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4 ANALISI IDRAULICA

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Academic year: 2021

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4 ANALISI

IDRAULICA

4.1

Premessa

4.1.1 Concetto di sicurezza idrogeologica

Il concetto di sicurezza idrogeologica risulta esplicitato sia in termini di prevenzione sia in termini recupero.

La messa in sicurezza idraulica del territorio è riferita al contenimento delle piene con Tr = 200 anni (aree PIE, PIME) da perseguire attraverso il recupero delle situazioni di criticità, il mantenimento di ambiti di naturale "respiro" dei corsi d'acqua, nonché l'attività di "manutenzione del territorio" quale condizione necessaria per prevenire modifiche sostanziali del sistema fisico di riferimento, nonché per garantire nel tempo efficacia alle opere realizzate.

Il Progetto di PAI, relativamente ai territori interessati da allagamenti per piene con Tr<20 anni, assume i contenuti delle Salvaguardie del PIT (Piano di Interventi Territoriali) che non consentono atti di pianificazione.

La messa in sicurezza geomorfologica è riferita da un lato alla necessità di consolidamento e bonifica dei dissesti attivi, laddove gli stessi determinino situazioni di criticità (aree PFE, PFME), dall’altro alla prevenzione di dissesti localizzati e di alterazioni di equilibrio a scala di bacino. Da qui l’indicazione di ambiti territoriali omogenei ,”domini”, in ragioni di funzioni regolatrici proprie che il sistema ambientale garantisce nei processi evolutivi dei cicli naturali

4.1.2 Evidenza e trasparenza dei criteri di definizione della pericolosità e delle componenti che concorrono alla pericolosità

Per la definizione della pericolosità il PAI richiama i criteri adottati per le perimetrazioni contenute nel Piano Straordinario ex DL 180/ 1998 che è comunque necessario richiamare esplicitamente anche ai fini di garantire la conformità e la coerenza metodologica rispetto ai suddetti criteri per gli studi e gli approfondimenti del quadro conoscitivo del PAI da parte degli Enti locali di una più agile condivisione gestione del PAI medesimo.

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Pericolosità Idraulica:

Il criterio prevalentemente adoperato per la definizione della pericolosità idraulica è stato quello storico inventariale, desunto dalla cartografia delle aree allagate della Regione Toscana, dai PTCP dai PRGC e dai Piani Strutturali.

Il PAI dà ragione dei necessari livelli di attenzione e degli obiettivi di “sicurezza idrogeologica” da raggiungere demandando alla fase gestionale la precisa contestua lizzazione del problema in relazione al fenomeno di riferimento, alle componenti in gioco ,alla caratterizzazione degli effetti attesi, necessaria per le valutazioni di fattibilità, compatibilità ed efficacia delle diverse scelte territoriali e dei diversi interventi compresi quelli di recupero ove necessari.

Peraltro, il quadro conoscitivo risulta già oggi maggiormente dettagliato in funzione delle implementazioni dovute alle verifiche e agli approfondimenti effettuati in sede di attuazione, formazione e modifica degli S.U. , nonché degli studi idrologici idraulici redatti sia per la definizione degli interventi di mitigazione e messa in sicurezza ove necessari, sia a supporto delle deprimetrazioni già assentite

Anche ai fini delle successive fasi di approfondimento è comunque necessario che il PAI indichi le componenti dei fenomeni che possono concorrere alla pericolosità idraulica del territorio del bacino e, con riferimento alla possibile criticità dei corsi d’acqua, evidenzi il reticolo di riferimento, rispetto al quale considerare e valutare le diverse componenti che, a seconda dei casi, possono concorrere alla pericolosità, nonché le aree la cui sicurezza idraulica è affidata a sistemi artificiali di sollevamento meccanico.

Ciò anche al fine di rendere omogenei ed interscambiabili i successivi aggiornamenti del quadro conoscitivo .

Pericolosità geomorfologica:

La fattispecie cui si riferiscono le perimetrazioni del PAI è sostanzialmente e chiaramente riconducibile alle frane s.s., e non ad altri fenomeni di versante. E' dunque necessario introdurre la valutazione di ulteriori contesti e/o fattori di pericolosità geomorfologica anche delineando gli areali potenzialmente predisposti all’innesco dei suddetti fenomeni. Ai fini delle successive fasi gestionali è necessario comunque prevedere un'articolazione che permetta le valutazioni di fattibilità, compatibilità ed efficacia delle diverse scelte territoriali e dei differenti interventi in relazione alla tipologia dei fenomeni (attivo, quiescente, ecc) o alle diverse condizioni geomorfologiche o ai diversi processi geomorfologici.

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4.1.3 Esplicitazione delle condizioni per la verifica di efficacia e coerenza a scala di bacino del complesso delle attività relative al riequilibrio idrogeologico ed alla prevenzione

Nel Pai si prevede la possibilità da parte del Comitato tecnico di definire linee guida per le verifiche idrologiche- idrauliche e di stabilità.

Questo aspetto riveste un'importanza strategica ai fini del perseguimento degli obiettivi del Piano, affinchè non si determino variazioni di condizioni con effetti negativi sia a scala locale che a scala di bacino. Per il complesso delle attività relative al riequilibrio idrogeologico si ritiene indispensabile che i criteri e le condizioni per lo sviluppo di verifiche e valutazioni di efficacia debbano essere esplicitate dal Pai.

4.1.4 Chiarezza nella definizione degli obiettivi dei piani d'intervento

Il PAI indica gli interventi ritenuti necessari per la messa in sicurezza delle aree a maggior pericolosità. Gli obiettivi del piano di interventi si estrapolano dai concetti di messa in sicurezza idraulica e geomorfologica.

4.1.5 Esplicitazione delle condizioni di mantenimento del territorio

Le condizioni di mantenimento del territorio sono desumibili dalle definizioni di "Dominio idraulico e geomorfologico" e dalle relative direttive per la prevenzione dei dissesti e degli allagamenti

4.2 Obiettivi del Piano stralcio (PAI)

In riferimento agli obiettivi del Piano di Bacino di cui all’Art.1 della Legge n. 183/89, il P.A.I., inteso come piano stralcio, si prefigge lo scopo di assicurare la difesa del suolo intendendo per suolo “il territorio, il suolo, il sottosuolo, gli abitati e le opere infrastrutturali”.

Pertanto le attività di pianificazione, di programmazione e di attuazione degli interventi destinati a realizzare la finalità del presente piano stralcio, curano in particolare i seguenti obiettivi:

- la sistemazione, la conservazione ed il recupero del suolo nei bacini idrografici, con interventi idrogeologici, idraulici, idraulico- forestali, idraulico-agrari, silvo-pastorali, di forestazione e di bonifica, anche attraverso processi di recupero naturalistico, botanico e faunistico;

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- la difesa ed il consolidamento dei versanti e delle aree instabili, nonché la difesa degli abitati e delle infrastrutture contro i movimenti franosi e altri fenomeni di dissesto;

- il riordino del vincolo idrogeologico;

- la difesa, la sistemazione e la regolazione dei corsi d’acqua;

- la protezione delle coste e degli abitati dall’invasione e dall’erosione delle acque marine ed il ripascimento degli arenili, anche mediante opere di ricostruzione dei cordoni dunali;

- la moderazione delle piene, anche mediante serbatoi di invaso, vasche di laminazione, casse di espansione, scaricatori, scolmatori, diversivi od altro, per la difesa dalle inondazioni e dagli allagamenti;

- la riduzione del rischio idrogeologico, il riequilibrio del territorio ed il suo utilizzo nel rispetto del suo stato, della sua tendenza evolutiva e delle sue potenzialità d’uso;

- la riduzione del rischio idraulico ed il raggiungimento di livelli di rischio socialmente accettabili;

- la manutenzione ed il restauro delle opere idrauliche e di sistemazione montana;

- le attività estrattive con particolare riferimento alle pianure alluvionali, al fine di prevenire il dissesto del territorio, inclusi erosione e abbassamenti degli alvei e delle coste;

- l’equilibrio costiero tramite azioni di contenimento dei fenomeni di criticità del litorale, di subsidenza del suolo e di risalita delle acque marine lungo i fiumi e nelle falde idriche, anche mediante azioni non strutturali finalizzate al recupero delle preesistenti condizioni di equilibrio delle falde sotterranee.

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4.3

Sistemazioni fluviali

4.3.1 Introduzione

Prima di effettuare un qualsiasi intervento su un corso d’acqua, è buona norma procedere con uno studio molto oculato sulla naturale tendenza evolutiva, al fine di intervenire con opere idonee che non contrastino la naturale propensione dell’asta fluviale a riassumere l’assetto primitivo.

