando così, un gradiente elettrochimico più favorevole per la sintesi di ATP (Szewczyk, 1996; Xu et al., 2001).

Una riduzione di Ca2+ a livello mitocondriale o la prevenzione del sovraccarico di tale ione, sono state osservate dopo l’utilizzo di diazossido, un attivatore dei canali KATP (Holmuhamedov et al., 1998; Holmuhamedov et al., 1999).

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1.2.2 I canali sarc-K

ATP

nell’ IPC

Gross e Auchampach nel 1992, hanno osservato che l’aprikalim, farmaco agonista dei canali sarc-KATP , è in grado di mimare gli effetti dell’IPC in cani anestetizzati con barbiturico, producendo una significativa riduzione dell’entità dell’infarto; tale effetto è stato abolito da farmaci bloccanti di canali KATP , come la glibenclamide, (Gross and Auchampach, 1992). Questo risultato è stato confermato anche da altri studi che hanno inoltre determinato che la glibenclamide previene la ripresa della funzione ventricolare durante il periodo di riperfusione, mentre il pre-trattamento con pinacidil (attivatore KATP) provoca un decremento dell’ADP e conseguentemente, una più efficace ripresa cardiaca (Schulz et al., 1994; Cole et al., 1991).

Il coinvolgimento dei canali sarc-KATP nell’IPC è stato ipotizzato grazie all’azione di un bloccante di questi canali, HMR 1883, una sulfaniltiourea, capace di ritardare la caduta del potenziale d’azione e di ridurre l’effetto protettivo del diazossido (Rodrigo et al., 2004). In miociti di ventricolo di coniglio, l’attivazione della PKC e l’influenza dell’adenosina incrementano il flusso di ioni attraverso i canali KATP durante l’inibizione metabolica; questo effetto viene abolito da antagonisti selettivi dell’adenosina. È stato osservato, inoltre, che un episodio ischemico transitorio provoca un aumento dei

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livelli di adenosina, seguito dall’attivazione dei recettori A1 e A3; per questo si pensa che l’apertura dei canali sarc-KATP sia dovuta ad un sinergismo tra l’attivazione dei recettori adenosinici e la fosforilazione della PKC (Liu et al., 1996).

Inoltre, anche l’ NO ha mostrato la capacità di attivare i canali sarc-KATP sia in condizioni di normale ossigenazione sia in condizioni di ipossia (Baker et al., 2001). Numerosi studi hanno dimostrato che il rilascio di NO endogeno non è implicato nelle prime fasi dell’IPC, che inaspettatamente, vengono innescate somministrando NO esogeno (Rakhit et al., 1999).

Esiste un legame tra i due tipi di canali KATP, è probabile, infatti, che l’iperpolarizzazione dovuta all’attivazione dei sarc-KATP possa condurre anche all’attivazione dei mito-KATP; in tali condizioni, l’iperpolarizzazione di membrana comporta l’attivazione della fosfolipasi D che, a sua volta, causa l’attivazione e la traslocazione della PKC, responsabile dell’apertura di entrambi i tipi di canale (Waring et al., 1999).

Altre teorie suggeriscono che l’attivazione dei sarc-KATP sia in grado di provocare l’apertura dei mito-KATP e/o viceversa; questa teoria è stata dimostrata, somministrando 5-HD (bloccante selettivo dei canali mito-KATP) o HMR 1098, una sulfanilurea, (bloccante selettivo dei canali

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sarc-KATP). Questi agenti bloccanti solo se somministrati in associazione abolivano completamente l’effetto protettivo innescato dalla ipossia cronica (Kong et al., 2001).

Inoltre, recenti studi, riportano che l’IPC sia solo parzialmente antagonizzato dal 5-HD, ma abolito totalmente dall’antagonista non selettivo glibenclamide (Sanada et al., 2001).

