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OTTICA GEOMETRICA 1 I raggi luminosi La

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Academic year: 2021

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OTTICA GEOMETRICA

1 I raggi luminosi

La luce visibile è solo una piccola parte di un fenomeno fisico molto vasto e importante che tratteremo più avanti: le onde elettromagnetiche. In questo capitolo, non ci occupiamo della natura ondulatoria della luce, ma descriviamo i fenomeni luminosi utilizzando l'ottica geometrica, che considera la luce come un insieme di raggi luminosi che si propagano in linea retta:

un raggio luminoso è un fascio di luce molto sottile che si propaga in linea retta e che si può rappresentare con un segmento di retta.

La propagazione della luce

Qualsiasi sistema fisico in grado di produrre luce è detto sorgente luminosa.

Se la sorgente ha dimensioni trascurabili rispetto alla distanza che la separa dagli oggetti che illumina, possiamo considerarla puntiforme. In caso contrario, dobbiamo considerarla come una sorgente estesa.

Sperimentalmente si osserva che i raggi luminosi emessi da una sorgente si propagano secondo le seguenti leggi:

in un mezzo omogeneo i raggi luminosi si propagano in linea retta;

• se due raggi luminosi si incontrano non interagiscono tra loro, ma ciascuno prosegue il percorso originario senza subire deviazioni;

se un raggio luminoso che parte dal punto A arriva al punto B seguendo un certo percorso, allora un raggio che parte dal punto B seguendo lo stesso percorso in verso opposto, arriva al punto A. Questa proprietà è detta reversibilità dei cammini ottici.

Quando un raggio luminoso incontra un mezzo materiale può avere due comportamenti:

se la luce passa attraverso il mezzo, il materiale che lo costituisce è detto trasparente;

se la luce non riesce ad attraversare il mezzo, il materiale è detto opaco.

Quando i raggi luminosi colpiscono la superficie di un materiale opaco vengono assorbiti oppure riflessi. Noi riusciamo a vedere gli oggetti che ci circondano perché la luce, dopo essere stata deviata dalla superficie degli oggetti, giunge fino ai nostri occhi. Gli oggetti illuminati, quindi, si comportano a loro volta come delle sorgenti luminose e sono detti sorgenti luminose secondarie.

La formazione delle ombre

Gli oggetti illuminati generano ombre. Consideriamo una sorgente luminosa puntiforme, come per esempio un LED. Se indirizziamo la sua luce su un oggetto opaco, posto tra la sorgente luminosa e uno schermo, notiamo la formazione sullo schermo di una zona d'ombra in cui non arriva alcun raggio luminoso emesso dalla sorgente. I bordi dell'ombra sono netti.

Se la sorgente ha dimensioni non trascurabili, oltre alla zona d'ombra e a quella illuminata, sullo schermo si crea anche una zona che viene raggiunta solo da alcuni dei raggi luminosi emessi.

Questa zona è detta zona di penombra e non è uniforme, ma appare più o meno scura in base al numero dei raggi che raggiungono un determinato punto. Per questo motivo, in presenza di sorgenti estese i contorni che delimitano un'ombra risultano sfumati.

(2)

2 La riflessione della luce

La maggior parte degli oggetti riflette una parte della luce che li colpisce. Supponiamo che un raggio luminoso colpisca una superficie piana e ben levigata, come quella dello specchio di fig. 1

Fig. 1

Come mostra la figura, l'angolo di incidenza θi è l'angolo che il raggio incidente forma con la normale, che è la retta perpendicolare al piano dello specchio nel punto di incidenza. L'angolo di riflessione θr è l'angolo formato dal raggio riflesso con la normale.

Sperimentalmente, si osserva che valgono le seguenti leggi della riflessione:

1. il raggio incidente, il raggio riflesso e la normale alla superficie riflettente nel punto di incidenza sono situati nello stesso piano, detto piano di incidenza;

2. l'angolo di riflessione è uguale all'angolo di incidenza:

r i = θ θ

Quando un fascio di raggi paralleli colpisce una superficie piana e liscia come quella della figura 2A, i raggi riflessi sono tutti paralleli tra loro. Questo tipo di riflessione è chiamata riflessione speculare ed è importante per determinare le proprietà degli specchi.

(3)

La maggior parte delle superfici non è però perfettamente liscia, perché presenta irregolarità. La legge della riflessione vale per ogni singolo raggio, ma una superficie irregolare riflette i diversi raggi di luce incidenti in direzioni diverse (figura 2B). Questo tipo di riflessione è chiamata riflessione diffusa.

3 Gli specchi piani

Se osserviamo l'immagine di un oggetto data da uno specchio piano notiamo che:

• l'immagine è collocata dietro lo specchio;

• l'immagine è simmetrica dell'oggetto rispetto allo specchio, cioè alla stessa distanza;

• l'immagine ha le stesse dimensioni dell'oggetto;

• la destra è scambiata con la sinistra.

Per capire perché l'immagine formata da uno specchio piano sembra provenire da dietro lo specchio osserviamo la figura 3A.

Fig. 3

Un raggio luminoso proveniente da un punto di un oggetto viene riflesso dallo specchio (l'angolo di incidenza è uguale all'angolo di riflessione) e colpisce il nostro occhio. Al nostro occhio appare come se provenisse da dietro lo specchio, in un punto situato lungo la retta tratteggiata della figura.

In realtà, da ogni punto dell'oggetto partono raggi luminosi diretti in tutte le direzioni, ma solo una piccola parte di questi raggi viene intercettata dal nostro occhio. La figura 3B mostra due raggi che partono dallo stesso punto dell'oggetto.

Anche se incidono sullo specchio con angoli diversi, tutti i raggi che hanno origine in un punto dell'oggetto, sembrano avere origine nello stesso punto dell'immagine dietro lo specchio (vedi le linee tratteggiate nella parte B della figura).

In conclusione, a ogni punto dell'oggetto corrisponde un solo punto dell'immagine: questo è il motivo per cui l'immagine prodotta da uno specchio piano appare nitida e non distorta.

