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L'Indice dei libri del mese - A.13 (1996) n.02, febbraio

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(1)

FEBBRAIO 1 9 9 6 ,

ANNO XIII LIRE 9.500 N. 2

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Cibo giovani malessere

Anna Panepuca, Massimo Montanari,

Mara Selvmi Palazzoli, Anna Mannucci

(2)

IL LIBRO DEL MESE

6 Paolo Vineis

Delia Frigessi

Marie de Hennezel

Enrico Camanni,

Mirta Da Pra Pocchiesa

AA.VV.

La morte amica

L'ultimo messaggio

Suicidio. La cronaca la stampa

la società la cultura

MEDICI E MALATTIA LETTERATURA l NARRATORI ITALIANI EPISTOLARI LINGUA ITALIANA LIBRI DELLA VITA ARTE STORIA

7 Massimo Porta

Roberto Beneduce

8 Claudio Gorlier

Carmen Concilio

9 Luca Bianco

Eva Stahl

Theophrast von Hohenheim

Oliver Sacks

V.S. Naipaul

Wole Soyinka

Chinua Achebe

Emmanuel Carrère

Michael Bishop

Paracelso

Contro i falsi medici

Un antropologo su Marte

Una via nel mondo

Mito e letteratura

Attento "Soul Brother" !

Io sono vivo e voi siete morti

L'alternativa

Concepiti di notte, di Marina Leonardini e Alessandro De Francesco

Nico Orengo

Silvana Grasso

Mario Rigoni Stern

L'autunno della signora Waal

Ninna nanna del lupo

Le stagioni di Giacomo

10 Rossella Bo

Vittorio Coletti

11 Sergio Pent

Ermanno Olmi

Alessandro Fo Gianni D'Elia

Contadini, di Lidia De Federicis

12 Alberto Boatto Alberto Arbasino

Ero triste e scontroso, da Cantonate di Urbino di Paolo Volponi

13 Bruno Pischedda Anna Longoni, Diana

Ruesch (a cura di)

Luciano Genta Valentino Bompiani, Cesare

Zavattini

14 Elisabetta Soletti Bice Mortara Garavelli

Dario Voltolini Stefano Bartezzaghi

15 Anche Marx viene dopo, intervista a Pietro Ingrao di Eliana Bouchard

16 Serena Romano Martina Bagnoli, Valentino II Gotico Europeo in Italia

Pace (a cura di)

Serenella Rolfi Aloisio Antinori Scipione Borghese e l'architettura

17 Lina Bolzoni Ezio Raimondi II colore eloquente

18 I cento anni di Marc Bloch, di Giuseppe Gouthier

Federigo Argentieri Gabriele Eschenazi, Ebrei invisibili

Gabriele Nissim

Gli anni giovani

"Parigi o cara"

Soltanto le parole. Lettere di

e a Ennio Flaiano (1933-1972)

Cinquant'anni e più...

Ricognizioni

Anno Sabbatico

La morte ci riguarda tutti, per questo

non ne parliamo volentieri.

Frangois Mitterrand ha dato la

sensazio-ne di potersensazio-ne parlare e di poter guardare

al-la propria morte senza negaral-la e senza

soc-combere alla paura e alla disperazione.

Composto, dignitoso, ha deciso di

condivi-dere le sue domande con interlocutori

pri-vilegiati— il papa, un filosofo —

attraver-so i quali però ha finito per rivolgersi a tutti

noi, offrendoci l'occasione divedere con

ri-spettosa curiosità come un uomo vicino alla

morte possa riflettere sulla propria fine.

Forse in ciò lo ha aiutato l'incontro con

Marie de Hennezel e con il suo centro di

cure palliative; per questo ha voluto

scri-vere una prefazione al libro della de

Hen-nezel, La morte amica, che "L'Indice" ha

scelto come Libro del Mese di febbraio.

Anche in questa occasione Mitterrand ha

posto le domande sue e di tutti noi,

con-sapevole dell'ineluttabile assenza di

ri-sposte, ma anche della necessità di

trova-re una forma, un modo, un luogo del

cor-po e dello spirito dove cor-poterle cor-porre.

La cultura laica contemporanea è

radi-calmente inadeguata nell'aiutarci ad

av-vicinare con qualche consapevolezza

l'u-nica esperienza che, con la nascita, è

con-divisa da tutti. Una volta scomparsi gli

argini costituiti da riti, tradizioni,

fami-glie allargate, gruppi compatti, allora le

emozioni connesse alla morte sembrano

troppo potenti per essere tollerate. Forse

proprio per questo nell'affrontare la

(3)

LIBRI DI TESTO

19 Maddalena Rusconi

Luciano Cheles

20 Giovanni Filoramo

Lidia Storoni Mazzolani

Cosma Siani

Gitta Sereny

AA.VV.

Eli Barnavi (a cura di)

Franco Montanari

Giuseppe Ragazzini

In lotta con la verità

Art and Power

Atlante storico del popolo ebraico

Gì Vocabolario della lingua greca

Il Ragazzini terza edizione

21

I N S E R T O S C H E D E

CIBO GIOVANI MALESSERE

37 Bulimiche e anoressiche tra Eco e Narciso, di Anna Panepucci

II disagio di mangiare, di Eliana Bouchard

38 Massimo Montanari Walter Vandereycken, Ran Dalle sante ascetiche alle

van Deth ragazze anoressiche

39 Noi le salviamo così, intervista a Mara Selvini Palazzoli di Anna Mannucci

40 Bibliografia

LIBER

42 Una doppia cosmogonia nazionale, di Pierre Bourdieu e Keith Dixon

Biblioteca europea

43 1984 Glasgow: Alasdair Gray, Tom Léonard, James Kelman, di H. Gustav Klaus

44 Le ambiguità del racconto delle origini, di Martin Chalmers

46 II mito della società civile, di Tom Nairn

Scozia: una cronologia politica e culturale

BIBLIOGRAFIE FILOSOFIA

SEZIONE

47 Guido Bonino

48

49

50

Diego Marconi

Carlo Augusto Viano

Gianluca Cuozzo

Cesare Piandola

Carlo Violi (a cura di)

Roberta De Monticelli

Antonio R. Damasio

Henry Sidgwick

Karl Lowith

Bibliografia degli scritti

di Norberto Bobbio 1934-1993

L'ascesi filosofica

L'errore di Cartesio

I metodi dell'etica

Scritti sul Giappone

Marx, Weber, Schmitt

DENTRO LO SPECCHIO

51 Annalisa Ferretti

Elizabeth Bott Spillius (a cura di) Melanie Klein Today

ANTROPOLOGIA

53 Roberto Beneduce

Tobie Nathan

Tobie Nathan, Isabelle

Stengers

Piero Coppo

L'influence qui guérit

Médecins et sorciers

Guaritori di follia

54

N O V I T À DI FEBBRAIO

55

A G E N D A

RECENSORE

AUTORE

TITOLO

EditorialE

tende ad avere un ruolo così

preponde-rante.

Fin dagli anni settanta Elizabeth

Ku-bler Ross nel suo La morte e il morire

af-frontò il tema dell'accompagnamento alla

morte, distinto dalla cura, e da allora

di-verse esperienze sono state fatte in

Ame-rica e in Europa — esperienze però che

ri-mangono isolate e di cui si parla poco.

Difficile è per il medico riconoscere e

ri-spettare i limiti delle proprie possibilità di

intervento, limitandosi appunto alla cura

palliativa; difficile per il paziente

affron-tare l'idea della fine, per i parenti essere

capaci di accogliere e condividere le

ango-sce di chi muore, quando loro stessi ne

so-no sopraffatti, poiché ogni morte, oltre a

quella dell'altro, rimanda alla propria.

Le parole di Francois Mitterrand ci

dico-no quello che gli operatori che lavoradico-no

con malati terminali sanno, soprattutto

se, come nel caso di questo gruppo

parigi-no, hanno avuto la forza di rinunciare allo

schermo della medicalizzazione.

Preparar-si a morire può essere occaPreparar-sione di portare

a compimento la propria vita, e qualche

volta un momento di preziosa evoluzione

delle persone vicine. Questa è l'occasione

in cui i vissuti di separazione, di

solitudi-ne, la paura dell'ignoto sono presenti in

tutta la loro radicalità; ma se tutto questo

può essere accolto e condiviso, allora forse

può essere riconosciuto e trasformato, e

prepararsi alla morte può anche diventare

una luminosa esperienza di vita.

(4)

L'Unità e la Ricordi vi offrono l'opportunità di realizzare una splendida videoteca sul cinema italiano a un prezzo estremamente

vantaggioso. Da II sorpasso a Una giornata particolare, da Bianca a II ladro di bambini, ogni sabato e per sedici settimane con l'Unità

troverete un grande film.

