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ATTIVITÀ NUCLEARI Introduzione ATTIVITÀ NUCLEARI E RADIOATTIVITÀ AMBIENTALE 7

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7

ATTIVITÀ NUCLEARI E RADIOATTIVITÀ AMBIENTALE

Introduzione

Come è noto, le centrali nucleari e le altre installazioni italiane connesse al ciclo del combustibile nucleare non sono più in esercizio da anni, restano comunque in corso le attività finalizzate alla messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi derivanti dal pregresso esercizio e quelle connesse alla disattivazione delle installazioni suddette.

Permangono inoltre in esercizio alcuni piccoli reattori di ricerca presso Università e Centri di ricerca. Continua altresì a essere diffuso l’impiego delle sorgenti di radiazioni ionizzanti nelle applicazioni mediche, nell’industria e nella ricerca scientifica, con le necessarie attività di trasporto delle sorgenti stesse e dei rifiuti da esse derivanti.

Devono inoltre essere considerate le sorgenti naturali di radiazioni ionizzanti quali il gas radon, che rappresenta la principale fonte di esposizione per la popolazione e i materiali radioattivi di origine naturale presenti o derivanti da alcune lavorazioni industriali. Le pressioni sull’ambiente da radiazioni ionizzanti rimangono pertanto rilevanti e molteplici ed esigono che la radioprotezione rimanga elemento centrale della salvaguardia ambientale e della protezione della popolazione e dei lavoratori. Nel nostro Paese, la protezione della popolazione dalle radiazioni ionizzanti presenti nelle installazioni nucleari o utilizzate per vari scopi e dalla radioattività ambientale è, in particolare, regolamentata dalla Legge 31 dicembre 1962, n. 1860, dal Decreto legislativo del 17 marzo 1995, n. 230 e successive modifiche e dal Decreto legislativo dell’8 febbraio 2007, n.

52. La legislazione nazionale vigente assegna precisi obblighi agli esercenti delle attività che rientrano nel campo di applicazione delle norme stesse, ma anche compiti di controllo alle amministrazioni nazionali (Enti e Ministeri) e alle amministrazioni locali (Prefetture, Regioni e Province autonome).

Il controllo delle attività nucleari e il monitoraggio della radioattività ambientale sono funzioni prioritarie per assicurare un elevato livello di protezione della popolazione e dell’ambiente dai rischi associati all’esposizione a radiazioni ionizzanti.

ATTIVITÀ NUCLEARI Le principali attività

Le attività nucleari comportanti il rischio di esposizione alle radiazioni ionizzanti della popolazione e dell’ambiente, oggi presenti in Italia, riguardano in particolare:

le installazioni del pregresso programma nucleare, oggi in fase di disattivazione (decommissioning) e i reattori di ricerca;

le strutture di deposito di rifiuti radioattivi, gran parte delle quali presenti all’interno delle installazioni nucleari;

le attività d’impiego di sorgenti di radiazioni ionizzanti;

le attività di trasporto delle materie radioattive.

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Le principali installazioni del pregresso programma nucleare, attualmente in fase di disattivazione con diversi stati di avanzamento, sono le quattro centrali nucleari del Garigliano, di Latina, di Trino e di Caorso, gli impianti sperimentali di riprocessamento EUREX e ITREC, l’impianto Plutonio e OPEC 1 del Centro ENEA della Casaccia, l’impianto Fabbricazioni Nucleari, il Deposito Avogadro, le installazioni del Centro Comune di Ricerche di Ispra (VA).

Le installazioni del pregresso programma nucleare sono in fase di

disattivazione.

La disattivazione delle installazioni consiste in un insieme di operazioni pianificate finalizzate, nel rispetto dei requisiti di sicurezza e di radioprotezione dei lavoratori, della popolazione e dell’ambiente, allo smantellamento finale o, comunque, al rilascio del sito senza vincoli di natura radiologica a essere utilizzato per altri scopi.

Le principali operazioni propedeutiche per la disattivazione delle installazioni consistono nell’allontanamento da esse, ove presente, del combustibile nucleare esaurito e il suo trasporto verso un sito autorizzato, ubicato fuori del territorio nazionale, per il suo riprocessamento, e nelle operazioni di trattamento e condizionamento dei rifiuti radioattivi derivanti dal precedente esercizio dell’impianto.

Per consentire la messa in sicurezza definitiva dei rifiuti radioattivi, nonché il raggiungimento dell’obiettivo finale di rilascio dei siti senza vincoli di natura radiologica, è necessario disporre di idonea struttura nazionale destinata allo smaltimento dei rifiuti a bassa attività e allo stoccaggio a lungo termine dei rifiuti ad alta attività. In attesa della disponibilità di un deposito nazionale sono comunque garantite idonee condizioni di stoccaggio nei siti attraverso la costituzione di strutture di deposito temporaneo, in linea con gli attuali standard internazionali.

La disattivazione delle installazioni consiste in un insieme di operazioni pianificate finalizzate allo smantellamento finale, o comunque al rilascio del sito senza vincoli di natura radiologica a essere utilizzato per altri scopi.

È necessario disporre di una struttura nazionale destinata allo smaltimento dei rifiuti a bassa attività e allo stoccaggio a lungo termine dei rifiuti ad alta attività.

Dalle attività di smantellamento deriva, inoltre, la produzione di diverse tipologie di materiali solidi che possono, nel rispetto di limiti di concentrazione di radioattività, essere allontanati dagli impianti senza vincoli di natura radiologica. Inoltre, nel corso dello svolgimento delle attività, è possibile l’eventuale immissione nell’ambiente di effluenti liquidi e gassosi entro limiti specificamente autorizzati. Il criterio stabilito dalla legislazione italiana, alla base della definizione dei livelli di allontanamento per i materiali solidi e per il rilascio di effluenti nell’ambiente, corrisponde al valore internazionalmente riconosciuto di “non rilevanza radiologica”, pari a 10 microSv/anno.