1.2.3 I canali mito-K

ATP

nell’IPC

Il ruolo protettivo di questi canali è stato ipotizzato, per la prima volta, nel 1980, quando si è visto che il nicorandil era in grado di esercitare una protezione contro il danno ischemico, tuttavia, ancora oggi il suo meccanismo non è stato del tutto compreso. Successivamente, questa ipotesi è stata confermata grazie alla somministrazione di un apritore non selettivo dei KATP, il bimakalim. Questo farmaco esercita un effetto cardioprotettivo sia a bassi dosaggi, con i quali non si otteneva un accorciamento dell’APD, sia a dosaggi più elevati che ne causavano una riduzione; tali risultati suggerivano la presenza di un sito intracellulare responsabile dell’azione cardioprotettiva, indipendentemente dalla riduzione dell’APD mediata dall’apertura dei sarc-KATP (Yao and Gross, 1994).

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Risultati simili sono stati ottenuti anche con altri attivatori KATP non selettivi, come il cromakalim (Grover et al., 1995; Grover et al., 1995a).

In seguito alla scoperta dell’esistenza di un altro tipo di canale, definito mito-KATP, le ricerche sono state focalizzate su di esso, considerato basilare nell’IPC. Comunque. la prima evidenza a favore del ruolo di questi canali, nella protezione a livello cardiaco, fu provata dall’osservazione che, nei mitocondri di cuore bovino, il diazossido induceva l’apertura di tali canali ad una concentrazione più bassa di quella necessaria ad attivare i sarc-KATP. Diazossido e cromakalim, somministrati ad una concentrazione non sufficiente ad aprire i canali sarcolemmatici, offrivano un effetto cardioprotettivo anche in cuori isolati di ratto. Gli effetti di entrambi i farmaci venivano annullati, non solo dalla glibenclamide, ma anche dal 5-HD, dimostrando così il maggior coinvolgimento di questi canali (Garlid et al., 1997) (vedi Figura 7).

Recentemente, interessanti risultati sono stati ottenuti con un nuovo agente farmacologico, MCC-134, capace di aprire i sarc-KATP e bloccare i mito-KATP, che inoltre riesce ad inattivare l’ossidazione delle flavoproteine indotta dal diazossido, sia in miociti ventricolari, sia in cuori interi (Sasaki et al., 2003).

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Un altro agonista dei canali KATP, il nicorandil, mostrava la capacità di aprire i mito-KATP, in modo 10 volte più potente rispetto ai sarc-KATP; inoltre il 5-HD era in grado di antagonizzare i suoi effetti, al contrario di HMR 1098 (Liu et al., 1998).

L’attivazione e la traslocazione di specifiche isoforme di PKC, sembrano essere fondamentali nell’apertura dei canali KATP mitocondriali. Infatti, la protezione indotta dalla loro apertura può essere abolita tramite antagonisti della PKC e la protezione mediata dall’attivazione di quest’ultima può essere inibita con bloccanti dei mito-KATP, perciò queste due componenti risultano entrambe necessarie e co-dipendenti nella cardioprotezione (Gaudette et al., 2000).

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Successivi studi hanno rivelato che l’attivazione della PKC precede quella dei canali mito-KATP, grazie al fatto che sia la glibenclamide che il 5-HD attenuavano il fenomeno di precondizionamento PKC mediato. Inoltre, si è visto che il pretrattamento con diazossido porta a una riduzione dell’entità dell’infarto senza accelerare la traslocazione della PKC e che il 5-HD abolisce l’effetto protettivo legato all’IPC senza bloccare la traslocazione della proteina (Ohnuma et al., 2002; Nozawa et al., 2003).

Contrariamente a tutto ciò, un recente studio ha mostrato che l’attivazione dell’isoforma ε della PKC sia successiva a quella dei mito-KATP, in quanto, gli effetti protettivi dell’IPC e del trattamento con diazossido, vengono aboliti con inibitori specifici della PKC (Liu et al., 2002).

L’apertura dei mito-KATP è influenzata positivamente anche dall’NO, infatti il diazossido è in grado di indurre sia un IPC precoce che ritardato, tramite una via NO-dipendente (Ockaili et al., 1999; Sarre et al., 2005).