Giornale più videocassetta a sole 6.000 lire.

Da De Sica a Spielberg, da Truffaut a Kubrick: l'Unità pubblica la storia del cinema

attraverso i ritratti di venticinque grandi autori. Una collana di venticinque

libri per chi ama il cinema.

(5)

FEBBRAIO 1 9 9 ó

Gialliste italiane. Quale lettrice

della vostra rivista mi rivolgo a voi per cercare di risolvere un piccolo problema. Da un po' di tempo so-no alla ricerca (senza successo) di nomi di scrittrici italiane (famose e meno famose ma valide da un punto di vista letterario) che scri-vano gialli, thriller o romanzi di avventura, nonché di case editrici che abbiano pubblicato i loro li-bri o che si occupino di tale setto-re.

Patrizia Marcotti, Brescia Nel romanzo giallo-poliziesco (thriller, mystery, nessuna defini-zione è esaustiva) le scrittrici italia-ne sono poche, e per lo più occasio-nali. Segnalo fra gli editori La Tar-taruga, specializzata in letteratura di donne, e la sua collana specifica, "La Tartaruga nera", in cui sono uscite Martina Vergani (In fondo al

lago, 1984), Silvana La Spina (Mor-te a Palermo, 1987), Fiorella

Ca-gnoni (Questione di tempo, 1984, e Incauto acquisto, 1992). Attual-mente però sia la Cagnoni sia so-prattutto Silvana La Spina sembra-no rivolte ad altri generi. Una vera professionista nel settore è Laura

Grimaldi, che ha diretto il Giallo Mondadori e poi, assieme a Marco Tropea, ha ideato Interno Giallo (pubblicandovi fra l'altro Complice

il dubbio, 1992, di Maria Rosa

Cu-trufelli) ed è passata inoltre alla scrittura in proprio con la trilogia II

sospetto (Mondadori 1988), La colpa (Leonardo, 1990) e La paura

(Mondadori, 1993). "Amo usare il giallo (anzi, il noir) come pretesto: mi permette di affrontare temi gròs-si — dice la Grimaldi — e il pengròs-sie- pensie-ro della morte". Anche nel Giallo Mondadori, che, senza pretese lette-rarie, resta il laboratorio del gialli-smo italiano, compare qualche fir-ma femminile: come la recensita da Cesare Cases ("L'Indice", 1994, n. 9) Daniela Comastri Montanari.

Nel 1995 Rusconi ha pubblicato il quinto romanzo, Qualcuno a

N . 2, PAG. 5

mezzanotte, di Gianna Baltaro, giornalista ed ex cronista, che ha esordito nel genere tardivamente scrivendo storie vecchiotte di am-biente torinese. La Biblioteca del Vascello ha invece ristampato

Sherlock Holmes, anarchici e si-luri, una spy story, un

divertimen-to intellettuale di Joyce Lussu, fi-gura storica dell' impegno politico, già moglie di Emilio e scrittrice dai variegati interessi (con saggi, rac-conti, traduzioni).

Lidia De Federicis

I tedeschi del Belgio. Sono,

pur-troppo da pochi mesi, una vostra

entusiasta lettrice. Spero di recu-perare con l'acquisto del Cd-Rom quanto mi sono persa in questi an-ni. Ho apprezzato molto l'articolo di Zolberg sul Belgio (Liber, "L'Indice", 1995, n. 10), ma mi re-sta aperto un quesito sulla posizio-ne della minoranza germanofona rispetto al federalismo e, più in ge-nerale alla vita del Belgio attuale. Mi potete rispondere?

Paola Sessa, Vicenza Abbiamo trasmesso la sua lettera alla redazione di "Liber", nelle cui pagine l'articolo di Zolberg era ap-parso. Però abbiamo anche

interpel-lato il professor Gustavo Buratti, se-gretario per l'Italia dell'Associazio-ne internazionale per la difesa delle lingue e delle culture minacciate. (Aidlcm, Via Firenze 4, Biella). La minoranza germanofona belga si di-vide in due gruppi. Il primo, di lin-gua tedesca, è concentrato a Eupen (Liegi), conta circa 60.000 abitanti, gode di completa autonomia e rico-noscimento (il tedesco è insegnato nelle scuole e usato nell'ammini-strazione). Il secondo comprende i belgi germanofoni della regione del Lussemburgo, da non confondersi con l'omonimo granducato, di cui sono finitimi (la città più

importan-Le immagini di questo numero

Federico Peliti. Un fotografo piemontese al tempo della regina Vittoria, Peliti

Asso-ciati, Roma 1993, pp. 296, Lit 80.000.

LIndda, le sue architetture, le foreste, gli abitanti, gli animali e tutto il pittoresco, caro non soltanto agli inglesi, sono restituiti dalle fotografie di un pasticciere piemontese, nato

a Carignano nel 1844. Fotografo, scultore, amatore d'arte e collezionista, oltre che raffi-natissimo confettiere, Federico Peliti è testi-mone della società e della cultura coloniale nell'India inglesizzata al momento del suo massimo splendore.

Il catalogo, a cura di Marina Miraglia, contiene, oltre alle immagini bellissime — 196 fotografie in tricromia — scritti, fra gli altri, di Maria Antonella Fusco, Marina Miraglia, Massimiliano Alessandro Poli-chetti. La catalogazione scientifica delle immagini, che appartengono alle collezioni

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fotografiche dell'Istituto Nazionale per la Grafica di Roma, è a cura di Maria France-sca Bonetti.

te è Arlon): questa è invece un'area germanofona ignorata, con nessun genere di tutela. Per ulteriori infor-mazioni si può leggere il libro

L'Eu-ropa delle Etnie di Guy Heraud. a.p.

Guida degli Archivi. Desidero

informarvi che la Guida Generale

degli Archivi di Stato italiani

(re-censita in occasione dell'uscita del IV volume nel numero di gennaio '95) è in vendita a queste condi-zioni: Voi. I (A-E), Roma 1981, Lit 12.500; Voi. II (F-M), Roma 1983, Lit 29.200; Voi. III (N-R), Roma 1986, Lit 43.100; Voi IV (S-Z), Roma 1994, Lit 110.000. La diffusione e la vendita dell'opera, edita a cura dell'Ufficio Centrale per i Beni Archivistici presso il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, risulta affidata all'I-stituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato. Spero che questa precisazione, per quanto tardiva, possa risultare uti-le per una migliore informazione del lettore.

Elisabetta Squartini, Roma Traduzioni imperiali. Vi rivolgo

una richiesta forse un po' anoma-la: potreste indicarmi una casa editrice che pubblichi traduzioni dal tedesco di opere storiografi-che concernenti la storia del cri-stianesimo e dell'Impero Roma-no? Spesso si lamenta (anche da parte vostra) la carenza di tradut-tori di opere meritevoli di divulga-zione (soprattutto in lingua tede-sca), ma ho l'impressione che le case editrici in questo campo si muovano con eccessiva circospe-zione.

Costante Mulas, Cagliari Il problema che lei solleva è reale. Comunque tra le case editrici che pubblicano gli studi che le interessa-no segnaliamo Camunia, Ecig e]aca Book.

a.p.

Hanno collaborato

Federigo Argentieri:

ricercato-re del Cespi. E stato cofondatoricercato-re dell'Istituto per la storia della rivo-luzione ungherese del 1956.

Roberto Beneduce: psichiatra,

si occupa di antropologia medica e lavora a Torino sui problemi psi-cologici connessi alla migrazione (con R. Collignon ha curato II

sor-rise» della volpe, Liguori, 1995). Luca Bianco: laureando in

sto-ria della critica d'arte.

Rossella Bo: dottore di ricerca

in scienze letterarie.

Alberto Boatto: saggista e

cri-tico d'arte (Della guerra e

del-l'aria, Costa & Nolan, 1992). Lina Bolzoni: insegna storia

della critica letteraria all'Univer-sità di Pisa.

Martin Chalmers: critico e

tra-duttore scozzese.

Luciano Cheles: insegna nel

Dipartimento di Studi italiani dell'Università di Lancaster (The

FarRight in Western andEastern Europe, Longman, 1995).

Vittorio Coletti: insegna storia

della lingua italiana all'Univer-sità di Genova.

Carmen Concilio: specialista

di letteratura e lingua inglese.

Gianluca Cuozzo: studioso e

traduttore di Karl Lowith, sta svolgendo un dottorato di ricer-ca presso l'Università di Torino.

Lidia De Federicis: si occupa

di didattica e storia della lettera-tura. Con Remo Ceserani ha pubblicato il Manuale di

lettera-tura (Loescher, 1993).