Immagini reali e immagini virtuali

Anche se i raggi riflessi sembrano provenire dall'immagine, dalla figura 3B appare evidente che essi non hanno origine dietro lo specchio. Poiché nessuno dei raggi luminosi riflessi proviene realmente dall'immagine, l'immagine formata da uno specchio piano è chiamata immagine virtuale.

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Esistono anche specchi che producono immagini da cui provengono realmente i raggi luminosi e che per questo motivo sono chiamate immagini reali. Sono immagini reali, per esempio, quelle formate dagli specchi curvi.

Distanza dallo specchio e dimensione dell'immagine

Mediante la legge della riflessione è possibile dimostrare che la distanza tra l'immagine e lo specchio è uguale a quella tra l'oggetto e lo specchio.

Nella figura 4 la distanza dell'oggetto dallo specchio è indicata con d , mentre quella dell'immagine 0

è indicata con d .i

Il raggio luminoso parte da un punto della base dell'oggetto, colpisce lo specchio con un angolo di incidenza θ e viene riflesso con lo stesso angolo. All'occhio di un osservatore il raggio riflesso sembra provenire da un punto della base dell'immagine. Visto che i triangoli ABC e DBC della figura sono rettangoli, si ha che θ + β1= 90° e che α + β2 = 90°. Ma l'angolo α è uguale all'angolo di riflessione θ , perché sono angoli opposti al vertice di due rette che si intersecano, per cui

2.

1= β

β Di conseguenza i triangoli ABC e DBC sono uguali, perché hanno un lato in comune, i due angoli al vertice β1 e β2 uguali e gli angoli retti alla base uguali.

Pertanto i due lati d e 0 d sono uguali.i

Fig. 4

Con un ragionamento analogo si può dimostrare che l'altezza dell'immagine è uguale all'altezza dell'oggetto.

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4 Gli specchi sferici

Il tipo più comune di specchio curvo è lo specchio sferico; come mostra la figura 5, uno specchio sferico è costituito da una superficie riflettente a forma di calotta sferica.

Se la parte riflettente della superficie è quella interna si ha uno specchio concavo, mentre se è quella esterna si ha uno specchio convesso.

Fig. 5

Gli elementi caratteristici di uno specchio sferico sono:

il centro C della superficie sferica alla quale appartiene la calotta;

l'asse ottico, l'asse di simmetria della calotta sferica;

il vertice V, il punto di intersezione dell'asse ottico con la superficie riflettente;

il raggio di curvatura R, pari alla distanza tra C e V;

l'angolo di apertura α sotto il quale i bordi dello specchio sono visti dal centro C.

Se si applicano le leggi della riflessione ai raggi provenienti da una sorgente puntiforme riflessi da uno specchio sferico, si trova che il fascio emergente non è omocentrico. In generale, quindi, gli specchi sferici non producono un'immagine della sorgente.

Tuttavia, se l'angolo di apertura dello specchio è abbastanza piccolo, i raggi riflessi convergono con ottima approssimazione in un punto, creando così un'immagine visibile della sorgente.

Questo è equivalente a dire che la distanza tra l'asse ottico dello specchio e i raggi incidenti è molto più piccola del raggio di curvatura R dello specchio; tali raggi, che sfiorano l'asse, sono chiamati raggi parassiali.

In questo e nei paragrafi seguenti tratteremo solo gli specchi sferici di piccola apertura.

Il fuoco di uno specchio sferico

Usando le leggi della riflessione, si trova che quando un fascio di raggi luminosi paralleli all'asse ottico incide su uno specchio sferico, le direzioni di tutti i raggi riflessi convergono in un punto F detto fuoco dello specchio. Per la reversibilità dei cammini ottici, vale anche la proprietà inversa: i raggi che partono dal fuoco dello specchio vengono deviati parallelamente all'asse ottico.

Il fuoco si trova sull'asse ottico. In uno specchio concavo, i raggi paralleli all'asse ottico sono riflessi in modo da convergere nel fuoco (figura 6A); in uno specchio convesso i raggi paralleli all'asse ottico sono riflessi in modo che i loro prolungamenti convergano nel fuoco (figura 6B).

(6)

La distanza del fuoco dal vertice dello specchio è detta distanza (o lunghezza) focale f dello specchio stesso.

Il fuoco F di uno specchio concavo si trova a metà tra il centro di curvatura C e il vertice dello specchio. In altre parole, la distanza focale f è pari alla metà del raggio di curvatura R:

R

f 2

= 1 distanza focale di uno specchio concavo

Per uno specchio convesso il fuoco è virtuale perché in esso convergono i prolungamenti dei raggi;

la distanza focale ha perciò segno negativo:

R

f 2

− 1

= distanza focale di uno specchio convesso

Fig. 6

Le due equazioni precedenti valgono solo per i raggi parassiali. Consideriamo infatti un raggio di luce parassiale AB che incide su uno specchio sferico (concavo) nel punto B (figura 7). Per la legge della riflessione, gli angoli di incidenza e di riflessione sono uguali: iˆ= rˆ. Poiché il raggio AB e l'asse ottico CD sono paralleli, gli angoli alterni interni formati dal raggio BC sono uguali: iˆ= cˆ. Quindi è anche cˆ= rˆ e il triangolo CBF è isoscele e ha due lati uguali: CF = FB.

Fig. 7

(7)

Poiché il raggio AB è parassiale, BD è molto più piccolo del raggio e quindi, con buona approssimazione, il triangolo FDB è isoscele, per cui FBFD. Ma CF = FB, quindi:

FD FB

CF = ≈ e CD= CF+ FDFD+ FD= 2FD

Ma CD= R e FD= f , quindi possiamo concludere che, se il raggio è parassiale, risulta:

2 ossia

2 R

f f

R= =

Osservazione.

Osservando la figura 7, possiamo notare che una retta passante per il centro di curvatura C interseca lo specchio sempre ad angolo retto, vale a dire che la retta che passa per C è normale alla superficie nel punto di incidenza.