Lo

smantellamento comporta la produzione di materiali solidi che possono essere allontanati senza vincoli di natura

radiologica.

L’impiego delle sorgenti di radiazioni ionizzanti continua a essere diffuso nelle applicazioni mediche, nell’industria e nella ricerca scientifica, con le necessarie attività di trasporto per la distribuzione delle sorgenti stesse e per il conferimento a installazioni di deposito dei rifiuti derivanti dalle suddette attività. In campo medico, ad esempio in molti ospedali e in diverse strutture sanitarie, sono utilizzate sorgenti radioattive a scopo diagnostico e terapeutico (centri di medicina nucleare, terapia metabolica, laboratori di analisi immunologiche, ecc.).

Le sorgenti di radiazioni ionizzanti sono impiegate nelle applicazioni mediche, nell’industria e nella ricerca scientifica.

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Nella diagnostica medica le sorgenti utilizzate sono generalmente in forma non sigillata, esse non sono cioè incorporate in un materiale solido o contenute in un involucro di per sé sigillato che non ne consenta la dispersione.

In ambito industriale, invece, l’utilizzo di sorgenti radioattive, prevalentemente in forma sigillata, risulta molto diffuso in vari settori (misuratori di livello e di spessore, impianti di irraggiamento e sterilizzazione, introspezioni geologiche, ecc.);

una delle applicazioni più diffuse è la radiografia industriale (conosciuta anche come gammagrafia industriale quando la sorgente di radiazioni impiegata è un radioisotopo), utilizzata per effettuare i controlli non distruttivi, ad esempio, su saldature di tubazioni o di componenti meccanici, tale tecnica è molto simile a quella impiegata negli ospedali con le macchine a raggi X nell’esecuzione di esami radiografici.

Figura 7.1: Distribuzione sul territorio nazionale delle installazioni che impiegano sorgenti di radiazioni ionizzanti autorizzate a livello centrale1

Le sorgenti di radiazioni ionizzanti sono impiegate nelle applicazioni mediche, nell’industria e nella ricerca scientifica.

Come già accennato, all’utilizzo delle sorgenti radioattive è associata un’attività di trasporto effettuata da ditte appositamente autorizzate, le quali sono anche coinvolte nel ritiro dei rifiuti radioattivi prodotti nel corso delle attività sopra citate e delle sorgenti radioattive dismesse (cioè di quelle di cui non è più previsto l’utilizzo) che devono essere inviate presso deposit i autorizzati gestiti da operatori specializzati.

1Fonte: Elaborazione ISPRA su dati Esercenti impianti

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Le principali problematiche

In relazione alle attività di disattivazione nelle principali installazioni nucleari, per la gran parte del combustibile nucleare irraggiato è in atto la campagna di trasferimento in Francia nel quadro definito dall’accordo intergovernativo stipulato nel 2006. Nell’ambito di tale campagna sono già state trasferite 190 tonnellate di combustibile della centrale di Caorso ed è in corso, con la previsione che venga completato nel 2014, il trasferimento delle rimanenti 45 tonnellate presenti nel Deposito Avogadro e nella Centrale di Trino.

Vanno poi considerate le 2 tonnellate del combustibile presente nell’impianto ITREC della Trisaia (MT) per le quali, in assenza di un accordo che ne preveda il rientro negli Stati Uniti, è previsto uno stoccaggio a secco sul sito presso un’idonea struttura di deposito da realizzare.

Nell’ambito delle attività di disattivazione delle installazioni nucleari è previsto il trasferimento del combustibile irraggiato in Francia.

Per quanto attiene ai rifiuti radioattivi attualmente presenti in Italia, essi derivano, per la gran parte, dal pregresso programma nucleare e si trovano nelle installazioni gestite dalla Sogin S.p.A. – ex Centrali nucleari di Trino, del Garigliano, di Latina e di Caorso, degli impianti ex ENEA EUREX di Saluggia e ITREC della Trisaia (MT), degli impianti Plutonio e OPEC presso il Centro della Casaccia (Roma), nel Deposito Avogadro di Saluggia (VC), nei depositi della Nucleco presso Centro ENEA della Casaccia (Roma) - e nelle installazioni del Centro Comune di Ricerche di Ispra (VA) della Commissione Europea.

Detti rifiuti, classificati in relazione alle caratteristiche e alle concentrazioni dei radionuclidi presenti secondo i criteri definiti nella Guida Tecnica n. 26 dell’ENEA-DISP (oggi ISPRA), ammontano a circa 26.500 m3 per la I e II categoria e 1.700 m3 per la III.

A tali rifiuti andranno ad aggiungersi circa 30.000 m3, prevalentemente di II categoria, provenienti dalle operazioni di disattivazione delle installazioni.

I rifiuti radioattivi ammontano a circa 26.500 m3 per la I e II categoria e 1.700 m3 per la III. Più altri 30.000 m3 di II categoria derivanti da operazioni di disattivazione delle installazioni.

Vi sono poi i rifiuti radioattivi derivanti dal riprocessamento del combustibile nucleare irraggiato nell’esercizio pregresso delle centrali nucleari in gran parte già trasferito all’estero (Regno Unito e Francia);

per tali rifiuti è previsto il rientro in Italia, e il loro volume ammonta ad alcune decine di m3 di rifiuti condizionati ad alta attività.