Keith Dixon: studioso della

cultura scozzese; insegna all'Uni-versità di Grenoble.

Annalisa Ferretti: membro

del-la Aipsi. Vive e del-lavora a Torino.

Giovanni Filoramo: insegna

storia del cristianesimo all'Uni-versità di Torino.

Delia Frigessi: studiosa della

cultura e della storia sociale tra Ottocento e Novecento. Con Ferruccio Giacanelli e Luisa Mangoni ha curato Cesare Lom-broso, Delitto genio follia. Scritti

scelti (Bollati Boringhieri, 1995). Alessandro Fo: insegna

lette-ratura latina all'Università di Siena

{Otto febbraio, Scheiwiller, 1995). Luciano Genta: giornalista de

"La Stampa", redattore di "Tut-tolibri".

Claudio Gorlier: insegna

lette-ratura dei paesi di lingua inglese

all'Università di Torino.

Giuseppe Gouthier: insegna

filosofia alle scuole medie supe-riori.

H. Gustav Klaus: studioso

della letteratura operaia britan-nica e irlandese; insegna all'Uni-versità di Rostock.

Anna Mannucci: giornalista,

coordina il gruppo di studio "Animali e bioetica" della Con-sulta di bioetica.

Diego Marconi: insegna

filo-sofia del linguaggio all'Univer-sità di Vercelli.

Massimo Montanari: insegna

storia medievale all'Università di Catania.

Tom Nairn: scrittore e

giorna-lista (The Enchanted Glass, Ra-dius, 1988).

Ermanno Olmi: regista

cine-matografico.

Anna Panepucci:

psicoanali-sta, membro didatta dell'Alpa, curatrice di Psicoanalisi e

iden-tità (Laterza, 1995).

Sergio Pent: insegnante. Ha

pubblicato saggi sull'opera di Bellow e Quarantotti Gambini per "Uomini e libri".

Cesare Pianciola: insegna

sto-ria e filosofia nei licei. Ha

pubbli-cato, presso Loescher, volumi antologici su Marx e sul pensiero francese del Novecento.

Eugenio Pintore: responsabile

della biblioteca di Settimo Tori-nese, conduce da anni un labora-torio di scrittura.

Bruno Pischedda: collabora

alla cattedra di storia della lette-ratura italiana moderna e con-temporanea all'Università di Mi-lano {Due modernità. Le pagine

culturali deirVnità": 1945-1965,

Feltrinelli, 1995).

Massimo Porta: professore

as-sociato di terapia medica all'Uni-versità di Torino.

Serenella Rolfì: dottoranda in

storia dell'arte all'Università di Bologna.

Serena Romano: direttore del

Gabinetto Fotografico Naziona-le di Roma e docente di storia dell'arte medievale dei paesi eu-ropei all'Università della Tuscia.

Massimiliano Rossi: storico

dell'arte, si occupa del rapporto tra parole e immagini nel Cin-quecento, in particolare tra scul-tura e letterascul-tura di area veneta.

Maddalena Rusconi:

laurean-da in storia contemporanea al-l'Università di Torino.

Mara Selvini Palazzoli:

medi-co psichiatra e psimedi-cologa dell'età evolutiva, direttore del "Nuovo centro per lo studio della famiglia".

Cosma Siani: insegnante, si

oc-cupa di didattica della letteratura

(Lingua e letteratura. Esplorazio-ni e percorsi nell'insegnamento delle lingue straniere, La Nuova

Italia, 1992).

Elisabetta Soletti: insegna

sto-ria della lingua italiana all'Uni-versità di Torino.

Lidia Storoni Mazzolani:

col-labora a "la Repubblica" ed è scrittrice di storia antica

(Ambro-gio vescovo, Garzanti, 1992). Rita Valentino Merletti:

gior-nalista free lance ha svolto atti-vità di didattica e ricerca presso la Boston University.

Carlo Augusto Viano: insegna

storia della filosofia all'Univer-sità di Torino; ha curato Teorie

etiche contemporanee (Bollati

Boringhieri, 1990).

Paolo Vineis: epidemiologo,

lavora presso l'Ospedale Mag-giore di Torino (L'osservazione

medica, Garzanti, 1992). Dario Voltolini: ha scritto i

te-sti per l'opera musicale

(6)

Un mantello per morire

di Paolo Vineis

MARIE DE HENNEZEL, La m o r -te amica, prefaz. di Francois Mitterand, Rizzoli, Milano 1996, ed. orig. 1995, trad. dal francese di Laura Revelli, pp.

257, Lit 25.000.

Il libro, dal sottotitolo "Lezioni di vita da chi sta per morire", è sta-to scritsta-to da una psicanalista jun-ghiana (peraltro, all'apparenza, molto eterodossa), fondatrice di un centro di cure palliative per ma-lati terminali in un grande ospeda-le parigino. Le reazioni che esso suscita sono diverse e contrastanti. La prima reazione, per un operato-re sanitario italiano, è di incoperato-redu- incredu-lità: si stenta a credere che in una grande struttura pubblica esista un servizio il cui fine è dichiaratamen-te affettivo-psicologico, consisdichiaratamen-ten- consisten-te nell'alleviare le sofferenze ma soprattutto nell'accompagnare il paziente terminale verso una "buona morte". La Hennezel non

risparmia le critiche (non nuove) all'accanimento terapeutico e alla freddezza di una medicina che li-mita il proprio compito all'allonta-namento spazio-temporale del de-cesso: il malato deve morire il più tardi possibile (che lo voglia o no, in molti casi) e possibilmente lon-tano, in isolamento: quella che Norbert Elias ha definito la "soli-tudine del morente". A queste cri-tiche, certamente non originali, la Hennezel contrappone una pro-posta che è in parte tecnico-pro-fessionale in parte soggettiva e filo-sofica. Sul piano tecnico, molte considerazioni sulla necessità di introdurre, nella vita del morente, accanto o al posto delle straniami e spesso inutili prestazioni mediche, modalità di contatto fisico e pre-senza umana sono certamente con-vincenti. L'individuo deve uscire dalla vita almeno con le stesse cure e attenzioni con cui vi è entrato: la morte — sostiene la Hennezel — è qualcosa di troppo importante per considerarla solo il momento ter-minale di una sgradevole agonia. Dunque il paziente va accompa-gnato e aiutato a mettere ordine nelle proprie relazioni — con i fa-miliari, per esempio — e nel pro-prio equilibrio interiore. Il termine "palliativo" deriva da pallium (mantello), e suggerisce che il ruo-lo del terapeuta consiste nel "cir-condare con un manto protettivo le spalle del morente".

Il libro è ricco di esempi, anche commoventi, di "buone morti",

nelle quali i pazienti — con l'assi-stenza dei terapeuti — hanno "chiuso i conti in sospeso". Anco-ra sul piano professionale, non so-lo colpisce la sensibilità dell'intera équipe di Parigi (ma sarà tutto ve-ro? Non vi saranno mai cedimenti, rivendicazioni corporative...?), ma anche l'insistenza sull'ambiente adeguato, l'accoglienza dei pazien-ti, l'architettura. Quando l'autrice

dice "Per fortuna abbiamo la no-stra grande veranda, spesso soleg-giata, da cui si vede il parco di Montsouris... A volte vi trasportia-mo anche un letto", oppure — du-rante una visita molto elogiativa di Mitterand all'unità — "dipende dalla struttura architettonica che ricorda la calma dei chiostri, o dal color salmone così tenero del sof-fitto...", non posso fare a meno di pensare all'ospedale in cui lavorò e a molti ospedali italiani, dove que-sti aspetti di gradevolezza ambien-tale sono completamente sottova-lutati.

Sul piano soggettivo-filosofico il libro è circonfuso di quell'entusia-smo "militante", un po' ingenuo e proselitistico, di chi è dedito a una pratica alternativa (in questo caso l'"aptonomia", basata su un ap-proccio tattile affettivo). Da un la-to quesla-to atteggiamenla-to suscita simpatia, se lo si confronta con un diffuso cinismo dell'ambiente

me-dico. D'altro lato, esso suscita irri-tazione per la sua disarmante radi-calità. Pur con molti pregi, il libro è pervaso da una sotterranea ne-crofilia; non solo l'autrice ha dedi-cato la propria vita alla morte, ma lo fa con un entusiasmo che lascia sconcertati. Talora questo entusia-smo rasenta involontariamente la comicità "noire" (tra Breton e la famiglia Addams): "Pervasa dal

senso di pace tutto particolare che provo ogni volta che sosto in medi-tazione accanto a una persona ap-pena scomparsa...".

