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1. La Liguria antica

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1. La Liguria antica

1.1 Le fonti antiche sui Liguri

Ricostruire le origini, i confini e i costumi degli antichi Liguri, nonostante le non esigue fonti antiche sia Greche che Romane, non è impresa facile e purtroppo soggetta a lacune anche dovute alla confusione ed ambivalenza tra Liguri, Celti e Celto-Liguri. Le fonti storiche che si sono occupate della più antica storia dei Liguri sono concordi nell’attribuire a questo ethnos un’alta antichità, provata dalla sua precedenza rispetto a tutte le altre genti con le quali è venuto in contatto, e nel contempo un’estensione territoriale assai maggiore rispetto agli altri popoli, specialmente prima delle lotte con Roma.

La più antica memoria dei Liguri, giunta fino a noi, è l’esametro, citato da Eratostene di Cirene, probabilmente nella Geografia, e da lui attribuito ad Esiodo1:

“Aιθίοπάς τε Λίγυς τε ιδέ Σκύθας ίππηµολγούς 2“

Non sappiamo a quale opera del vasto corpus esiodeo, il geografo alessandrino facesse riferimento, ma si può stabilire che difficilmente l’opera sarà posteriore al VI secolo a.C.3.

Il verso elenca i popoli posti ai confini della terra abitata, visti con l’ottica di chi, stando in Grecia, riteneva di trovarsi nel centro del mondo, sono perciò menzionate le etnie poste nei territori più remoti allora conosciuti, con una sequenza circolare che segue il movimento solare: gli Etiopi occupano le estreme regioni dell'oriente e del mezzogiorno (pressappoco da est a sud-ovest), i Liguri quelle dell'occidente (pressappoco da sud-ovest a nord-ovest) e gli Scitii quelle del settentrione (all’incirca da nord-ovest a est).

Tre secoli più tardi, all’incirca nel III secolo a.C. Eratostene di Cirene, non esitava a definire l’intera penisola iberica con il nome di “Liguria”( Ligustiké), mentre nello

1 Strabone VII,3,7,C300 2

“…e gli Etiopi e i Liguri e gli Sciti mungitori di cavalle…”

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stesso passo la penisola italiana era già definita “Italia” (Italiké), come facevano i Romani.

I Greci di epoca arcaica avevano elaborato l’idea di una “grande Liguria” situata immediatamente al di la dell’Etruria e del mare Tirreno, realtà a loro ben note già dagli inizi dell’era coloniale, ed estesa a tutto l’arco della restanti coste del Mediterraneo, fino alle colonne d’Ercole.

Ecateo di Mileto, dice che Massalia è una “città della Liguria presso il paese dei Celti” (nominati qui per la prima volta), l'ignota Àmpelos, in un paese grande importatore ma scarso produttore di vino è ugualmente una “città della Liguria”, Monotkos (Monaco) è una “città ligustica”, gli Elisyci, il cui capoluogo era Narbonna, sono un “popolo dei Liguri”.

Il termine con cui i Greci designano le popolazioni liguri, è Λίγυεζ, λίγυστιχήγή si riferisce al territorio, da cui per traslitterazione in latino derivo ligusticus, adoperato dai geografi.

Gli autori latini preferiscono adottare il nome Ligus rispetto a Ligur/Ligures, che è a sua volta derivato dall'aggettivo greco, d’uguale radice e d’identico significato: indica un suono stridulo, acuto, poco piacevole.

I Ligues quindi sono gli uomini dalla voce stridente, il termine è usato con lo stesso valore semantico della parola barbaroi 4, coloro il cui idioma non è comprensibile all’orecchio greco, in questo caso ai Focei, che nel VI secolo a.C. abitano Massalia e Àmpelos 5.

Appare di fatto scontato che il concetto della “grande Liguria”, di cui restano tracce, nel corpus esiodeo e in Ecateo e probabilmente lo stesso nome di Liguri, sia un’invenzione dei Focei, ed in particolare dei Massalioti, compresa e divulgata in età anteriore alle guerre Persiane.

Il concetto di estensione geografica della terra ligure varia con il tempo: per l'epoca più remota la Liguria rappresenta una terra lontana di confine e l’Ethnos ligure, di origine mitica come gli Iperborei, ha un gran potere sul territorio; unico dato accertato è l'appartenenza al mondo ligure della zona dove si stabiliscono i Focei, anche se non è chiarita l'estensione verso l'interno.

4

Her., VII, 72

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Tale indeterminatezza è percepibile nelle fonti fino all'età ellenistica; i Greci non avevano necessità di essere più precisi, poiché Massalia occupava un'area limitata e con il resto del mondo ligure intratteneva rapporti commerciali e non di conquista.

Verso il III secolo a.C., invece, si inizia a delimitare la Liguria con confini più netti, ma sempre in un'ampia area che va dalla Linguadoca all'Arno; la demarcazione avviene abbastanza tardi, dopo l'insediamento dei Celti nella vallata del Rodano e del Po e alla fine dell'espansione etrusca nell'Italia settentrionale.

Infatti, i confini del territorio sono creati dalla necessità bellica, quando Roma decide di espandersi verso occidente; di conseguenza la suddivisione augustea fotografa la situazione territoriale all'inizio delle guerre liguri, quindi tra la fine del III e l'inizio del II secolo a.C.. L’idea di una grande Liguria fu presto superata, sul piano geoetnografico, ma conobbe un’inattesa e duratura fortuna nei miti. Ad esso si rifà Tucidide, quando parla di Liguri insediati sulle coste dell'Iberia, che avrebbero costretto i Sicanii ad abbandonare le rive del fiume Sikanós (tradizionalmente identificato con lo Jùcar, che sfocia poco a sud di Valenza), per trasferirsi nella lontana Sicilia, da essi popolata per primi, dopo i mitici Ciclopi e i Lestrigoni di cui parla l'Odissea: il loro arrivo nell'isola sarebbe avvenuto in età talmente antica che al tempo dello storico quel popolo si riteneva autoctono.

Una costruzione che trovava evidentemente un punto di partenza in nomi di luogo iberici noti ai Massalioti e registrati già da Ecateo6.

Al mito appartengono anche l’impresa di Eracle e i buoi di Gerione, Cicno e la caduta di Fetente nell’Eridano e la conquista della Sicilia.

Eracle, arrivato in Liguria, dall’Iberia, è assalito dai Liguri7 che abitano presso un valico delle alpi oppure secondo un’altra versione, dai figli di Poseidone8; qui l’eroe in difficoltà riceve da suo padre Zeus, una pioggia di pietre per potersi difendere dagli assalitori.

Questi due passi individuano aree geografiche ben distinte, per Dione un’area montuosa, mentre per Apollodoro una spiaggia o in ogni caso una zona costiera più

6 Ecateo St.Byz., s.v. "Sikàne" 7

Dion.,I,41,3

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adatta ai figli di Poseidone; Eschilo9 invece indica come zona di scontro il delta acquitrinoso del Rodano.

Le diverse versioni del mito concordano nel ritenere gli attaccanti “intrepidi” per far risaltare al meglio l’impresa dell’eroe, Eschilo invece si potrebbe basare su fatti recenti a lui ben noti, ossia all’aiuto dato dai mercenari Liguri ai Cartaginesi nella battaglia di Imera del 480 a.c.10

Oltre alla diversa ubicazione della battaglia, Eschilo accenna la politica espansionistica ateniese verso il mar Ligure nel V secolo a.C., offrendo una visione squisitamente greca da oriente verso occidente.

Possiamo quindi affermare che questo mito, non testimonia tanto l’origine e l’antichità della stirpe Ligure, quanto l’appropriarsi, da parte della cultura greca, delle diverse strade di comunicazione e valico verso occidente e settentrione.

Invenzione Greca che ebbe un grande seguito in età ellenistica e romana è anche il mito del rapporto tra Liguri e Po-Eridano, incentrata sulla figura di Cicno, re Ligure.

Questo, disperato per la fine tragica dell’amico e parente Fetonte, figlio del Sole, sarebbe stato trasformato in cigno, l'uccello che si reputava cantasse flebilmente in punto di morte per intervento di Apollo.

Il mito, ruotante intorno ai motivi dell'amicizia tra maschi, dell'amore dei Liguri per il canto e della valenza solare ed 'eroica' attribuita al cigno, s'innesta su quello, più antico e, alla pari dell'Erìdano, di assai vaga localizzazione, concernente la sorte di Fetonte e il pianto senza fine delle sue sorelle Eliadi, che vedono le loro lacrime trasformarsi in un bene prezioso qual era la ricercatissima ambra.