I rifiuti immagazzinati presso i siti sopra citati (centrali nucleari, impianti sperimentali, centri di ricerca) sono, per la gran parte, ancora da sottoporre a operazioni di trattamento e di condizionamento, necessarie per la loro trasformazione in manufatti durevoli che assicurino un idoneo isolamento della radioattività dall’ambiente, atti al trasporto, allo stoccaggio e allo smaltimento. Tali operazioni, che sono di fatto propedeutiche a quelle di smantellamento dell’impianto, necessitano di un’accelerazione nel loro svolgimento, specialmente per i rifiuti liquidi presenti soprattutto nell’impianto EUREX di Saluggia (VC) e nell’impianto ITREC della Trisaia (MT), e per i rifiuti collocati negli anni ’60 – ‘70 in strutture interrate, ad esempio nella Centrale del Garigliano e nell’impianto ITREC della Trisaia.

I rifiuti immagazzinati sono da sottoporre a operazioni di trattamento e condizionamento, per trasformarli in manufatti che assicurino l’isolamento della radioattività e renderli trasportabili, stoccabili e smaltibili.

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Oltre ai rifiuti radioattivi cosiddetti energetici, derivanti cioè dal pregresso programma nucleare, prosegue la produzione di rifiuti provenienti da applicazioni mediche, industriali e di ricerca, i quali continuano ad accumularsi presso i diversi operatori, immagazzinati senza un adeguato processo di condizionamento presso strutture non idonee dal punto di vista della localizzazione per una gestione di lungo termine. Per tali rifiuti, il cui ammontare ad oggi è pari a circa 4.000 m3, si registra una produzione di alcune centinaia di metri cubi l’anno. I rifiuti suddetti trovano collocazione presso le installazioni autorizzate di alcuni operatori nazionali, alcuni dei quali possono esclusivamente ricevere, classificare e stoccare i contenitori dei rifiuti, senza alcuna manipolazione del loro contenuto; altri, invece, sono autorizzati a eseguire semplici manipolazioni.

I rifiuti provenienti da applicazioni mediche, industriali e di ricerca (circa 4.000 m3) sono collocati presso installazioni autorizzate di operatori nazionali.

A livello nazionale il Servizio Integrato di gestione delle sorgenti dismesse e dei rifiuti radioattivi, il cui gestore è l’ENEA, garantisce tutte le fasi del ciclo di gestione (raccolta, trattamento, condizionamento e lo stoccaggio provvisorio) delle sorgenti radioattive non più utilizzate e dei rifiuti radioattivi da attività medico-sanitarie, industriali e di ricerca.

In particolare, al Servizio Integrato possono aderire tutti gli impianti autorizzati che svolgono attività di raccolta ed eventuale deposito provvisorio di sorgenti radioattive dismesse.

Il Servizio Integrato di gestione delle sorgenti dismesse e dei rifiuti radioattivi da attività medico- sanitarie, industriali e di ricerca dell’ENEA garantisce tutte le fasi del ciclo di gestione.

Figura 7.2: Distribuzione regionale dei rifiuti radioattivi in termini di attività (2011)2

La maggior parte dei rifiuti radioattivi, in termini di attività, presenti in Italia si trovano in Piemonte (71,6

%). Seguono la Campania con il 12,75 % e la Basilicata con il 9,7%.

2Fonte: Elaborazione ISPRA su dati forniti dagli Esercenti degli installazioni nucleari

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Figura 7.3: Distribuzione regionale dei rifiuti radioattivi in termini di volumi (2011)3

La distribuzione regionale dei rifiuti radioattivi, in termini di volumi, registra una maggior concentrazione nel Lazio con il 29,4%, seguito dal Piemonte (18,6%) e dall’Emilia- Romagna (12,6%).

Occorre inoltre citare la problematica delle sorgenti orfane, che con una certa frequenza vengono rinvenute all’interno di rottami metallici provenienti dall’estero. L’emissione di effluenti liquidi e gassosi dalle installazioni nucleari può considerarsi mediamente stabile. Infatti, per le Centrali di Latina e del Garigliano si è registrata una lieve diminuzione degli scarichi sia dei liquidi sia degli aeriformi; per contro, per gli impianti di FN, Enea Casaccia e ITREC, si è registrato un limitato incremento nelle attività scaricate sia qualitativamente sia quantitativamente. In particolare, gli incrementi registrati sono da attribuirsi alle attività propedeutiche alla disattivazione programmata ovvero, nel caso del centro ENEA della Casaccia, alle operazioni di scarico di liquidi verificatesi dopo molti anni di assenza di operazioni di rilascio e a valle dell'attribuzione di una nuova formula di scarico.

Per i restanti impianti, nello specifico le Centrali di Caorso e di Trino, il reattore Triga di Pavia, il Centro ricerche CCR-Ispra, l'impianto EUREX di Saluggia e il deposito Avogadro, i valori restano pressoché inalterati e confrontabili con l'impegno percentuale di formula di scarico per l'anno 2010.

Il trasporto di materie radioattive può essere suddiviso in due ambiti distinti ma correlati fra loro, tenendo conto delle sole caratteristiche radioattive o di quelle radioattive e fissili di tali materie:

 trasporti che avvengono nell’ambito del ciclo del combustibile nucleare;

 trasporti che avvengono nell’ambito degli usi medici, industriali e di ricerca e che coinvolgono materie quali sorgenti in forma speciale per irraggiamento di prodotti e per gammagrafie in campo, sorgenti per prospezioni geologiche, sorgenti per controllo di processi industriali, sorgenti per uso diagnostico e terapeutico in forma non speciale, rifiuti provenienti dalle relative installazioni.