Ancora dal punto di vista filoso-fico, alcune considerazioni

sull'at-teggiamento dei pazienti verso la morte mi paiono convincenti, altre meno. Per esempio, è interessante una serie di notazioni su come tra-spare, dai comportamenti dei pa-zienti, la compresenza di due pen-sieri contradditori: uno dice "so che sto per morire", l'altro "la morte non esiste"; queste conside-razioni ricordano gli studi sulle re-lazioni medico-paziente

dell'an-tropologo Byron Good. Altre pa-gine sono meno convincenti: un po' forzato, per esempio, mi sem-bra l'uso della psicanalisi junghia-na per sostenere che ujunghia-na "buojunghia-na morte" consiste nel fatto che il

pa-ziente si sveste della "persona", cioè della maschera che gli veniva imposta dai ruoli sociali.

Un argomento importante solle-vato dal libro è quello riguardante l'opportunità di "dire la verità" al paziente. In Italia, come è noto, si tende spesso a occultare la diagno-si di malattie gravi, per la confluen-za di due ordini di motivazioni: da un lato la fiducia nelle capacità te-rapeutiche della tecnologia medica e dall'altro, e in modo più eviden-te, la persistenza di una tradizione paternalistica. Il paternalismo me-dico ha una diffusione geografica che corrisponde all'incirca ai paesi cattolici; i protestanti tengono in maggiore conto la libertà e respon-sabilità individuali, mentre il cat-tolicesimo ha puntato di più sul ruolo protettivo della comunità (vi sarà qualche legame con la diversa distribuzione dei suicidi studiata da Durkheim?). Non intendo dare un giudizio di valore sui due atteg-giamenti, ma tre argomentazioni mi sembrano convincenti nella po-sizione anti-paternalistica della Hennezel. Innanzitutto non dire la verità al paziente è un modo per non affrontare o non ammettere i limiti delle cure mediche. In se-condo luogo, il paternalismo tende sistematicamente a sottovalutare le capacità che i pazienti hanno di ac-cettare la morte e farsene una ra-gione. Può essere peggio — come dimostrano diversi caso portati dalla Hennezel — dibattersi nell'ansia del dubbio piuttosto che sapere qual è il proprio destino. Infine, non conoscere la verità può impedire quel percorso di rappaci-ficazione con il mondo, di "chiusu-ra dei conti aperti" che prelude a una buona morte. Il paternalismo medico, in realtà, non si esaurisce affatto nel tacere la verità: questo è spesso l'ultimo stadio di una lunga storia di scarso rispetto dell'auto-nomia decisionale e dei desideri del paziente. Assai raramente il pa-ziente viene interpellato sull'op-portunità di eseguire esami o tera-pie invasive e di difficile tollerabi-lità. Negli Stati Uniti ha segnato una svolta, sul piano giuridico, una famosa sentenza del giudice Car-doso secondo la quale l'individuo è il primo e principale responsabi-le del proprio corpo, incluse responsabi-le sue manipolazioni a scopo medico. Il paternalismo è giustificato, secon-do i manuali di bioetica, quansecon-do il paziente non è in grado di decidere autonomamente (per esempio per-chè è in coma): ma 0 suo principale e immediato obiettivo è proprio re-staurare la capacità di intendere e di volere dell'individuo. Nella tra-dizione anglo-sassone (protestan-te) questo è il punto di vista domi-nante, mentre la tradizione cattoli-ca si differenzia. Al di là di questo, spesso assistiamo nei nostri ospe-dali a veri abusi di potere e a cla-morose mancanze di sensibilità. Per questo è con qualche incredu-lità che leggiamo le pagine della Hennezel sul colore ideale delle pareti, o sul dottor Clément che "quando esce di casa il mattino per recarsi all'ospedale, pensa sempre alle infermiere... e quando arriva in reparto con il vassoio di paste pro-fumate e il suo largo sorriso, un soffio di calore e di benessere si diffonde ovunque".

L'Indice su Internet

Dall'inizio dell'anno "L'Indice dei libri del mese" vie-ne diffuso in versiovie-ne ridotta attraverso la rete Intervie-net e si può visitare all'indirizzo: http: / / www.libraria.it/indi- ce. Per una prima fase sperimentale non sono previste se-zioni con accesso condizionato e perciò la consultazione degli articoli selezionati e immessi in rete è totalmente li-bera. Sono in funzione anche alcuni comodi servizi inte-rattivi, come quello che consente di ordinare il CD-ROM dell"Tndice" compilando e trasmettendo via e-mail un semplice modulo. È infatti già attivo l'indirizzo di posta elettronica: indice@mbox.vol.it. L'edizione telematica delT'Tndice" è ospitata da Libraria, che raccoglie e diffonde informazioni sui libri pubblicati in Italia e offre servizi basati su Internet a editori, librai e lettori.

Levar la mano su di sé

di Delia Frigessi

ENRICO CAMANNI, MIRTA D A PRA P o c

-CHIESA, L'ultimo messaggio, G r u p p o Abe-le, Torino 1995, pp. 118, Lit 22.000.

Suicidio. La cronaca la stampa la società la cultura, a cura del Telefono amico di

Tori-no, ToriTori-no, pp. 85, Lit 20.000.

Linguaggio piano e diretto, che accosta con delicatezza e con rispetto il gesto estremo di chi soffre senza troppo semplificarne il tragi-co significato: questo libro, attento al quoti-diano, riesce in un tour de force non comune, tiene nel debito conto la letteratura scientifi-ca eppure ha il pregio di essere comprensibile a tutti. Il problema è infatti di tutti, può col-pire ciascuno di noi, senza eccezione. Nelle età estreme della vecchiaia e dell'adolescen-za, in primo luogo nelle istituzioni totali (car-ceri, caserme, manicomi), il suicidio raggiun-ge tassi alti. Tra gli anziani più anziani, oltre i 65, la situazione è peggiorata specialmente in Italia, indizio recente e drammatico di una perdita di ruolo e di senso nel lavoro e nella famiglia, che conduce anche a morti "lente"

(ci si lascia di fatto morire) e nascoste. Il disagio dei giovani si può far risalire ai cambiamenti di struttura della famiglia, che restringono la rete parentale oltre il soppor-tabile, alla contraddizione tra maturità psico-logica anticipata e responsabilità sociale so-spesa per un tempo indefinito, alla mancanza del lavoro. Le pulsioni autodistruttive porta-no anche a cercare situazioni limite, per esempio ai giochi della morte, agli sport estremi. Predomina sempre un grande biso-gno di appartenere, che tra i giovani risponde alla necessità di colmare profondi vuoti, ma-gari avvicinandosi alle sette, ai conforti delle religioni ma anche all'uso dell'eroina.

Come tutte le situazioni devianti che con-traddicono la norma, alcool, droga,

psicofar-maci sono correlati al suicidio e accrescono il rischio al pari di quelle altre situazioni, che infliggono un profondo cambiamento econo-mico e di status. Tra queste ultime, emergono la disoccupazione e il non lavoro.

Qual è la responsabilità dei mass media, in particolare della stampa, nel gesto suicidano, quando esso viene trasformato in spettacolo, in notizia? Secondo uno studio del Telefono amico di Torino sulle modalità con cui i quoti-diani espongono un fatto di suicidio (lo studio è stato condotto tra il 1989 e il 1990 su 884 articoli di giornale) il lettore, il destinatario dei mass media subisce un condizionamento che può condurre all'imitazione-identificazio-ne, soprattutto se esistono una predisposizio-ne, una somiglianza con il modello proposto.

Una volta sfatato il mito del carattere geneti-co, ereditario del suicidio e del suo stretto colle-gamento psichiatrico — Camanni e Da Pra lo

'gnalano all'inizio del libro —> anche difron-se.

te all'estrema scelta di lasciare la vita, che si fa strada oggi tra non pochi malati terminali (una sorta di "suicidio erosivo" graduale), gli inter-rogativi appaiono tanti. Impossibile una rispo-sta univoca e certa. Lasciandosi spesso guidare dalle riflessioni e dalle esperienze di psichiatri e sacerdoti, di medici e sociologi ma soprattut-to di persone che hanno vissusoprattut-to da vicino que-sti drammi, bene hanno fatto gli autori a la-sciare aperti alcuni interrogativi di fondo.

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tesiani o le diffidenze verso ipotesi e approcci, quelli dello stesso Sacks ad esempio, che non rical-chino il corso della "scienza nor-male"). Nel descrivere questo, nel "dar voce" ai contraddittori vissuti di un pittore Che perde la visione dei colori dopo un incidente, di una paziente affetta da autismo che prova a inventare "macchine per abbracciare", di un chirurgo affetto dai tic e da altri sintomi del-la sindrome di Tourette (suldel-la qua-le Nathan ha attirato in anni recenti l'attenzione), Sacks attivamente

trasforma il racconto dei suoi

inter-locutori "unici" (ed è questo un problema che, trascendendo la tradizione dei "casi clinici", si è im-posto al centro del dibattito su

authorship e testualità). Per lui

esi-stono le malattie, le stesse in ogni luogo e epoca, che solo col tempo verranno riconosciute come tali da

una scienza adeguata.