Per Strabone la Liguria sarebbe produttrice di ambra, che per Teofrasto (De lap., 5, 29) è una pietra che attrae, quindi fortemente magnetizzata, per Metrodoro una resina e per Plinio11 un prodotto dell'urina della linee.

L'azione del mito, che si svolge nella Liguria interna, adombra una realtà storica, ponendo l’accento sulla valenza commerciale dell'area, che è stata, anche grazie alle percorribili vie

9 Eschilo,Prometeo lib.fr.199 10

Giannattasio 2007 ,pp 9-10

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fluviali, uno dei fulcri del commercio dell'ambra, proveniente dall'Europa centrale attraverso i valichi alpini, e da qui smerciata a occidente.

Il mito che sembra nascondere una realtà più antica, è legato al nome di Siculo, figlio di Italo, il quale verso la meta del XII secolo a.C., guidò un gruppo di Liguri verso la Sicilia, legando così indissolubilmente questa stirpe sia alla occupazione dell’isola, sia all’origine del nome dell’Italia. Secondo Dionigi D’Alicarnasso, i Liguri furono costretti a questa migrazione dal sopraggiungere di Umbri e Pelasgi; appare evidente che questo mito doveva riflettere un opinione conosciuta dagli storici e dalla cultura antica e si riallacciava alla tradizione di grande antichità della stirpe e ne risalta ancora una volta l’anteriorità e la diffusione rispetto agli altri popoli italici.

La descrizione che le fonti antiche fanno delle popolazioni Liguri, tralasciando i riferimenti alle origini mitiche, è invece quella di genti che hanno un genere di vita particolarmente “selvatico” e “barbarico”, ma almeno in parte ciò è spiegabile con la mentalità e i pregiudizi dell’etnografia greca e l’asprezza delle lotte di una parte del mondo ligure con

Massalia prima e con i Romani poi, fino alla contrastata conquista romana.

Si pensi ad esempio ai giudizi negativi di Catone: “sono analfabeti e bugiardi e non

riferiscono il vero12“ forse riferite soprattutto alle loro origini.

Ben più lusinghiere le parole di Diodoro Siculo che pongono l’accento sul valore delle genti liguri:

“Sono audaci e valenti non solo in guerra, ma anche nelle circostanze difficili della vita

che comportano rischi tremendi. Infatti, quando navigano per commercio nel mar Sardo e nel mar Libico, mettono se stessi in pericoli senza possibilità di aiuto, servendosi infatti di imbarcazioni più semplici di zattere e di attrezzature pochissimo utili per le navi, e affrontano mirabilmente le situazioni più spaventose causate dalle tempeste13“.

Il quale aggiunge una preziosa informazione alla nostra conoscenza del popolo ligure, ovvero che erano audaci navigatori e mercanti e che andavano ben al di là dal golfo Ligure, spingendosi nel mar Sardo, che comprendeva il tratto di mare dalla Sardegna alle

12

Cat fr31 Peter II,1 Chassignet

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colonne D’Ercole in quello libico con imbarcazioni rudimentali e con scarsa attrezzatura, verosimilmente piccoli battelli.

All’attività mercantile i Liguri avevano lo stesso affiancato quella piratesca, su cui siamo ben documentati per la guerra tra Romani e Ingauni del 181 a.C.

Plutarco14 scrive che i Liguri stanziati presso le Alpi “grazie alla vicinanza del mare, […] erano soliti compiere razzie con navi corsare e saccheggiare le mercanzie navigando fino alle colonne d’Ercole”.

Il console Emilio Paolo li pacificò, tra l’altro togliendo loro ogni tipo di imbarcazione che avesse più di tre scalmi; Roma aveva nominato due triumviri navali, uno dei quali, P.Matieno, doveva difendere la costa fino a Massalia e catturò trentadue navi Liguri15, piloti e marinai della navi pirata (naves praedatoria) furono imprigionati.

Ma a parte queste operazioni militari vere e proprie, attacchi per mare di Liguri sono ricordati da Livio16 più volte per l’anno 190 a.C., con l’uccisione del pretore romano L.Bebio che si recava in Spagna, molto probabilmente via mare, anche se forse fu sorpreso durante uno sbarco a terra.

Del resto le proteste dei Massalioti per la pirateria ligure sono ricordate, in quegli stessi anni da Tito Livio17.

Un'altra attivata è documentata, già nel V secolo a.C.; si tratta del mercenariato o almeno della fornitura di contingenti ausiliari ai Cartaginesi, una pratica che sembra risalire almeno al 480 a.C. Allora l'esercito cartaginese in Sicilia guidato da Amilcare era composto da Fenici, Libici, Iberi, Liguri, Elisyci, Sardi e Corsi, secondo Erodoto18. La lista ha una sua logica, perché comprende in successione geografica coerente popolazioni che avevano relazioni con Cartagine: prima quelle africane e poi gli Iberici, seguiti dai Liguri e dagli Elisyci (popolazione della regione di Narbonne, considerata anch'essa ligure da Ecateo19), seguiti dagli isolani Sardi e dai Corsi.

14 Plut Aem, 6 15 Liv.,XL 18,7-8;26,8;28,7 16 Liv, XXXVII 51,1 17 Liv XL 18, 4 18 Erodoto VII, 165 19 Ecateo, FGrHist 1 F 53

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Tutta incentrata sulla dura vita dei Liguri su di un territorio difficile è la descrizione che ne fa Diodoro in due passi della sua opera storica20; essa ha forti paralleli in Strabone21, che parlando della Liguria dice:” non ha nessun particolare degno di

descrizione,eccetto che gli abitanti vivono in villaggi, arando e zappando un aspro terreno,o piuttosto ,come dice Posidonio, tagliando sassi22“. Tace invece sulle navigazioni solitarie citate da Diodoro Siculo, ma afferma, a proposito di Pisa,che i suoi abitanti erano avvezzi al mare e bellicosi più degli Etruschi a causa dell’” incomoda “ vicinanza dei Liguri, portatori evidentemente per lui delle stesse abitudini.

Ricorda anche la celebre forza delle donne della Liguria, che prima e dopo il parto lavoravano normalmente. Le fonti antiche quindi si concentrano sostanzialmente sulle origini mitiche delle popolazioni Liguri, popolazioni che non conoscendo la scrittura non hanno lasciato nulla delle loro tradizioni eccetto quanto ci hanno tramandato i popoli che per primi entrarono in contatto, e a volte anche in conflitto con loro, e che agli occhi di popolazioni “civili” apparivano rozze e barbare.

D’altra parte sia le fonti greche che quelle romane riconoscono agli abitanti di queste terre difficili una forza di volontà e una capacità di sfruttamento del territorio molto accentuate. 20 Diodoro Siculo,III 20 e V39 21 Strabo III 4,17 22 Strabo,V,2,1

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1.2 L’età del bronzo Medio e Recente in Liguria.

Il Bronzo medio in Liguria sembra essere il periodo in cui si sviluppa quel processo che porterà alla formazione di un’entità culturale e territoriale Ligure, seppure non sempre ben caratterizzata e con locali differenze, quando, il vasto spazio geografico comprendente Piemonte, Liguria, Lombardia occidentale ed i margini occidentali dell’Emilia, comincia a configurarsi in modo chiaro come un’area culturalmente distinta rispetto al mondo peninsulare e padano.

Nel corso della media età del Bronzo la frontiera tra le aree centro padane e occidentale, destinata a rimanere invariata per molti secoli, si stabilizza definitivamente tra Adda e Oglio, fino a delinearsi come un confine culturale, forse anche in connessione con lo spostamento di piccoli gruppi (confraternite di giovani guerrieri di tipo indoeuropeo23) dall’Europa centro-orientale.

Verso la fine del Bronzo Medio, il processo di formazione di un ambito unitario, caratterizzato anche sul piano della cultura materiale, sembra giungere a compimento e appare ormai definito.

La ricerca Preistorica in Liguria, nonostante una lunga tradizione, ha ritrovato un numero ancora relativamente modesto e di ridotte dimensioni di siti databili al Bronzo medio, esiguità certamente imputabile all’asperità del territorio ed alla stessa tipologia di insediamento.

Fenomeni d’erosioni e di accumulo intensi, terrazzamenti agricoli e l’urbanizzazione recente hanno modificato tanto in profondità questa regione da rendere molti dei siti d’altura illeggibili, e seppellire quelli costieri.

Le scoperte più indicative sono perciò legate a situazioni locali particolarmente fortuite.