Come mostra la figura 8, i raggi molto distanti dall'asse ottico non convergono in un punto unico dopo essere stati riflessi dallo specchio. Il risultato è che l'immagine che si forma è confusa. Il fatto che uno specchio sferico non formi un unico punto immagine per tutti i raggi paralleli all'asse ottico che incidono su di esso è chiamato aberrazione sferica. L'aberrazione sferica può essere minimizzata utilizzando uno specchio di altezza piccola rispetto al raggio di curvatura.

Fig. 8

Specchi parabolici

Un altro modo per eliminare l'aberrazione sferica è costruire uno specchio di forma parabolica, come è mostrato nella figura 9. Una delle proprietà principali della parabola è che i raggi paralleli al suo asse sono riflessi tutti in uno stesso punto F, indipendentemente dalla loro distanza dall'asse.

Perciò uno specchio parabolico produce un'immagine nitida di tutti i raggi che lo colpiscono. Per questa ragione gli specchi astronomici, come quelli usati nei telescopi, sono di forma parabolica, per dare la maggior luminosità e le immagini più nitide possibili.

Lo stesso principio funziona al contrario. Ad esempio, se poniamo una sorgente di luce nel fuoco di uno specchio parabolico, come il punto F della figura 9, lo specchio devia la luce producendo un fascio intenso e unidirezionale che può essere rivolto in una precisa direzione. Questa proprietà è sfruttata nei flash e negli abbaglianti delle automobili.

(8)

Fig. 9

5 Immagini prodotte da specchi sferici

Per determinare l'orientamento, la misura e la posizione di un'immagine prodotta da uno specchio sferico, utilizziamo due tecniche. La prima, che chiamiamo tracciamento dei raggi principali, fornisce l'orientamento dell'immagine oltre che un'informazione qualitativa sulla sua posizione e sulla sua grandezza. Se disegnato in scala con cura, un diagramma dei raggi principali può anche fornire risultati quantitativi. Il secondo metodo, che utilizza una relazione chiamata equazione degli specchi o equazione dei punti coniugati, fornisce precise informazioni quantitative senza la necessità di un accurato disegno in scala.

Specchi concavi

Per costruire l'immagine di un oggetto sono particolarmente convenienti i tre raggi rappresentati nella figura 10 a pagina seguente. La figura rappresenta una freccia colorata (l'oggetto) e tre raggi che partono dalla sua punta, indicati con 1, 2 e 3. Per tracciare i cammini di questi tre raggi useremo le seguenti convenzioni.

DIAGRAMMADEI RAGGIPERUNOSPECCHIOCONCAVO

Raggio 1. Questo raggio incidente è parallelo all'asse ottico dello specchio e poi è riflesso come raggio passante per il fuoco F.

Raggio 2. Questo raggio incidente passa per il fuoco F e poi è riflesso come raggio parallelo all'asse ottico.

Raggio 3. Questo raggio incidente passa per il centro di curvatura C e quindi ha la direzione di un raggio perpendicolare alla superficie dello specchio. Pertanto il raggio riflesso ha la stessa direzione di quello incidente.

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Fig. 10

Costruzione delle immagini in uno specchio concavo

Oggetto posto tra il fuoco F e il centro di curvatura C

Se i raggi 1, 2 e 3 sono tracciati in un unico disegno in scala, come nella figura 11, essi si intersecano in un punto che è l'immagine della punta della freccia.

Fig. 11

Anche se per determinare la posizione dell'immagine abbiamo usato tre raggi, in realtà ne bastano due e il terzo è usato solo per controllo.

Procedendo in modo simile a quello usato per trovare l'immagine della punta della freccia, si possono trovare le immagini di altri punti dell'oggetto. Guardando l'immagine dalla posizione dell'occhio indicato nella figura, si vedrebbe un'immagine dell'oggetto ingrandita e capovolta.

Inoltre l'immagine è reale, perché i raggi luminosi passano realmente per il punto immagine.

(10)

Oggetto posto oltre il centro di curvatura C

Supponiamo adesso che l'oggetto si trovi oltre il centro C dello specchio, come indicato nella figura 12. L'immagine è reale, capovolta e rimpicciolita rispetto all'oggetto.

I tre raggi della figura 11 sono gli stessi di quelli della figura 12, con l'unica differenza che i versi dei loro cammini sono opposti (principio di reversibilità dei cammini ottici).

Fig. 12

Oggetto posto tra il fuoco F e lo specchio

Il diagramma dei raggi consente di determinare anche l'immagine di un oggetto posto tra il fuoco e lo specchio, come nella figura 13. In questo caso il raggio 2 non passa per il fuoco perché l'oggetto è al di là di esso, però ha la stessa direzione della retta passante per il fuoco e per la punta della freccia; quindi il raggio riflesso è parallelo all'asse ottico dello specchio. In questo caso i tre raggi riflessi non si intersecano in un punto unico ma sono divergenti. Tuttavia i prolungamenti di questi raggi oltre lo specchio sembrano provenire da un unico punto, che appartiene all'immagine virtuale dell'oggetto. Questa immagine virtuale è diritta e ingrandita rispetto all'oggetto.

Fig. 13

Gli specchi di ingrandimento usati per truccarsi o per radersi sono specchi concavi. Quando si mette il viso tra lo specchio e il suo fuoco se ne vede un'immagine virtuale e ingrandita.

Specchi convessi

Per determinare la posizione e le dimensioni dell'immagine formata da uno specchio convesso si può usare il metodo del diagramma dei raggi, ma bisogna tenere presente che il fuoco e il centro di curvatura di uno specchio convesso si trovano dietro la superficie riflettente, non davanti ad essa.

La figura 14 rappresenta una freccia colorata (l'oggetto) e i tre raggi che partono dalla sua punta, indicati con 1, 2 e 3. Per tracciare i cammini di questi tre raggi useremo le seguenti convenzioni.

