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Il cancro del colon retto

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Academic year: 2021

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Capitolo 1

Il cancro del colon retto

1.1 EPIDEMIOLOGIA

Il tumore del colon-retto è una delle neoplasie maligne più diffuse al mondo.

Nel 2002, le nuove diagnosi di carcinoma colorettale (CRC) sono arrivate a circa un milione, a fronte di una mortalità di quasi 500.000 decessi annui1. Con un trend d’incidenza in aumento, tale neoplasia rappresenta, in entrambi i sessi, il terzo tumore per frequenza negli USA2, mentre in Europa, dove costituisce l’8 % di tutte le nuove diagnosi di neoplasia maligna in età adulta, è al terzo posto per il sesso maschile (12.8% di tutti i tumori) ed al secondo per quello femminile (13.1%), con circa 300.000 nuovi casi e 140.000 decessi complessivi3. Nel nostro paese l’incidenza è passata dai 16.000 casi del 1970 agli oltre 37.000 del 2004, come risultato del sensibile miglioramento dell’accuratezza e della sensibilità delle tecniche diagnostiche e dell’aumento percentuale della popolazione anziana, legato al significativo prolungamento dell’aspettativa di vita4. Il CRC presenta infatti un’incidenza maggiore nelle fasce di età più elevata, per cui si passa dai 2-3 casi ogni 100.000 soggetti di età inferiore ai 45 anni, ai 200 casi su 100.000 abitanti ultrasettantacinquenni, con un picco di incidenza vicino agli 80 anni ed un’età media alla diagnosi di circa 60 anni. Significative variazioni si hanno anche in relazione alla geografia. L’incidenza è infatti più elevata, nel Nord America, nell’Europa Nord Occidentale e in Nuova Zelanda; inferiore in Asia, Africa equatoriale ed America Latina. Le ragioni di tale variabilità risiedono, verosimilmente, nelle eterogenee abitudini alimentari e stili di vita contrapposti e nella differente attenzione che viene posta nello screening e diagnosi di tale patologia, a seconda del diverso contesto socio-economico. A dimostrazione di questo si evidenzia come popolazioni immigrate da paesi considerati a basso rischio a quelli ad alto rischio, acquisiscano nel giro di una generazione, il rischio del paese di nuova residenza, in virtù delle mutate abitudini alimentari e delle nuove influenze ambientali. Nei paesi a maggior rischio è stato stimato che nell’ambito della popolazione generale (escludendo i casi di familiarità) un soggetto di sesso maschile abbia una probabilità di ammalarsi di CRC del 4,5% nel corso della propria vita e che in un soggetto di sesso femminile tale probabilità sia del 3,2%5.

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Negli ultimi due decenni si è osservato un progressivo aumento della sopravvivenza, legato fondamentalmente alla maggiore capacità di individuazione della neoplasia in stadi sempre più precoci, grazie alle campagne di screening di massa, ed al miglioramento dell’efficacia delle terapie adiuvanti.

La principale causa di morte del paziente con CRC rimane, ad ogni modo, legata alla presenza di disseminazione a distanza della neoplasia, che si registra alla diagnosi, a carico del fegato nel 20-70% dei pazienti e del polmone nel 10-20% dei casi6. La metastasi epatica è l’unica presente in un terzo degli affetti7.

La sopravvivenza mediana del paziente con malattia metastatica è andata incontro ad un significativo allungamento negli ultimi decenni. Infatti, se fino a qualche anno fa, quando il 5-fluorouracile (5-FU) rappresentava pressoché l’unica strategia efficace per la palliazione del tumore metastatico, veniva stimata in circa 12 mesi8, oggi,

grazie all’introduzione nella pratica clinica di nuovi agenti chemioterapici citotossici, ai notevoli progressi della chirurgia (ad es. tecniche di terapia locoregionale epatica) e allo sviluppo delle terapie a bersaglio molecolare, il paziente metastatico presenta una sopravvivenza mediana superiore ai 2 anni.