Risultati controversi sono stati ottenuti anche riguardo le ROS; da un lato, viene affermato che la loro produzione sembra essere essenziale per la cardioprotezione, in quanto, attivando le chinasi, aumentano la probabilità di apertura dei mito-KATP; dall’altro lato, il rilascio di ROS

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sembra favorire l’apertura dell’MPTP durante il periodo di riperfusione (Vanden et al., 1998).

Sebbene una prolungata apertura di tale poro, nella fase di riperfusione, sia considerata una delle principali cause di morte cellulare, il rilascio di ROS e un’apertura transitoria dell’MPTP, durante la fase di innesco dell’IPC, sono stati indicati come fattori responsabili della cardioprotezione. In questo modo, si eviterebbe il precarico di Ca2+, prevenendo così un’apertura prolungata, Ca2+

- indotta, dell’MPTP (Hausenloy et al., 2004); altri autori suggeriscono che la generazione di ROS sia seguita da una risposta inibitoria in grado di ridurne la produzione stessa (Juhaszova et al., 2004).

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1.2.3.a Meccanismo di protezione dei canali mito-KATP

Il flusso di ioni K+, attraverso la membrana mitocondriale, è regolato dal potenziale di membrana e la loro fuoriuscita è compensata dall’antiporto K+

/H+, che rimuove K+ in base al gradiente protonico (vedi Figura 8). L’entrata di K+ all’interno del mitocondrio presenta due differenti effetti, riscontrabili sul muscolo cardiaco e dipendenti dallo stato bioenergetico. In condizioni fisiologiche, la quantità di K+ in entrata è minima e anche gli effetti sul potenziale di membrana mitocondriale sono marginali, ma l’influsso di tale ione provoca un modesto aumento volumetrico della matrice. Un’altra funzione fisiologica riguardo l’apertura dei mito-KATP, è la regolazione della ricaptazione di Ca2+(Garlid et al., 2003).

L’apertura dei canali mito-KATP provoca un’alcalinizzazione della matrice e un aumento della produzione mitocondriale di ROS, le quali attivano le chinasi che, a loro volta, provocano l’attivazione prolungata di questo tipo di canali (Garlid et al., 2003). In condizioni di ischemia, è stato osservato invece, che la loro apertura provvede a mantenere l’omeostasi del volume della matrice e quindi anche la giusta distanza tra le due membrane mitocondriali che regolano la permeabilità ai nucleotidi (ADP e ATP).

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Fig.8 Meccanismo di apertura dei canali mito-KATP e attivazione dell’MPTP.

In condizioni normali, la permeabilità di membrana ad essi è bassa, in quanto, i trasferimenti di energia tra mitocondrio e citosol sono mediati dalla creatina e dalla creatina-fosfato, mentre, in condizioni di ipossia, la conduttanza della membrana esterna aumenta, con successiva contrazione della matrice ed espansione dello spazio transmembranale. Questi cambiamenti causano la dissociazione della creatin chinasi dal canale ed un aumento della permeabilità della membrana esterna (Rostovtseva and Colombini, 1997; Schlattner et al., 2001).

L’apertura dei mito-KATP induce, quindi, un aumento del flusso di K +

, accompagnato dalla diffusione di acqua e captazione di anioni (principalmente fosfati e cloruri) con un risultante rigonfiamento della

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matrice. Questo effetto aiuta a mantenere bassa la permeabilità della membrana esterna ai nucleotidi, riduce l’idrolisi di ATP, creando, così, un gradiente favorevole per la sua sintesi ed inducendo un efficace trasferimento di energia tra il mitocondrio e l’ATPasi cellulare in modo da ottenere un miglior recupero funzionale (Garlid, 2000).

L’apertura dei mito-KATP, inoltre, inibisce l’incremento di concentrazione intramitocondriale di Ca2+, in quanto il potenziale di membrana mitocondriale diminuisce, riducendo anche il gradiente elettrochimico di tale ione (Holmuhamedov et al., 1998; Holmuhamedov et al., 1999).