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DIAGRAMMADEI RAGGIPERUNOSPECCHIOCONVESSO

Raggio 1. Questo raggio incidente è parallelo all'asse ottico dello specchio e pertanto il raggio riflesso sembra provenire dal fuoco F.

Raggio 2. Il prolungamento di questo raggio passa per il fuoco F: il suo raggio riflesso è parallelo all'asse ottico.

Raggio 3. Il prolungamento di questo raggio passa per il centro di curvatura C; quindi il raggio incide perpendicolarmente sullo specchio e si riflette lungo la stessa direzione, cambiando verso.

Fig. 14

I tre raggi riflessi della figura 14 sembrano provenire da un unico punto situato su un'immagine virtuale posta dietro lo specchio. L'immagine virtuale è diritta e rimpicciolita rispetto all'oggetto.

Uno specchio convesso forma sempre immagini virtuali di un oggetto, indipendentemente dalla posizione dell'oggetto davanti allo specchio.

Uno specchio convesso ha un angolo di visuale maggiore rispetto a uno specchio piano con le stesse dimensioni. Per questo motivo, gli specchi convessi sono usati come specchietti retrovisori nelle automobili e agli incroci stradali.

6 L'equazione dei punti coniugati per gli specchi sferici

Come abbiamo già anticipato, per descrivere in modo accurato le caratteristiche dell'immagine formata da uno specchio, è necessario utilizzare una relazione che lega ogni punto P dell'oggetto al corrispondente punto P' dell'immagine, detto punto coniugato di P. La relazione che lega due punti coniugati è detta equazione dei punti coniugati:

f q p

1 1 1 + =

dove:

f = distanza focale dello specchio;

(12)

p = distanza dell'oggetto, cioè distanza tra l'oggetto e lo specchio;

q = distanza dell'immagine, cioè distanza tra l'immagine e lo specchio.

Specchi concavi

Dimostriamo la validità dell'equazione dei punti coniugati nel caso di uno specchio concavo. Nella figura 15A un raggio emesso dalla punta dell'oggetto viene riflesso nel centro dello specchio, cioè nel punto in cui l'asse ottico incontra lo specchio, e passa per l'immagine. Poiché l'asse ottico è perpendicolare allo specchio, esso è anche la normale allo specchio nel punto di incidenza. Quindi il raggio incidente e il raggio riflesso formano due angoli uguali con l'asse ottico. I due triangoli rettangoli colorati sono simili perché hanno gli stessi angoli, quindi i loro lati sono in proporzione:

q p h h

i o =

essendo h l'altezza dell'oggetto e o h l'altezza dell'immagine.i

Fig. 15

Nella figura 15B un raggio emesso dall'oggetto passa per il fuoco F, è riflesso parallelamente all'asse ottico e passa per l'immagine. Se il raggio incidente è parassiale, la figura colorata in azzurro può essere considerata con buona approssimazione un triangolo rettangolo. In questo caso le due figure colorate sono triangoli rettangoli simili, perché hanno gli stessi angoli, quindi i loro lati sono in proporzione:

f f p h h

i

o = −

Confrontando le due equazioni, si ha:

f f p q

p = − da cui: = −1 f p q p

Dividendo entrambi i membri per p e ricombinando i termini, si ottiene l'equazione dei punti coniugati:

f q p

1 1 1 + =

(13)

Nella dimostrazione abbiamo fatto l'ipotesi che l'immagine dell'oggetto sia reale. L'equazione vale anche nel caso in cui l'immagine sia virtuale, cioè quando l'oggetto è posto tra il fuoco e lo specchio: in questo caso bisogna attribuire il segno negativo alla distanza q dell'immagine.

L'ingrandimento lineare

Oltre a stabilire la posizione dell'immagine di un oggetto formata da uno specchio, è importante valutare il suo ingrandimento G, cioè il rapporto tra l'altezza dell'immagine e quella dell'oggetto

o

i h

h / . Nella dimostrazione precedente, abbiamo visto che ho/hi = p/q e quindi che hi/ho = q/p. Si definisce allora ingrandimento G il rapporto:

p q h

G h

o i = −

=

Per convenzione, un'immagine rovesciata ha ingrandimento negativo, mentre un'immagine diritta ha ingrandimento positivo.

Specchi convessi

L'equazione dei punti coniugati vale anche per specchi convessi di raggio R. In questo caso però la lunghezza focale f è negativa:

2 f = − R

Riepiloghiamo le convenzioni sui segni usate nell'equazione dei punti coniugati e nell'equazione dell'ingrandimento. Queste convenzioni valgono sia per gli specchi concavi sia per quelli convessi.

RIEPILOGODELLACONVENZIONESUISEGNIPERGLI SPECCHISFERICI

Distanza focale

> 0

f per uno specchio concavo

< 0

f per uno specchio convesso Distanza dell'oggetto

> 0

p se l'oggetto è davanti allo specchio (oggetto reale)

< 0

p se l'oggetto è dietro lo specchio (oggetto virtuale) Distanza dell'immagine

> 0

q se l'immagine è davanti allo specchio (immagine reale)

< 0

q se l'immagine è dietro lo specchio (immagine virtuale) Ingrandimento

> 0

G se l'immagine è diritta rispetto all'oggetto

< 0

G se l'immagine è capovolta rispetto all'oggetto

(14)

Il caso della distanza negativa dell'oggetto, cioè di un oggetto virtuale, può verificarsi quando l'immagine di uno specchio è a sua volta l'oggetto di un altro specchio o di una lente. Ad esempio, se lo specchio 1 produce un'immagine che è dietro allo specchio 2, diciamo che l'immagine dello specchio 1 è un oggetto virtuale per lo specchio 2.

7 L'indice di rifrazione

La luce si propaga nel vuoto alla velocità costante c= 299792458m/s≈ 2,998⋅108m/s. La luce si propaga anche in altri mezzi, come l'aria, l'acqua e il vetro. Tuttavia gli atomi della materia in parte la assorbono, in parte la riemettono e in parte la diffondono. Perciò la velocità della luce in un mezzo diverso dal vuoto è minore di c e il suo valore dipende dalla natura del materiale.