In Liguria, l’economia delle comunità tra Bronzo medio e Recente, non sembra differire sostanzialmente da quella dei periodi immediatamente precedenti, la mancanza di aree pianeggianti, che non fossero quelle paludose alle foci di torrenti,

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fece sì che venissero utilizzate a scopo agricolo le zone collinari, poco fertili, dando origine al fenomeno dei castellari.

Contrariamente a quanto avviene nell’area padana centro-orientale, non si assiste in quest’area alla consistente crescita demografica, testimoniata dalle generalmente ridotte dimensioni dei siti, correlata ad un accentuato sviluppo dell’attività agricola, che innesca un progressivo incremento numerico e dimensionale degli abitati fino alla fine del bronzo recente.

Poiché lo sfruttamento delle risorse ambientali appare vario e complesso, con un’avanzata agricoltura che poteva permettere la rotazione delle colture, si deve ritenere che, tale mancato boom demografico sia in relazione con la conformazione stessa del territorio, che oltre ad impedire un uso sistematico di sistemi d’irrigazioni, mal si prestava al pieno sfruttamento delle tecniche della trazione animale per l’aratura e il trasporto24, così da creare un’agricoltura intensiva.

Uno degli elementi basilari dell’economia regionale, restava, a partire dal tardo Neolitico, la frequentazione pastorale sulla fascia montana elevata dell’Appennino ligure e delle Alpi Marittime, con brevi transumanze che muovevano lungo percorsi di crinale.

Dobbiamo quindi pensare ad un’economia povera, con una componente pastorale accentuata ed un uso attento di tutte le possibili risorse dell’ambiente locale.

La documentazione di frequentazioni di maggiore intensità e stabilità è attestata almeno a partire dal Bronzo Medio, con livelli d'uso meglio definiti e tracce di sistemazioni e strutture, sia nei pressi di un piccolo inghiottitoio carsico sul fondo di una dolina come al Bric Tana presso Millesimo25, sia all'imboccatura di una grande

grotta come la Pollerà 26sia in siti arroccati come Camogli27, Zignago28e Sant'Antonino di Perti 29.

24 Sappiamo che l’uso della trazione animale era conosciuto dalle popolazioni Liguri, come è ampiamente documentato

dalle incisioni rupestri di monte Bego (de Lumley 1995)

25 Del Lucchese et alii 1998 26 Tiné 1974

27 Fossati-Milanese 1982 28

Mannoni-Tizzoni 1980

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Le strutture che sono state messe in luce, sono costituite in particolare da muri a secco di terrazzamento e basi di capanne.

Questa tipologia di strutture acquisisce maggiore evidenza nel Bronzo Recente, in concomitanza con la prima intensa fioritura dei castellari, che presentano, però, finora solo in un caso30, un grosso muro a secco interpretabile come elemento di fortificazione31. A Sant'Antonino di Petti è stata ritrovata una la struttura in pietre a secco datata al Bronzo Recente e conservata per una lunghezza di oltre 20 metri, costituita da una concentrazione di pietre di dimensione varia, raramente sbozzate, disposte a colmare il dislivello tra i gradoni del substrato roccioso, al fine di creare un piano di una certa ampiezza ben drenato e non soggetto a dilavamento. Purtroppo, l’asportazione effettuata per lo scavo della fossa di fondazione della cinta bizantina, sul lato valle del margine, rende arduo capire se la struttura finiva con un muro con possibile valenza di fortificazione; tuttavia si tratta di un unicum imponente in Liguria.

Si rileva contemporaneamente la comparsa delle prime tracce significative di abitati costieri all'aperto, ben attestate a Vado, Diano Marina e Chiavari32.

Allo stesso modo, Genova e il suo entroterra hanno restituito negli anni più recenti materiali in giacitura secondaria attribuibili al Bronzo Medio 33.

Le ridotte dimensioni dei siti individuati fanno pensare a un tipo d'insediamento sparso di piccoli gruppi, ubicati prevalentemente in punti strategici e costituito da villaggi di poche abitazioni, senza che sia al momento percepibile una struttura gerarchica di siti principali e subordinati, e a una società scarsamente stratificata, che solo lentamente sembra assumere caratteri di maggiore stabilità e coesione.

Le strutture abitative e le loro caratteristiche sono evidenziate al castellare di Zignago, in cui sono state ritrovate buche di palo all’interno di un'area pianeggiante di circa 4 x 6 metri contenuta in uno dei terrazzamenti; si è così potuto ipotizzare che la capanna abbia avuto due fasi di costruzione distinte, con un alzato prima ellittico e poi

30 Eric Reseghe nel Finalese 31 Del Lucchese 1997 32

Dal diaspro al bronzo 1998

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rettangolare, rifinito con l'uso di intonaco d'argilla su intreccio vegetale, con tetto a spioventi e focolari situati all’esterno del vano34.

Il rito ancestrale della sepoltura collettiva in grotticelle o anfratti di grotte di maggiori dimensioni prosegue anche nel pieno dell'età del Bronzo, con caratteristiche analoghe a quelle note a partire dall'età del Rame, come attestato dai ritrovamenti e dalla datazione radiocarbonicaeseguita sui resti scheletrici umani dell'Arma della Gastea35. A questa continuità si sovrappone anche in Liguria la comparsa del rito incineratorio, la cui prima evidente testimonianza è costituita dalla tomba del Bronzo Recente di Rossano di Zeri36.

E’ però importante rilevare che in Liguria così come in Provenza il rituale incineratorio non si sostituirà mai completamente alle vecchie usanze, e che l’area ligure rimane sostanzialmente estranea al fenomeno e alla cultura dei Campi d‘Urne propriamente detti.

Per quanto riguarda la cultura materiale, l'inizio del Bronzo Medio appare caratterizzato dalla presenza di elementi ceramici d'origine peninsulare, che confi-gurano una peculiare facies ligure con anse ad ascia, correlabile con la facies di Grotta Nuova dell'Italia centrale e il Protoappenninico B dell'Italia meridionale. Forse siamo di fronte a qualcosa di più di semplici influssi nella tipologia ceramica: è possibile ipotizzare contatti e un'affinità ben radicata nelle fasi avanzate del Bronzo Antico, come indicato dal ritrovamento presso Sassello di un'ascia di bronzo di un tipo caratteristico del mondo laziale e campano37.

Viene a delinearsi così un momento in cui la Liguria gravitava, insieme alla Provenza38, prevalentemente verso l'area peninsulare.

Attribuibili a questa fase iniziale del Bronzo Medio sono in gran parte i materiali del-lo scavo condotto da Santo Tinè all'esterno della grotta Pollerà39.

34 Mannoni-Tizzoni 1980 pp255 35 Ricci 1998 36 Giuliani 1939 37 Del Lucchese 2002, pp. 32-34 38 Virai 1999 39 Tinè 1974

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Caratteristiche di questa facies le scodelle e tazze carenate con ansa canaliculata impostata sull'orlo o sotto la carena, oppure con lunga ansa ad ascia.

Materiali riferibili alla fase iniziale del Bronzo Medio, come frammenti di anse ad ascia, compaiono pure nel sito di Castellari presso Loano40.

Su questo substrato s’innesta ben presto una corrente d’influssi d’origine orientale, che introduce nell’area la ceramica decorata a scanalature, bugne e coppelle, e da origine nell'Italia nord-occidentale ad una specifica facies che trovano la migliore attestazione nei villaggi palafitticoli del lago di Viverone41. In Liguria è oggi ben testimoniata dai reperti del Bric Tana presso Millesimo42, sito che sembra sia stato attivo per quasi tutto il periodo e mostra evidenti contatti culturali con Viverone e i coevi siti piemontesi e lombardi,

caratterizzandosi per la presenza di scodelle carenate e biconici, spesso con superfici nero lucide di buona fattura, decorati mediante larghe scanalature e coppelle a centro rilevato.

Tra la ceramica del Bric Tana sono inoltre presenti alcuni elementi che sembrerebbero attribuibili a fasi avanzate del Bronzo Medio, come scodelle con carena alta e sfuggente, scodelle con doppia carenatura e decorazioni a file di punti irregolarmente disposti, tipiche di un gusto riconducibile alla cultura di Scamozzina.

Sono riferibili a questa fase cronologica e al relativo contesto culturale anche due pugnaletti incompleti, ma avvicinabili al tipo Veruno43, rinvenuti a Costa Bottuin44 e a Vado Ligure, nel cosiddetto 'cocciopesto' sottostante i livelli di età romana. Nello stesso ambito geografico trova confronto un pugnale a lingua da presa del Bronzo Recente da Sarzana.