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1.3 Molecole attive sui canali K

ATP

Molti agenti endogeni ed esogeni sono interessati nel processo di IPC. Come discusso in precedenza, il legame di questi agenti con i loro recettori innesca una successiva cascata proteolitica che porta all’attivazione di varie proteine, tra cui i canali del potassio ATP sensibili mitocondriali e sarcolemmatici (mito-KATP e sarc-KATP). L’approccio più razionale per indagare i ruoli e le funzioni a livello cardiaco dei due sottotipi dei canali KATP è quello di utilizzare attivatori e bloccanti il più possibile selettivi. A questo proposito va ricordato che alcuni tra i primi attivatori dei canali KATP impiegati, come il cromakalim, il nicorandil, il pinacidil (vedi Figura 9), pur determinando un notevole grado di protezione, vedono limitato il loro utilizzo clinico dal fatto che inducono una marcata ipotensione dovuta ad una vasodilatazione periferica. Tuttavia, da quando numerose ricerche hanno dimostrato che le proprietà cardioprotettive e la capacità vasodilatatoria sono fenomeni indipendenti, gli studi si sono indirizzati verso la sintesi di molecole con specifici profili di selettività ed in particolare sulla sintesi di derivati privi dell’attività sarc-KATP (Mannhold, 2004).

Inoltre, anche il solfuro di idrogeno (H2S), che sta emergendo quale modulatore gassoso endogeno, in grado di esplicare tutti gli effetti

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benefici tipici dell’NO sul sistema cardiovascolare, senza però costituire una fonte di metaboliti tossici, esercita la sua azione in modo complesso interagendo con diversi canali ionici ed in particolare i canali KATP. (Martelli et al., 2010).

Cromakalim Pinacidil O OH N NC O N N HN NH CN t-Bu Nicorandil NH O N ONO2

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1.3.1 Agonisti ed antagonisti dei canali mito-KATP

Gli agonisti dei canali KATP, dall’inglese “Potassium channel

openers” (KCOs), presentano una pronunciata diversità chimica e

appartengono a diverse classi strutturali, come i benzopirani, le cianoguanidine, le tioformamidi, le tiadiazine e i piridil-nitrati (vedi Figura 10).

BENZOPIRANI CIANOGUANIDINE TIOFORMAMMIDI

Cromakalim O OH N NC O Pinacidil N N HN NH CN t-Bu Aprikalim S S NH O TIADIAZINE PIRIDIL-NITRATI Diazossido S NH O O N Cl Nicorandil NH O N ONO2

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Il cromakalim è il prototipo della classe dei benzopirani, sintetizzato nel 1980 e largamente impiegato nella sperimentazione, ma privo di selettività e responsabile di una marcata vasodilatazione e di un accorciamento del potenziale d’azione, per questo soggetto a numerose modifiche strutturali (Mannhold, 2004).

Il pinacidil è una ciano- guanidina, sviluppata da una serie di N-alchil-N’-piridil tiouree ad attività anti-ipertensiva (Pedersen and Mikkelsen, 1982), da cui si sono ricavate altre sostanze, la più potente delle quali è risultata P-1075 (derivato 3-piridilico) per la quale è stata proposta una certa selettività nei confronti dei sarc-KATP in quanto lega con una alta affinità le sub unità SUR2A e SUR2B. P-1075 è infatti in grado di ridurre le disfunzioni contrattili e il sovraccarico di Ca2+ nei miociti ventricolari di ratto dopo inibizione metabolica, effetti che vengono aboliti in seguito al trattamento con HMR 1098, un bloccante selettivo per i sarc-KATP (Baczkò et al., 2005). Studi precedenti (Xu et al., 1993; Sato et al., 2000) avevano già messo in evidenza una mancanza di selettività da parte di P-1075 nei confronti dei mito-KATP ed infatti gli effetti positivi prodotti da P-1075 su cuori isolati di ratto, venivano completamente annullati dalla glibenclamide, una sulfanilurea di seconda generazione che presenta azione bloccante non selettivo dei KATP, ma non dal 5-HD che invece mostra spiccata selettività verso il

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sottotipo mitocondriale (Jilkina et al., 2002). Questa sua caratteristica ha permesso di usarlo in studi farmacologici allo scopo di evidenziare il coinvolgimento dei sarc-KATP rispetto ai mito-KATP nel fenomeno dell’IPC.