I corsi d’acqua allo stato naturale, senza opere che ne abbiano limitato o alterato l’evolversi, modificano rapidamente il proprio andamento sia altimetrico che planimetrico, tendendo verso una situazione di equilibrio; si parla al proposito del potere “auto-sistemante” dei corsi d’acqua.

Nelle sistemazioni fluviali sono due i principali aspetti da considerare:

a) modellamento dell’alveo a seguito di fenomeni erosivi o di deposito di sedimenti. A tal proposito prima della confluenza con il fiume Cecina si rilevano dei depositi di materiale solido per il quale sarebbero necessari interventi per l’asportazione e interventi di sistemazione di tutto il bacino per evitare il ripetersi di questa situazione

b) verifica della capacità dell’alveo allo smaltimento della massima portata,avente un prefissato tempo di ritorno, senza che si verifichino esondazione ed anzi deflusso nell’alveo con opportuno franco. Qualora tale verifica non sia soddisfatta si può intervenire con due modalità diferenti:

- mediante aumento della capacità di deflusso;

- mediante riduzione della massima portata al colmo con opere di scolmamento delle piene da realizzarsi a monte

Nella presente tesi si evidenzia come sia elevato il rischio idraulico da esondazione, pertanto verrà studiato questo aspetto.

4.3.2 Aspetti tipologici delle esondazione

Il fenomeno per il quale l’acqua fluente in un corso d’acqua ben delimitato, superando in una certa sezione il limite di contenimento di questa, abbandona l’alveo e tende a divagare in zone più o meno estese, accumulandovisi o defluendo disordinatamente

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verso altri tronchi di alvei naturali o direttamente verso il mare, può individuarsi nelle seguenti fasi:

- esondazione: l’acqua fluente abbandona l’alveo abituale per cedimento degli argini o per tracimazione dai bordi superiori dell’alveo stesso;

-

inondazione: l’acqua che esonda invade i terreni limitrofi, formando delle accumulazioni più o meno lontane dalla zona di esondazione;

-

allagamento: le acque esondate coprono zone più o meno ampie del

territorio per periodi più o meno lunghi, le acque possono stazionare su detti territori e defluire più o meno velocemente;

-

smaltimento: le acque defluiscono dalle zone allagate, verso zone soggiacenti o verso il mare, oppure ritornano nell’alveo da dove si è avuta esondazione, quando i livelli idrici ritornano ad essere bassi e l’alveo non è arginato , ovvero si incanalano in altri alvei naturali o artificiali ma a quote inferiori;

-

prosciugamento: le acque residue e quelle accumulate in depressioni del terreno scompaiono in tempi più o meno lunghi per prosciugamento artificiale per mezzo di idonee idrovore o prosciugamento naturale per semplice evaporazione, infiltrazione nel terreno o per graduale rientro in alveo.

Le cause di esondazione vanno ricercate nelle caratteristiche idrologiche del corso d’acqua e nelle caratteristiche topografiche delle sue sponde. Nel caso di corsi d’acqua arginati sono determinanti anche le caratteristiche geotecniche dei rilevati.

L’esondazione può avvenire per il raggiungimento del livello massimo sulle sponde o argini, quando cioè le acque fluenti non possono più essere contenute nell’alveo. Ciò avviene in caso di piene e le zone di tracimazione sono prevedibili potendo a priori con una certa approssimazione definire le portate contenibili in ogni sezione del corso d’acqua.

Tali condizioni diventano più critiche nel caso di rigurgiti dovuti ad ostruzioni o restringimenti di sezione idrica, nel caso di brusche deviazioni del tracciato del corso d’acqua, nel caso di artificiali o naturali cause di onde o correnti trasversali, nel caso di diminuzione di sezione idrica per interrimento del fondo alveo o di rallentamento della velocità dell’acqua per la presenza di folta vegetazione in alveo o sulle sponde.

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Nel caso di corso d’acqua arginato (il torrente Trossa è privo di argini ma si riporta il caso arginato al solo fine di accuratezza della trattazione sulle tipologie di esondazione) l’esondazione per tracimazione si aggrava con il perdurare della medesima, in quanto l’acqua tracimante erode il ciglio dell’argine allargandone sempre di più l’ apertura.

L’esondazione di acqua nei tratti arginati può anche avvenire per cedimento o rottura dell’argine dovuto alla pressione dell’acqua in piena ed alla diminuita resistenza dell’argine per erosioni di sponda o per fluidificazione del materiale in cui è realizzato. La rottura o rotta di un argine può verificarsi pertanto indipendentemente dalla capacità della sezione idrica e dalla quota del ciglio degli argini stessi.

La possibilità di una rotta non è praticamente localizzabile, e lo è solo orientativamente in base alle caratteristiche geometriche e geotecniche degli argini, quando quest’ultime sono note, ed a seguito di un costante controllo delle sponde, onde accertarne il primo insorgere di fenomeni di erosione o sintomi di rigonfiamento cedimenti o smottamenti. La zona di inondazione è strettamente legata alla zona di esondazione : essa è pertanto prevedibile se legata alla tracimazione in presenza di piene più o meno grandi in termini di portate defluenti, è altresì imprevedibile se legata a rotte. Qualche volta una rotta può anche essere provocata ad arte, con la conseguente preordinata inondazione di determinate zone, al fine di evitare il pericolo quasi certo di esondazione in zone vallive dove il pericolo ed i danni conseguenti sarebbero maggiori.

La quantità di acqua esondata dipende:

- dalla differenza tra la portata che giunge lungo il corso d’acqua alla sezione di esondazione e la portata contenibile nell’alveo al di sotto del livello di tracimazione o della soglia di rotta. Tale differenza costituisce l’eccedenza di portata non contenibile nell’alveo nel caso della tracimazione, essa varia durante la piena con il variare delle portate di piena in arrivo e con la quota di soglia man mano che questa si abbassa per erosione;

-

della durata dei periodi durante la quale esistono eccedenze della portata di piena rispetto a quella contenibile dalla sezione di esondazione. Tale durata dipende dalla durata della piena e dalla quota di tracimazione o di rotta;

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-

dalla sezione attraverso cui l’acqua esonda, e pertanto alla quota di sfioro e dalla larghezza della zona di tracimazione o di rotta;

-

Dall’andamento plano-altimetrico della zona inondata ed allagata in quanto da esso dipende l’ampiezza e la capacità delle aree di scorrimento e di accumulazione delle acque sondate.

Le caratteristiche della zona inondata influiscono tanto meno direttamente sulle quantità di acqua esondanti quanto più sono lontane dalla zona di esondazione.

Per quanto concerne l’estensione delle aree inondate va osservato che essa dipende dalle condizioni che regolano le quantità di acqua sondata e dalla conformazione dell’area di inondazione e dalle zone circostanti. Queste possono essere rappresentate da depressioni del terreno o conche, in cui le acque stazionano accumulandovisi, o da zone in pendio più o meno accentuato in cui le acque tendono a defluire verso zone soggiacenti.

Nel primo caso si ha un allagamento di zone più o meno ben definite, con acque che dopo la fase di inondazione si presentano stazionanti; nel secondo caso l’area allagata è interessata da masse fluenti con velocità più o meno forti, questo perché alla fase di inondazione fa immediatamente seguito quella di smaltimento.

La durata dell’allagamento dipende da criteri diversi a seconda che si tratti di zone di accumulazione o di zone di fluenza.

In zone di accumulazione la durata dell’allagamento dipende, a parità dei volumi e dell’altezza di acqua accumulati, dalla evaporazione, pertanto dalla stagione in cui avviene il fenomeno, e dalla infiltrazione nel terreno, da quelle geologiche del sottosuolo, e in particolare dalle loro caratteristiche di permeabilità.

Quando l’evento di piena che provoca l’esondazione viene ad esaurirsi, le acque esondate possono ritornare normalmente in alveo attraverso lo stesso varco che ha provocato l’allagamento.

La durata di allagamento, definita da tali fattori naturali, viene generalmente ridotta artificialmente mediante pompaggi con idrovore, sifonamenti, aperture di varchi e canali di drenaggio, abbassamento dopo la piena delle quote di tracimazione e delle soglie delle rotte sino al livello del terreno inondato.

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Nelle zone allagate per acque fluenti la durata di allagamento, a parità di volume di acqua esondata, dipende da l fronte di deflusso, dal carico dell’acqua fluente e dalla velocità dell’acqua stessa.