L’emissione di effluenti liquidi e gassosi dalle installazioni nucleari è stabile e nel rispetto del criterio di non rilevanza radiologica

3Fonte: Elaborazione ISPRA su dati forniti dagli Esercenti degli installazioni nucleari

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Tenuto conto della realtà italiana, nella quale le attività di tipo nucleare riguardano la disattivazione delle installazioni e la gestione dei rifiuti radioattivi, i trasporti nell’ambito del ciclo del combustibile sono numericamente molto limitati, essendo riconducibili alle operazioni di trasferimento all’estero del combustibile nucleare irraggiato a fini di ritrattamento o di alienazione del materiale fissile, operazione peraltro in fase di completamento nei prossimi anni. Vi è poi un ristretto numero di operazioni di trasferimento di rifiuti radioattivi di bassa o media attività presso siti di trattamento. Una diversa situazione potrà determinarsi quando sarà disponibile il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi.

La gran parte dei trasporti di materie radioattive effettuati sul territorio nazionale riguarda pertanto sorgenti utilizzate in campo industriale, nella ricerca e, soprattutto, in campo medico (Figura 7.4).

I trasporti nell’ambito del ciclo del

combustibile sono molto limitati

Il trasporto di materie radioattive riguarda sorgenti utilizzate in campo medico, industriale e di ricerca.

Figura 7.4: Distribuzione percentuale dei colli trasportati in Italia in base all’impiego della materia radioattiva4

Il trasporto di materie radioattive riguarda soprattutto sorgenti utilizzate in campo medico e ricerca (82%), industriale (6%) e per una

percentuale limitatissima il ciclo del combustibile.

I dati disponibili evidenziano, come già detto, che la gran parte dei trasporti di materie radioattive riguarda il loro uso in campo medico.

La maggior parte dei radioisotopi utilizzati in campo diagnostico e terapeutico è di provenienza estera, non essendo presenti sul nostro territorio impianti per la produzione di tali isotopi (I-131, Mo-99, Tl- 201, ecc.), ad eccezione del F-18 prodotto anche in Italia.

L’importazione di queste materie radioattive avviene prevalentemente attraverso spedizioni stradali e aeree, aventi come luoghi di destinazione alcuni centri di raccolta e smistamento dei colli. Da questi centri partono le spedizioni stradali per la consegna diretta ai destinatari finali oppure verso altri aeroporti nazionali, per essere poi trasportati alla destinazione finale.

4Fonte: ISPRA

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La modalità stradale risulta essere quella più utilizzata per il trasporto di colli contenenti materie radioattive, a seguire quella aerea.

Quest’ultima è utilizzata, in particolare, per il trasporto di radioisotopi con tempo di dimezzamento molto breve.

Il trasporto di colli radioattivi via mare è molto limitato e riguarda sia il trasporto di sorgenti utilizzate su piattaforme petroliere off-shore sia i trasporti fra la Penisola e le due isole maggiori Sicilia e Sardegna.

Il trasporto ferroviario di colli radioattivi è praticamente inesistente.

I trasporti ferroviari effettuati, ad esempio, nel periodo 2002 - 2011, hanno riguardato unicamente spedizioni di colli contenenti elementi di combustibile irraggiato dagli impianti Sogin agli impianti di riprocessamento di Sellafield (UK) e La Hague (Francia).

Il trasporto dei colli contenenti materie radioattive avviene soprattutto su strada.

La possibile esposizione alle radiazioni ionizzanti associata al trasporto delle materie radioattive si manifesta anche in condizioni normali di trasporto, e cioè in assenza di eventi incidentali.

Dopo l'introduzione del sistema di acquisizione telematico dei dati delle spedizioni di materie radioattive effettuate dai vettori autorizzati, avvenuta a partire dal 2009, il trend, strettamente legato al numero dei colli trasportati ogni anno, alla loro tipologia e al tipo di radioisotopo trasportato, è piuttosto stabile, anche se negli ultimi anni si manifesta una diminuzione del numero dei colli trasportati, in particolare nel campo della medicina nucleare.

Gli intervalli assunti dall’indicatore sul trasporto delle materie radioattive (Figura 7.5) evidenziano in modo univoco le province che ospitano importanti e numerosi centri ospedalieri e diagnostici (Roma, Milano, Torino, Napoli ecc.), oltre i centri di smistamento dovuti anche al trasporto aereo.

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Figura 7.5: Carta tematica della somma degli indici di trasporto per provincia (2011)5

L'indice di trasporto è un indicatore del livello di radiazione presente nelle vicinanze dell'imballaggio che contiene il materiale radioattivo. È usato per predisporre le misure di radioprotezione da attuare, da parte del vettore, per minimizzare le dosi da radiazione durante il trasporto.

Le azioni di controllo e monitoraggio

Il controllo sulle attività nucleari che possono comportare un’esposizione della popolazione italiana alle radiazioni ionizzanti è, in particolare, regolamentato dalla Legge 31 dicembre 1962, n. 1860, dal Decreto legislativo del 17 marzo 1995, n. 230 e successive modifiche e dal Decreto legislativo dell’8 febbraio 2007, n. 52.

Tali controlli si attuano, in via preventiva, attraverso la formulazione di pareri tecnici vincolanti da parte dell’autorità di sicurezza nucleare e di altre amministrazioni, ove previsto dalla legislazione vigente, alle amministrazioni procedenti per il rilascio delle autorizzazioni (Ministero dello sviluppo economico, Prefetture, ecc.). Per le installazioni nucleari, in relazione al loro attuale stato, i pareri riguardano le autorizzazioni per eventuali modifiche o particolari operazioni, anche connesse alla disattivazione, in attesa dell’autorizzazione alla disattivazione oppure pareri per il rilascio dell’autorizzazione stessa. Tali pareri sono rilasciati dall’ISPRA.

Normativa per il controllo sulle attività nucleari.

I controlli si attuano attraverso valutazioni e verifiche per il rilascio delle autorizzazioni e ispezioni nella fase operativa.