Tra gli scarsi reperti metallici raccolti al Eric Tana sono da ricordare una borchia conica con forellini alla base in stagno, ottenuta per modellatura a caldo, il

40 Odetti, in Dal diaspro al bronzo 1998 41 Gambari 1998b, pp. 132-134

42 Del Lucchese et alii 1998 43

Bianco Peroni 1994, pp. 78-80

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pendaglio a tre anelli, che sembra essere un elemento tipico dell'area nord-oc-cidentale e provenzale45 e alcune gocce di bronzo, che attestano l'esistenza di at-tività metallurgica al Bric Tana e costituiscono per il momento la più antica prova diretta di fusione e preparazione della lega in Val Bormida e nell'intera Liguria.

Possiamo ritenere anche grazie a nuovi dati e alla rivisitazione di vecchi ritrovamenti che nel corso dell’età del bronzo, l’area del Sassello e la Val Bormida, dove sono presenti giacimenti cupriferi, abbiano acquisito un ruolo rilevante come centro produttivo nella metallurgia. I ritrovamenti dell’Eric Tana attestano altresì un’ascesa della metallurgia 46e un’attiva circolazione di metalli poiché tali zone sono prive di minerali di stagno.

Nell'area dell'Appennino Ligure-Emiliano, agli elementi caratteristici del Bronzo Medio, se ne associano sporadicamente altri, che trovano origine nell'ambito culturale della facies di Grotta Nuova, del Protoappenninico e

dell'Appenninico dell'Italia peninsulare47, come l'ansa a piastra forata e le decorazioni a bande punteggiate e a meandro inciso.

Un singolo frammento a banda punteggiata è stato recentemente rinvenuto anche nella Tana della Ratapena sul monte Gaggio presso Sanremo.

E’ da ritenere legata alle rotte marittime la diffusione di simili elementi nella Liguria di Ponente e nel Midi francese; rotte che già in questa fase dovevano attraversare l'alto Tirreno e il mar Ligure per raggiungere la Corsica e il golfo del Leone, dove sono ben attestati elementi con decorazioni di tipo appenni-nico48

Le stesse vie di diffusione sono state, probabilmente seguite da alcuni elementi subappenninici nel Bronzo Recente.

In senso inverso, si può ricordare la presenza nel 'cocciopesto' di Vado Ligure di uno spillone con collo segmentato, appartenente alla famiglia delle épingles a

45 Simone 1990-1991; Navigatori e contadini 1995; Vital 1999; David Elbiali 2000, pp. 252 e sgg.. carta 68 46

Vi sarà progressivamente l’abbandono dei manufatti litici scheggiati

47 Maggi-Dei Lucchese 1983

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colleret della Francia orientale, la cui diffusione non si spinge abitualmente a

ovest della valle del Rodano49.

Il nostro esemplare sembra però più affine ai tipi fusi in un unico blocco presenti in Svizzera e nella Germania meridionale, trova confronto in Italia solo in uno spillone rinvenuto presso Pavia50, per cui si resta incerti se ipotizzare un percorso marittimo o uno terrestre attraverso la valle del Ticino.

Anche la comparsa dell'ambra nel sito di Camogli, un materiale che il mito lega in qualche modo alle popolazioni liguri, dà testimonianza di questa circolazione di materie prime e beni, che avrà maggiore sviluppo nei secoli seguenti.

Questi rapporti hanno in ogni modo contribuito a mantenere nel corso del tempo una certa comunanza di forme e modelli, sia ceramici che metallici, tra Italia centrale tirrenica, Liguria e Midi francese.

L'evoluzione delle forme e delle decorazioni ceramiche nel corso del Bronzo Recente si può agevolmente tracciare nei suoi caratteri generali dai materiali raccolti nei siti arroccati di Bric Reseghe e di Sant'Antonino di Perti nel Finalese, nei castellari di Camogli e Zignago, nel sito costiero di Diano Marina, da quelli provenienti da vecchi scavi in alcune caverne del Finalese e da qualche ritrovamento sporadico. In un ambiente privo di soluzioni di continuità rispetto alla fase precedente, compaiono elementi caratteristici del Bronzo Recente come i vasi biconici con doppia carenatura, liscia o decorata a baccellature verticali od oblique; le decorazioni a solcature disposte in fasci alternati verticali e orizzontali e quelle a forma di anello allungato; le fitte incisioni verticali eseguite a pettine e la decorazione rustica.

Evidenti e più volte sottolineate le affinità con le culture di Scamozzina e di Canegrate, anche per quanto riguarda i reperti metallici, cui sì uniscono però nelle fasi più recenti significativi punti di contatto con la zona del Midi francese, e in particolare con un gusto ornamentale riconducibile alle prime fasi del gruppo Reno-Svizzera-Francia orientale della cultura dei Campi d'Urne.

49

Ages du Brame en Vaucluse 2002, pp. 131-132.

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Nel Levante e nelle zone costiere sono presenti, inoltre, aspetti d’origine padana o subappenninica, come la decorazione barbotine, i vasi con listello interno e con beccuccio, le anse a bastoncello soprelevato e quelle con costolatura, mentre altri sporadici elementi, come l'ascia ad alette allungate tipo Allevard di Bastia di Sassello, sono peculiari del mondo alpino occidentale e della pianura padana.

Il Bronzo Recente della Liguria mostra nel complesso una forte affinità con la facies Alba-Solero del Piemonte, e permette di mostrare per la prima volta un unico aspetto culturale diffuso su tutto il territorio ligure, grazie ai buoni riscontri reperibili anche nelle aree dell'Appennino tosco-emiliano 51 e nella Francia meridionale52.

51 Catarsi Dall'Aglio-Dall'Aglio 1987 52

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1.3 L’età del bronzo Finale e l’inizio dell’età del Ferro

Contrariamente a quanto avviene in altre aree dell’Italia settentrionale, in Liguria durante il Bronzo Finale, si assiste ad una evidente continuità con le fasi precedenti, sia da un punto di vista insediativo che economico.

Si ha la netta sensazione di assistere ad un lento sviluppo, stimolato sicuramente dai contatti con le regione limitrofe, che fanno conoscere nuovi modelli tipologici, inseriti però sul vecchio substrato, comunque sempre vitale e presente.

I contatti con le regioni limitrofe non si devono ritenere limitati a comunicazioni via terra, ma anzi, come testimoniano alcuni siti costieri come Genova e Chiavari53, Diano Marina54 e Loano(Giardino del principe)55, i trasporti ed i commerci avvenivano anche via mare.

Del resto in Liguria gli spostamenti sono sempre stati molto disagevoli, a causa dell’asperità del terreno e dovevano svolgersi attraverso vie di crinale fin dalle epoche più antiche56.

La posizione stessa della Liguria sulla via verso Occidente, collegamento naturale tra il Tirreno e la Francia, fa si che le coste Liguri debbano essere state toccate dal passaggio di genti, merci ed idee di popoli, come gli Etruschi,i Fenici ed Greci che si spostavano per ricercare nuovi mercati.

I siti costieri pongono di conseguenza il problema dell’esistenza di rapporti legati alla navigazione, come già ricordato anche per i periodi precedenti: seguendo la circolazione delle correnti superficiali marine dalle coste tosco-laziali era infatti agevole risalire con una imbarcazione anche di piccole dimensioni, il Tirreno e il Mar Ligure, raggiungendo il golfo del Leone.

Il movimento di genti greche e fenicie che porta alla fondazione di Cuma (terzo quarto del VIII secolo a.C.) e al dominio della costa Tirrenica meridionale, doveva essere una premessa ad un’ulteriore spinta verso occidente, non potendosi limitare 53 D'Ambrosio 1988 54 Del Lucchese 1998, pp. 66-67 55 Del Lucchese-Massabò 2004 56 Maggi 1990

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solamente a quelle aree; ne possiamo pensare alla fondazione di Marsiglia senza un precedente approccio al territorio.

Resta ancora molto complesso definire le spinte commerciali fino alla battaglia di Alalia (540 a.C.), anche se lo studio del relitto del Giglio ha messo in evidenza come non si possa parlare esclusivamente di marineria etrusca nel Tirreno occidentale. Anzi, in tal senso, risalta la scarsa presenza in Liguria di bucchero, a differenza del sud della Francia, dove inizia a comparire in modo massiccio dal terzo quarto del VII secolo a.C.

Si tratta, però, non di un'assenza di traffici etruschi in questa area, quanto piuttosto una scarsità di dati archeologici; dal sito di Bergeggi (sv) infatti, seppure in giacitura secondaria, provengono diversi frammenti di bucchero, tra cui un orlo di kantharos inquadrabile nella seconda metà del VII secolo a.C. D'altra parte, anche la flotta mercantile greca, o magno-greca, non disdegna di caricare merci diverse reperite nei porti toccati lungo la rotta. Sempre i recenti ritrovamenti di Pisa e San Rocchino documentano bene come centri etruschi, tra cui Populonia, fossero fin dall'età

arcaica inseriti in queste rotte occidentali.