Tale velocità dipende essenzialmente da :

- pendenza del terreno verso altre zone di accumulo, verso canali di drenaggio o altri alvei naturali, verso altri tronchi vallivi dello stesso corso d’acqua esondato, o verso il mare;

-

dagli ostacoli esistenti sul terreno, che rallentano il deflusso delle acque, e pertanto dalle caratteristiche morfologiche ed antropiche delle zone allagate: fiorenti coltivazioni, recitazioni di poderi, rilevati stradali e sistemazioni agrarie che condizionano sensibilmente il deflusso delle acque;

-

dagli incanalamenti preferenziali, quali canali di drenaggio, cunette stradali, avvallamenti longitudinali del terreno, zone con scarsa o nulla vegetazione, zone più facilmente erodibili ove le acque si creano nuovi alvei;

-

dal carico o altezza del pelo libero della corrente liquida rispetto al terreno: più è alta l’acqua sui terreni allagati maggiore è la sua velocità, a parità di pendenza del terreno, e minore l’effetto degli ostacoli.

Le modalità di inondazione e smaltimento possono essere molto varie e comportano caratteristiche e danni opposti a seconda che le acque si dislochino più o meno velocemente.

Già all’atto dell’esondazione, la velocità delle acque provoca una più o meno drastica erosione del corpo arginale, che sovente alla fine appare completamente distrutto. Ciò che ne consegue è un rapido peggioramento delle caratteristiche di esondazione con conseguente rapido aumento delle portate esondanti, ed un massiccio trasporto nei terreni allagati di materiale solido e materiale terroso derivante dal corpo arginale. Nelle zone in cui è notevole la velocità in fase di inondazione o di smaltimento, si possono lamentare oltre alla perdita di vite umane, danni provocati da:

- erosione del terreno per azione di trascinamento verso valle o verso zone di minore velocità , con conseguente variazione del

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modellamento del terreno e peggioramento della struttura del suolo, distruzione di colture specie erbacee;

-

trasporto a distanza di materiali, masserizie, animali e beni comunque mobili, e lo distruzione;

-

danneggiamento dei beni mobili e immobili sommersi dalle acque, sia perché impregnati di acqua sia per il sempre presente deposito di materiale terroso e di residui oleosi e catramosi;

-

distruzione di beni immobili dovuto all’urto dell’acqua stessa contro superfici delimitanti aree non ancora invasate dalle acque;

In ogni caso le zone danneggiate dalle acque in veloce movimento presuppongono danni in altre zone, laddove le acque rallentano il loro corso o si accumulano. Nelle zone caratterizzate da acque in lento movimento o immobili si lamentano in generale danni dalle seguenti caratteristiche:

- deposito del materiale terroso derivante dal trasporto solido del corso d’acqua in piena, dal corpo arginale distrutto e dal materiale eroso nelle zone alluvionate. Tale deposito può raggiungere, in aree anche estese, spessori notevoli, distruggendo ogni attività colturale e modificando la morfologia preesistente del del suolo. Al deposito di materiale terroso si aggiunge quello dei relitti di ogni genere trasportati dalle zone in cui più forti erano le velocità dell’acqua;

-

distruzione per pressione contro pareti non controbilanciate dal lato

opposto da un ugual carico di acqua;

-

danneggiamento dei beni sommersi dalle acque;

-

annegamento di persone e animali.

In genere i danni in zone alluvionate sono maggiori se le acque vi transitano in rapido movimento e non solo per i moti sopra esposti, ma anche perché in tal caso l’arrivo dell’onda di piena è improvviso e di conseguenza più improvvisi e rapidi sono gli innalzamenti del livello liquido che oltre ad una fissata soglia provocano esondazione;appare pertanto evidente come in questi casi sia molto più difficile lopera di salvataggio da parte delle autorità.

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4.3.3 Opere di scolmamento delle piene 4.3.3.1 Introduzione

Gli interventi che si possono adottare per difendere le popolazioni ma anche le opere infrastrutturali dalle piene fluviali possono essere di tipo attivo o passivo; sono opere di tipo attivo quando si tende a migliorare la situazione esistente , di tipo passivo nel senso che si protegge la situazione esistente,senza la pretesa di realizzare alcun miglioramento, quest’ultimi sono in genere interventi d’urgenza e quindi provvisori, ma possono essere anche definitivi.

In questa tesi si andranno a considerare opere di tipo passivo a carattere definitivo. La difesa passiva si basa essenzialmente sui seguenti interventi:

1) Interventi di sistemazione del bacino mediante opere di vario tipo allo scopo di ridurre l’afflusso meteorico all’asta fluviale.

Interventi di questo tipo sono la sistemazione dei versanti ed il rimboschimento (sistemazione questa idraulico-forestale); tali interventi sono senza dubbio desiderabili nel quadro di una oculata gestione del territorio anche se ,in genere, non producono effetti tangibili nella riduzione della pericolosità idraulica delle aree più soggette a rischio, senza considerare che tali effetti si traducono in benefici solo dopo vari anni e possono garantire equilibrio al bacino insieme ad opere più efficaci e di effetti immediati.

Q:=A⋅ RK m2 3 ⋅ i 1 2 ⋅

2) Interventi atti ad incrementare la capacità di deflusso delle acque

Con esplicito riferimento alla formula messa a punto da Gauckler-Strickler:

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che calcola la capacità di deflusso, si nota che, proprio per aumentare la capacità di deflusso stessa, occorre aumentare l’area della sezione o il raggio idraulico della sezione di deflusso oppure si può aumentare la pendenza o in alternativa diminuire la scabrezza.

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- aumentare la pendenza è una soluzione impossibile, salvo qualche eccezione, nei tratti vallivi dei corsi d’acqua dove invece si hanno i problemi maggiori legati alle esondazioni.

- aumentare la sezione è anche questa soluzione di difficile attuazione, ma potrebbe essere ottenuta con un allargamento dell’alveo o con sovralzamento delle quote golenali, oppure mediante combinazione di entrambe le soluzioni.Questo intervento sarebbe possibile laddove lo spazio disponibile da cedere al corso d’acqua, come allargamento dell’alveo, non sia di difficile reperimento o dove vincoli paesaggistici lo vietano espressamente. Un aumento della sezione a costi relativamente non esorbitanti può essere ottenuto con opportuni interventi di risagomatura delle golene qualora queste fossero interrate.

- ridurre la scabrezza è tra tutti gli interventi quello che produce i minori effetti con i costi più elevati.La scabrezza infatti, salvo il caso di alvei completamente abbandonati, può essere ridotta significativamente solo mediante il rivestimento parziale o totale dell’alveo con lastre prefabbricate in calcestruzzo o materassi tipo “Reno”; tali interventi oltre all’elevato costo iniziale, per fornire effetti che durano nel tempo devono essere periodicamente soggetti a manutenzione per evitare depositi in alveo o la crescita di vegetazione spontanea che potrebbe riportare il valore della scabrezza ai valori originari.

A questi interventi atti ad aumentare la capacità di deflusso si deve considerare anche tutte quelle opere che eliminano situazioni di rigurgito della corrente.

Bisogna però evidenziare come l’aumento della capacità di deflusso in un tratto, mediante l’eliminazione delle cause che danno rigurgito , può far sorgere problemi nei tratti vallivi che non riescono in tal modo a smaltire le maggiori portate critiche con gli opportuni franchi di sicurezza; pertanto questo tipo di interventi necessita di una opportuna verifica delle condizioni che si verranno a creare nei tratti a valle. 3) Interventi tesi a ridurre le portate al colmo deviandone una parte mediante l’uso

di diversivi e/o scolmatori.

La progettazione di tali opere richiede uno studio accurato e particolareggiato, in particolare i diversivi perché devono tenere conto i problemi derivanti al trasporto solido.

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4) Interventi tesi a ridurre la portata tramite l’immagazzinamento temporaneo di una parte del volume dell’onda di piena in serbatoi di laminazione o in casse di espansione.

I serbatoi di laminazione e le casse di espansione pur basandosi sulle stesso tipo di funzionamento per ottenere la riduzione della portata al colmo, sono in realtà profondamente diversi dal punto di vista dei requisiti necessari per la loro realizzazione. Infatti i primi richiedono la costruzione di una diga o sbarramento di ritenuta e pertanto i costi di realizzazione possono essere contenuti anche se poi bisogna conoscere approfonditamente il luogo di realizzazione e l’entità dell’opere; le casse di espansione invece necessitano per il loro funzionamento di ampie superfici che possono essere allagate con altezze d’acqua dell’ordine di alcuni metri per l’immagazzinamento temporaneo dei volumi corrispondenti alle portate in eccesso e quindi il loro impiego è riservato ai tratti di valle dove si può con più facilità individuare zone adatte all’allagamento temporaneo, superfici tra l’altro che potrebbero essere anche utilizzate per taluni scopi agricoli senza quindi lasciare superficie estese ad esclusivo scopo di immagazzinare i volumi d’acqua in eccesso.