Infine, secondo alcune casistiche, una sopravvivenza a 5 anni viene raggiunta dal 27-41%9 dei pazienti metastatici e una guarigione (sopravvivenza a 10 anni) dal 17-25%

dei pazienti trattati con intervento di epatectomia10. Pertanto attualmente, viene

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1.2 EZIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO

Nell’insorgenza del CRC giocano un ruolo fondamentale quelli che genericamente vengono definiti fattori ambientali, che instaurandosi su di un quadro di suscettibilità genetica individuale, sono indispensabili nella progressione del processo di cancerogenesi.

La dieta sembra svolgere un ruolo di primaria importanza nello sviluppo del CRC; è stato infatti stimato che circa il 70% dei CRC potrebbe essere prevenuto da un intervento dietetico. Sono stati identificati, attraverso studi prospettici, diversi fattori promuoventi ed alcuni protettivi lo sviluppo di tale neoplasia. Abitudini dietetiche che potenzialmente elevano il rischio di sviluppare malattia sono rappresentate dallo scarso apporto di frutta, vegetali e fibre, dall’eccessivo consumo di carni rosse e grassi saturi. Concorrono inoltre l’esposizione a fumo di sigaretta ed alcool (in particolare birra e superalcolici)12. Diete ricche in carne rossa sono associate ad un aumentato rischio di sviluppare lesioni displastiche della mucosa colica verosimilmente come conseguenza dell’elevato contenuto in poliamine che, esercitando un ruolo chiave nel processo di carcinogenesi, vengono oggi paragonate a marker di proliferazione neoplastica13. Attualmente esistono dati discordanti per

quanto riguarda l’apporto di fibre ed il loro ipotizzato ruolo protettivo, anche se da ricerche attendibili quali un’analisi combinata di 13 studi caso-controllo del 199214, una metanalisi di 16 studi caso controllo del 199015 ed uno studio osservazionale più recente coinvolgente 22 centri distribuiti in 10 paesi Europei16, emerge come vi sia una netta associazione inversa tra consumo di fibre e sviluppo di CRC. I meccanismi attraverso i quali le fibre interferirebbero con lo sviluppo del cancro sono molteplici, ma fra questi spiccano l’inibizione della formazione della già citate poliamine, l’incremento del contenuto acquoso delle feci con diluizione dei carcinogeni che vengono in contatto con la mucosa colica e la riduzione del tempo di transito del contenuto intestinale. Alle medesime conclusioni si giunge studiando il ruolo protettivo di frutta e vegetali.

In aggiunta alla dieta, lo stile di vita contribuisce al determinismo del tumore. La sedentarietà assieme ad un Body Mass Index (BMI) superiore alla norma risulta capace di influenzare lo sviluppo del CRC. Da una metanalisi condotta su 31 studi comprendenti circa 70.000 pazienti neoplastici, emerge un rischio relativo di 1.19 (95%IC: 1.10-1.29) nel gruppo di soggetti obesi (BMI>30 Kg/m2) rispetto al gruppo di soggetti normopeso (BMI<25 Kg/m2), con un rischio che aumenta proporzionalmente all’aumentare del peso corporeo e della circonferenza della vita17.

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I dati epidemiologici raccolti nella decade scorsa evidenziano come soggetti affetti da sindrome metabolica abbiano un rischio maggiore di sviluppare un CRC. Il meccanismo che sottintende a tale associazione non è del tutto compreso ma potrebbe essere in relazione all’insulino-resistenza che tali pazienti presentano18. Nello stile di vita vanno compresi anche il consumo di alcool e l’abitudine al fumo, entrambi associati ad un incrementato rischio di CRC. In particolar modo la correlazione risulta forte tra consumo di alcool e lo sviluppo di neoplasia rettale (verosimilmente per l’influenza che l’acetaldeide impone sul metabolismo dei folati). Per il fumo di sigaretta il rischio sembra, come per altre condizioni patologiche, proporzionale all’entità dell’esposizione, cosicché al di sopra dei 20 packs/year aumenta la possibilità di sviluppare polipi adenomatosi e oltre i 35 packs/year il rischio di carcinoma19.