Il suo sguardo e il suo ascolto ri-mangono allora spesso catturati dentro una luminosa fenomenolo-gia del rapporto, quasi avventuro-so, che stringono quei protagonisti solitari che sono il medico e il pa-ziente, mentre non vengono colti con altrettanta attenzione il conte-sto istituzionale, i rapporti di forza

tra i diversi attori, il difficile acces-so alle cure sanitarie di minoranze e poveri negli Stati Uniti, e quant'al-tro in genere converrebbe non più dimenticare quando si esplora

l'accidentato territorio della salute

e della malattia. Se questo

costitui-sce un limite nella sua opera, rima-ne indiscusso il pregio di una

scrit-tura che sembra aver realizzato una sorta di prodigio là dove dimo-stra come l'approccio narrativo al-la maal-lattia rappresenti una risorsa decisiva nel costruire una biografia dotata di significato; ma un altro

prodigio di sintesi fra voci e lin-guaggi diversi è realizzato, con la naturalezza di cui gli scrittori an-glosassoni danno sempre lezione,

a un altro livello: il mìnd-body

pro-blem, il dilemma fra attività

volonta-ria e involontaria, e altre questioni

propriamente "epistemologiche"

(nel senso che questo termine ha

nella cultura statunitense), fanno

capolino discreto fra interrogativi

diagnostici e vissuti della malattia.

Dentro questi sette racconti, che

"paradossali" sono però solo se si

leggono dal luogo della ragione

medica e del suo dispositivo

retori-co (per il quale "salute" e "malattia"

possono essere concepite soltanto

come entità antinomiche),

spicca-no quelle metafore dense e irridu-cibili, dotate di uno strano potere, . che i pazienti speso ci offrono quando parlano delle loro espe-rienze. In esse, sembra dirci l'auto-re, si celano le tracce da seguire per comprendere, forse meglio che attraverso ogni altra teoria o esame diagnostico, l'altrui doman-da e la complessa condizione di chi sperimenta la rottura di quell'in-volucro invisibile che è la salute e

la normalità. È l'uso di queste

stes-se metafore che ci permette talora di sostenere il paziente anche lad-dove l'unica soluzione possibile (ciò che la scienza medica per pri-ma fa fatica ad ammettere) è ap-prendere a convivere con i limiti che la malattia innalza, cogliendo tutto quanto in lui si dispiega e vive

nonostante la malattia.

Faustiano Paracelso

di Massimo Porta

EVA STAI IL, Paracelso. Medico,

filosofo, mago, Ecig, Genova 1995, ed. orig. 1992, trad. dal te-desco di Elena Frangini, pp. 240, Lit 28.000.

THEOPHRAST VON HOHENHEIM

(detto PARACELSO), Contro i

falsi medici. Sette autodifese, a cura di Massimo Luigi Bianchi, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. 86, Lit 12.000.

condotta di vita su cui; anche oggi, molti troverebbero da ridire: ab-bondanti libagioni in osterie di in-fimo ordine, un abbigliamento de-cisamente trascurato e un'aura di stregoneria che derivava dall'assi-dua frequentazione degli alambic-chi. Donne pare non ne abbia mai conosciute, e anche su questo nep-pure oggi la passerebbe liscia. Il ri-sultato era la fuga verso nuove

se-dei colleghi, non essere di buon ca-rattere e non saper, lui neppure, guarire tutte le malattie. Le parole vibranti di Paracelso sono la mi-glior testimonianza del suo inap-pagato desiderio di buon senso, ancor prima che di conoscenza. Tornano alla mente certe fantasti-cherie dei tempi di scuola: se fosse possibile prelevarlo dalla sua epo-ca con una macchina del tempo, chissà come gioirebbe delle rispo-ste che la medicina moderna ha fornito ai suoi interrogativi! Ep-però, chissà se troverebbe i nostri contemporanei molto migliori dei suoi?

della malattia" che, soprattutto nei paesi anglosassoni, ha dominato la letteratura medico-antropologica o antropologica tout court degli ultimi vent'anni (si è parlato a questo pro-posito di literary turn e di fascination

of narrative). I suoi dettagliati ma al

tempo stesso umani resoconti di sindromi e patologie, l'analisi dei lo-ro concreti effetti sulle persone, ven-gono costruiti attraverso un ascolto attento, che registra sin nei più con-traddittori interstizi l'esistenza quoti-diana dei suoi pazienti (dei quali è messa in primo piano la iliness, in-somma, più che la disease). Questo singolare modo di avvicinarsi

all'e-i e l'oball'e-iettall'e-ivo dall'e-i qualsall'e-iasall'e-i rall'e-icer- ricer-ca filosofiricer-ca è la conoscenza, ebbe-ne Paracelso, ebbe-nella sua breve vita, cercò soltanto la conoscenza. Nel-la sua visione filosofica spicca per importanza la 'luce della natura', ovvero l'intelletto che deve guida-re l'uomo nella vita e il medico nel-la professione". Come efficace-mente sintetizza Eva Stahl, l'intera esistenza di Theophrastus Bomba-stus von Hohenheim, soprannomi-nato Paracelso dai suoi entusiasti studenti di Basilea con un lusin-ghiero accostamento a Celso, fu dedicata all'approfondimento del-le conoscenze mediche e al tentati-vo di alleviare le sofferenze dei ma-lati con approcci razionali e, so-prattutto, efficaci. Chi è medico sa che tutto ciò rimane problematico ai giorni nostri ma la Stahl illustra bene quanto lo fosse nel XVI seco-lo per chi, come Paracelso, si ren-deva conto delle assolute incon-gruità e inutilità dei rimedi fino ad allora praticati. Se aggiungiamo da un lato l'ostilità della Chiesa e del mondo accademico verso tutto ciò che, attraverso l'osservazione di-retta e la sperimentazione, potesse contraddire gli insegnamenti dei classici e dall'altro un carattere non incline a moderare i termini nelle dispute con i contemporanei, riusciamo a percepire, almeno in parte, il tormento di un uomo cala-to dal destino nell'epoca sbagliata.

Fin da piccolo, Paracelso appre-se dal padre, anch'egli medico, i rudimenti della cura dei malati e le virtù terapeutiche delle erbe e dei minerali: la "farmacia della natu-ra" come poi la chiamò. Studiò medicina a Ferrara e fece pratica, diremmo oggi, al seguito degli eserciti che attraversavano i paesi dell'Europa, ricavando grande esperienza professionale e duratu-ra avversione per la guerduratu-ra. Privo delle necessarie conoscenze di anatomia e fisiologia, tentò vana-mente di applicare metodi tera-peutici razionali ed è considerato, se non il fondatore, il precursore della farmacologia moderna in quanto sosteneva che i principi at-tivi presenti nelle sostanze naturali dovessero essere potenziati attra-verso precisi quanto elaborati pro-cedimenti, seppur alchemico-astrologici. La fama dei suoi pre-parati si diffuse per l'Europa, fa-cendo sì che venisse chiamato a praticare e insegnare presso nu-merose università. In quasi ogni sede, tuttavia, ai successi iniziali seguivano l'invidia e il risentimen-to dei colleghi, che lui contribuiva ad attizzare con pubbliche critiche ai medici paludati, avidi e ignoran-ti, e ai farmacisignoran-ti, altrettanto avidi nonché inaffidabili nel preparare le prescrizioni. A ciò aggiungeva l'insegnamento della chirurgia, al-lora considerata indegna dei medi-ci, roghi dei trattati classici e una

di, dove il ciclo si ripeteva imman-cabilmente. I suoi unici punti di ri-ferimento rimasero la profonda compassione per le sofferenze dei malati e l'amore per la conoscenza di rimedi che tali sofferenze lenis-sero.

Eva Stahl incastona gli scritti e la pratica di Paracelso nel contesto storico, con agili ma esaurienti ca-pitoli sulla storia della medicina fi-no al XVI secolo e sugli intrecci di questa con l'alchimia, la magia e le persecuzioni della Santa Inquisi-zione. Il VII capitolo è in realtà un saggio sull'ipotesi, verosimile, che Goethe abbia preso Paracelso a modello del suo Faust. Il volume curato da Massimo Luigi Bianchi raccoglie sette testi scritti da Para-celso per difendersi dalle accuse di avere inventato una nuova medici-na, descritto nuove malattie, dato nuovi nomi a quelle note e pre-scritto nuove ricette, aver troppo viaggiato (!), evitare la compagnia

Paradossi

clinici

di Roberto Beneduce

OLIVER SACKS, Un antropologo

su Marte. Sette racconti para-dossali, Adelphi, Milano 1995, ed. orig. 1995, trad. dall'inglese di Isabella Blum, pp. 445, Lit 38.000.