Tra le opere analizzate quelle che maggiormente si preferiscono perché meglio si adattano alla situazione del bacino del Trossa e perché offrono maggiore garanzia di protezione nei confronti di eventi particolarmente intensi è la realizzazione di serbatoi di laminazione e di casse di espansione.

In particolare in questo studio si analizzerà la realizzazione di casse di espansione nel tratto vallivo per la riduzione del rischio idraulico e si darà una breve indicazione per la realizzazione di un serbatoio di laminazione.

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4.3.3.2 Le casse di espansione

Le casse di espansione sono opere che consentono di invasare in temporaneamente una parte del volume di piena, per restituirlo successivamente, ottenendo così un duplice scopo:

- attenuazione al colmo dell’onda di piena

- ritardo della portata al colmo nel tratto vallivo (solo per le casse di espansione in linea)

La realizzazione di casse di espansione richiede la presenza di ampie zone pianeggianti, adiacenti il corso d’acqua, che con opportune arginature consentono l’invaso dei volumi liquidi in eccesso.

Le casse di espansione si classificano in base alla possibile ubicazione nei confronti del letto del fiume, in pratica si hanno:

1) Casse di espansione in linea: cioè quando i volumi disponibili per l’immagazzinamento temporaneo delle acque sono reperiti nell’alveo stesso del corso d’acqua e nelle zone limitrofe;

2) Casse di espansione in derivazione: quando i volumi in eccesso vengono immagazzinati in aree poste fuori dall’alveo del corso d’acqua. Tali aree devono trovarsi a quota inferiore a quella del livello idrico in condizioni di piena,per cui l’impiego di questa tipologia di casse è limitato alle zone in cui il corso d’acqua è pensile.

A seconda del tipo di classe che si intende realizzare cambiano i manufatti utilizzati per la realizzazione ed il funzionamento della cassa stessa,in particolar modo: per le casse di espansione in linea le opere da realizzare sono:

- la traversa: questo manufatto deve essere collocato in corrispondenza di una stretta allo scopo di diminuirne le dimensioni il che si traduce in una diminuzione dei costi di realizzazione. La traversa munita di opportune luci, all’arrivo dell’onda di piena provoca il rigurgito delle acque e l’allagamento dell’area di monte, con il conseguente invaso di una parte della portata affluita. Il volume invasato verrà restituito in un secondo momento, quando cioè è transitata l’onda di piena.

- una arginatura con la funzione di delimitare l’area adibita a trattenere il volume di acqua previsto, tale manufatto è necessario perché permette di proteggere infrastrutture o aree di particolare rilevanza socio-politico che si

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sbarramento

corso d'acqua

trovano nelle immediate vicinanze della cassa, inoltre nelle zone pianeggianti confinano il volume da invasare evitando che a seguito di un modesto aumento di volume immagazzinato si abbiano notevoli aumenti delle superfici allagate.

Figura 4.1 – Rappresentazione di una cassa di espansione in serie

per le casse di espansione in derivazione il numero di manufatti è maggiore rispetto a quelli delle casse in linea, tali manufatti sono:

- una o più opere di presa : hanno la funzione di derivare la portata in eccesso rispetto alla massima portata che non si vuole superare nel tratto di valle.La progettazione di queste opere, che possono essere realizzate con sfioratori laterali, con sifoni arginali autoadescanti, o con argini fusibili presentano notevoli difficoltà relative al verificarsi durante il funzionamento delle condizioni di moto della corrente previste in fase di progetto.Una indagine più approfondita di queste problematiche relative alle opere di presa esula dagli scopi di questa tesi di laurea, pertanto si rimanda a testi specializzati come indicato in bibliografia.

- una o più opere di scarico : tali opere sono necessarie allo scopo di evacuare in tempi relativamente brevi il volume immagazzinato durante la piena e riversarlo nel letto del corso d’acqua. Tale operazione può essere effettuata contemporaneamente all’evento di piena o successivamente; generalmente lo scarico viene effettuato a gravità in un punto dell’alveo più a valle rispetto all’opera di presa, tuttavia non sono inusuali i casi in cui una

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parte del volume immagazzinato venga restituito con opere provviste di sollevamento meccanico delle acque.

sbarramento opera di presa

opera di scarico

corso d'acqua

- una arginatura : (come per le casse in linea) per il contenimento delle aree allagabili.

Figura 4.2 – Rappresentazione di una cassa di espansione in derivazione

Alle diversità costruttive si accompagnano anche differenti effetti sull’onda in ingresso; infatti nel caso di casse in linea essendo lo sbarramento realizzato in alveo l’immagazzinamento comincia da portate molto minori di quelle che non devono essere superate a valle, cosa che invece non avviene per le casse in derivazione, essendo queste dotate di soglia sfiorante,si riscontra comunque che anche la soglia entra in funzione per portate in arrivo un po’ minori di quelle massime ammesse a valle, e ciò per consentire, al passaggio del colmo, di avere sulla soglia l’altezza d’acqua necessaria a sfiorare la portata in eccesso, ma tali portate sono sempre maggiori di quelle per cui inizia il riempimento delle casse in linea.

Si può pertanto affermare che in linea di principio il comportamento delle casse in derivazione è più efficiente rispetto alle casse in linea.

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Il diverso comportamento delle due tipologie di casse è rappresentato qualitativamente nelle due figure..

Tempo ( ore ) Port at a ( mc/ sec ) 10000 8000 6000 4000 2000 30 40 20 10 10 20 30 40 2000 4000 6000 8000 10000 Port at a ( mc/ sec ) Tempo ( ore ) Portata in arrivo Portata in uscita Portata in arrivo Portata in uscita

Idrogramma input - output per una cassa di espansione in linea

Idrogramma input - output per una cassa di espansione in derivazione

Figura 4.3 – Rappresentazione del comportamento delle due tipologie di casse di espansione nei confronti di una medesima onda di piena in arrivo

Le considerazioni precedenti valgono ovviamente nel caso in cui il deflusso attraverso la soglia si a libero; nel caso invece in cui quest’ultimo sia regolato mediante organi meccanici i rendimenti aumentano.

Questa soluzione sembrerebbe interessante soprattutto nel caso di casse in linea che da questo punto di vista sono più penalizzate.Dotando infatti la traversa di paratoie mobili lasciate inizialmente completamente aperte in modo da far transitare tutta la portata in arrivo, e poi azionate, quando questa raggiunge un valore prefissato, in modo da ridurre la luce d’efflusso, si potrebbe ottenere a valle la portata desiderata accompagnata da un più razionale sfruttamento dei volumi di invaso.

Tuttavia l’utilizzazione di organi mobili, nonostante le innovazione tecnologiche dell’epoca moderna in termini di automazione degli impianti mediante servomeccanismi e autodiagnosi, non sembrano, anche a fronte di una maggiore spesa per la realizzazione e gestione dell’opera, giustificare il loro impiego nella realizzazione delle casse di espansione.

(18)

Altro aspetto che è importante nella caratterizzazione delle casse è lo sfasamento in ritardo del colmo di piena che si ha nella tipologia “in linea” cosa che non avviene con quelle “in derivazione”.

L’effetto di questo sfasamento è peculiarità non irrisoria e va attentamente valutato specialmente in corrispondenza delle confluenze dei fiumi.

In linea di principio possiamo affermare che la realizzazione di una cassa di espansione in linea su un affluente, subito a monte di una confluenza con il corso principale, quando quest’ultimo abbia un tempo di corrivazione molto maggiore, deve essere oggetto di studio molto accurato, al fine di evitare la sovrapposizione dei due colmi di piena.

Oltre che dalle condizione di carattere tecnico, la scelta del dimensionamento del tipo di cassa da realizzare dipende anche dagli obiettivi che si intende perseguire con la cassa di espansione. Una cassa può infatti essere concepita e tradotta in realtà per proteggere le zone che si trovano a valle di questa, oppure esser concepita per contribuire, insieme ad altre opere analoghe, alla messa in sicurezza dei tratti vallivi posti ad una certa distanza dall’opera.