Definizione dell'indice di rifrazione

L'indice di rifrazione n di un materiale è il rapporto tra la velocità della luce nel vuoto c e la velocità della luce v nel materiale:

v

n= = c

materiale nel

luce della velocità

vuoto nel luce della velocità

La tabella 1 riporta gli indici di rifrazione di alcune sostanze comuni. I valori di n sono maggiori di 1 perché la velocità della luce nel vuoto è maggiore di quella in qualunque altro materiale. Per esempio, l'indice di rifrazione del diamante è n= 2,419, perciò la velocità della luce nel diamante è:

m/s 10 24 , 419 1

, 2

m/s 10 998 ,

2 ⋅ 8 ≈ ⋅ 8

=

= n

v c

L'indice di rifrazione dell'aria è così vicino a 1 che per la maggior parte degli scopi pratici si può porre naria = 1.

Sostanza Indice di rifrazione n

Acqua 1,333

Alcol etilico 1,362

Aria (a 0 °C, 1 atm) 1,000293 Cloruro di sodio 1,544

Diamante 2,419

Glicerina 1,474

Plexiglas 1,48

Vetro (ottico) da 1,4 a 1,9 Tab. 1

(15)

8 La legge della rifrazione

Quando la luce colpisce la superficie di separazione tra due materiali trasparenti, in genere si divide in due parti, come mostra la figura 16: una parte viene riflessa con un angolo di riflessione uguale all'angolo di incidenza e una parte continua a propagarsi oltre la superficie di separazione. Se il raggio incidente non è perpendicolare alla superficie di separazione, il raggio che penetra nel secondo materiale ha una direzione diversa da quella del raggio incidente.

Fig. 16

Il raggio che penetra nel secondo materiale è chiamato raggio rifratto e mostra uno dei seguenti comportamenti:

• quando la luce passa da un mezzo con indice di rifrazione minore (l'aria) a uno con indice di rifrazione maggiore (l'acqua), il raggio rifratto si avvicina alla normale (fig. 16A);

• quando la luce passa da un mezzo con indice di rifrazione maggiore (l'acqua) a uno con indice di rifrazione minore (l'aria), il raggio rifratto si allontana dalla normale (fig. 16B).

In entrambe le situazioni l'angolo di incidenza, l'angolo di riflessione e l'angolo di rifrazione sono misurati rispetto alla normale alla superficie di separazione nel punto di incidenza. Osserviamo che nella parte A della figura l'indice di rifrazione dell'aria è indicato con n , mentre nella parte B è 1 indicato con n : il motivo di questa differenza è che indichiamo con il pedice 1 tutte le variabili 2

associate al raggio incidente (o al raggio riflesso) e con il pedice 2 tutte le variabili associate al raggio rifratto.

L'angolo di rifrazione θ2 dipende dall'angolo di incidenza θ1 e dagli indici di rifrazione n e 1 n dei 2 due mezzi. La relazione tra queste grandezze è chiamata legge della rifrazione di Snell:

Legge della rifrazione di Snell

Quando la luce passa da un mezzo con indice di rifrazione n a un mezzo con indice di rifrazione 1

n , il raggio incidente, il raggio rifratto e la normale alla superficie di separazione dei due mezzi 2

nel punto di incidenza giacciono tutti nello stesso piano e l'angolo di rifrazione θ2 è legato all'angolo di incidenza θ1 dalla relazione:

2 2 1

1sinθ = n sinθ n

(16)

Osservazione.

Si può dimostrare che il rapporto tra gli indici di rifrazione n e 1 n dei due mezzi è pari al reciproco 2 del rapporto tra le velocità v e 1 v di propagazione della luce al loro interno:2

1 2 2 1

v v n n =

Profondità apparente

Una conseguenza interessante della rifrazione è il fatto che un oggetto sott'acqua sembra più vicino alla superficie di quanto è realmente.

La figura 17 mostra i cammini dei raggi luminosi emessi da una cassa affondata e osservati da una barca. Prolungando dentro l'acqua i raggi che viaggiano nell'aria (le rette tratteggiate), si vede che essi si intersecano in un punto che è l'immagine virtuale della cassa vista dall'osservatore e che questa immagine si trova a una profondità apparente minore della profondità reale. L'immagine è virtuale perché i raggi luminosi non passano realmente per essa.

Fig. 17

Raggio di luce che attraversa una lastra di materiale trasparente

Il vetro di una finestra è un esempio di una lastra di materiale trasparente a facce piane e parallele.

Come mostra la figura 18, quando un raggio di luce attraversa il vetro, il raggio emergente è parallelo a quello incidente, ma spostato lateralmente rispetto a esso. Questo risultato può essere verificato applicando a ciascuna delle due superfici di separazione la legge della rifrazione, da cui si ottiene:

3 3 2 2 1

1sinθ = n sinθ = n sinθ n

Poiché l'aria circonda il vetro, si ha n1= n3 e quindi sinθ1= sinθ3. Perciò θ1= θ3, e quindi il raggio incidente e il raggio emergente sono paralleli.

Il raggio emergente risulta però spostato lateralmente rispetto a quello emergente.

(17)

Fig. 18

Calcoliamo ora lo spostamento laterale tra i due raggi, rappresentato nella figura 19 con la distanza d

BK = . Dal triangolo rettangolo ABC si ricava che:

AB C BC

B

Aˆ = cosθ2 =

cos da cui:

cosθ2

= BC

AB dove BC= h indica lo spessore della lastra.

Dal triangolo rettangolo ABK ricaviamo invece che:

( )

AB d AB K BK

A

Bˆ = sin θ1− θ2 = =

sin da cui: d = AB⋅sin

(

θ1− θ2

)

Fig. 19

Combinando le ultime due equazioni, si ottiene infine il valore dello spostamento d:

(18)

( )

2 2 1

cos sin

θ θ

= h θ d

Come si vede, lo spostamento dipende in particolare dallo spessore della lastra: quando lo spessore della lastra è piccolo, lo spostamento è trascurabile e la direzione del raggio incidente praticamente coincide con quella del raggio emergente.