Per completare la panoramica sull’eziologia e fattori di rischio restano da esaminare le condizioni patologiche predisponenti. In particolar modo giocano un ruolo fondamentale le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI). Pazienti affetti da rettocolite ulcerosa hanno un rischio di sviluppare neoplasia proporzionale alla durata clinica della malattia (2% dopo 10 anni, 8% dopo 20, 18% dopo 30) ed alla sua estensione. La presenza di una colangite sclerosante primitiva, una storia familiare per tumore del colon retto sporadico, la severità istologica della malattia infiammatoria e la giovane età alla diagnosi rappresentano altre condizioni favorenti l’insorgenza di neoplasia in paziente con rettocolite ulcerosa20. Meno significativa sembra essere l’associazione tra morbo di Crohn e CRC anche se la letteratura annovera studi che stabiliscono una relazione anch’essa proporzionale all’estensione del coinvolgimento intestinale, alla durata clinica di malattia, all’età alla diagnosi ed alla severità istologica dell’infiammazione21.Questo giustifica l’adozione di strategie chemiopreventive a base di acido acetilsalicilico, ursodesossicolico22, folati ed eventualmente statine in pazienti affetti da tali condizioni patologiche, oltre ad uno stretto follow-up con rettosigmoidoscopia per identificare precocemente eventuali foci displastici.

Tra le condizioni predisponenti si ricordano anche un pregresso CRC, una storia familiare per CRC, l’irradiazione pelvica ed ovviamente la tendenza dell’intestino a formare polipi adenomatosi, considerati il substrato d’insorgenza tumorale, ed il cui potenziale di trasformazione maligna dipende dalla dimensione, dal grado di displasia, dalla presenza di componente villosa e dall’età della neoformazione stessa. Anche dopo l’asportazione il rischio di formare nuovi adenomi è di circa il 30% superiore rispetto alla popolazione non affetta.

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1.3 FORME EREDITARIE E FORME FAMILIARI

I fattori genetici giocano un ruolo chiave nell’iniziazione, sviluppo e progressione degli adenomi e del CRC. Sono conosciute due forme di CRC ereditario che si distinguono tra loro per l’associazione o meno a poliposi. Al primo gruppo appartiene la poliposi adenomatosa familiare (FAP, Familiar Adenomatous Polyposis) e le sue varianti, la sindrome di Gardner e la sindrome di Turcot. Nel secondo raggruppamento si riconosce, invece, la sindrome di Lynch o sindrome del carcinoma del colon-retto non associato a poliposi (HNPCC, Hereditary Non Poliposis Colorectal Cancer).

La FAP è responsabile dell’1% circa dei CRC. Si tratta di una malattia a trasmissione autosomica dominante (1 caso ogni 8000 nati vivi), determinata dalla mutazione del gene APC posto sul braccio lungo del cromosoma 5 e caratterizzata dall’insorgenza di centinaia o addirittura migliaia di polipi nel colon che fatalmente degenerano in adenocarcinomi solitamente entro i 40 anni di età. I polipi possono svilupparsi anche nel tratto gastroenterico superiore ed i soggetti affetti sono a maggior rischio anche per altre neoplasie quali medulloblastomi, carcinomi papillari della tiroide ed epatoblastomi dell’infanzia.

La presenza di anomalie extracoliche permette il riconoscimento delle varianti della FAP. Nella sindrome di Gardner (incidenza 1/14000 nati vivi) si possono riscontrare tumori desmoidi, osteomi multipli e fibromi cutanei con una frequenza che sembra inversamente proporzionale al numero degli adenomi colici. La sindrome di Turcot si caratterizza per l’associazione di polipi intestinali multipli con tumori cerebrali. La colectomia totale rappresenta senz’altro l’approccio preventivo più efficace in questa tipologia di pazienti. Potrà essere praticata una anastomosi ileo-rettale solo qualora i polipi risparmino l’intestino retto, altrimenti dovrà essere programmato un intervento di proctocolectomia con anastomosi ileo-anale e confezionamento di reservoir.