L’osservazione sopraesposta è di carattere fondamentale in quanto una cassa realizzata per rispondere ad esigenze locali avrà un effetto limitato sulla protezione dei tratti più lontani, e tale effetto sarà tanto minore quanto maggiore sarà la differenza tra i tempi di pioggia critica relativi al sotobacino ed al bacino sotteso dalle sezioni poste molto più a valle. Infatti le luci delle sogli sfioranti, dimensionate per abbattere il colmo dell’onda a scala di sottobacino, risulteranno troppo grandi per effettuare una laminazione della piena a scala di bacino, che localmente si manifestano con colmi più bassi, ma con volumi molto superiori.

4.3.3.3 Normativa vigente sulla realizzazione delle casse di espansione

Il progetto, la costruzione e l’esercizio degli sbarramenti per la realizzazione delle casse di espansione in generale e di quelle in linea in particolar modo è regolamentato da varie norme.

Il regolamento base è dettato dal D.M. 24-III-1982 avente come oggetto “Norme tecniche per la progettazione e costruzione delle dighe di sbarramento” che modifica il vecchio D.P.R. n° 1363 del 1959 avente per oggetto “Regolamento per la costruzione e l’esercizio degli sbarramenti di ritenuta” anche se al punto 1 “Sbarramenti per la laminazione delle piene” , viene sottolineata soltanto la necessità di prevedere

(19)

dispositivi di chiusura che consentono il riempimento del serbatoio per il collaudo a fine costruzione e durante l’esercizio.

Non è chiaro pertanto, ed è stato anzi oggetto di controversia negli anni passati, se gli sbarramenti delle casse debbano essere soggetti al regolamento delle dighe, ed in particolare al punto H “dighe in materiali sciolti” ,oppure se debbano essere assimilate agli argini fluviali, ed essere così realizzate secondo quanto previsto dalla dalla normativa a carattere geotecnico D.M. 11-III-1998 al punto E “Manufatti in materiale sciolto” che rimanda in pratica al testo sulle dighe.

La Circolare della Presidenza del Consigli dei Ministri del 07-IV-1999, in merito alla competenza del Servizio Nazionale Dighe, chiarisce che le casse di espansione non rientrano nelle fattispecie previste all’art.1 delle legge n° 584/1994 “Misure urgenti in materia di dighe” con invaso superiore ai 15 metri di altezza o invaso superiore a 1000000 di metri cubi, demandando la loro custodia all’Autorità idraulica competente titolare del corso d’acqua in questione.

Tuttavia si può ritenere che il progetto di tali opere, soprattutto quando rientrino nelle fattispecie previste dalla legge n° 584/1994 , non possa prescindere dal seguire le modalità previste nel Regolamento Dighe.

Nello studio oggetto della presente te si di laurea ,studiando la realizzazione di casse di espansione con volumi di ritenuta superiori al milione di metri cubi, si fa riferimento, per le parti prese in esame, proprio a tali norme.

Si riportano alcune definizioni, tratte dalle normative vigenti, che definiscono le casse di espansione per il dimensionamento degli sfioratoi:

- Altezza della diga: dislivello tra la quota del piano di coronamento (esclusi parapetti ed eventuali muri frangionde) e quella del punto più basso della superficie di fondazione (escluse eventuali sottostrutture di fondazione) - Quota di massimo invaso: quota massima a cui può giungere il livello

dell’acqua dell’invaso ove si verifichi il più gravoso evento di piena previsto, escluso la sopraelevazione del moto ondoso

- Quota di massima regolazione: quota del livello d’acqua al quale ha inizio automaticamente lo sfioro delle acque dagli appositi dispositivi

- Altezza di massima ritenuta: è il dislivello tra la quota di massimo invaso e quella del punto più depresso dell’alveo naturale in corrispondenza del paramento di monte

(20)

- Franco: dislivello tra la quota del piano di coronamento e quella di massimo invaso

- Franco netto: dislivello tra la quota del piano di coronamento e quella di massimo invaso cui si somma la semiampiezza della massima onda prevedibile nel serbatoio

- Volume totale di invaso: è la capacità del serbatoio compresa tra le quote di massimo invaso e la quota minima di fondazione

- Volume utile di regolazione: volume compreso tra la quota massima di regolazione e la quota minima del livello dell’acqua alla quale può essere derivata, per l’utilizzazione prevista, l’acqua invasata.

(21)

4.4

Le correnti a pelo libero – Richiami di idraulica

4.4.1 Introduzione

Prima di descrivere dettagliatamente il dimensionamento delle opere scelte per la sistemazione idraulica del torrente Trossa si ritiene opportuno richiamare dei concetti fondamentali che regolano il funzionamento di un moto di corrente a pelo libero.

A tal proposito si tratteranno nei seguenti paragrafi, anche se in maniera sommaria, le nozioni essenziali a riguardo del moto uniforme, moto permanente, costruzione del profilo liquido, risalto idraulico e restringimenti di un corso d’acqua.

4.4.2 Classificazione

La classificazione delle correnti a pelo liberi è funzione di vari parametri: - Classificazione in base allo spazio:

1. correnti uniformi (nelle quali le grandezze caratteristiche quali portata, velocità media e altezza liquida del pelo libero non variano lungo il tronco in esame)

2. correnti variate (nelle quali le grandezze caratteristiche elencate precedentemente variano nel tratto considerato)

- Classificazione in base al tempo

1. correnti permanenti (nelle quali portata, velocità media e altezza liquida non variano nel tempo)

2. correnti varie (nelle quali portata, velocità media e altezza liquida variano nel tempo)

- Classificazione in base alla forma della sezione trasversale

1. correnti in alvei prismatici (alvei caratterizzati dall’avere sezione trasversale e pendenza di fondo costanti per un determinato tratto)

2. correnti in alvei non prismatici

- Classificazione in base alla natura dell’alveo

1. correnti in alveo a fondo fisso (con fondo e pareti non soggetti ad erosioni e/o depositi)

2. correnti in alveo a fondo mobile (fondo e pareti soggetti ad erosione e depositi)

(22)

per quanto illustrato , in genere , si possono avere tre tipi di corrente:

- Permanente Uniforme (moto uniforme) - Permanente Variata (moto permanente) - Varia Variata (moto vario)

Il moto uniforme si manifesta in un corso d’acqua avente sezione, pendenza e portata costante nel tempo e nello spazio; il moto permanente si sviluppa in alveo avente sezione trasversale che cambia lungo il corso d’acqua ma portata costante, il moto permanente può manifestarsi anche in alveo prismatico ma con profondità e quindi velocità media di deflusso che variano per la presenza di singolarità quali possono essere una traversa, un restringimento, una soglia di fondo, un cambio di pendenza ecc.;il moto vario caratterizzato da sezioni, pendenze e portate che variano sia nello spazio che nel tempo.

Il regime naturale di un corso d’acqua è quello di un moto vario, sia in stato di piena conseguenza di eventi pluviometrici eccezionali, sia in fase di esaurimento nei periodi di inattività pluviometrica.

Fare riferimento , per i calcoli idraulici, ad uno stato in moto permanente è sufficiente per procedere al proporzionamento o alla verifica dei sistemi di contenimento delle piene, assegnando un opportuno franco per avere una sicurezza maggiore.

In genere far riferimento al moto vario è utile per affrontare problemi specifici come quello della propagazione a valle delle portate che possono derivare dall’apertura degli scarichi di fondo di una diga di ritenuta; ciò è prescritto dalla Circolare del Ministero dei LL.PP. del 4 Dicembre 1987 n° 352 (Gazzetta Ufficiale 19 Gennaio 1988 n°14)

Il problema idraulico è quello di procedere alla determinazione del profilo liquido che corrisponde alla assegnata portata di piena per giudicare il rapporto tra il sistema di contenimento, i vari manufatti e la sezione idraulica, franco e sezione di deflusso.

Talvolta è possibile utilizzare le semplici espressioni del moto uniforme per determinare le caratteristiche delle correnti quando ad esempio si abbia a che fare con tronchi abbastanza lunghi e regolari lontani da sezioni singolari che possono provocare forti variazioni del livello liquido; in tale approssimazione si può ritenere l’invarianza del moto dallo spazio.

(23)

4.4.3 Il Moto Uniforme (descrizione)

Nella descrizione delle grandezze che regolano il moto uniforme di una corrente liquida in un canale a superficie libera si farà riferimento alla condizione con la pendenza della linea dell’energia uguale a quella della superficie libera a sua volta uguale a quella dell’alveo.