Le cianoguanidine PNU-99963 e PNU-94750 meritano di essere menzionate in quanto presentano un’attività di tipo bloccante sui canali KATP. La modificazione chimica principale è la presenza di un anello fenilico nella catena laterale lipofila.

L’attività agonista di PNU-99963 ha permesso d’ipotizzare che questo composto sia in grado di modulare il legame dell’ATP e l’attività ATPasica della subunità SUR in modo tale da determinare il blocco. Nella classe delle tioformammidi il prototipo è rappresentato dall’aprikalim.

Il nicorandil è stato il primo nitrato piridinico ad azione KCOs simile, che presenta anche proprietà vasodilatatorie dovute all’attivazione dell’adenilato ciclasi nella muscolatura liscia vascolare e alla caratteristica di donatore di NO (Mannhold, 2004). I dati riguardanti la sua efficacia sono però assai controversi, in quanto da un lato si è dimostrato molto più affine ai mito-KATP che ai sarc-KATP, ma dall’altro l’effetto cardioprotettivo è risultato sensibile a HMR 1098 (Sato et al., 2000). Uno studio precedente, presenta invece conclusioni

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maggiormente omogenee, dato che mostra come il nicorandil sia selettivo versi i canali mito-KATP e come venga antagonizzato nei suoi effetti cardioprotettivi da 5-HD ma non dal HMR 1098 (Liu et al., 1997).

Il prototipo dei KCOs a struttura benzotiadiazina, è il diazossido, il quale si differenzia per molti aspetti dagli altri KCOs. E’ in grado di aprire i mito-KATP con buona selettività, senza attivare i sarc-KATP cardiaci in condizioni normali (Yao and Gross, 1994) e per questo è utilizzato di routine per valutare il coinvolgimento dei canali mito-KATP nel precondizionamento cardiaco; tuttavia, nei cuori interi, è in grado di attivare anche le isoforme dei canali presenti nella muscolatura liscia a livello endoteliale, e più debolmente il sottotipo sarc-cardiaco (Gardil et al., 1996; D’Hahan et al., 1999). Il sito di legame è posizionato in altre regioni della proteina SUR rispetto al sito di legame per i benzopirani e le cianoguanidine.

Infatti il diazossido è l’unico attivatore dei canali affine nella stessa misura alle sub unità SUR1 e SUR2B, determinando quindi una risposta vaso-rilasciante e un’inibizione della secrezione di insulina, con un effetto a lungo termine di tipo iperglicemizzante (Antoine et al., 1992; Pirotte et al., 1993). Recenti esperimenti, inoltre, hanno evidenziato come il diazossido sia un grado di aumentare la

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probabilità di apertura dei canali sarc-KATP durante l’inibizione metabolica: questo effetto non pare necessariamente legato ad un’azione diretta sul canale, ma piuttosto potrebbe essere legato all’inibizione della succinato deidrogenasi (Rodrigo et al., 2004; Holmuhamedov et al., 2004). Il diazossido ha mostrato di avere una buona selettività verso i canali mito-KATP, in quanto in condizioni normali non agisce sui canali cardiaci sarc-KATP.

In verità è usato di frequente a basse dosi negli studi in vitro sul coinvolgimento dei canali mito-KATP nel precondizionamento ischemico, mentre in vivo il diazossido agisce anche sui canali KATP delle cellule muscolari e endoteliali ed è anche un debole attivatore dei canali sarc-KATP.

Tra gli antagonisti dei canali al potassio i più noti sono la

glibenclamide e il 5-idrossidecanoato (vedi Figura 11).