Il libro di Sacks recentemente tra-dotto da Adelphi conferma la ric-chezza e le promesse di un approc-cio che sarebbe riduttivo mettere sotto il solo ombrello della narrativa

clinica. Il successo e lo stile di Oliver

Sacks non sarebbero infatti com-prensibili per intero se trascurassi-mo di considerare l'interesse cre-scente nei confronti del "racconto

sperienza della sofferenza gli per-mette di portare alla luce ciò che al-trimenti rimarrebbe inespresso o, come più spesso accade, ai

margi-ni semplicemente perché

conside-rato "superfluo" secondo i modelli egemoni della razionalità medica. Young ha analizzato proprio in que-sti termini il contemporaneo potere della biomedicina: nella sua capa-cità cioè di silenziare altri nomi o

cancellare altre conoscenze.

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car-FEBBRAIO 1996

Caraibi senza epifanie

di Claudio Gorlier

V.S. NAIPAUL, U n a v i a n e l m o n -do, Adelphi, Milano 1995, ed. orig. 1994, trad. dall'inglese di Marcello Ballatone, pp. 440, Lit 42.000.

Avevamo pensato in molti, dopo

L'enigma dell'arrivo, che, sotto il

profilo della narrativa in senso stretto, Naipaul fosse arrivato a un punto morto. Si trattava, da un lato, della saturazione del materiale nar-rativo come tale, del termine di un percorso sanzionato dalla scena fi-nale del funerale della sorella e dall'impegno di non tornare mai più al suo paese, Trinidad, neppure come frequentazione intellettuale; dall'altro, pareva che il conflitto molteplice di identità dello scritto-re scritto-rendesse ardue altscritto-re esplorazio-ni, per lui, trinidadiano di matrice indiana rifiutato in patria ma pure aspramente contestato in India, in-viso ai compatrioti di ascendenza africana e agli stessi africani, e infi-ne, a onta della sua scelta di diveni-re cittadino inglese, in qualche mo-do "altro" per gli inglesi (la sua ri-vincita stava proprio, in L'enigma, nell'astuto rovesciamento delle parti e della prospettiva da parte dell'ex coloniale o postcoloniale).

Ci eravamo sbagliati, almeno in parte, così come lo stesso Naipaul si era concesso una deliberata reti-cenza quando, alcuni anni or sono, mi aveva spiegato che i suoi pro-getti prevedevano il ritorno alla terza persona singolare, a differen-za del romanzo dove la prima per-sona si imponeva, considerata la misura autobiografica. Dico sol-tanto in parte, perché il nuovo li-bro di Naipaul, Una via nel

mondo, che ora appare in italiano

molto appropriatamente tradotto da Marcello Dallatorre, scompagi-na ogni definizione rigida di gene-re, e si articola su piani diversi an-che se ammirevolmente intrecciati.

Le parti narrate in prima perso-na riguardano esperienze dirette dello scrittore, ove invenzione e cronaca, presente e memoria si scambiano di continuo: qui Nai-paul si affida insieme alla misura narrativa vera e propria e a quella di cui ha offerto ripetutamente prove di considerevole livello (i due libri sull'India, quello sui paesi islamici, quello sul Sud degli Stati Uniti), secondo le caratteristiche di ciò che si chiama in inglese, con termine intraducibile, travelogue, ovvero; un poco approssimativa-mente, osservazioni, racconti di viaggio. Questa misura in qualche modo incastona il grosso volume, con toni assai variegati.

Si inizia con una sorta di

Bil-dungsroman, di joyciano — ma

molto liberamente — ritratto dell'artista giovane, per proseguire con una serie di incontri assoluta-mente esemplari, in cui il narratore concede largamente la parola al personaggio pur tenendo ben stretti i fili del discorso, e si conclu-de con una ripresa di possesso da parte del narratore, in chiusa. Al centro del libro si collocano due lunghe, dense parti, che spostano sia la dimensione spaziale sia la di-mensione temporale, ove il narra-tore ricupera la terza persona sin-golare, e concede spazio all'imma-ginario storico, con due personaggi chiave: il gentiluomo, viaggiatore,

cortigiano, esploratore e colonizza-tore, poeta elisabettiano Walter Raleigh, morto nel primo Seicento sotto la scure del boia per ordine di Giacomo I nella Torre di Lon-dra; il rivoluzionario venezuelano Ferdinando Miranda che di poco precedette Bolfvar e che, dopo ef-fimeri successi, morì povero e pressoché dimenticato in Spagna.

Come si vede, Naipaul riprende

possesso vigorosamente del pae-saggio umano e geografico dei suoi Caraibi, a suo tempo da lui ripu-diato, ma, mentre nei suoi grandi romanzi, da II massaggio mistico a

Una casa per Mr Biswas, egli

af-frontava congiunture contempora-nee, qui si sposta all'indietro, con un abbagliante e magistrale inca-stro di piani temporali e spaziali, fino all'età insieme concreta e leg-gendaria dell'Eldorado, quasi sta-bilendo un rapporto, nella sostan-za assai differente, con l'altro gran-de scrittore gran-delle cosidgran-dette West Indias, Wilson Harris, che gli vie-ne spesso e non di rado artificiosa-mente, quasi polemicaartificiosa-mente, con-trapposto.

Intendiamoci: la presa di co-scienza, o, meglio, la rimessa in gioco dell'identità caraibica non risulta in alcun modo consolante, e in questo Naipaul rimane assai coerente con se stesso; solo, il cor-done ombelicale stenta a rompersi,

e quell'identità si trova continua-mente — come dire? — rilanciata, frangendosi, come in un confronto di specchi, in infinite identità. Cru-ciale, in questo senso, la parte che riporta dell'incontro in aereo, du-rante un volo da Trinidad in Vene-zuela, con un ambiguo individuo, il quale insiste nel partecipargli la sua identità venezuelana, infarci-sce il discorso di termini spagnoli, esibisce il suo passaporto venezue-lano, ma si rivela poi a sua volta un trinidadiano di matrice indiana, il quale sta in effetti tentando di ri-possedere quella matrice, persino in talune pratiche

religioso-com-portamentali. Ciò crea una situa-zione speculare con il narratore, in possesso di un talismanico passa-porto inglese che peraltro non lo renderà mai davvero inglese.

Raleigh, colto in un lungo dialo-go con il suo medico, al tempo stesso suo doppio, sua coscienza inquieta, ormai vecchio e malato, sulla nave alla fonda di fronte a Port of Spain, in Trinidad, riper-corre la propria vita, si misura con le proprie illusioni, sconfitte, men-zogne (l'Eldorado, appunto), con la violenza, quasi lo stupro, inflitto alle terre conquistate, e si accinge a un ritorno dove lo attende la mor-te, recandosi appresso, ultimo tri-buto e prefigurazione del Buon Selvaggio, un nobile indigeno che in Inghilterra troverà accoglienza (la prefigurazione, ovviamente, tocca anche lui, Naipaul).

Miranda, dopo le sue afferma-zioni di rivoluzionario, proprio a somiglianza di Raleigh

manife-sterà "lo stesso genere di follia e di illusione". Eccoci qui di fronte a un riconosciuto paradigma di Nai-paul, che si riflette nell'ultimo episodio. Un trinidadiano africa-no, in passato insofferente nei ri-guardi dei suoi conterranei india-ni, e quindi dello stesso narratore che non prova per lui alcuna sim-patia, fresco dei successi — e delle illusioni — politiche in patria, si reca in un paese dell'Africa orien-tale—verosimilmente il Kenya — nelle vesti di consigliere politico e qui ritrova 0 narratore. Ma que-st'ultimo sa che si tratta di illusio-ni, e per di più pericolose, onde

cresce in lui una forma di simpatia pietosa per l'altro, il quale sembra divenire ancora una volta un suo doppio. Il trinidadiano africano verrà ucciso a tradimento, e con l'arrivo della sua bara a Trinidad, con i suoi funerali, Una via nel

mondo si chiude, analogamente a L'enigma.

La morale, se vogliamo chiamar-la così, è chiamar-la stessa, conradiana, di un altro libro discusso ma cruciale di Naipaul, Guerrillas. Non esistono rivoluzioni, le ideologie equivalgo-no a illusioni o a mistificazioni, e ciascuno combatte la sua guerra da solo, senza alcuna finale epifania, a differenza di Conrad. La prerogati-va, il privilegio dello scrittore, con-siste nel darne testimonianza, nel farne, appunto, discorso, insieme comunicandolo al lettore, distan-ziandosene, rendendone conto, tanto più quanto egli stesso si per-mette di entrare e di uscire di sce-na, osservatore e complice.