Le formule utilizzate sono quelle di Chezy:

Q Chezy:=χ⋅A⋅ R m⋅i

(2)

con χ dato da:

χKutter 1000 1 m Rm + := χBazin 87 1 Rm γ + := (3)

e quella elaborata da Manning:

QManning 1 A⋅ Rm3 2 ⋅ i 1 2 ⋅ := (4)

con χ dato da:

χ R m

1 6

n

:= (5)

e dove si indica con :

- A area

- Rm raggio idraulico

- i pendenza di fondo

- m coefficiente di scabrezza di Kutter - n coefficiente di scabrezza di Manning - γ coefficiente di scabrezza di Bazin

(24)

Si nota come la portata “Q” aumenta al diminuire della scabrezza, rappresentata dai coefficienti “m” ”n” ” γ”,all’aumentare della sezione liquida “A”, all’aumentare del raggio idraulico ”Rm” (sezione di minima resistenza), all’aumentare della pendenza “i”.

Esaminiamo ora queste grandezze per avere indicazioni utili per risolvere in maniera corretta i problemi progettuali e di verifica della sezione d’alveo.

I coefficienti di scabrezza descritti sono funzione dei seguenti parametri: - scabrezza superficiale

- sviluppo della vegetazione

- irregolarità nella forma della sezione trasversale - presenza di curve e meandri

La scabrezza superficiale dipende dalla natura del materiale che riveste il fondo e le sponde della sezione e della sua disposizione; passando da un fondo liscio a un fondo con increspature e o ondulazione ,inevitabilmente la scabrezza aumenta;

La vegetazione, che si sviluppa nei canali scavati in terra e non rivestiti, ha un notevole peso nella scelta dei coefficienti basta pensare alle molte variabili che influenzano i deflussi, basta pensare allo sviluppo vegetativo, alla natura, alla tipologia ( legnosa ,erbacea, arbustiva),all’altezza media, alla distribuzione, alla densità e alla flessibilità della stessa vegetazione.Tutti questi parametri sono di difficile quantificazione e possono variare anche in funzione della manutenzione dell’alveo e della stagione; Le irregolarità nella forma della sezione trasversale e la presenza di curve e meandri nel corso d’acqua influenzano indirettamente i coefficienti “m” ”n” ” γ”, in quanto provocano vortici e mulinelli che causano perdite di energia.

Si deve notare inoltre che per uno stesso alveo il coefficiente di scabrezza varia in funzione del tirante d’acqua , un caso particolare è quello di corsi d’acqua con la presenza di golene: la scabrezza dell’alveo è infatti in genere molto minore rispetto alla scabrezza delle parti golenali.

Il problema della scelta del coefficiente di scabrezza diventa definito qualora si potesse conoscere con puntualità il valore di portata e livello di deflusso; nel nostro caso (torrente Trossa), si è assegnato il coefficiente di scabrezza confrontando le descrizioni delle varie classi di scabrezza riportate nei manuali tecnici con le osservazioni effettuate direttamente in loco.

(25)

La documentazione fotografica rende bene la tipologia di copertura vegetale presente nei vari tratti del Trossa.

Si riporta la tabella fornita sui manuali dei coefficienti di scabrezza in relazione alla tipologia della sezione trasversale:

Coeff. Manning Descrizione alveo

0,012 Artificiale, regolato con sponde in cemento 0,020 Artificiale, letto ghiaioso e sponde in cemento 0,023 Letto ghiaioso e sponde in pietrame

0,033 Letto ghiaioso e sponde in scogliera

0,030 Naturale, con sponde regolari prive di vegetazione 0,040 Naturale, sponde irregolari prive di vegetazione 0,050 Naturale, con sponde irregolari ed inerbite 0,100 Naturale, con sponde ricoperte da arbusti

(26)

4.4.4 Il Moto Permanente (descrizione)

Al fine di pervenire alle relazioni che permettono il tracciamento dei profili liquidi occorre dare delle utili descrizioni qualitative delle grandezze caratteristiche delle correnti a moto permanente:

Si chiarisce ciò con riferimento alla sezione b

y

sezione liquida ( ) contorno bagnato (C)

Figura 4.5 – Sezione trasversale alveo del corso d’acqua indicante le grandezze geometriche

z1 y1 y2 U1^2/2g U2^2/2g z2 E yc yu sez. 1 sez. 2 linea dell'energia pelo libero a moto permanente pelo libero a moto uniforme profilo di fondo piano di riferimento

(27)

L’energia specifica o carico totale rispetto al fondo è: H y α U 2 ⋅ 2 g⋅ + := (6)

se esprimiamo la velocità (U) in funzione della portata:

U Q

2

Ω2

:= (7)

l’energia specifica è pertanto espressa dalla:

H y α Q 2 ⋅ 2 g⋅ Ω⋅ 2 + := (8)

dove i vari termini esprimono:

- y altezza del pelo libero rispetto al fondo - α coefficiente di Coriolis, ( 1 < α < 1.5 ) - U velocità media della corrente

- g accelerazione di gravità

L’energia specifica “H” quando riferita al fondo della sezione può aumentare o diminuire con l’ascissa nel senso del moto.

L’energia totale o carico orizzontale rispetto ad un piano orizzontale è:

E z 2 g y + α U 2 ⋅ ⋅ + := (9)

dove con “z” si indica la quota del fondo rispetto ad un piano di riferimento; il carico totale “E” quando è riferito ad un piano orizzontale di riferimento deve necessariamente diminuire nel senso del moto da monte a valle. Questa relazione viene usata quando le sezioni sono irregolari e non si riesce ad individuare con precisione il punto più depresso delle sezioni stesse.

(28)

altezze liquide

portate yc

Qmax

E = costante

Figura 4.7 – Grafico dell’andamento della Q=Q(y) con E=cost

Q = costante Emin altezza liquida en erg ia sp eci fic a 45° yc

(29)

Si definisce:

Altezza media “ym”:

y m:= Ωb (10)

e rappresenta la profondità della sezione rettangolare equivalente per area Ω alla generica sezione assegnata.

Altezza critica “yc”:

yc

3

α Q⋅ 2 g ⋅b yc :=

- in funzione della portata Q:

(11)

per alvei naturali

y c α 3 Q2 ⋅ g b⋅ 2 := (12)

per alvei a sezione rettangolare

E y cyc 2 b yc⋅ ⎛ ⎜ ⎝ ⎞ ⎠ + := y c:= 23⋅E - in funzione dell’energia E: (13)

per alvei naturali

(14)

per alvei a sezione rettangolare.

Dove “yc” è la profondità cui corrisponde per una data portata, la minima energia;

(30)

Velocità media “U”: U Ω Q := (15) Velocità critica: Uc g α Ω b ⋅ := (16) e per la (10): U c:= αg⋅y m (17)

espressione valida per alvei con sezione qualsiasi;

U c:= αg⋅y (18)

valevole per alveo a sezione rettangolare.

Pendenza critica “ic”:

i c g α χ⋅ 2 C b ⋅ := (19)

con χ coefficiente di scabrezza.

Numero di Froude “Fr”:

F r U

g y m⋅

:= (20)

per sezioni qualsiasi

F r U g y⋅

:= (21)

per sezioni rettangolari

Si precisa che in numero di Froude è dato dal rapporto tra la velocità media “U” e la velocità critica “Uc”; esso distingue:

correnti veloci:

U > Uc y < yc Fr > 1

correnti lente :

(31)

Poiché la velocità di propagazione delle perturbazioni di piccola ampiezza rispetto alla corrente è pari alla velocità critica della corrente stessa, tali perturbazioni non possono risalire verso monte nelle correnti veloci ciò significa che le correnti veloci non risentono di influenza da valle e sono comandate da monte mentre le correnti lente sono influenzate dai livelli liquidi che si hanno a valle.

L’equazioni che governano il moto sono:

- l’equazione di continuità espressa dalla

Q = UΩ = cost (22) 3 2 2 2 2 2 1 Ω ⋅ ⋅ ⋅ − Ω ⋅ ⋅ − ∂ ∂ ⋅ Ω ⋅ ⋅ + = g b Q C Q x A g Q i dx dy

α

χ

α

3 2⋅ Ω ⋅ ⋅ = b Q C dx dy

χ

2 2 1 Ω ⋅⋅ − − g Q i

- e l’equazione differenziale generale del profilo liquido di una corrente permanente gradualmente variata ed è espressa dalla:

(23)

che per alveo prismatico e α = 1 si semplifica nella :

(24)

che pertanto si può scrivere nella forma:

2 1 J dy 1 Fr dx − − = (25)

(32)

Questa è da integrare a partire dalla condizione di contorno : y = y(L) per x = L,

al termine del tratto considerato del corso d’acqua, se il moto è lento cioè Fr < 1 ;

y = y(0) per x = 0,

se il moto è rapido, vale a dire Fr > 1.