5Fonte: ISPRA

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Le autorizzazioni si riferiscono, in particolare, alla fattibilità di modifiche o operazioni, nel rispetto dei criteri generali di sicurezza nucleare e di radioprotezione e normalmente condizionano l’avvio della fase realizzativa all’approvazione da parte dell’ISPRA di un progetto particolareggiato o di un piano operativo.

I pareri e le approvazioni sono formulati dall’ISPRA sulla base delle risultanze delle attività di revisione e valutazione indipendente svolte sulla documentazione presentata dall’esercente, e con essi sono normalmente stabilite le necessarie prescrizioni.

Nel caso delle procedure per le autorizzazioni alla disattivazione, le norme vigenti prevedono che le amministrazioni competenti formulino osservazioni sulla documentazione presentata dagli esercenti a supporto delle istanze di autorizzazione e le trasmettano all’ISPRA che, sulla base della propria istruttoria e delle osservazioni ricevute, formula il proprio parere, fissando eventuali prescrizioni. Nel corso del 2012 sono stati emanati i decreti di autorizzazione per le operazioni di disattivazione delle centrali di Trino e del Garigliano.

I pareri e le approvazioni sono formulati dall’ISPRA sulla base delle risultanze delle attività di revisione e valutazione indipendente svolte sulla documentazione presentata dall’esercente.

In fase operativa e di svolgimento delle operazioni, i controlli, finalizzati alla verifica della conformità con la legislazione vigente e del rispetto delle prescrizioni fissate dagli atti autorizzativi, sono effettuati tramite ispezioni condotte da ispettori dell’ISPRA, che sono Ufficiali di Polizia Giudiziaria.

RADIOATTIVITÀ AMBIENTALE

Il problema

Al termine “radioattività” è spesso associato, nell’opinione pubblica, il timore degli effetti che questa provoca sulla salute. La prima evocazione che suscita tale parola riguarda effetti diretti, simili a ustioni, riconducibili a esposizioni acute; un esempio è quello delle esplosioni nucleari di Hiroshima e Nagasaki. Tali effetti sono tecnicamente definiti “deterministici” e si hanno a seguito di esposizioni molto intense. Altri timori sono legati agli effetti di esposizioni meno intense, effetti che “non si vedono” subito, ma che si evidenziano a distanza di tempo o sulle generazioni future e che sono spesso associati al rischio di insorgenza di tumori. Un esempio è rappresentato dalle conseguenze dell’esposizione della popolazione a seguito dell’incidente alla centrale sovietica di Chernobyl. Tali effetti sono definiti “stocastici”, ossia probabilistici, con una probabilità che dipende dall’intensità e dalla durata dell’esposizione.

Da non sottovalutare anche la preoccupazione sociale in occasione di eventi che, seppur con nessuna conseguenza di tipo sanitario a livello nazionale (ad esempio l’incidente alla centrale di Fukushima), destano un forte interesse e necessità di informazione. È, pertanto, fondamentale attuare un adeguato sistema monitoraggio ambientale e una corretta e trasparente comunicazione dei risultati ottenuti.

Le radiazioni ionizzanti sono quasi sempre associate alla sola produzione di energia nucleare, eppure vi sono casi di esposizione a radiazioni ionizzanti a scopo medico,

diagnostico o terapeutico. In tali casi i rischi che ne derivano sono ampiamente giustificatidai benefici per le persone che si sottopongono a questi trattamenti.

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Occorre, inoltre, sottolineare che nell’immaginario collettivo, la radioattività è essenzialmente associata alla produzione di energia nucleare, incluso il trattamento e il deposito delle scorie, e tali timori costituiscono spesso un preconcetto per altre attività o situazioni che sono fonti di radiazioni ionizzanti.

Vi sono, viceversa, casi di esposizione alla radioattività generalmente accettati, ad esempio le esposizioni a scopo medico, diagnostico o terapeutico. In tali casi i rischi che ne derivano sono giustamente avvertiti come ampiamente giustificati dai benefici per le persone che si sottopongono a questi trattamenti.

Quello della “giustificazione” è uno dei principi fondamentali della protezione radiologica della popolazione e dei lavoratori.

Un’attività che preveda un’esposizione della popolazione e dei lavoratori deve, infatti, essere giustificata sulla base di un bilancio costi-benefici, tenendo conto anche delle possibili alternative;

l’esposizione, inoltre, deve essere “ottimizzata” ovvero ridotta ai livelli più bassi ragionevolmente ottenibili.

Un’ulteriore considerazione riguarda l’entità delle esposizioni naturali alle quali la popolazione è generalmente esposta in confronto con le esposizioni sopra descritte. Occorre evidenziare che, se si escludono le esplosioni atomiche e gli incidenti nucleari, le esposizioni derivanti dalle attività produttive sono di gran lunga inferiori rispetto alle esposizioni a sorgenti naturali. Sia nel cosmo sia nel suolo terrestre, nell’aria e anche nel nostro stesso organismo, sono presenti radionuclidi responsabili in grandissima parte dell’esposizione alla radioattività.

La principale esposizione avviene tra le mura domestiche, nei luoghi di lavoro e negli altri ambienti chiusi, detti “indoor”, nei quali si trascorre la maggior parte del tempo. In tali luoghi è presente nell’aria un gas naturale, il radon, che costituisce, mediamente, la principale fonte di esposizione per la popolazione. In alcuni casi, il gas può raggiungere concentrazioni tali per cui, sulla base delle considerazioni costo-beneficio di cui sopra, si ritiene inaccettabile il rischio associato all’esposizione e si raccomandano, o addirittura s’impongono, risanamenti degli ambienti. L’esposizione al gas radon negli ambienti residenziali e nei luoghi di lavoro è stata associata all’insorgenza di tumori polmonari. È, inoltre, importante l’effetto combinato di radon e fumo: il rischio di contrarre un tumore, a parità di esposizione a radon, per i fumatori è circa venti/venticinque volte superiore rispetto ai non fumatori.