La sindrome di Lynch (varianti I e II) è una malattia autosomica dominante con una penetranza dell’80%, più comune della FAP, determinata da mutazioni nei geni del mismatch repair (MMR) e caratterizzata da una maggiore incidenza di carcinomi del colon destro spesso multipli e sincroni in pazienti con età media più giovane. Risulta responsabile dell’insorgenza del 5% di tutti i carcinomi colici. Mentre nella variante Lynch I si diagnosticano solo tumori del colon prossimale, nella Lynch II vi è un rischio associato per altre malattie neoplastiche quali il carcinoma dell’endometrio, neoplasie del tratto urinario e di quello biliare.

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Tra i criteri sviluppati per porre diagnosi di HNPCC quelli di Amsterdam sono i più utilizzati:

• tre familiari affetti da CRC

• un parente di primo grado rispetto agli altri due • cancro diagnosticato prima dei 50 anni

• due o più generazioni affette • esclusione della FAP

Altre forme ereditarie più rare sono la sindrome di Peutz Jeghers caratterizzata da pochi grandi polipi del piccolo intestino associati a melanosi buccale, periorbitaria, delle mani e delle labbra, che comporta un aumentato rischio di carcinoma del colon-retto, carcinoma polmonare e pancreatico e la poliposi giovanile, molto simile alla precedente ma senza manifestazioni extracoliche.

Infine la presenza di un 30% di carcinomi familiari in assenza di sindromi note fa sospettare la presenza di una predisposizione genetica, verosimilmente su base multifattoriale. Il rischio per tali forme familiari dipende dal numero di parenti affetti, dal grado di parentela e dall’età al momento della diagnosi per cui si passa da un rischio relativo di 1.5 con un parente di secondo grado affetto da neoplasia a un rischio 3-4 volte superiore rispetto alla popolazione generale per chi ha due o più parenti di primo grado affetti o per chi ha anche un solo parente di primo grado in cui la diagnosi è stata posta ad un’età inferiore ai 50 anni. Tutto questo giustifica l’adozione di schemi di sorveglianza più intensivi per tutti quei soggetti che, semplicemente in relazione ai dati anamnestici, risultano appartenere ad una classe di rischio elevata.

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1.4 LA SEQUENZA ADENOMA-CARCINOMA

Come brevemente accennato, l’adenoma rappresenta la lesione preneoplastica su cui insorge la quasi totalità dei CRC. Negli ultimi decenni grazie al miglioramento delle metodiche di biologia molecolare si è riusciti a comprendere il ruolo delle principali mutazioni che partecipano al processo di “multistep carcinogenesis”. Tale trasformazione richiede un lungo periodo di tempo (15-20 anni) ed è caratterizzata da modificazioni parallele sul versante molecolare e su quello istologico. I geni coinvolti sono raggruppabili in due categorie: anti-oncogeni o onco-soppressori, quali p53, APC, DCC, MCC, che favoriscono la differenziazione cellulare e ne inibiscono la proliferazione e proto-oncogeni, come RAS, MYC, ABL che, al contrario, promuovono la moltiplicazione cellulare. Nella figura seguente viene illustrato come dalla mucosa colica normale si riesca ad arrivare all’adenocarcinoma come conseguenza dell’accumulo progressivo di mutazioni genetiche.

Principali alterazioni molecolari nello sviluppo del carcinoma colo rettale

Tipo di alterazione Geni principali

EPITELIO NORMALE

Mutazione e/o perdita allelica APC

ADENOMA PRECOCE Mutazione K-RAS

ADENOMA INTERMEDIO Mutazione e/o perdita allelica DCC, Smad-2, Smad-4

ADENOMA AVANZATO Mutazione e/o perdita allelica p53

CARCINOMA Altri geni

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Prove a sostegno della sequenza progressiva adenoma-carcinoma sono rappresentate dal riscontro di aree di cancerizzazione nel contesto di adenomi e, viceversa, di aree adenomatose nel contesto di carcinomi, dalla medesima distribuzione lungo il grosso intestino di lesioni adenomatose e carcinomatose, dalla possibile concomitante presenza in tratti intestinali differenti di adenomi e carcinomi e dalla significativa riduzione in morbilità e mortalità del CRC quale risultato della polipectomia endoscopica.