Esiste ancora un elemento poco valutato, ma che in futuro potrebbe riservare delle sorprese, ossia i Fenici, il cui interesse per l'Occidente intese come coste spagnole, è evidenziato dalla presenza di emporia. Queste genti hanno basi in Sicilia e in Sardegna ma, come documentano sia Pitecusa sia Sulcis, nell'VIII secolo a.C. non di-sdegnano di unirsi all'elemento greco per la creazione di nuovi fondaci commerciali. Contatti a breve e medio raggio nel Mediterraneo occidentale, tra Italia peninsulare, Sicilia, Sardegna, Corsica, Francia meridionale, Baleari e Spagna, sono attestati, con crescente intensità per questo periodo, dalla presenza di piccoli gruppi di oggetti metallici caratteristici di determinate aree culturali anche in zone molto lontane da quelle d'origine.

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Secondo recenti studi, tali rapporti marittimi nel Mediterraneo occidentale non erano limitati allo scambio di merci pregiate, ma hanno interessato anche conoscenze tecnologiche e modelli artigianali, specialmente nel campo della metallurgia57.

Non sembra casuale che il sito del Bronzo Finale che ha restituito la maggiore quantità di ceramica (Chiavari) sia ubicato in posizione costiera, e conseguentemente aperto ai rapporti marittimi sopra ipotizzati, che diverranno molto più evidenti nella piena età dei Ferro con i ritrovamenti della soprastante necropoli.

Nel corso del Bronzo Finale notevole sviluppo presenta anche in Liguria la diffusione degli oggetti metallici, testimoniata non solo in contesti abitativi, ma, più spesso, da elementi di provenienza sporadica o da ripostigli; si ricordano a questo proposito il ripostiglio ai Giusvaila58 e quello di Loto, interessante per la presenza di un armilla a nastro carenato tipo Zerba, e di un lingotto discoidale di rame59,che ben s inserisce in un'area di antichissima tradizione estrattiva per i minerali di rame60; nonché la presenza tra i reperti degli abitati di numerosi oggetti metallici frammentati, indizio di un progressivo aumento della circolazione di manufatti e intenso riciclaggio dei rottami

Si può ipotizzare, grazie anche ad alcuni ritrovamenti come quelli di Bric San Bernardo e la panella (814,2gr; 7,3X 5,9 altezza 4,3cm) trovata in Val Bormida a Pallare, località Bric delle Sciorte, e la distribuzione dei ritrovamenti sporadici, come i giacimenti cupriferi di Murialdo e di Sassello abbiano probabilmente rivestito una parte importante nella metallurgia di questi periodi e come la Val Bormida abbia con molta probabilità avuto un ruolo di rilevanza non solo locale,ma anche a medio e lungo raggio, come evidenziato dal ritrovamento del ripostiglio di Cairo Montenotte, contenente ben 40 chilogrammi di oggetti metallici.

Si delinea e conferma così anche in Liguria la tendenza generale a una 'localizzazione' delle produzioni metallurgiche nel Bronzo Finale e nella prima età del Ferro, legata alla progressiva definizione di confini politici nel quadro di società a 57 Giardino 1995 58 Gambari-Venturino Gambari 1994 59 Tizzoni 1996. pp. 31-521 60 Campana-Maggi-Pearce 1999

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struttura e organizzazione più complesse rispetto alle fasi precedenti, anche quando non si vada oltre a organismi tribali con limitato grado di integrazione politica su scala regionale.

Anche gli abitati non sembrano differenziarsi molto da quella dei secoli precedenti (basi di capanne e muri di terrazzamento di pietre a secco);sembra però delinearsi nella prima età del Ferro la tendenza alla concentrazione dei ritrovamenti in pochi abitati di maggiori dimensioni, come il villaggio delle Anime61, il castellaro di

Verezzi e il sito arroccato di monte Trabocchetto.

Nella prima età del Ferro in Liguria si hanno informazioni sporadiche e in zone a volte distinte tra loro con una prevalenza, però, di rinvenimenti lungo la costa: Ameglia, Chiavari, Rapallo, Albenga.

Si tratta di necropoli a cui non fanno riscontro gli abitati noti e quindi resta se non arduo, per lo meno parziale, tracciare un quadro esauriente; probabilmente i corrispettivi abitati si estendevamo in zone pianeggianti, che cambiamenti climatici o fattori antropici non hanno ancora reso risibile individuare.

Bisogna inoltre considerare che le indagini archeologiche in Liguria, come spesso accade in tutta Italia, sono dovute a interventi di emergenza e non sempre in base a ricerche programmate.

Per questo periodo cronologico si conoscono insediamenti, e non necropoli, in siti d'altura: monte Trabocchetto (sv) e Zignago. La tipologia insediativa si basa su capanne rettangolari, o circolari e ovoidali, costituite da un basamento di pietre a secco, pareti in incannucciato e argilla, battuto pavimentale in argilla.

Compaiono muri a secco di terrazzamento e si nota una tendenza a creare abitati di maggiori dimensioni in posizioni naturalmente strategiche a dominio dei transiti e del territorio, ossia in punti elevati ;con un'unica via di accesso facilmente controllabile e gli altri lati difesi naturalmente, seguendo una tecnica insediativa nota in contesti indigeni di tutta la penisola italiana.

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Si tratta dei cosiddetti “castellari”, cruccio di molti studiosi i rifacendosi ai passi liviani 62che descrivono le guerre romano-liguri combattute distruggendo vicos et

castella dove si arroccano i nemici, si è voluto vedere in tutte le strutture fortificate

con mura spesse da 0,50 a 3 metri i resti dei castella, ricordati dalle fonti.

A questa situazione ha contribuito anche la toponomastica ligure dato che il termine castellare è ripetuto in tutta la regione.

In realtà, la diffusione del nome castellaro risale spesso all'epoca medievale, durante la quale assume il significato di centro della comunità territoriale (Petracco Siccardi 1981), mentre i siti antichi appaiono fortificati con cerchia muraria in epoca posteriore al IV secolo a.C. (monte Follia-IM), al III secolo a.C. (Bergeggi-SV) e an-che di piena età romana (monte Settefontane-IM).

Per estensione del termine si continua a adoperare la denominazione «castellare» per tutti gli insediamenti d'altura, anche per quelli dove i muri hanno esclusivamente funzione di terrazzamento e sostegno, con lo scopo di ampliare gli spazi vivibili e di rallentare il dilavamento del terreno, particolarmente forte in Liguria a causa di agenti atmosferici ed eolici.

Quindi, si continuerà a utilizzare in tale eccezione la definizione « castellare », che invece si può identificare con il termine liviano di sito non solo arroccato, ma anche fortificato da spesse murature solo sul finire dell'età del Ferro e con l'inizio della romanizzazione, quando si è modificata la situazione storica.

Nell'area di Ponente sono noti, ma non conosciuti nella loro complessità, gli abitati del Villaggio delle Anime, il castellare di Verezzi e il sito di monte Trabocchetto/castellaro di Rocca delle Pene. Localizzati nel finalese, si tratta di abitati di altura, ancora in corso di studio, perciò non è possibile parlare di un'eventuale articolazione e organizzazione interna. Solo alcuni elementi sono stati pubblicati: si desume l'occupazione del versante più favorevole la presenza di muri a secco di terrazzamento e l'esistenza di abitazioni, individuate da buche da palo. Il materiale comprende ceramica a impasto, ma anche elementi come il cosiddetto

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paradito probabilmente un orecchino, del Villaggio delle Anime (Giuggiola 1959), o i vasi del monte Trabocchetto, olle e bicchieri che trovano confronto con altre aree liguri e della Francia meridionale in un periodo compreso tra l'VIII e il VII secolo a.C.

Allo stato attuale delle conoscenze l'abitato di Rocca delle Pene sul fianco del monte Trabocchetto, si presenta come il più interessante, anche perché lo studio pollinico della fossa-silos consente di ricostruire l'economia di sostentamento del villaggio. Oltre alla fossa-silos, si sono rinvenuti, lungo il versante sud del monte, parte di una capanna rettangolare e resti di focolare.