La glibenclamide è una sulfanilurea di seconda generazione che si lega, pur con diversi livelli di affinità, sia alla subunità SUR1 (a livello pancreatico) che SUR2A e SUR2B (espressi rispettivamente dai cardiomiociti e dalle cellule vascolari), agendo come un bloccante non selettivo dei canali KATP e pertanto non indicata per indagare i ruoli dei due sottotipi recettoriali (Mannhold, 2004).

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Dalla glibenclamide è stata però ottenuta la sulfanilurea HMR 1098, ritenuta un bloccante con una buona selettività verso i canali sarc-KATP ed impiegata in combinazione a bloccanti non selettivi per valutare le varie componenti dell’IPC (Gögelein et al., 2001).

Glibenclamide 5-idrossidecanoato OMe Cl NH O S O O NH NH O NaOOC OH HMR 1098 P-1075 OMe Cl NH O OMe S NH NH O O S N H N N HN CN PNU-99963 PNU-94756 N N H NH N CN Cl N N H NH CN N

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Anche tra i derivati di tipo cianoguanidinico sono state ottenute molecole di un certo interesse, tra le quali PNU-99963 e PNU-94750 hanno mostrato interessanti proprietà come bloccanti dei canali sarc-KATP (vedi Figura 11).

Il 5-idrossidecanoato (5-HD) invece, ha mostrato spiccate proprietà mito-KATP bloccanti selettive; sui mitocondri isolati di ratto si è rivelato capace di abolire il flusso di ioni K+ indotto dal diazossido. Ulteriori studi tuttavia ipotizzano per il 5-HD un effetto indipendente dalla sua azione sui mito-KATP, ma piuttosto collegato al metabolismo energetico mitocondriale (Jabůrek et al., 1998).

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1.3.2 Attivatori selettivi dei mito-KATP

Considerando il ruolo chiave che i canali KATP svolgono nel mantenimento dell’omeostasi cellulare, e grazie al loro potenziale nel proteggere la cellula in stati di stress metabolici, i KCOs rappresentano potenziali farmaci che potrebbero essere presto inseriti nella pratica clinica in aggiunta alle terapie esistenti. I KCOs possiedono infatti un vasto potenziale terapeutico per molte patologie, tra le quali l’asma, l’ischemia del miocardio e l’incontinenza urinaria, anche se attualmente il loro utilizzo clinico è limitato a causa di una mancanza di selettività tissutale.

I composti di seconda generazione invece hanno una maggiore selettività che li rende potenzialmente utilizzabili in terapia. Alcuni tra i KCOs di seconda generazione hanno mostrato una buona selettività verso il tessuto cardiaco. Su questa base è evidente come la possibilità di disporre di ligandi capaci di attivare selettivamente questi canali possa essere potenzialmente utile per innescare un precondizionamento farmacologico e, quindi, esercitare un’azione cardioprotettiva contro l’insulto ischemico. Nel tentativo di migliorare ulteriormente il profilo di selettività cardiaca, sono stati sintetizzati diversi ibridi composti da un anello benzopiranico e una catena cianoguanidinica (Atwal et al., 1993; Mannhold, 2004).

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Il primo di essi è BMS 180448, che induce una limitata vasodilatazione, pur conservando una buona potenza cardioprotettiva (Atwal et al., 1993). Testato su cuori di cavia, ha mostrato un’attività anti-ischemica simile al cromakalim, aumentando la funzionalità contrattile durante il recupero da riperfusione e il tempo di contrazione (definito come il tempo necessario durante l’ischemia globale per aumentare la pressione diastolica finale di 5mmHg), riducendo il rilascio di LDH (lattico deidrogenasi) e inducendo un significativo aumento del flusso coronarico, tutti effetti che si sono dimostrati sensibili alla glibenclamide. La riduzione dell’ADP e dell’intervallo QT dell’elettrocardiogramma mostrati dal cromakalim e aboliti dalla glibenclamide, non sono stati invece evidenziati dall’uso di BMS- 180448 (Grover et al., 1995b) (vedi Figura 12). Per eliminare la residua attività vasodilatatrice, sono stati sviluppati alcuni derivati del benzopirano 4-(N-aril)-sostituiti, tra i quali il più selettivo e con le proprietà anti-ischemiche più marcate è risultato BMS 191095 (Grover and Atwal, 2002) (vedi Figura 12); questa molecola ha mostrato in vitro un comportamento cardioprotettivo paragonabile sia al cromakalim che a BMS 180448, con un miglioramento della funzionalità cardiaca post ischemica, una riduzione nel rilascio di LDH e un aumento nel tempo di contrazione, con una ridotta capacità