Ciò comporta che per la portata Q considerata deve essere calcolata l’altezza “yu” di

moto uniforme e quella critica “yc” confrontando successivamente tali altezze liquide

con l’altezza “y(L)” per conoscere quale profilo si realizza.

All’integrazione della (23) o della (24), generalmente si procede per differenze finite,ricercando direttamente, prefissata un’appropriata distribuzione delle altezze y. A quale distanza ∆x l’una dall’altra si producano le altezze stesse; oppure procedendo per tentativi le altezze y per prefissati incrementi di ∆x.

Con tal modo di procedere si riesce a tracciare i profili di rigurgito ove va da intendersi per rigurgito in corrispondenza di una qualsiasi sezione si intende la differenza tra l’altezza effettiva y del pelo libero e l’altezza di moto uniforme yu relativa alla portata

esaminata; possiamo ottenere 15 diversi profili teorici di rigurgito che si riducono a 12 possibili perché 3 di questi profili non possono realisticamente manifestarsi.

La classificazione di questi profili avviene in base a due parametri:

1. pendenza di fondo dell’alveo “i”:

- “A” alveo in corrispondenza i < 0 (adverse) - “H” alveo a fondo orizzontale i = 0 (horizontal) - “M” alveo a debole pendenza 0 < i < ic ; yn > yc (mild)

- “C” alveo a pendenza critica i = ic ; yn = yc (critical)

- “S” alveo a forte pendenza i > ic ; yn < yc (steep)

2. altezza del pelo libero “y”:

- y < yc

- y = yc

(33)

riportiamo alcune delle tipologie di rigurgito che si verificano a seguito delle tipiche singolarità che li provocano :

adverse horizontal

A3

A2

H2

H3

mild 1 mild 2 mild 3

M1 M2

M3

critical 1 critical 3

C1

C3

steep 1 steep 2 steep 3

S1

S2

S3

linea del pelo libero linea altezza critica linea altezza di moto uniforme

(34)

Dall’osservazione di questi rigurgiti si possono trarre utili informazioni:

- la linea dell’altezza di moto uniforme è raggiunta in modo asintotico verso monte per alvei a debole pendenza tipo M1 o M2 e verso valle per alvei a forte pendenza quali S1 o S3; si può altresì dire che una generica singolarità fa sentire la sua presenza creando variazioni nel profilo liquido a monte per le correnti lente tipo M1,M2,S1,C1,H2,A2, e verso valle per le correnti che sono veloci quali M3,S2,S3,C3,H3,A3.

- Il passaggio da corrente veloce ad un a lenta avviene sempre con formazione di un risalto idraulico dove si ha forte perdita di energia.

- La superficie del pelo libero non attraversa mai la linea dell’altezza di moto uniforme.

Appare inoltre evidente che per tracciare il profilo di un determinato corso d’acqua con le sue caratteristiche è necessario conoscere una determinata sezione detta di controllo da cui partire, nella quale per qualsiasi condizione di si abbia un’unica relazione tra portata Q e altezza liquida y relazione che prende il nome di scala di deflusso univoca.

Pertanto se si assegna ad un tronco di un alveo una determinata portata Q,, per tracciare il profili liquido si dovrà:

- calcolare l’altezza di moto uniforme “yu” e l’altezza critica “yc” ,ne

conseguirà direttamente la determinazione della natura della corrente cioè la valutazione di corrente veloce o lente o corrente allo stato critico;

- dalla valutazione della natura della corrente verrà assunta la sezione di controllo e rispettivamente sezione di monte se corrente veloce e sezione di valle se corrente lenta;

- a questo punto segue l’integrazione dell’equazione differenziale a partire dall’altezza nota della sezione di controllo.

I profili liquidi rappresentati precedentemente sono creati da correnti gradualmente variate GVF cioè correnti che danno origine ad una variazione dei parametri idraulici lenta e graduale per tratti molto lunghi di alveo; le perdite di energia per queste correnti sono dovute essenzialmente alle perdite per attrito lungo il contorno bagnato.

(35)

Altra famiglia di correnti non uniformi sono le correnti rapidamente variate RVF, che sono caratterizzate da rapide variazione del profilo liquido e talvolta anche discontinuità nella superficie libera e che si manifestano su tratti molto ridotti del corso d’acqua; rappresentano bene questa classe di correnti quelle in cui c’è la presenza di una singolarità che provochi un risalto idraulico oppure un salto di fondo o anche variazioni dovute ad un forte restringimento o allargamento della sezione d’alveo.

In base all’entità delle perdite localizzate che si hanno in corrispondenza di tali singolarità le correnti rapidamente variate si distinguono in :

- RVF con significative perdite locali - RVF con trascurabili perdite locali

Le prime si manifestano quando si hanno forti decelerazioni della corrente (risalti, vortici o turbolenze),le seconde si hanno quando i manufatti sono sagomati in maniera tale da non provocare una notevole e brusca variazione della direzione dei filetti fluidi che compongono la corrente senza sviluppo di vortici e turbolenze, oppure quando la corrente accelera.

4.4.5 Il Risalto idraulico

Il risalto idraulico è un fenomeno classico delle correnti a moto permanente rapidamente variato che si ha in corrispondenza del passaggio da una corrente veloce caratterizzata da y < yc e Fr >1 ad una corrente lenta con y>yc e Fr < 1: questa

particolarità comporta sempre una discontinuità nel profilo liquido consistente in un notevole innalzamento del profilo stesso.

Questo brusco sollevamento provoca inevitabilmente la formazione di un vortice ad asse orizzontale che richiama aria, presentando in tal modo la caratteristica di estese intumescenze e dissipando notevoli quantità di energia.

Il risalto idraulico dipende da vari fattori tra i quali: - numero di Froude della corrente - pendenza di fondo

- forma della sezione

- tipologia di vortice mediante singolarità nella sezione o sul fondo: a. libero

b. annegato c. forzato

(36)

Si può fare una classificazione anche in base al valore del numero di Froude della corrente di monte:

- 1 < Fr (monte) < 0.7 risalto ondulare

- 1.7 < Fr (monte) < 2.5 risalto debole

- 2.5 < Fr (monte) < 4.5 risalto oscillante

- 4.5 < Fr (monte) < 9 risalto stazionario

- Fr (monte) > 9 risalto forte

Altra grandezza importante del risalto idraulico è la lunghezza, nella quale si instaura questo fenomeno idraulico ,definita “Lr” tra le sezioni che delimitano la zona interessata

dal moto rapidamente variato in cui i filetti fluidi hanno un pronunciata curvatura. La lunghezza del risalto viene stimata per alvei a sezione rettangolare e trapezi pari a

L r 6 y:= ⋅ 2 H1 U1^2/2g H2 U2^2/2g M1 p1 p2 M2 sez. 1 sez. 2 i (26)

tale grandezza ha molta importanza specialmente per la costruzione di opportune vasche di dissipazione che devono contenere al loro interno il risalto affinché esso non provochi fenomeni dannosi quali l’erosione nell’alveo.

Figura 4.10 – Rappresentazione grafica del risalto idraulico

Se applichiamo il teorema della quantità di moto tra la sezione 1 e la sezione 2 del tronco d’alveo considerato, proiettando tutte le forze nella direzione del moto, trascurando la componente della forza peso nella direzione stessa e la resistenza per

(37)

attrito dell’alveo poiché antagoniste e molto piccole rispetto a tutte le altre forze in gioco, si ha così: P1 + M1 = P2 + M2 (27) 2 2 2 1 2 1

2

2

h

q

U

h

q

U

1

1

γ

+

ρ

=

γ

+

ρ

(28) con:

γ peso specifico dell’acqua; ρ densità dell’acqua;

q portata per unità di lunghezza dell’alveo (q = Q/L );

Per sezioni rettangolari la (28) si semplifica nella:

2 1 3

2 K

=

2 1

h

h

h

h

+

(29) con K: 3 2

q

K

=

g

(30)

mentre la dissipazione di energia vale:

2 1 3 2 1 2 1

)

(

h

h

H

H

H

=

=

4

h

h

(31)

per la localizzazione della posizione del risalto nell’alveo del corso d’acqua è necessario costruire le curve delle spinte totali delle due correnti, la veloce e la lenta: analiticamente si ha:

A

Q

h

A

S

S

S

monte

=

valle

=

=

γ

g

+

ρ

(32) 2

(38)

4.4.6 Le correnti rapidamente variate

Le correnti rapidamente variate si hanno quando nell’alveo sono presenti delle singolarità nella sezione trasversale che provocano il rapido cambiamento del profilo liquido.