Tuttavia va sottolineato come solo alcuni adenomi intraprendano questa progressione. Il potenziale di trasformazione maligna dipende infatti dalla dimensione, dal grado di displasia, dalla presenza di componente villosa, dalle caratteristiche morfologiche (maggior rischio per i polipi sessili vs i peduncolati) e dall’età della neoformazione stessa. Il rischio di progressione a carcinoma di un adenoma di diametro superiore ad un centimetro viene stimato essere del 3% a 5 anni, dell’ 8% a 10 anni e del 25% a 20 anni. Inoltre soggetti portatori di adenomi hanno il 40-50% di probabilità di avere altri adenomi sincroni.

L’approccio terapeutico più corretto in presenza di una lesione intestinale polipoide è la sua rimozione endoscopica. L’intervento endoscopico può ritenersi conclusivo qualora i margini di resezione, fatti esaminare dall’anatomopatologo, risultino negativi per infiltrazione neoplastica, con un margine di sicurezza di almeno 1 mm e non vi sia malattia a livello della parete intestinale sede di insorgenza del polipo. Va tuttavia sottolineato come anche dopo l’asportazione il rischio di formare nuovi adenomi sia di circa il 30% superiore rispetto alla popolazione non affetta23, motivo per cui viene raccomandata al paziente un’attenta sorveglianza endoscopica.

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1.5 SCREENING

Lo studio della popolazione asintomatica, allo scopo di individuare lesioni iniziali ed in fase precoce, trova giustificazione nella notevole diffusione del CRC, nei tassi di morbilità e mortalità ad esso correlati, nella possibilità di identificare lesioni adenomatose non ancora cancerizzate, nella disponibilità di metodiche di screening sicure e fruibili su larga scala e nel considerevole vantaggio prognostico derivante dal trattamento precoce24. Fondamentale per la riuscita di una campagna di prevenzione di massa è la compliance del paziente. Un test di screening pertanto per essere efficace deve essere ben tollerato ed accettato dal paziente e quindi meno invasivo possibile.

Le linee guida statunitensi25, approvate dalla US Multy-Society Task Force on

Colorectal Cancer (USMSTF) in materia di prevenzione primaria, distinguono le metodiche di screening in due raggruppamenti. Il primo comprendente le diverse metodiche di ricerca del sangue occulto nelle feci (RSO), quali il test al guaiaco (Hemoccult), il dosaggio immunologico e la ricerca del DNA fecale, capaci di identificare lesioni sanguinanti intestinali; il secondo raggruppante, invece, colonscopia, clisma opaco a doppio contrasto e la più recente colonscopia virtuale, tutte metodiche in grado di identificare la presenza di una eventuale neoformazione, non necessariamente sanguinante.

La ricerca del sangue occulto fecale (da eseguirsi ogni 12-24 mesi) è la metodica attualmente utilizzata in Italia al fine di effettuare diagnosi precoce in soggetti asintomatici di età superiore ai 50 anni. L’analisi viene ripetuta su tre campioni per mezzo dell’Hemoccult test, capace di rilevare una perdita di sangue di 10 ml/giorno nel 67% dei pazienti e di oltre 20 ml/die nell’80-90% dei soggetti26.Numerosi studi prospettici randomizzati evidenziano l’importanza e l’efficacia di tale metodica nel ridurre la mortalità per CRC27,28 e verosimilmente nel ridurne l’incidenza29. Va ad ogni modo sottolineato che la sensibilità e la specificità del test non raggiungono il 100%, è possibile pertanto avere dei risultati falsamente negativi (FN) o falsamente positivi (FP) che rispettivamente possono ritardare la diagnosi o generare un’immotivata ansia nel paziente30. Un risultato positivo deve quindi essere sempre ulteriormente indagato con pancolonscopia esplorativa. Qualora non risultasse possibile con l’esame endoscopico valutare il colon in tutta la sua estensione sarà compito del medico richiedere ulteriori indagini al fine di ottenere una completezza diagnostica.