9 La riflessione totale

Quando la luce passa da un mezzo con indice di rifrazione maggiore a un mezzo con indice di rifrazione minore (per esempio dall'acqua all'aria), il raggio rifratto si allontana dalla normale, come mostra la figura 20A. Quando aumenta l'angolo di incidenza, aumenta anche l'angolo di rifrazione. Quando l'angolo di incidenza raggiunge un certo valore, chiamato angolo limite θL, l'angolo di rifrazione è di 90°. In questo caso il raggio rifratto è radente alla superficie di separazione, come mostra la parte B della figura. Quando l'angolo di incidenza è maggiore dell'angolo limite, il raggio rifratto manca: tutta la luce incidente viene riflessa all'interno del mezzo da cui proveniva (figura 20C). Questo fenomeno è chiamato riflessione totale.

Fig. 20

Per ottenere il valore dell'angolo limite imponiamo che l'angolo di rifrazione sia θ2 = 90° ; dalla legge della rifrazione n1sinθL = n2sin90° otteniamo n1sinθL = n2, quindi l'angolo limite θL è tale che:

(

2 1

)

1 L 2

sin n n

n

n <

= θ

Per esempio, l'angolo limite per la luce che si propaga dall'acqua (n1= 1,33) verso l'aria (n2= 1,00) è:

°

 =

 

= 

θ 48,8

33 , 1

00 , sin 1 1

L

Molti strumenti ottici – come i binocoli, i periscopi e i telescopi – impiegano prismi di vetro che provocano la riflessione totale per far ruotare di 90° o di 180° un fascio di luce. La figura 21A mostra un raggio di luce che entra in un prisma di vetro (n1= 1,5) con una sezione trasversale che ha la forma di un triangolo retto isoscele (cioè con angoli di 45°, 45° e 90°) e che va a colpire

(19)

superficie di separazione vetro-aria è:

°

=



 

= 

θ 42

5 , 1

0 , sin 1 1

L

Poiché l'angolo di incidenza è maggiore dell'angolo limite, la luce incidente sull'ipotenusa viene totalmente riflessa all'interno del prisma e il raggio emergente dal prisma mostrato in figura è diretto verticalmente verso l'alto, cioè è ruotato di 90° rispetto al raggio entrato nel prisma.

La parte B della figura mostra come lo stesso prisma possa far ruotare il raggio di 180° quando si ha una doppia riflessione totale.

Fig. 21

Un'importante applicazione della riflessione totale si trova nelle fibre ottiche, dove fili di vetro o di plastica sottili come capelli, chiamati appunto fibre ottiche, “guidano” la luce da un posto all'altro.

La figura 22 mostra che una fibra ottica è formata da un nucleo cilindrico interno, attraverso il quale viaggia la luce, e da una parete esterna concentrica al nucleo, chiamata mantello. Il nucleo è fatto di vetro o di plastica trasparente con un indice di rifrazione relativamente grande. Anche il mantello è fatto di vetro, ma di un tipo che ha un indice di rifrazione relativamente piccolo.

Fig. 22

La luce entra in un estremo del nucleo, colpisce la superficie di separazione nucleo-mantello con un angolo maggiore dell'angolo limite e perciò viene riflessa totalmente all'interno del nucleo. In questo modo la luce continua a viaggiare all'interno della fibra ottica seguendo un percorso a zig- zag.

(20)

10 La dispersione della luce

La figura 23A mostra il fenomeno della dispersione della luce: un fascio di luce bianca incidente su un prisma è scomposto in una serie di raggi di diverso colore che formano lo spettro della luce. I colori dello spettro sono nell'ordine: rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto.

Fig. 23

Per comprendere l'origine di questo fenomeno, consideriamo un raggio di luce di un dato colore, per esempio rosso, che incide sulla faccia di un prisma triangolare di vetro (figura 23B). Il raggio rifratto è deviato verso la normale, perché l'indice di rifrazione del vetro è maggiore di quello dell'aria. Quando il raggio di luce esce dalla faccia di destra del prisma, il raggio rifratto si allontana dalla normale, perché l'indice di rifrazione dell'aria è minore di quello del vetro. Perciò l'effetto complessivo del prisma è quello di cambiare la direzione del raggio, facendolo deviare verso il basso sia quando entra nel prisma sia quando ne esce.

Poiché l'indice di rifrazione del vetro dipende, anche se poco, dal colore della luce, e quindi dalla lunghezza d'onda della luce (tabella 2), i raggi luminosi di colori diversi sono deviati verso il basso con angoli diversi. Per un dato materiale, quanto maggiore è l'indice di rifrazione per un dato colore, tanto maggiore è l'angolo di deviazione: la parte C della figura mostra i raggi rifratti corrispondenti ai raggi incidenti di colore rosso e violetto, cioè i colori ai due estremi dello spettro della luce visibile.

Tabella 2 – Indici di rifrazione del vetro Crown per alcuni colori

(21)

L'arcobaleno

Un esempio spettacolare di dispersione della luce è costituito dagli arcobaleni, in cui i diversi colori hanno origine dalla rifrazione della luce solare da parte delle gocce d'acqua. In genere, capita di vedere un arcobaleno quando sta finendo un temporale e si guarda verso le ultime gocce di pioggia nell'aria con le spalle al Sole.

Quando la luce proveniente dal Sole entra in una goccia d'acqua di forma sferica, come quella della figura 24, i diversi colori della luce vengono deviati di un angolo che dipende dall'indice di rifrazione dell'acqua per la luce di quel particolare colore. Dopo essere stati riflessi dalla superficie posteriore della goccia, i raggi dei diversi colori vengono rifratti di nuovo quando riemergono nell'aria.