Anche se ciò esula dalla trattazione per quanto riguarda il torrente Trossa, dato che durante lo sviluppo del corso d’acqua non si rilevano manufatti esistenti che provocano restringimenti di sezione, si ritiene idoneo dare accenno a tale particolarità in quanto tali manufatti potrebbero essere realizzati ad hoc come sistemazione fluviale lungo il Trossa.

L’andamento del pelo libero in corrispondenza di tali ostacoli subisce delle variazioni che dipendono dalla pendenza dell’alveo del torrente, ed il tal caso si parla di corrente in stato subcritico o supercritico, e dipendono anche dal contenuto energetico della corrente cioè dalla capacità che ha la corrente idraulica a superare o meno l’ostacolo. Da quanto si evince da ciò si possono calcolare quattro casi:

a) alveo a debole pendenza ma energia di monte sufficiente a superare l’ostacolo;

b) alveo a forte pendenza ancora con energia di monte sufficiente a superare l’ostacolo;

c) alveo a debole pendenza energia di monte insufficiente; d) alveo a forte pendenza energia di monte insufficiente. Per chiarire meglio questi fenomeni consideriamo un alveo a sezione rettangolare e facciamo l’ipotesi che siano trascurabili le perdite di carico ed inoltre che a valle e a monte delle singolarità si abbia il moto uniforme.

A-A'

B-B'

C-C'

b1 b2 b3

Q,q1 Q,q2 Q,q3

(39)

Nella figura si indicano con le seguenti voce: - Q portata totale defluente

- qi portata specifica per unità di larghezza delle sezioni i-esime

Facendo riferimento alla curva caratteristica di portate della figura N relativa alla portata specifica q=Q/B in funzione dell’altezza liquida y del pelo libero rispetto al fondo e per sezione rettangolare si ha l’espressione:

q

:=

y

2 g

(

E

i

y

)

y y2 q1 q2 qmax 2 3 E1 E1 y1 restringimento linea dell'energia (33)

dove Ei è l’energia specifica di monte rispetto al fondo dell’alveo che per la supposta assenza di dissipazione di energia si mantiene costante nelle tre sezioni.

(40)

linea dell'energia restringimento y1 E1 2 3 E1 qmax q2 q1 y2 y

Figura 4.13 – Rappresentazione di un alveo a forte pendenza (corrente veloce) energia di monte sufficiente

Nei due casi l’energia posseduta dalla corrente di monte è sufficiente a superare l’ostacolo in quanto la portata q2 è minore della qmax.

Se l’entità del restringimento è tale da provocare q2 maggiore di qmax con quella data energia E1 di monte, allora si dovrà avere un incremento di tale energia fino al valore

minimo pari a E1c necessario per avere l’altezza critica y2c in corrispondenza della

sezione B-B’ di minima larghezza e si hanno pertanto le due soluzioni caratterizzate dall’avere una energia insufficiente.

(41)

E1c E1 restringimento profilo M1 2 3 E1c 2 3 E1 q1 q1maxq2 y'1 y1 y2 y3 y1 y risalto

Figura 4.14 – alveo a debole pendenza (corrente lenta) , energia di monte insufficiente.

y2 y'1 q2 q1max q1 2 3 E1 2 3 E1c restringimento E1 E1c risalto y y1 y3 y1 profilo S1

(42)

Come si nota nelle due figure nei casi con energia insufficiente si ha un profilo detto di transizione in cui il deflusso della corrente in corrispondenza della sezione ristretta passa attraverso lo stato critico.

A monte del ponte si deve creare un rigurgito tale da provocare, attraverso un profilo di corrente lenta ritardata (M1 o S1), il recupero dell’energia della corrente di monte per avere in corrispondenza del restringimento il valor minimo dell’energia per una data portata Q..

In conclusione si può notare come in tutti i casi per alvei a forte pendenza che debole pendenza, possiamo distinguere i deflussi in due categorie:

- deflusso senza transizione :correnti che rimangono lente o veloci anche dopo aver oltrepassato il restringimento;

- deflusso con transizione : correnti che passano attraverso lo stato critico nella strozzatura ; i profili a monte del ponte sono sempre lenti ritardati, di tipo M1 se la corrente è lenta e di tipo S1 se la corrente è veloce.

Nella pratica risulta utile confrontare il rapporto di contrazione limite “Rl” con il rapporto

di contrazione “R”: R l 27 F (monte) 2+ F r monte( )2 r :=

3 2 ⋅ (34)

oppure se facciamo riferimento alla spinta totale della corrente:

R l 1 F r valle( )4 2 1 R +

3 ⋅ 1+ 2 F r valle⋅ ( )2

3 := (35) mentre R vale: R 2 b b 1 := (36)

“R” rappresenta evidentemente il rapporto tra il restringimento della sezione e la larghezza ante strozzatura pertanto questo rapporto è evidentemente minore di uno.

(43)

Riassumendo il deflusso della corrente attraverso un restringimento può pertanto avvenire in tre differenti modi:

- moto subcritico: la corrente è lenta e tale rimane anche in corrispondenza del restringimento;

- moto supercritico: la corrente è veloce e rimane veloce anche in corrispondenza del restringimento;

- si ha moto con transizione: la corrente passa attraversa lo stato critico in corrispondenza dello stesso restringimento.

Graficamente la suddivisione può essere rappresentata dal grafico sottostante:

R=b2/b1 n°Fr 1.00 0.80 0.60 0.40 0.20 1.00 0.80 0.60 0.40 0.20 0.00 0.20 0.40 0.60 0.80 1.00 0.00 1.20 1.40 1.60 1.80 2.00 2.20 2.40

Figura 4.16 –Classificazione dei modi di deflusso attraverso un restringimento in base al rapporto di contrazione R e al numero di Froude della corrente.

Il grafico va letto nel seguente modo:

in alto a sinistra delimitato inferiormente dalla curva in rosso è rappresentata la zona caratterizzata da un moto subcritico; per le correnti che si collocano in questa parte del grafico sono state proposte numerose formulazione di origine sperimentale per determinare il sovralzamento del pelo libero rispetto al moto indisturbato, annoveriamo al proposito autori quali Yamell, Rehbock, Nagler, Auboisson, ma la formula più utilizzata è quella data da Yamell e che si può scrivere nella forma:

(37) 2 ) 2 ) ) 5 0 y y F R r F K y = ⋅ − + ⋅ ⋅ − + ⋅ ⋅ ( 4 ( ) (1 15 (1 ) 6 . ( rvalle r valle o K y − ∆

(44)

- yo altezza di moto uniforme

- ∆y savralzamento del pelo libero

- Ky coefficiente dipendente dalla forma del restringimento

- Fr(valle) numero di Froude di valle

- R rapporto di contrazione

Allo scopo di semplificare il procedimento di calcolo perché già abbastanza complesso ,generalmente per avere valori indicativi del sovrainnalzamento del pelo libero si usa imporre l’uguaglainza dell’energia tra la sezione 1 e la sezione 2 oppure l’uguaglianza della spinta totale tra le sezioni 1 e 2 o meglio ancora tra le sezioni 1 e 3, considerando anche la resistenza offerta dalla struttura di restringimento esposta alla corrente.

Il ricorso al teorema della quantità di moto è il procedimento più diffuso e attendibile in quanto risulta abbastanza complesso determinare le perdite di energia causate dalla variazione della distribuzione della velocità nella zona del restringimento, pertanto si ha: (38)

F

y

A

y

A

G

+

Q

U

=

G

+

Q

U

+

1 1

ρ

1

γ

2 2

ρ

2

γ

con il seguente significato dei termini:

- γ peso specifico del liquido oggetto di studio; - ρ densità del liquido;

- y1 altezza del pelo libero nella sezione 1;

- A1 area liquida sezione 1 in corrispondenza dell’altezza liquida 1;

- Y1G affondamento del baricentro della sezione 1; - Q portata liquida;

- U1 velocità di fondo nella sezione 1;

- F forza totale esercitata dalla struttura di restringimento sulla corrente;

il termine F può in maniera più dettagliata essere espresso come:

F

:=

F

s +

F d

(39) con:

Riferimenti

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