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La sensibilità della pancolonscopia oscilla tra il 78.5% e il 96.7% nell’individuazione ripettivamente dei piccoli polipi al di sotto di 0.5 cm e di grossi polipi o carcinomi. La sua specificità raggiunge invece il 98%31.

Una sorveglianza più stretta si rende necessaria per tutti i pazienti che rientrano tra quelli ad alto rischio per lo sviluppo di CRC, ossia coloro che:

• hanno una storia personale di polipi adenomatosi

• si sono già sottoposti a resezione con intento curativo per CRC

• hanno una storia familiare positiva per adenomi o per CRC, diagnosticati in un parente di primo grado ad un’età inferiore ai 60 anni

• hanno una storia di MICI di lunga durata

• hanno una presunta o accertata sindrome ereditaria che predispone a CRC (FAP, HNPCC)

Le linee guida dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM)32 raccomandano la colonscopia dall’età di 40 anni oppure da 10 anni prima dell’età del parente più giovane affetto da CRC, da ripetersi ogni 5 anni per i pazienti con un parente di primo grado con CRC in età inferiore ai 60 anni o con almeno due parenti di primo grado con la stessa diagnosi, indipendentemente dall’età cui questa sia stata formulata. Lo screening deve iniziare all’età di 45 anni, con le stesse modalità della popolazione generale, per i pazienti con un solo parente di primo grado con tumore diagnosticato oltre i 60 anni o con due di secondo. Soggetti con un solo parente di secondo o terzo grado affetto da CRC hanno un rischio equiparato a quello della popolazione generale, di cui seguono lo schema di sorveglianza.

Nei soggetti con MICI è prevista la colonscopia ogni 2-3 anni dopo 8-10 anni di pancolite e dopo 15 anni di colite sinistra.

Da ultimo, in pazienti con familiarità per HNPCC la sorveglianza deve essere praticata con colonscopia da ripetersi ogni 5 anni, dai 25 ai 75 anni di età, mentre in caso di FAP sono raccomandati ravvicinati controlli a partire dai 13-15 anni.

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1.6 CENNI DI ANATOMIA PATOLOGICA

Il CRC si manifesta con una differente percentuale di distribuzione nei vari segmenti del grosso intestino: 16% a livello di cieco e colon ascendente, 8% trasverso e flessura splenica, 6% colon discendente, 20% sigma e 50% retto. Ogni sede di insorgenza presenta una propria specificità clinica, terapeutica e prognostica, che deve essere tenuta in debita considerazione nel momento in cui il medico è chiamato a sospettare/diagnosticare la neoplasia, trattare il paziente ed instaurare un adeguato follow-up. Nelle ultime decadi è stato registrato un progressivo aumento delle diagnosi di CRC a localizzazione prossimale (cieco, colon ascendente e trasverso). L’aspetto macroscopico del CRC viene distinto nella classificazione di Borrmann in 4 forme:

• carcinoma polipoide ben circoscritto – forma vegetante • carcinoma ulcerato a margini rilevati – forma ulcerata

• carcinoma ulcerato a margini rilevati ed estesi – forma ulcero-infiltrante • carcinoma diffuso, infiltrante e stenosante – forma anulare stenosante

Mentre i tumori a sede prossimale tendono ad avere più frequentemente aspetto vegetante e crescita all’interno del lume intestinale, quelli che insorgono nei tratti distali dell’intestino si presentano più spesso sotto forma di carcinomi infiltranti con esiti stenosanti a seguito della diffusione circonferenziale e dell’intensa reazione desmoplastica peritumorale.