Fig. 24

Anche se ciascuna goccia disperde la luce solare in tutti i colori dello spettro della luce visibile, l'osservatore vede solo un colore emergere da ciascuna goccia, perché solo uno dei colori viaggia nella direzione giusta per giungere al suo occhio. Tuttavia, in un arcobaleno si vedono tutti i colori dello spettro della luce solare, perché ciascun colore proviene da gocce diverse poste ad altezze diverse.

Angolo di deviazione prismatica

Se il prisma triangolare mostrato nella figura 25 (a pagina seguente) è immerso in un mezzo trasparente come l'aria, un raggio di luce, incidente su una sua faccia secondo un angolo θi, viene rifratto due volte ed emerge dall'altra faccia deviato di un angolo δ , detto angolo di deviazione prismatica; tale angolo, formato dal prolungamento del raggio incidente con il prolungamento del raggio emergente, dipende dai valori dell'angolo diedro α (detto angolo di rifrangenza), dell'angolo di incidenza θi e dell'angolo di rifrazione θe, secondo la formula:

α

− θ + θ

=

δ i e

Infatti, poiché la somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a 180°, dal triangolo ABC si ricava che

α

= θ + θ

°

= α + θ

° + θ

° 1 90 2 180 1 2

90

Inoltre, dal teorema dell'angolo esterno applicato al triangolo ABD, si ricava che

( ) ( ) ( )

ˆ

ˆ + = θ − θ + θ − θ = θ + θ − θ + θ

=

δ DAB DBA

(22)

Combinando le ultime due relazioni, si ottiene la formula cercata δ = θi + θe − α .

Fig. 25

11 Le lenti

Una lente sferica è un corpo di materiale trasparente delimitato da due superfici sferiche (figura 26). La retta che passa per i centri di curvatura delle due superfici è detta asse ottico della lente. Il centro della lente è il punto sull'asse ottico che ha la stessa distanza da ciascuna delle superfici. Nel seguito studieremo le proprietà delle lenti sottili, cioè di quelle lenti che hanno uno spessore al centro molto più piccolo dei raggi delle superfici sferiche che le delimitano.

Fig. 26

Una lente è in grado di deviare i raggi luminosi per rifrazione. Se la lente è sottile, possiamo considerare un'unica rifrazione della lente (anziché due, quella in entrata, aria-vetro, e quella in uscita, vetro-aria).

(23)

Lenti convergenti e lenti divergenti

Prendiamo in esame due tipi di lenti sottili: le lenti convergenti e le lenti divergenti. Una lente convergente (o biconvessa) devia i raggi che incidono su di essa parallelamente all'asse ottico e li fa convergere in un punto sull'asse ottico detto fuoco F (figura 27B).

Fig. 27

Per comprendere, da un punto di vista qualitativo, perchè le lenti convesse siano convergenti, osserviamo che sono simili a due prismi posti base contro base, come mostrato nella figura 27A.

Una lente divergente (o biconcava) devia i raggi che incidono su di essa parallelamente all'asse ottico e li fa divergere come se provenissero da un punto sull'asse ottico, detto fuoco F (figura 28B).

Fig. 28

Le lenti concave si comportano come due prismi posti vertice contro vertice, come possiamo vedere nella figura 28A.

La distanza tra il fuoco e il centro di una lente è chiamata distanza focale f della lente.

Le lenti convergenti e divergenti possono avere varie forme. In generale, le lenti convergenti sono più spesse al centro che ai bordi, mentre le lenti divergenti sono più sottili al centro che ai bordi.

(24)

12 Immagini formate da lenti

I diagrammi dei raggi

Per determinare il tipo di immagine formata da una lente convessa o concava, possiamo utilizzare il tracciamento dei raggi principali, come abbiamo fatto con gli specchi.

Nelle figure 29 e 30 sono mostrati i tre raggi parassiali che partono dal punto più alto dell'oggetto (rappresentato da una freccia) e che sono indicati con 1, 2 e 3; per tracciare i loro cammini usiamo le seguenti convenzioni.

DIAGRAMMADEI RAGGIPERLENTICONVERGENTI

(OGGETTOASINISTRADELLALENTE)

Raggio 1. Questo raggio incidente è parallelo all'asse ottico. Dopo aver attraversato la lente, il raggio rifratto passa per il fuoco a destra della lente (parte A).

Raggio 2. Questo raggio incidente passa per il fuoco a sinistra della lente e viene rifratto in direzione parallela all'asse ottico (parte B).

Raggio 3. Questo raggio incidente è diretto verso il centro della lente sottile e la attraversa senza essere praticamente deviato (parte C).

Fig. 29

DIAGRAMMADEIRAGGIPERLENTIDIVERGENTI (OGGETTOASINISTRADELLALENTE)

Raggio 1. Questo raggio incidente è parallelo all'asse ottico. Dopo aver attraversato la lente, il raggio rifratto sembra provenire dal fuoco a sinistra della lente. Il raggio tratteggiato nella parte A rappresenta il cammino apparente del raggio che esce dalla lente.

Raggio 2. Questo raggio incidente è diretto verso il fuoco a destra della lente ed è rifratto parallelamente all'asse ottico. Il raggio tratteggiato nella parte B rappresenta il cammino che il raggio percorrerebbe se non ci fosse la lente.

Raggio 3. Questo raggio incidente è diretto verso il centro della lente sottile e la attraversa senza essere praticamente deviato (parte C).

(25)

Fig. 30

Sia nelle lenti convergenti sia in quelle divergenti, il raggio 3 non viene deviato in modo apprezzabile da una lente sottile, in cui le superfici nella zona centrale sono praticamente parallele.

Perciò la lente si comporta in entrambi i casi come una lastra piana a facce parallele. Poiché lo spessore della lente è piccolo, le direzioni del raggio incidente e di quello rifratto sono praticamente coincidenti.