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vasodilatatoria. A causa della sua tossicità neuronale, tuttavia, BMS 191095 non è stato oggetto di ulteriori studi per un potenziale effetto clinico, ma resta ugualmente un valido strumento nella ricerca e nello sviluppo di nuovi farmaci (Grover et al., 2002).

Un interessante profilo farmacodinamico è stato recentemente osservato per il farmaco antiaritmico bepridil (vedi Figura 12). Esso ha dimostrato una combinazione caratteristica di proprietà, in quanto è risultato un bloccante dei canali sarc-KATP cardiaci ma in grado di sviluppare, nei modelli di cuore di cavia, una cardioprotezione anti ischemica antagonizzata dal 5-HD, fatto questo che lo indica anche come attivatore dei canali mito-KATP (Sato et al., 2006).

Bepridil N i-BuO N BMS 180448 O N NH H N Cl NC NC OH BMS 191095 O OH N NH Cl

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Negli ultimi anni, è stata apportata un’altra rilevante modifica strutturale al nucleo benzopiranico del cromakalim, ottenendo derivati di natura morfolinica e morfolonica (vedi Figura 14), caratterizzati da un legame spiro sulla posizione 4 e dotati di vari livelli di affinità per i sottotipi recettoriali, e quindi con una maggiore cardioselettività (Breschi et al., 2006).

Studi di SAR, condotti su questo tipo di composti, hanno mostrato che per un’ottimale attività e selettività è importante la presenza di sostituenti lipofili in posizione 2, di un sostituente elettronattrattore in posizione 6 e di una catena laterale ricca di elettroni in posizione 4 legata ad un sostituente aromatico lipofilo (vedi Figura 13).

O A R OH R R R1

non essenziale per l'attività sono necessari piccoli

gruppi lipofili sostituenti aromatici incrementano la cardio-selettività gli etroatomi sono necessari sostituenti ciclici e non ciclici

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Partendo dall’ ipotesi che i sostituenti sul carbonio in posizione 4 del nucleo benzopiranico sembrano capaci di incrementare l’attività dei derivati a struttura benzopiranica, e dall’osservazione che i derivati sostituiti in posizione 4 con un raggruppamento di tipo spiro erano stati scarsamente studiati, è stata pianificata la sintesi di derivati di struttura 4-spiromorfolonica (A) e 4-spiromorfolinica (B) (Breschi et al., 2006).

I derivati di struttura di tipo A e B sintetizzati risultavano variamente sostituiti nel raggruppamento benzilico legato all’azoto del sistema di tipo spiro. O N O R1 R O Spiromorfolonici A O N O R1 R Spiromorfolinici B R= Br, H R1= Br, CF3, Me, NH2, NHAc NHSO2Me, OMe

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Alcuni di questi composti hanno mostrato una buona attività cardioprotettiva e una buona selettività nei confronti dei canali mito-KATP (Breschi et al., 2006).

In particolare un approfondimento farmacologico su alcuni di questi derivati ha evidenziato una scarsa attività ipotensiva (Breschi et al., 2006), considerato l’effetto secondario principale che limita lo sviluppo e l’utilizzo in clinica dei KCOs per la prevenzione dell’infarto del miocardio.