Non molto distante, sempre sul monte Trabocchetto, nel 1929 si è individuata quella che doveva essere una tomba principesca, il corredo (più di duecento pezzi) fu subito disperso; restano a documentazione una spada ad antenne halstattiana e nove cuspidi di lancia con innesto a cannone. La notizia del rinvenimento anche di cerchioni in ferro, che dagli scavatori vennero ritenuti cerchi per botti e subito buttati, e la mancanza di resti ossei hanno fatto formulare l'ipotesi di essere in presenza di una tomba a carro a incinerazione, del tipo noto alla cultura di Halstatt e di cui resterebbe a documentazione solo parte delle armi di corredo.

La cronologia della spada superstite indica il VII secolo a.C. , quindi si tratterebbe di una tomba coeva alla fase finale del soprastante abitato.

La notizia tradita oralmente di altri rinvenimenti in loco di ossa e frammenti ceramici non farebbe pensare a una sepoltura isolata, ma a una vera necropoli. Pertanto si potrebbe ipotizzare non il sepolcro di uno straniero (come nel caso del Tumulo del re di Montarozzi presso Tarquinia, dove sul finire del VII secolo a.C. sembra essere stato sepolto un aristocratico greco perfettamente integrato nel mondo etrusco, che annovera nel suo corredo un carro come status symbol), ma l'adozione da parte di un ligure emergente di un'ideologia funeraria che ne connota lo stato sociale secondo influenze centro-europee.

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D'altra parte, la presenza nel villaggio di materiale ceramico che trova confronti in contesti francesi della Linguadoca (Moulin de Mailhac) dimostra che questo sito non era né isolato né tagliato fuori dai traffici commerciali e culturali ad ampio raggio. La stessa impressione si ricava anche per la coeva stele di Lerici, dove il guerriero presenta una spada ad antenne e una tipologia di fodero a doppie punte che vede nella Francia mediterranea un punto di collegamento con la cultura halstattiana e da qui una trasmissione (per via mare?) verso la Liguria.

I rinvenimento, sporadico, di un'armilla a nastro carenato in bronzo fuso in matrice, decorata con motivi geometrici incisi da monte Bignone (IM), con forti raffronti in esemplari della Francia orientale, conferma per il Ponente uno stretto rapporto con l’area Francese come è anche logico aspettarsi.

I terrazzi con bassi muri a secco del castellare di Uscio dimostrano inoltre come queste sistemazioni dei versanti possano aver avuto funzioni differenziate anche nell'ambito dello stesso sito: uso domestico per i due inferiori e agricolo-pastorale per quello superiore e più piccolo.

Si sono inoltre notate differenze di distribuzione dei manufatti anche all'interno di quelli inferiori, che lasciano intravedere la distinzione di aree più ampie destinate ad attività di vario tipo (conservazione di derrate, preparazione di alimenti, tessitura) e aree più strettamente residenziali63.

Resti di adattamenti antropici del versante riferibili ad attività agro-pastorali coeve, rinvenuti in località Case Cordona64 su un crinale a una decina di chilometri dal castellaro, inseriscono il sito in un quadro d'utilizzo delle risorse ormai ben strutturato e diffuso, con notevole livello d'adattamento alle caratteristiche del territorio.

In questo periodo l'organizzazione sociale, pur non manifestando una evoluzione verso forme protourbane, sembra però assumere caratteri di maggiore stabilità e coesione, desumibili da una meglio definita e distinta identità culturale di zone omogenee di più limitate dimensioni.

63

Maggi 1990

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Infatti, lo sviluppo d’attività artigianali specialistiche che faccia intravedere una maggior articolazione sociale data proprio al Bronzo Finale, quando a una sensibile presenza di tipi metallici peculiari si affiancano produzioni ceramiche tecnologicamente più uniformi, non più strettamente limitate a un ambito domestico-familiare, ma diffuse in un ambito almeno comprensoriale, come attestato nel Tigullio dalla cospicua presenza di impasti con gabbri anche in siti lontani dall'area di approvvigionamento65.

Un dato interessante deriva dalla sepoltura e dal corredo di dieci individui, appartenenti a uno stesso gruppo, che utilizza una fenditura del terreno a Triora (IM) nota come il Buco del Diavolo; rappresenta un uso documentato ampiamente per tutta l'età del Bronzo,o, che sopravvive fino alla recente età storica e alla creazione dei cimiteri: in alta Val Tanaro ancora negli ultimi anni del XIX secolo gli abitanti di Piaggia avevano l'abitudine di seppellire i loro morti in un pozzo carsico al centro del paese, calando gli adulti avvolti in lenzuoli e gettando i bambini chiusi in un cesto di vimini.

Fanno parte del corredo otto armille a nastro carenato ed estremità aperte con ricca decorazione geometrica, antecedente delle armille sempre a capo aperto che caratterizzeranno poi i corredi femminili della necropoli di Chiavari.

I resti scheletrici del Buco del Diavolo, databili a cavallo tra il Bronzo finale e l'inizio dell'età del Ferro, sono attribuibili a quattro adulti, quattro giovani, un adolescente e un bimbo, prevalentemente di sesso maschile; con sicurezza si è individuato solo un individuo di sesso femminile.

Gli adulti presentano una statura media intorno a 1,64 m, con la struttura che denuncia sia un'intensa attività motoria sia un tipo d’attività collegata ai lavori agricoli, e un buon livello nutrizionale, come documentano l'assenza di carie e le dentature complete.

Le datazioni radiocarboniche eseguite hanno dimostrato la continuità del rituale del seppellimento in cavità naturali anche nel Bronzo Finale e all'inizio dell'età del Ferro;

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ma la presenza di altri tipi di sepolture è pure documentata: sembra da riferire al medesimo ambito cronologico la costruzione e la prima utilizzazione del tumulo di pietre di Pian del Re presso Apricale, mentre le casuali scoperte delle tombe di Diano Marina66 e monte Grange67 attestano la diffusione del rito incineratene, con resti raccolti in urne sepolte entro fosse o deposte, anche in gruppo, in anfratti naturali appositamente adattati.

Se può essere lecito trarre conclusioni da questi scarsi dati, sembra di intravedere tendenze tradizionaliste, che si manifestano nella lunga sopravvivenza delle sepolture in cavità carsiche, come accade anche in Provenza, e in un conseguente rallentamento della diffusione del rito incineratorio dei Campi d'Urne, che sembra connotarsi anche con aspetti anomali, rispetto ad aree caratterizzate da maggiore dinamismo culturale. L'evoluzione delle forme e decorazioni ceramiche nel corso del Bronzo Finale e al-l’inizio dell'età del Ferro è un tema ancora in corso di definizione e approfondimento, anche per le lacune che ancora permangono per alcune fasi e aree geografiche.

Elementi caratteristici del Bronzo Finale sono i vasi biconici, ora di maggiori dimensioni e con forma che tende a diventare progressivamente globulosa nelle fasi più recenti, decorati a fasci perpendicolari di solcature o decorazioni incise a zigzag doppio sulla spalla.

Al castellare di Uscio presentano spalla modellata a turbante e decorazioni incise a motivi triangolari o fasci di solcature marginate da file di punti, incisioni sull'interno del labbro nettamente distinto e allungato.

Frequenti anche le decorazioni geometriche a falsa cordicella e i cordoni plastici con impressioni oblique.

Nella prima età del Ferro compaiono forme a corpo sferico schiacciato o cordiforme con lungo orlo distinto, caratteristiche dell'area provenzale68, ma si evidenziano anche alcuni elementi della ceramica fine che sembrano imitare modelli golasecchiani e villanoviani in maniera semplificata o impoverita, mentre notevole continuità si

66 Del Lucchese 1998 67

Frediani-Ricci-Pallarés 1964

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osserva nella ceramica comune, con il patrimonio tradizionale di decorazioni a scanalature, file di impressioni e cordoni digitali in lenta evoluzione.

Anche tra gli oggetti metallici, nei contesti di questi periodi, accanto a forme a vasta diffusione nell'Italia centro-settentrionale o comuni a tutta l'Italia nord-occidentale69, tra i bronzi, che sono l'elemento più allogeno e indicano un'apertura di rapporti del sito verso l'area prealpina e alpina centro-orientale, compare anche il bottone a calotta bombata, elemento decorativo della veste ligure, antecedente funzionale del bottone con staffa a ponticello, tipico dell'habitus ligure dall'età del Ferro al I secolo d.C. oppure come l'armilla di Cairo Montenotte70, le asce del Sanguineto e di Pizzo d'Evigno, e di elementi, varianti e caratteri peculiari, da riferire specificamente a una metallurgia ligure, come il rasoio presente nel ripostiglio di Giusvalla, l'ascia di mon-te Saccarello , le armille tipo Borniga, con l'affine frammento da Rocca dei Corvi presso Vado.