N. 2, PAG. 8

Attento

fratello nero

di Carmen Concilio

W O L E SOYINKA, Mito e

letteratu-ra, Jaca Book, Milano 1995, ed. orig. 1976, trad. dall'inglese di Guido Carboni, pp. 161, Lit 27.000.

CHINUA ACHEBE, Attento "Soul

Brother"!, Jaca Book, Milano 1995, ed. orig. 1971-72, trad. dall'inglese di Roberto Mussapi e Teresa Sorace Maresca, pp.

138, Lit22.000.

Quando gli intellettuali e studiosi europei venivano accusati dagli scrittori africani di leggere i loro te-sti sovraimponendo le proprie ideo-logie, tradizioni, credenze e i propri "complessi", in risposta alle accuse si chiedeva che dal mondo africano venissero opere di estetica che for-nissero la chiave interpretativa per quei testi. La replica estetica di Soyinka promuove proprio questa liberazione dal "condizionamento eurocentrico", nel tentativo di circo-scrivere, senza per questo misco-noscerle, le affinità per esempio tra mitologia yoruba e cristiano-elleni-stica, ma più in generale tra la pro-duzione artistica europea e africa-na, per chiarire invece la specificità dell'elemento "cultuale" presente nelle varie forme d'arte in Africa.

I termini del confronto non sono né polemici, né «contatamente an-ti-europeisti: Soyinka pone nella giusta luce taluni concetti, come quello di "ideologia", che mal si ad-dice agli intellettuali africani, più propensi a riconoscere una "di-mensione sociale" dell'impegno letterario e artistico in genere. Altra costruzione fuorviante è la catego-ria di "negritudine", che lungi dal restituire dignità al nero, non fa che posizionarlo quale termine di para-gone negativo nella dicotomia che lo contrappone al bianco. Fissati questi margini, il discorso di Soyinka tocca varie forme espres-sive dell'arte africana, dal teatro al romanzo, dalla ritualità cerimoniale alla musica.

La rosa di autori scelti per argo-mentare una concezione del tempo circolare che tiene conto degli an-tenati, come dei non-ancora-nati, di un passato e di un futuro cui riman-da contemporaneamente la voce dei viventi; una forma di teatro che è "mezzo affettivo, razionale ed in-tuitivo" per esprimere la totalità dell'esperienza umana; una scrittu-ra che vuole essere di protesta, contro "la traditrice realtà delle na-zioni indipendenti dell'Africa di og-gi", e il colonialismo arabo o euro-peo, religioso o politico-economi-co, costruisce un quadro di panafri-canismo culturale che coinvolge la Nigeria, il Ghana, il Senegal, aree francofone e anglofone. E il Sudafri-ca, di cui Soyinka segue attenta-mente gli sconvolgimenti sociali, come i fatti di Soweto del '76, cui aveva dedicato il poema Ogun

Abi-biman, che associa il dio guerriero

della mitologia yoruba, Ogun, all'eroe dell'epica sudafricana, Chaka, alludendo a una-simbolica unità sovranazionale; oltre che nell'88 Mandela's Earth and Other

Poems.

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ragion d'essere in un dialogo intes-suto tra diverse culture: della mitolo-gia e cosmolomitolo-gia yoruba Soyinka il-lustra le varianti caraibica e brasilia-na, per cui non stupisce più l'impor-tanza che uno scrittore come Wilson Harris, originario della Guyana, as-segna a un discorso letterario dedi-cato ai non-ancora-nati. Più noto in Italia come romanziere e dramma-turgo, vincitore del premio Nobel nell'86 e attualmente esule a Parigi per ragioni politiche, ma anche ap-prezzato poeta, nelle vesti di critico Soyinka fornisce i necessari tasselli affinché l'Africa, soprattutto quella disegnata nel secondo dopoguerra dall'indipendenza e dall'emancipa-zione coloniale, smetta di essere un "vuoto metafisico".

Tra i nomi citati da Soyinka e da lui stimato quale scrittore "autenti-camente africano", vi è il nigeriano Chinua Achebe, romanziere e auto-re di racconti, di cui ora vengono presentate le Poesie. Le trenta poe-sie della raccolta hanno dato vita a un "libro", suddivise come sono in cinque capitoli comprendenti un prologo e un epilogo. Il progetto poetico che ne emerge sembrereb-be articolarsi per diadi e triadi (due capitoli di cornice vs tre capitoli centrali) che vedono opposti inizio e fine; guerra e amore; mentre il ter-zo dei capitoli centrali presenta un titolo tripartito, Dei, uomini e altri. Nel prologo, la commozione dell'io poetico di fronte a una piantina che si erge da un tetto di cemento, vista da un anonimo ufficio che potrebbe essere a New York come a Roma, è motivata dal fatto che si tratta di "una piantina di mango appena germogliata / rossa bifoglie... / Lei dal rosso passò a / un verde malato / prima di morire. Oggi la vedo an-cora, / secca, sottile come un filo / nel sole e nella polvere dei mesi d'arsura, / pietra tombale su picco-le macerie di coraggio e passione". Che sia questo il tradimento dell'in-dipendenza di cui paria Soyinka? — viene da domandarsi (il compo-nimento è del '68, scritto durante la guerra civile) —; nata dal sangue della lotta, nutrita di speranza e poi affamata dalla moderna corruzio-ne? Oppure, secondo la lettura dei critici, è in questione l'aridità di un'oggettività non più redimibile né nella favola, né nel mito di una piog-gia venuta a sanare la disputa tra Cielo e Terra. Inquietante è poi la vi-sione metafisica dell'io poeta "Esploratore", che tra i rottami di un aereo caduto riconosce la masche-ra del proprio volto inespressivo per poi "trovarsi faccia a faccia all'improvviso un corpo / che non sapevo neppure di avere".

Poiché i saggi di Soyinka ristabi-livano il giusto equilibrio tra influen-ze cristiane e cultura africana, non sorprende la trasposizione del ri-tratto di una Madonna con Bambi-no nella realtà della denutrizione e della guerra, in Madre e figlio

pro-fughi:: spartire i capelli sulla fronte

del bimbo, quello che "in un'altra vita" sarebbe "un piccolo atto quo-tidiano / privo d'importanza tra co-lazione e scuola: / ora lei lo faceva come ponendo fiori sulla minusco-la tomba di un bambino". Il minusco- laconi-co Raid aereo ritrae invece un uo-mo troppo lento ad attraversare la strada e per questo dilaniato da una bomba; mentre in Un se della

Storia si ricorda che se Hitler

aves-se vinto i crimini di guerra pasaves-se- passe-rebbero per atti eroici e gli assassi-ni per idoli.

Nelle poesie-non-di-guerra è l'amore a essere rappresentato come lotta tra opposti; mentre all'amico è rivolto un monito in for-ma di preghiera nella lirica che dà il titolo alla raccolta: "Attento fratel-lo nero / alle lusinghe dell'ascen-sione ... / perché altri ci saranno quel giorno /fermi in attesa coi pie-di pie-di piombo, sorpie-di al suono, / at-tratti solo dalle profonde viscere del nostro suolo". In

Fraintendi-mento si fa cenno invece a un

pro-verbio nigeriano: "Dove c'è Qual-cosa, ci sarà anche Qualcos'altro": espressione di un'estetica, quella igbo (altra etnia nigeriana) che

pri-Una vita di

fantascienza

di Luca Bianco

EMMANUEL CARRÈRE, I o s o n o vivo e voi siete morti, Theoria, Roma-Napoli 1995, ed. orig. 1993, trad. dal francese di Stefa-nia Papetti, pp. 315, Lit 32.000.

MICHAEL BISHOP, L'alternativa,

Mondadori, Milano 1995, ed. orig. 1992, trad. dall'americano

sommo Stanley Kubrick sia tratto da Noi marziani, scritto da Dick nel 1964.

Bene si inserisce nel panorama del nuovo interesse che circonda la figura di Philip Dick la traduzione italiana di Io sono vivo e voi siete

morti, biografia sui generis del

grande scrittore di fantascienza.