Poiché non è nota una soglia al di sotto della quale l’esposizione al radon sia priva di rischi, si assume che a una diminuzione di concentrazione di radon corrisponda un’equivalente diminuzione del rischio. Questo tipo di esposizione è in qualche misura controllabile, è infatti possibile adottare strategie e provvedimenti atti a ridurre l’esposizione della popolazione nel suo insieme e in particolare nei casi di più elevata concentrazione.

Da queste considerazioni emerge la necessità di approfondire e di diffondere la conoscenza sull’impatto delle esposizioni a sorgenti di radiazioni ionizzanti, con l’obiettivo di rendere meno difficile e più consapevole una valutazione dei rischi e dei benefici associati a tutte le fonti di radiazioni.

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La scelta delle strategie di prevenzione e di riduzione del rischio corrispondente dipende da molti fattori, quali la diffusione sul territorio, l’impatto globale delle eventuali azioni correttive, tutte, a loro volta, pesate sui fattori socio economici.

La comunicazione dei rischi relativi all’esposizione al radon assume un ruolo fondamentale e rappresenta una “sfida” per gli stakeholders coinvolti in tale problematica, poiché l’esistenza di questo gas e dei rischi per la salute umana spesso non sono conosciuti alla popolazione.

Da queste considerazioni emerge la necessità di approfondire e di diffondere la conoscenza sull’impatto delle esposizioni a sorgenti di radiazioni ionizzanti, con l’obiettivo di rendere più comprensibile e più consapevole una valutazione dei rischi e dei benefici associati a tutte le fonti di radiazioni.

L’esposizione al radon

In relazione all’esposizione al radon, una rappresentazione del territorio nazionale viene dai risultati di un’indagine effettuata nel corso degli anni ’80 e ’90, ma ancora valida per le caratteristiche del fenomeno, con una copertura nazionale completa (Figura 7.6).

Figura 7.6: Carta tematica delle concentrazioni di attività di Rn- 222 nelle abitazioni, per regione e provincia autonoma (la scelta degli intervalli ha valore esemplificativo) (1989-1997)6

Nel Lazio e nella Lombardia si evidenzia un’elevata concentrazione di radon (Rn-222).

La differenza con le altre regioni è dovuta al diverso contenuto di uranio nelle rocce e nei suoli e alla loro differente permeabilità.

In termini di risposta, la protezione dall’esposizione al radon nei luoghi di lavoro è stata introdotta nella normativa con il D.Lgs. n. 241 del 2000, che modifica e integra il D.Lgs. n. 230 del 1995. Il decreto prevede obblighi per gli esercenti dei luoghi di lavoro e per le regioni.

In particolare, a quest’ultime è affidato il compito di individuare le zone a maggiore probabilità di alte concentrazioni di attività di radon.

6Fonte: Bochicchio, F. et al., Results of the national survey on radon indoors in the all the 21 italian region, Proceedings of Radon in the Living Environmental Workshop, Atene, Aprile 1999

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In attesa della definizione dei criteri con cui definire le zone e delle indicazioni sulle metodologie per la loro individuazione, alcune regioni e alcune ARPA/APPA hanno avviato studi e indagini per avere una classificazione delle aree a diversa probabilità di alte concentrazioni di radon. La Figura 7.7 indica le regioni per le quali sono disponibili dati e valutazioni sul radon dal 2002. Attualmente alcune delle regioni che hanno già effettuato indagini sul radon, indicate con il colore verde nella cartina, stanno operando per incrementare il numero di misurazioni, finalizzato a una mappatura più completa del territorio regionale. Sono ancora scarse e sporadiche le informazioni sulle azioni di bonifica di ambienti con elevate concentrazioni di radon con riferimento sia ad ambienti di tipo residenziale sia di lavoro. La Commissione Europea sta affrontando il problema dell’esposizione al radon nell’ambito di una nuova direttiva, attualmente in discussione da parte degli Stati membri per l’approvazione finale, nella quale sono indicate le risposte al fine di affrontare e ridurre l’impatto del fenomeno.

Figura 7.7: Regioni (in verde) in cui, a partire dal 2002, sono stati sviluppati studi/iniziative mirati all’identificazione delle aree soggette a rischi radon (dicembre 2012)7

In attesa della definizione dei criteri con cui definire le zone a rischio radon e delle indicazioni sulle metodologie per la loro individuazione, alcune regioni e alcune

ARPA/APPA hanno avviato studi e indagini per avere una classificazione delle aree a diversa

probabilità di alte concentrazioni di radon.

La sorveglianza della radioattività ambientale

La sorveglianza della radioattività ambientale in Italia è organizzata, in ottemperanza al D.Lgs. 230/95 e s.m.i. e alla normativa comunitaria, da un insieme di reti che si articola su tre livelli: locale, regionale e nazionale. Le reti locali esercitano il controllo attorno agli impianti nucleari; le reti regionali sono incaricate del monitoraggio della radioattività ambientale sul territorio regionale e le reti nazionali raccolgono i dati al fine di rappresentare la situazione a livello nazionale, anche in occasione di eventi anomali.

La sorveglianza della radioattività ambientale, in Italia, si articola su tre livelli:

locale, regionale e nazionale.

7Fonte: ISPRA, ARPA/APPA

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Sono di seguito riportati gli andamenti negli anni della concentrazione di cesio-137 nel particolato atmosferico, nelle deposizioni umide e secche e nel latte vaccino che rappresentano indicatori storici della presenza di radionuclidi nell’ambiente (Figure 7.8, 7.9, 7.10).