Da ricordare infine, tra gli oggetti di adorno, la comparsa anche in Liguria di nuovi materiali di prestigio, come le perline globulari in pasta vitrea blu, azzurra e marrone dalla grotta Cornarea71 e dai castellari di Zignago e Uscio, mentre perdura la presenza di elementi in ambra, di cui è accertata mediante analisi per quest'ultimo sito la provenienza baltica72.

In sintesi si può notare per la ceramica del Bronzo Finale e della prima età del Ferro della Liguria una sostanziale, ininterrotta continuità con il Bronzo Medio e Recente, unita a un forte influsso del gruppo Reno-Svizzera-Francia orientale della cultura dei Campi d'Urne e del mondo provenzale, che fa perdurare una chiara distinzione, nell'ambito dell’Italia nord-occidentale, dell'area ligure rispetto a quella golasecchiana73, dalla quale sembrano provenire solo alcuni generici influssi. A partire dal Bronzo Finale si comincia a intravedere poi, nello stesso ambito della Liguria, una certa differenziazione tra gli aspetti del Levante, noti in particolare dai

69 Del Lucchese-Maggi 1985 70 Gambari 1997 71 Odetti 1982 72 Mello 1990 73 De Marinis 1988

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castellati di Pignone, Zignago e Uscio, che mostrano alcune affinità con la necropoli di Bismantova e l'ambito del contiguo Appennino emiliano, e quelli del Ponente (Cornarea, Diano Marina), più legati a elementi francesi e piemontesi, come evidenziato fra l'altro dall'affinità che lega l'urna di Diano Marina a quelle della necropoli di Chiusa Pesio nel Cuneese74; sembra così annunciarsi la distinta identità delle tribù liguri dell'età del Ferro, così come nota alle fonti storiche di età classica.

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1.4 Le popolazioni liguri tra VIII e V secolo a.C.

L'unica fonte archeologica in Liguria per tutto l'arco di tempo compreso tra l’inizio dell'età del Ferro e la fine del VI secolo a.C., era la necropoli di Chiavari; scoperta nel 1959 e scavata tra il 1960 e il 1969, è conosciuta quasi esclusivamente attraverso ampie e dettagliate relazioni preliminari di scavo, ma sostanzialmente inedita.

Fu scoperta casualmente durante il boom edilizio degli anni '60 del secolo scorso e fu di conseguenza penalizzata dall'espansione edilizia che ne impedì lo scavo totale e la successiva musealizzazione75.

Chiavari rimane l’unica fonte importante per questo periodo, secoli nei quali vedono la nascita grandi centri protourbani, dapprima in Etruria e poi anche in nel nord dell’ Italia, vi è la colonizzazione greca, la nascita della scrittura, la trasformazione della civiltà villanoviana in civiltà etrusca, il progressivo intensificarsi di scambi e traffici tra mondo mediterraneo ed Europa continentale, l’affermarsi del commercio emporico, la fondazione di Marsiglia, la nascita della grande Etruria padana, gli scontri tra Greci, Etruschi e Cartaginesi per il controllo del Tirreno e infine la fondazione di Genova.

Il ruolo della Liguria e del suo spazio marittimo deve essere stato tutt’altro che trascurabile, poiché il golfo ligure è il collegamento naturale tra Etruria e sud della Francia, capire da quale realtà culturale emerga Chiavari non è stato purtroppo finora possibile.

Non possiamo neppure stabilire se agli inizi dell’età del Ferro è esistita una cultura archeologica comune a tutta la Liguria(nel senso augusteo del termine) oppure se il mondo Ligure fosse già frazionato in realtà culturali distinte, come forse è più probabile.

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La zona investigata76 è quella centrale presso corso Millo, e interessa diverse proprietà: Giarda (1959 e 1960, 1962-1963), Spinette e Gagliardo (1962-1963), e solo Gagliardo (1965-1966 e 1967-1968); l'ultima campagna si è concentrata verso la salita dell'Ospedale, senza raggiungere il limite del sepolcreto, che continua anche sotto corso Millo.

La necropoli compresa tra il fiume Entella e il più vicino rio Rupinaro si imposta in un'area endolagunare su uno strato di sabbia fine, con apporti dovuti alle esondazioni del Rupinaro e con presenza di materiali ferrosi venuti dall'alta valle77.

Interessante è la presenza di ferro e ricordare che alle spalle di Chiavari esistono miniere di rame particolarmente ricche, coltivate in antico, e come quelle di Labiola nell'entroterra di Sestri Levante, attive fino a metà del secolo scorso; quindi, la nascita di un nucleo abitativo può essere giustificato con lo sfruttamento di materie prime, che la possibilità d'approdo alla foce del fiume Entella può avere contribuito a fare crescere e a sviluppare.

La necropoli sembra aver avuto inizio tra il 750 e 720 a.C., una data post quem è fornita dal primo strato(F), stratigraficamente anteriore alle tombe, dello spessore di 1,20 metri, con un assottigliamento verso l'estremo est (salita all'Ospedale); comprende una gran quantità di frammenti ceramici a impasto, tra cui furono selezionati 3000 pezzi diagnostici: fu definito dagli scavatori « cocciopesto » e ritenuto formato dagli scarti di una fornace non molto lontana, poiché i frammenti si presentavano a impasto particolarmente rossiccio.

La funzione di questo cosiddetto cocciopesto è quella di prosciugare e rendere stabile un ambiente paludoso come è lo strato F, che infatti si assottiglia verso l'area collinare (salita all'Ospedale).

Evidentemente, la scelta dell'utilizzo funzionale a necropoli è preceduta da un piano razionale e organizzativo degli spazi, indizio quindi di un gruppo di Liguri organizzati socialmente ed economicamente78.

76 Nino Lamboglia, condusse a Chiavari cinque campagne di scavo tra il 1959 e il 1968, poté pubblicare le relazioni

preliminari delle prime quattro (cfr.Lamboglia 1960, 1964, 1966, 1972), mentre la quinta, edita dopo la sua morte, è a cura di Paola Zucchi.

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Lo strato F comprende soprattutto ceramica del Bronzo recente (XII-XI secolo a.C.), in parte ad impasto, con una maggiore percentuale di grossi contenitori (da 21 a 40 cm di diametro): dolia, olle cordonate e globulari, vasi biconici, scodelle carenate, tazze emisferiche e ovoidi, a cui si affiancano, utilizzando le stesse forme, prodotti di ceramica semidepurata e depurata, ma sempre di argilla locale, che tra i vari componenti ha i gabbri, la cui più vicina area di approvvigionamento dista per lo meno 12 chilometri79.

E’ indicativo di una forte e precoce frequentazione dell'area, il gran quantitativo di frammenti, per quanto di proporzioni ridotte (si riescono a ricostruire integralmente pochi esemplari), e la probabile esistenza di un abitato per i secoli XII e XI a.C., poiché le forme vascolari presenti, relative sovente a contenitori per derrate, sono identificabili con un utilizzo domestico.

Mancando completamente resti ossei, fusaiole, macine, non si tratterebbe di uno scarico vero e proprio, quanto piuttosto di un luogo d'approdo, frequentato già dal Bronzo recente, inoltre, vi sono in numero consistente anche dei dolia sono che sono che compaiono anche nel sottostante strato G e sul coevo castellare di Camogli.

I reperti bronzei, due spilloni80 e uno strumento da toilette, forniscono la cronologia più bassa, che si riferisce al momento in cui lo strato fu steso, proprio in funzione del-la creazione deldel-la soprastante necropoli e ne indicano il termine post quem al VIII secolo a. C., confermato anche dal materiale più antico della necropoli.

La necropoli, o per meglio dire la porzione di necropoli nota, comprende 126 tombe raggruppate in tre aree di scavo, che corrispondono grosso modo alle diverse proprietà moderne; non si dimostra uniforme, non solo sul piano spaziale, ma neanche per la tipologia di corredi.

L'area A, proprietà Giarda, dalla tomba 1 alla 44B, presenta i recinti raggruppati a ovest di due grandi recinti circolari; è la zona che mostra maggiore ricchezza di corredo, con una netta prevalenza delle tombe femminili su quelle maschili.