Sui generis per almeno due motivi:

anzitutto, Emmanuel Carrère non è uno studioso o un biografo di professione, ma un apprezzato ro-manziere che i lettori italiani cono-scono per Baffi, Fuori tiro (Theo-ria) e Bravura (Marcos y Marcos). In secondo luogo, Carrère ha

com-Concepiti di notte

di Marina Leonardini e Alessandro De Francesco

Sono gli originali. Gli originali a oltranza. Un gruppo ristretto di autori presenti nella Bbs Oppia. Si esprimono senza mezzi termi-ni, con un linguaggio crudo, anche volgare, affrontando senza filtri retorici piccole av-venture quotidiane e metropolitane, fatte di incontri, di musica e di dubbi. E se Baudelai-re, Wilde e Kerouac sono in agguato, non tut-ti gli autori sembrano cadere a pie pari nell'emulazione: scivolano, occhieggiano, ma non si lasciano irretire.

È il caso delle liriche di Mauro Corsino che, alla ricerca della "sensualità delle paro-le", affascina il lettore in Nicht Nodus e in

Non acrostici per il mio cuore che sente il vuoto, con immagini in cui sangue, lingua e

saliva diventano i termini di percorsi poetici quanto mai urbani. Se in It was like this, Corsino dice di essere stato "concepito di not-te, da genitori borghesi e senza aperture: mi vollero maschio e perverso", altrettanto si può dire dell'erotico Fiaba impopolare di Angelo Molinari, dove, partendo da

Bukow-ski, tutto viene ridotto a iperbolici amplessi da competizione.

Diverso il discorso per Luca Antonini che in Abboud, una tragedia familiare in 29 atti

(sic), fornisce in brevi e rapide descrizioni i

tic e le insicurezze di giovani sempre alla ri-cerca di qualcosa, sia l'amore sia qualche emozione forte. Ora il giovane Amedeo alle prese con un'improbabile ragazza dallo spes-so rossetto viola intrisa in realtà di santità go-rettiana in Una notte di bufera, ora il dialo-go borghese e insignificante di Tre signore in

giardino (Sotto un ombrellone giallo e blu),

ora la noia e la superficialità dei rapporti

fa-miliari in Natale in famiglia.

La ricerca dell'anima gemella e il coraggio di dichiararsi a vuoto sono i temi de

L'Oro-logio, la passione non per una donna ma per

una vespa quelli di Morbida e dolce, la fol-lia e la passione quelli de La vicina di

Co-stantino odel piccolo trittico di Nattevagten (Tanja). E il nonsense e l'ironia a

guida-re Antonini, minimalista attento, in modo esasperante, alle insicurezze dei suoi perso-naggi.

Racconti di guerre tra bande rivali, invece, negli Sbandati, romanzo di Laura Iuorio, che occhieggia al mito di ]ames Dean, in un conflitto di classe dei nostri giorni; è la noia a esasperare le rischiose abitudini di tre fra-telli fino alla tragedia finale con catarsi. Di-verso il taglio intimista di A volte ritornano, dove tre donne di diversa età, simili alle tre donne alte di Albee, consumano il tempo al-le prese con un'attesa che è una guerra psico-logica.

Realtà e incubi sono il tema dell'Antologia

di sogni possibili di Pino Pace, una diaristica

raccolta di aforismi, quasi una sorta di bre-viario da passeggio per il giovane moderno, un dizionario in continua evoluzione, a più mani. Una per tutte la A di Agnello: "Lagnello ha perso i denti da latte, sostituiti con un paio di canini. Vederlo non tranquil-lizza nessuno". Leggerlo, neppure. I punitori di se stessi si sprecano.

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vilegia la diade e la ripetizione (nel caso specifico la presenza di due donne nella vita dell'io poetico), il faccia a faccia dell'Uno con(tro) l'Altro, rapporto e scontro minimo duale tra Cielo e Terra, tra uomini e divinità. Come nella terza sezione, in cui vengono presentate divinità capricciose "come bambini" ma facilmente raggirabili, come in

Pu-nizione della divinità, dove vittime

dell'incendio della capanna sono solo i lari protettori della famiglia.

Lamento del pitone sacro è invece

il riadattamento di una canzone presente nel romanzo La freccia di

Dio( 1964), in cui il serpente, figura

centrale nella cosmologia yoruba, si sente ora minacciato da una nuova divinità. La stessa amarez-za si legge nell'epilogo, nella voce di un uomo che come Soyinka ve-de nell'elemento rituale e cultuale il punto di forza di un'africanità che tocca al poeta, talvolta per questo deriso, recuperare.

di Delio Zinoni, pp. 334, Lit 7.000.

Dopo decenni passati a setaccia-re bancasetaccia-relle alla ricerca di impol-verati volumetti di fantascienza, preziosi come le pepite d'oro e co-me quelle sepolti nel fango della più dozzinale pulp fiction, final-mente i fan di Philip Kindred Dick hanno di che rallegrarsi: si molti-plicano le riedizioni delle sue ope-re, spesso ritradotte ex novo (e in molti casi ce n'era davvero biso-gno); Mondadori ha varato un pia-no quadriennale per la raccolta in-tegrale di tutti i racconti brevi-Persino nel cinema, che finora, in Italia, è il campo in cui Dick ha in-contrato maggior fortuna, sembra stia per arrivare una vera età dell'oro: dopo il sopravvalutato

Biade Runner di Ridley Scott e lo

schwarzeneggeriano Atto di forza di Verhoeven, alcuni pettegolezzi vogliono che il prossimo film del

piuto una scelta inconsueta per una biografia: considerare i ro-manzi di Dick come se fossero il suo diario. Il che, visto che si parla di uno dei più immaginosi scrittori di science fiction, può parere un'operazione arbitraria o, nel peggiore dei casi, insensata: fanta-scienza e autobiografia, a prima vi-sta, non sembrano fatte per andare d'accordo, se è vero che la prima si occupa per definizione di fatti non accaduti, mentre la seconda trova la sua materia prima proprio negli accadimenti reali.

Tuttavia, lo stesso Dick ci ha messo più volte sull'avviso, disse-minando le sue opere di particolari che non potevano provenire se non dalla sua vita reale: le terribili droghe allucinogene di Le tre

stim-mate di Palmer Eldritch o i

misera-bili tossicodipendenti di Un oscuro

scrutare, ad esempio, venivano

di-rettamente dagli anni più oscuri di Dick, anni passati tra anfetamina e

freaks sballati che, nella Berkeley

degli anni sessanta, lo ritenevano un vero e proprio guru.

Lo stesso vale per gli ultimi ro-manzi, dove narrava e rinarrava la sua conversione e la sua bizzarra esperienza del divino, con Dio in persona che lo aveva visitato sotto forma di attacco cardiaco e di rag-gio di luce alieno, sussurandogli telepaticamente della malforma-zione congenita che, se non fosse stata scoperta e curata, avrebbe presto portato alla morte suo figlio Cristopher. Non è questione, in realtà, di semplici accadimenti bio-grafici: Dick riuscì ad annullare la distanza tra fantascienza e vita rea-le soprattutto perché i personaggi dei suoi romanzi si ponevano la stessa domanda alla quale egli stes-so tentò, lungo tutta la sua vita di trovare una risposta: "Che cos'è la realtà?". Nutrito di letture psicoa-nalitiche, filosofiche, storico-reli-giose, Dick organizzò per rispon-dere a questa domanda una com-plessa Weltanschauung in cui, co-me diceva il suo maestro Anthony Boucher, "Se si fosse pubblicata la Bibbia in una collezione di fanta-scienza, lo si sarebbe fatto in due volumi di ventimila parole ciascu-no, intitolati, per l'Antico Testa-mento, Il padrone del Caos e, per il Nuovo Testamento, La cosa dalle

tre anime".

Philip Kindred Dick morì per un attacco di cuore nel maggio del 1982: qui termina il libro di Em-manuel Carrère e inizia quello di Michael Bishop, un autore di fan-tascienza che con L'alternativa

rende omaggio a Dick utilizzando-ne alcuni dei meccanismi narrativi fondamentali. Nell'America del

1982, Richard Nixon è il presiden-te in carica. Philip Dick, che

muo-re nelle prime pagine, è uno scrit-tore mainstream che, a causa di un virulento pamphlet antinixoniano, si vede costretto alla clandestinità: circolano in samizdat certe sue opere mai pubblicate, bizzarri e sconosciuti romanzi di fantascien-za che contengono una radicale critica dell'operato del presidente. Agendo come una sorta di corpo astrale, lo scrittore riesce infine a compiere un esorcismo per rove-sciare dalle fondamenta quell'uni-verso, e instaurarne uno in cui Phi-lip Dick è soltanto uno scrittore di

science fiction, l'America ha perso

la guerra del Vietnam e Nixon, che in realtà è il Maligno in persona, è stato messo fuori combattimento prima della fine del suo primo mandato. Si tratta di un delizioso

pastiche che si può leggere a

ri-scontro di Io sono vivo e voi siete

morti. Soprattutto, è imperdibile il

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