Immagini formate da una lente convergente

Oggetto posto oltre 2F

Nella figura 31 l'oggetto si trova a una distanza da una lente convergente maggiore del doppio della distanza focale. Per trovare l'immagine si possono disegnare due qualunque dei tre raggi 1, 2 e 3 che partono dal punto superiore dell'oggetto. Il punto a destra della lente in cui si intersecano i tre raggi rifratti è l'immagine del punto da cui i raggi provengono. Il diagramma dei raggi mostra che l'immagine dell'oggetto è reale, capovolta e rimpicciolita rispetto all'oggetto.

Fig. 31

Oggetto posto tra F e 2F

Quando l'oggetto si trova tra i punti F e 2F, come nel caso della figura 32, l'immagine formata dalla lente è reale, capovolta e ingrandita rispetto all'oggetto.

Fig. 32

(26)

Oggetto posto tra il fuoco e la lente

Quando l'oggetto si trova tra il fuoco e la lente, come nella figura 33, i raggi divergono dopo aver attraversato la lente. A un osservatore che li guarda, questi raggi sembrano provenire da un'immagine posta dietro la lente, cioè a sinistra della lente. Poiché nessuno di questi raggi proviene realmente dall'immagine, l'immagine è virtuale. Inoltre il diagramma dei raggi mostra che l'immagine è diritta e ingrandita. Le lenti di ingrandimento sfruttano questa disposizione.

Fig. 33

Immagini formate da una lente divergente

Dopo aver attraversato una lente divergente, i raggi divergono come mostra la figura 34, e il diagramma dei raggi indica che si forma un'immagine virtuale a sinistra della lente. In effetti, indipendentemente dalla posizione dell'oggetto, una lente divergente forma sempre un'immagine virtuale, diritta e rimpicciolita rispetto all'oggetto.

Fig. 34

13 L'equazione delle lenti sottili. L'ingrandimento lineare

Per determinare con precisione le caratteristiche dell'immagine di un oggetto formata da una lente sottile, si possono usare le due seguenti equazioni:

Equazione delle lenti sottili

f q p

1 1 1 + =

Equazione dell'ingrandimento lineare p

q h

G h

o i = −

= altezzadell'oggetto immagine dell'

altezza

(27)

La figura 35 mostra il significato dei simboli che compaiono nelle due equazioni precedenti con riferimento a una lente sottile convergente, ma le equazioni sono valide anche per una lente divergente, purché sottile.

Fig. 35

Per utilizzare correttamente le due equazioni precedenti bisogna ricordare alcune convenzioni sui segni, elencate nel caso di raggi che provengono da un oggetto reale a sinistra della lente.

RIEPILOGODELLACONVENZIONESUISEGNIPERLELENTISOTTILI

Distanza focale

> 0

f per una lente convergente

< 0

f per una lente divergente Distanza dell'oggetto

> 0

p se l'oggetto è a sinistra della lente (oggetto reale), come avviene di solito

< 0

p se l'oggetto è a destra della lente (oggetto virtuale) Distanza dell'immagine

> 0

q se l'immagine di un oggetto reale è reale e si forma a destra della lente

< 0

q se l'immagine di un oggetto reale è virtuale e si forma a sinistra della lente Ingrandimento

> 0

G se l'immagine è diritta rispetto all'oggetto

< 0

G se l'immagine è capovolta rispetto all'oggetto

Il caso della distanza negativa dell'oggetto può verificarsi quando un sistema ottico contiene più di una lente e l'immagine formata dalla prima lente funziona come oggetto per la seconda. In questo caso l'oggetto della seconda lente può trovarsi alla sua destra e la convenzione dei segni stabilisce che la distanza dell'oggetto sia negativa e che l'oggetto sia considerato un oggetto virtuale.

14 Combinazione di lenti

Gli strumenti ottici, come il microscopio o il telescopio, usano particolari combinazioni di lenti per ottenere immagini degli oggetti con un ingrandimento maggiore di quello fornito da ciascuna singola lente.

(28)

Per esempio, la figura 36A mostra il sistema a due lenti usato nei microscopi. La lente più vicina all'oggetto è detta obiettivo, mentre quella più vicina all'occhio dell'osservatore è detta oculare.

L'oggetto è posto appena oltre il fuoco F dell'obiettivo. L'immagine formata dall'obiettivo, o

indicata in figura come prima immagine, è reale, capovolta e ingrandita rispetto all'oggetto. La prima immagine serve come oggetto per l'oculare. Poiché la prima immagine si forma fra l'oculare e il suo fuoco F , l'oculare ne forma un'immagine virtuale e ingrandita che è raccolta dall'occhio e

dell'osservatore.

Fig. 36

La posizione dell'immagine finale formata da una combinazione di lenti può essere determinata applicando l'equazione delle lenti sottili a ciascuna di esse separatamente. L'importante è ricordare che l'immagine prodotta da una lente serve come oggetto per la lente successiva.

Inoltre si può dimostrare quanto segue:

(29)

Ingrandimento lineare della combinazione di due lenti

L'ingrandimento lineare G di una combinazione di due lenti è il prodotto degli ingrandimenti G e 1 G di ciascuna di esse:2

2 1 G G G= ⋅

15 Il potere diottrico di una lente e la diottria

La capacità di una lente di rifrangere la luce, indicata come potere diottrico, è legata alla sua distanza focale. Minore è la distanza focale, maggiore è la rifrazione della luce da parte della lente.

Il potere diottrico dipende quindi inversamente dalla distanza focale. Per definizione, diciamo allora che il potere diottrico di una lente è 1/ f , dove la distanza focale f è misurata in metri:

Definizione di potere diottrico

f diottrico 1

potere =

Il potere diottrico di una lente si misura in una unità chiamata diottria:

m 1

1 diottria

1 =

Normalmente gli ottici caratterizzano le lenti attraverso le diottrie piuttosto che con la distanza focale. Come esempio sul significato di diottria, una lente con un potere diottrico di 10 diottrie ha una distanza focale di 1/

(

10m1

)

= 10cm (lente convergente), mentre una lente con potere diottrico di 10− diottrie ha una distanza focale di 10− cm (lente divergente).

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