78 Giannatasio 2007, p.65 79 D'Ambrosio 1987 80

Uno degli spilloni è del tipo Vadena a testa conica ed è databile secondo De Marinis ai primi decenni dell'VIII secolo a.C Cfr.(De Marinis 2004 p.198)

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L'area B, proprietà Spinetto e Gagliardo, dalla tomba 45 alla 87 è orientata invece diversamente con un chiaro allineamento nord-sud; vi è un solo recinto circolare e compaiono una serie di “ustrina”, sembra che vi sia un equilibrio tra tombe maschili e femminili, ma è un'area che ha subito gravi interventi già in antico, poiché circa una ventina tra tombe e recinti funerari sono stati parzialmente, o totalmente, disturbati. Lamboglia recuperò dallo strato di sabbia soprastante la necropoli (strato B) un denaro d'argento della Repubblica di Genova del XII o XIII secolo, che attribuì all'utilizzo di suolo agricolo dell'area nel Medioevo.

Segnalò anche il carattere di unicità della tomba 81, la quale è in linea d'aria, la più vicina a ovest del pozzo medievale. Questa tomba, presenta un'anomalia nelle lastre di copertura, che sono sagomate a incastro e inchiodate con chiodi di ferro, tanto da far supporre l'esistenza di una cassa lignea interna; all'interno conteneva poche ossa e un frammento non meglio precisato di cinturone bronzo. La tomba si trova all'interno di un recinto rettangolare di grandi dimensioni e dai contorni non ben definiti, dove lo strato affiora in modo disordinato, dimostrando che tutta l'area deve avere subito un forte sconvolgimento, forse per la trivellazione di un pozzo medievale, e suggerendo, quindi, la possibilità che questa tomba 81 non sia pertinente alla necropoli dell'età del Ferro. Staccati dall'area B e con diverso orientamento est-ovest compaiono i recinti dell'area C, proprietà Gagliardo, dalla tomba 88 alla 116, che sembrano raggrupparsi intorno a una zona circolare, forse un ustrinum, ma anche questa parte della necropoli si presenta ampiamente manomessa in antico. In quest'area, infatti, viene segnalato un pozzo romano, di cui non è noto il relativo materiale. Vi è una prevalenza di sepolture femminili rispetto a quelle maschili, che si equilibra con l'aggiunta delle ultime undici tombe verso l'estremità orientale (salita all'Ospedale). Particolare risulta la tomba 100, che presenta un corredo interno con due punte di lancia, di cui una ripiegata e due fusaiole, tra cui una lapidea. È considerata come una sepoltura maschile81, ma la cassetta litica è mancante di un lato e della copertura, perciò può esserci stata una confusione nei corredi.

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L'ultima decina di tombe, dalla 117 alla 126, di cui quattro erano già state manomesse, sono state recuperate a ridosso dell'area collinare; pure questa zona restituisce numerosi ustrina.

Dall'insieme emerge che le aree si presentano decisamente difformi, anche se al proprio interno orientale e organizzate rispetto a dei punti di riferimento.

La tipologia sepolcrale sembra abbastanza semplice, ma meriterebbe un'ulteriore indagine.

All'interno di un recinto, di solito rettangolare (sono solo tre quelli circolari, più altri tre supposti), costituito da lastre di ardesia infisse nel terreno, si pongono una o due tombe a cassetta, formate da lastre d'ardesia sotto, sui quattro lati e per copertura. All'interno, la cassetta può contenere da una a sette urne, chiuse da una ciotola coperchio e non tutte cinerarie.

Di solito, quando sono presenti più urne, una o due, nel caso si tratti di tombe con sepoltura femminile e maschile, sono rituali, ossia vuote e contenenti un piccolo vaso accessorio, che può essere un bicchiere, una kylix, una tazzina attingitoio ad ansa sopraelevata, quindi in ogni caso un vaso per bere, che in qualche modo può rimandare a un'idea, sebbene appena accennata, di simposio. È stato, infatti, spesso sottolineato come le coppe e in genere i vasi per bere indichino un contatto tra il mondo greco e quello indigeno. Il rito, l'incinerazione, è di tipo secondario, ossia esistono una serie di spazi deputati ad ustrina spesso in prossimità dei recinti stessi, ai margini, ma a volte anche a fianco della cassetta (tomba 58), più quella, che sembra essere una zona riservata, che coincide con lo spazio dove è stato impostato il pozzo medievale. Si pone anche il problema di come queste tombe fossero segnalate; spesso i recinti sono detti colmati da una massicciata di ciottoli, come risulta più evidente nelle aree A e C, tanto da lasciare il sospetto che si tratti di residui di tumuli in pietre. Forse solo la tomba 117 aveva un segnacolo, poiché presenta una lastra infissa in verticale. È una tomba che esula dalla tipologia più comune: si presenta isolata ed è costituita da tre urne collocate su terra, circondate da ciottoli con materiale del

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corredo sotto le urne, tra cui un pileo bronzeo di elmo, unico esemplare presente nel sepolcreto.

Si tratta di due sepolture maschili più urna rituale (B), che conteneva due punte di lancia ritorte e un ambone di bronzo tipo Halstatt.

Il ritrovamento, sia all'interno sia all'esterno dei cinerari, di frammenti appartenenti agli stessi oggetti conferma la consuetudine della rottura rituale del corredo, ma la presenza di frammenti di armilla a capo aperto, di borchie emisferiche e di due fermagli da cintura, elementi di corredo tipicamente femminile, ha fatto supporre la 1 possibilità che una delle tombe contenga i resti di una donna. Poiché questi elementi provengono dall'urna A, che contiene anche una fìbula a drago tipica delle sepolture maschili dell'Italia settentrionale, si potrebbe avanzare l'ipotesi che gli oggetti femminili siano assunti come status symbol di un individuo, che si vuole fortemente individuare come guerriero; infatti sotto l'urna A si sono recuperati frammenti di armi, il pileo bronzeo e un bracciale a capi sovrapposti, che connotano i defunti maschili e confermano che la tomba 117 conteneva i resti di due « guerrieri». La presenza della fibula a drago di un tipo largamente diffuso nell'orientalizzante I maturo consente una datazione verso il 640 a.C. e quindi l'appartenenza a una fase più recente di utilizzo della necropoli.

La possibilità di due tombe maschili all'interno dello stesso contesto pone il problema dell'utilizzo dell'area sepolcrale e più precisamente se le cassette liriche, che contengono più urne, si possono riferire a gruppi familiari e/o a defunti con particolari prerogative sociali.

Sembrerebbe che il settore centrale della necropoli fosse riservato a contesti familiari, poiché qui compare il maggior numero di tombe a cassetta contenenti una sepoltura di coppia, accompagnata i da una sola urna (tomba 55) o da due urne rituali (tombe 35, 74) o da urne vuote (tombe 61, 79).

La presenza di urne completamente vuote, prive di ceneri e/o del vasetto rituale, pone anche il problema dell'esistenza di una programmazione delle sepolture e della riapertura delle cassette litiche.

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Nel caso di sepolture familiari sembra notarsi l'assenza di tombe infantili e adolescenziali, a meno che non si possano attribuire a questa fascia di età quei corredi che non sono individuati da oggetti parlanti, come le fusaiole, le fibule a navicella, i cinturoni per le donne, o i rasoi e le armi per gli uomini, oppure come spesso accade è da imputarsi alla distruzione delle fragili ossa da parte del tempo oppure degli scavatori.

L'area A, che risulta la più ricca per la composizione dei corredi bronzei, sembra essere quella che raggruppa una serie di tombe femminili del gruppo emergente82; nell'area C, comprese le tombe presso la salita all'Ospedale (tombe 117-126), si ha un numero quasi uguale di sepolture maschili e femminili, ma quest'ultime presentano un corredo «povero», all'interno di recinti irregolari di dimensione modeste, che si raggruppino intorno a uno spazio centrale di forma circolare simile ai recinti delle altre due aree.

Nella zona occidentale i recinti rettangolari, irregolari e di varie misure, si appoggiano a un'area di grandi recinti circolari, di cui sono noti due (XX e XXII), anche se in pianta risulterebbero tracce di altri due. All'estremità nord-est compare un grande recinto quadrangolare (XXI) che racchiude a sua volta un circolo di pietre, al cui interno è posta la tomba 32, e a questo si addossa, sembra in un secondo momento, la tomba 33.

Sempre in questa zona A, isolata all'estremità più settentrionale, compare una tomba a cassetta, la tomba 34, contenente un'urna cineraria e un'altra con vasetto sacro; si rivela interessante, poiché fra tutte le tombe femminili della necropoli risulta essere l'unica a presentare come elemento connotante non una, ma tre fusaiole, inoltre il vasetto rituale è una kylix, definita buccheroide e datata all'ultimo quarto del VII secolo a.C.. Si tratterebbe, quindi, di pezzi di importazione appartenenti alla produ-zione delle coppe cosiddette ioniche, a cui rimandano sia le misure (diametro 8/9 cm) sia la tipologia formale.

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