Sulla base dei risultati positivi ottenuti per la limitata serie di derivati di tipo spiro, precedentemente analizzati, sono stati progettati e studiati, dal nostro gruppo di laboratorio in collaborazione con quello di Scienze Farmaceutiche, analoghi dei derivati spiromorfolonici di tipo A, con opportune modifiche, in particolare la restrizione dell’anello spiro da 6 a 5 termini, allo scopo di approfondire i rapporti struttura-attività di questa serie.

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1.3.3 Solfuro d’ idrogeno (H2S)

Negli ultimi decenni, numerosi studi scientifici focalizzati sulla valenza patofisiologica e farmacologica dei “gas trasmettitori” hanno riconosciuto l’importanza di questi composti endogeni in molti sistemi biologici, aprendo nuove prospettive per lo sviluppo di farmaci e tra questi il solfuro di idrogeno, H2S (Moore et al., 2003; Olson and Donald, 2009).

L’H2S esercita una varietà di effetti fisiologici in differenti sistemi, in particolare sul sistema cardiovascolare (Doeller et al., 2005). Molti studi recenti dimostrano che l’H2S, considerato a lungo unicamente come un gas tossico, è un composto endogeno prodotto in quantità rilevanti nei tessuti dei mammiferi (Abe and Kimura, 1996); può provocare effetti letali ad alte concentrazioni, attraverso l’inibizione della respirazione mitocondriale (principale meccanismo della sua tossicità) e può essere coinvolto in condizioni patologiche quali l’infiammazione, la sepsi e l’ictus (Lowicka and Beltowski, 2007). In ambito farmacologico, è stato importante rilevare che questo composto, in passato considerato dannoso, ha invece effetti benefici se somministrato alle opportune concentrazioni: provoca vasodilatazione, promuove l’angiogenesi ed esercita un ruolo chiave nella cardioprotezione (Li et al., 2009). La scoperta di queste proprietà

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biologiche è stata una pietra miliare della farmacologia cardiovascolare.

L’H2S possiede tutte le proprietà cardiovascolari vantaggiose dell’ossido nitrico, ma non produce le specie reattive dell’ossigeno (ROS) tipiche di NO. Al contrario, sembra fungere da “scavenger” delle ROS (Whiteman et al., 2004; Whiteman et al., 2005).

Attualmente, si sta diffondendo un nuovo approccio terapeutico che si basa sull’impiego di una fonte esogena di H2S. In particolare, vengono utilizzati come donatori i polisolfuri allilici e i farmaci ibridi in grado di rilasciarlo (Martelli et al., 2010).

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a. Biosintesi dell’H2S

Nei mammiferi il solfuro di idrogeno è prodotto per via endogena da reazioni enzimatiche, anche se nella biochimica dell’H2S sono coinvolti alcuni percorsi non enzimatici. La via non enzimatica, sebbene meno importante, procede attraverso la riduzione del solfuro ad H2S utilizzando equivalenti di riduzione ottenuti dall’ossidazione del glucosio (Wang, 2002). Inoltre, per sostenere la produzione di H2S, ci sono anche altri substrati: NADH, NADPH e il glutatione (GSH), che sono stati ritrovati nei lisati cellulari degli eritrociti umani (Searcy and Lee, 1998).

Per quanto riguarda il percorso enzimatico, la L-cisteina è l’unico substrato per la produzione endogena di H2S. È un amminoacido contenente zolfo derivante da risorse alimentari, sintetizzato dalla L-metionina attraverso la cosiddetta “reazione di trans-solfurazione” con l’omocisteina come intermedio (Meier et al., 2001; Yap et al., 2000). Gli enzimi che regolano il rilascio di H2S sono la cistationina

β-sintasi (CBS) e la cistationina γ-liasi (CSE) (Chen et al., 2004).

Entrambi sono enzimi piridossale -5’-fosfato dipendenti (Vit. B6), che differiscono per il loro meccanismo d’azione e per la loro distribuzione nei tessuti (Kamoun, 2004). Infatti, la CBS si trova nel sistema nervoso centrale (SNC) (Robert et al., 2003), mentre la CSE è

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