Figura 7.8: Trend della concentrazione di Cs-137 nel particolato atmosferico in Italia8

Si possono osservare i picchi di contaminazione relativi all’arrivo in Italia della

“nube di Chernobyl”

(aprile 1986), nonché quello dovuto a un incidente in una fonderia spagnola presso Algeciras (giugno 1998), rilevato in modo più evidente nel Nord Italia. I valori registrati negli ultimi anni sono stazionari e ben al di sotto del reporting level fissato dalla CE (30 mBq/m3).

Figura 7.9: Trend delle deposizioni umide e secche di Cs-137 in Italia9

Si evidenziano gli eventi di ricaduta associati ai test effettuati in atmosfera negli anni ’50-’60 e il picco relativo all’incidente di Chernobyl nel 1986, a partire dal quale l’andamento dei valori di contaminazione presenta tendenziale diminuzione. Per questa matrice non esiste un reporting level.

8 Fonte: Elaborazione ISPRA sui dati ISPRA/ARPA/APPA raccolti da ISPRA Servizio laboratorio radiazioni ambientali; OECD-ENEA, 1987, The Radiological impact the Chernobyl accident in OECD countries, Parigi; ISPRA

9Fonte:Ibidem

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Figura 7.10: Trend deposizione della concentrazione di Cs-137 nel latte vaccino in Italia10

Si evince la riduzione dei livelli di contaminazione nel latte vaccino, negli anni successivi all’incidente di Chernobyl e la stazionarietà negli anni successivi con valori inferiori al reporting level fissato dalla CE (0,5 Bq/l).

L’incidente di Fukushima del marzo 2011 non ha comportato alcun significativo contributo aggiuntivo della presenza di radionuclidi nelle matrici coinvolte, dati i valori estremamente bassi riscontrati per i soli periodi immediatamente successivi l’incidente.

Tuttavia, al fine di rispondere alla domanda di informazione del pubblico, sono state effettuate nel solo periodo marzo - gio 2011 circa 1.500 misurazioni in più rispetto al normale programma di monitoraggio.

In termini di indicatori di risposta, il quadro della situazione italiana è monitorato attraverso l’attuazione del programma di monitoraggio delle reti.

In tabella 7.1 sono presentati i punteggi attribuiti per la valutazione del monitoraggio nazionale, a partire dal 1997, sulla base di una metodologia elaborata in occasione del progetto ECOEHIS - Development of Environment and Health indicators for EU countries.

Per l’attribuzione del punteggio annuale si sono considerate le seguenti matrici: particolato atmosferico, dose gamma in aria, latte vaccino, acqua superficiale e acqua potabile.

Per ciascuna di queste matrici sono stati valutati i seguenti aspetti:

frequenza di misura, sensibilità di misura, distribuzione territoriale dei controlli, regolarità del monitoraggio, organizzazione e partecipazione a iniziative di interconfronto su scala nazionale.

10Fonte: Elaborazione ISPRA su dati ISPRA/ARPA/APPA raccolti da ISPRA Servizio laboratorio radiazioni ambientali, OECD-ENEA, 1987, The Radiological impact the Chernobyl accident in OECD countries, Parigi, ISPRA

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Tabella 7.1: Valutazione dello stato di attuazione del monitoraggio per le reti nazionali 11

Anno Punteggio Giudizio

1997 15 sufficiente

1998 17 sufficiente

1999 13 insufficiente

2000 17 sufficiente

2001 17 sufficiente

2002 17 sufficiente

2003 17 sufficiente

2004 17 sufficiente

2005 17 sufficiente

2006 17 sufficiente

2007 17 sufficiente

2008 17 sufficiente

2009 16 sufficiente

2010 17 sufficiente

2011 20 sufficiente

Legenda

Classi di qualità: insufficiente 0-14 sufficiente 15-20 buono 21-25

L’analisi sull’attuazione del piano di monitoraggio ha evidenziato un miglioramento nell’ultimo anno;

permane, tuttavia, una

disomogeneità nella copertura del territorio nazionale

Il giudizio attribuito per il 2011 è sufficiente, ma il punteggio è aumentato rispetto all’anno precedente, in quanto alcuni laboratori, anche a seguito dell’evento incidentale di Fukushima, si sono attivati per effettuare misure su matrici (quali aria, fallout e latte) che precedentemente non analizzavano. Permane, tuttavia, una disomogeneità sull’attuazione dei programmi e sulle misure eseguite dai diversi laboratori, con una non completa copertura del territorio nazionale.

Specificità regionali

È prossima alla conclusione una campagna di misure di radon nelle abitazioni abruzzesi, basata su uno schema di campionamento stratificato e multistadio, rappresentativo della popolazione, che, stando ai risultati parziali finora emersi, consentirà una revisione sostanziale del valore medio regionale di esposizione residenziale al radon derivante dai risultati dell’indagine nazionale radon dei primi anni ’90. Questo tipo di approccio, che ottimizza l’impiego di risorse concentrando le operazioni di misura in un campione di comuni, può costituire una valida ed economica alternativa a campagne di misura che coinvolgano tutti i comuni di una regione, in particolare negli step iniziali di un processo di mappatura del radon funzionale all’individuazione di eventuali radon-prone areas ai sensi dell’art. 10- sexies del D.Lgs. 241/2000. Per quanto concerne l’estensione a tutto il territorio regionale di un livello adeguato di conoscenza del fenomeno radon, la strategia già intrapresa, senza escludere l’effettuazione di ulteriori indagini campionarie, è quella di mappare il potenziale radon geogenico mediante l’implementazione di modelli statistici opportunamente tarati con i dati a disposizione e capaci di utilizzare informazioni di tipo geologico e geochimico dettagliate sull’intero territorio di interesse.

ARTA Abruzzo

11 Fonte: Elaborazione ISPRA/ARPA Emilia-Romagna

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In seguito al grave incidente occorso alla centrale nucleare ucraina di Chernobyl il 26 aprile del 1986 e alle precipitazioni più abbondanti nelle zone montane Nord-occidentali della regione, sul Piemonte furono contaminate maggiormente queste aree rispetto alle zone di pianura. Di tutti i radionuclidi depositatisi al suolo, attualmente è ancora possibile riscontrare il Cs-137, per il tempo di dimezzamento di circa trent’anni. In alcune zone del territorio è quindi possibile misurare concentrazioni medio-alte di Cs-137 nel suolo o in matrici specifiche. Tra le matrici animali c’è in particolare la selvaggina e tra quelle vegetali ci sono i funghi, i mirtilli, le bacche e i frutti di bosco.

Poiché nelle zone montane il terreno non viene arato per la coltivazione, il Cs-137, già depositatosi maggiormente rispetto alle zone di pianura, si trova ancora soprattutto nei primi 10 cm di suolo.

Per questo motivo le piccole radici degli arbusti o i miceli dei funghi hanno maggiore probabilità di assorbire il Cs-137 e trasferirlo ai frutti.

Di conseguenza anche gli animali selvatici, che si nutrono di queste piante, accumulano più Cs-137 degli animali che vivono in zone meno contaminate. ARPA Piemonte studia da anni questo fenomeno, effettuando misure di Cs-137 su funghi, frutti di bosco, castagne, selvaggina, ecc.

Le concentrazioni misurate, seppur a volte significativamente maggiori di quelle riscontrate in altre matrici alimentari, non hanno però peso ai fini della dose alla popolazione. Infatti, la dose dovuta al consumo di questi alimenti è di circa 60 volte inferiore alla dose da radioattività naturale e 25 volte inferiore al limite imposto dalla normativa (D.Lgs. 230/95) per la dose da radioattività di origine artificiale pari a 1 mSv/anno.

ARPA Piemonte

L’ARPA Valle d’Aosta in collaborazione con l’ARPA Piemonte sta conducendo delle analisi su una matrice ambientale che, da qualche anno, è oggetto di attenzione da parte di diversi gruppi di ricerca nel campo della radiometria ambientale: la crioconite. Le crioconiti sono particolari accumuli di polvere aerodispersa che si deposita sulla superficie dei ghiacciai e sulla soprastante copertura nevosa, la cui composizione risulta alquanto complessa e comprende materia cosmogenica, geogenica, biogenica e antropogenica. I primi risultati radiometrici mostrano concentrazioni di attività dei radionuclidi molto elevate rispetto alle matrici ambientali comunemente analizzate, in particolare risultano ben evidenti il Cs 137 e, nei campioni prelevati nel 2011, il Cs 134 riconducibile al fall-out successivo all’incidente di Fukushima del marzo 2011. Si è riusciti, inoltre, a quantificare il Bismuto 207 che risulta essere stato immesso in atmosfera durante i test termonucleari degli anni ’60 e il Plutonio 238 dovuto principalmente al rientro in atmosfera nel 1964 di un satellite americano equipaggiato con un generatore elettrico contenete materiale radioattivo.

ARPA Valle d’Aosta

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GLOSSARIO Decommissioning:

Fase di declassamento, decontaminazione e smantellamento di un impianto nucleare, che ha lo scopo di giungere alla demolizione dell’impianto e alla rimozione di ogni vincolo dovuto alla presenza di materiale radioattivo nel sito.

Effetti deterministici:

Lesioni anatomiche con perdita di funzionalità d’organi e tessuti, indotte da esposizioni molto elevate, ad esempio quelle ricevute a seguito dell’incidente di Chernobyl dagli operatori dell’impianto. La gravità clinica aumenta con la dose, è impiegata una specifica grandezza denominata “dose assorbita” la cui unità di misura è il Gray (Gy).

Effetti stocastici:

Effetti che colpiscono in modo casuale gli individui esposti o i loro discendenti, si suppone possano essere causati anche da dosi basse di radioattività, come quelle tipicamente ricevute nella vita quotidiana. Al fine di quantificare il rischio di incorrere in questo tipo di effetti si utilizza una specifica grandezza, denominata “dose efficace”, la cui unità di misura è il Sievert (Sv).

Fallout:

Ricaduta di materiale radioattivo a seguito di un’esplosione nucleare.

Intensità di dose gamma:

Si intende l'energia ceduta dalla radiazione gamma all'unità di massa di tessuto in un intervallo di tempo, e si misura in Sievert/ora (Sv/h). La dose gamma assorbita in aria è dovuta a due contributi principali: la radiazione cosmica e quella terrestre. In particolare la componente terrestre varia in funzione delle caratteristiche del suolo circostante e se all'esterno (outdoor) o all'interno (indoor) degli edifici.

Radiazioni ionizzanti:

Particelle e/o energia di origine naturale o artificiale in grado di modificare la struttura della materia con la quale interagiscono, attraverso l’induzione di fenomeni di ionizzazione.

Radiocontaminazione:

Presenza in una sostanza o nell’ambiente di radioelementi indesiderati e nocivi.

Radionuclide:

Nuclide instabile che decade emettendo energia sotto forma di radiazioni ionizzanti.

Radon:

Gas naturale radioattivo prodotto dal decadimento del radio presente nei suoli e in alcuni materiali impiegati in edilizia. In assenza di incidenti nucleari rilevanti rappresenta la principale fonte di esposizione a radiazioni ionizzanti per la popolazione. In aria aperta si disperde rapidamente non raggiungendo quasi mai concentrazioni elevate, mentre nei luoghi chiusi (case, scuole, ambienti di lavoro, ecc.) tende ad accumularsi fino a raggiungere, in particolari casi, concentrazioni ritenute inaccettabili per la salute.

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