La classificazione WHO dei tumori epiteliali (95-97% di tutti i tumori colorettali) distingue i seguenti sottotipi:

• adenocarcinoma -variante mucinosa

-variante a cellule ad anello con castone • carcinoma squamoso

• carcinoma adenosquamoso • carcinoma a piccole cellule • carcinoma indifferenziato

La variante mucinosa (10% circa di tutte le forme tumorali colorettali) viene definita dal riscontro di una percentuale di mucina superiore al 50% del volume tumorale complessivo. L’adenocarcinoma mucinoso, più frequente nel sesso maschile, si localizza di preferenza nel colon destro, viene diagnosticato in stadio più tardivo ed è stato ipotizzato che possa avere una prognosi peggiore rispetto alle forme non

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mucinose33. L’abbondante quantità di mucina determina, infatti, lo scollamento degli strati della parete intestinale favorendo la progressione in profondità. L’istotipo a cellule ad anello con castone è una variante più rara (2-4% dei carcinomi mucinosi), in cui la mucina si dispone in sede intracellulare attorno al nucleo determinandone un suo eccentramento. Altrettanto rari il carcinoma squamoso, adenosquamoso (o adenoacantoma) e quello a piccole cellule che al pari del corrispettivo polmonare è gravato da una cattiva prognosi a seguito della precoce dissseminazione ematica. I carcinomi squamosi ed adenosquamosi si ritrovano solo nella parte distale del colon-retto.

Importanti fattori sia da un punto di vista prognostico che decisionale terapeutico risultano essere il grado di differenziazione cellulare (G1-G4), l’infiltrazione linfovascolare e quella perineurale. Il coinvolgimento linfonodale determina una significativa riduzione della sopravvivenza a 5 anni che passa dall’80% (nei pazienti con linfonodi negativi) al 45-50% (nei pazienti con interessamento linfonodale). Risulta quindi di fondamentale importanza analizzare un numero adeguato di linfonodi (almeno 12) per definire con certezza la negatività linfonodale34. Non vanno trascurate nemmeno le possibili micrometastasi linfonodali che, anche se non come tecnica di routine, oggi possono essere indagate tramite l’impiego di anticorpi anticitocheratina o di sistemi di amplificazione genica quali la transcriptasi inversa-PCR per l’identificazione dell’mRNA del CEA.

Più recentemente l’attenzione si è spostata su alcune caratteristiche molecolari tumorali che hanno dimostrato avere un’importante influenza prognostica35. Tra queste meritano una citazione:

• l’instabilità dei microsatelliti (MSI) • la perdita di eterozigosi di 18q • il recettore del TGF-β tipo II • la timidilato sintasi (TS) • il recettore di EGF • la proteina RAS

L’instabilità dei microsatelliti è la conseguenza di mutazioni nei geni implicati nella riparazione del danno subletale al DNA (MMR), si ritrova nel 10-15% dei CRC sporadici e nella totalità di quelli associati a sindrome di Lynch36. Numerosi studi sono concordi nel ritenere i tumori MSI+ fra quelli a prognosi più favorevole37,38. I motivi di tale associazione non sono del tutto compresi anche se alcuni autori hanno rilevato una minor frequenza di mutazioni a carico di p53 ed APC in tumori MSI+39.

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In conclusione, per quanto riguarda TS, enzima chiave nella sintesi del DNA e la cui azione viene inibita dal 5-fluorouracile (5-FU), alcuni studi hanno ipotizzato una correlazione tra bassi livelli di espressione di TS e maggiore efficacia del farmaco40.

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1.

7 DIFFUSIONE LOCALE E A DISTANZA

I CRC possono diffondere localmente per continuità, contiguità e per via

endocavitaria, e a distanza per via linfatica ed ematica.

La propagazione per continuità avviene per infiltrazione neoplastica nella parete intestinale con estensione lungo la parete dell’organo stesso. Il superamento della sottomucosa aumenta enormemente le possibilità di disseminazione metastatica della malattia, con peggioramento della prognosi all’aumentare della profondità di invasione.

Nelle forme rettali extraperitoneali è più comune al momento della diagnosi riscontrare un coinvolgimento del grasso perirettale e degli organi adiacenti ma anche nei tumori del retto intraperitoneale e di quelli colici non è esclusa tale possibilità. Tale diffusione per contiguità può, a seconda della sede, coinvolgere organi differenti, potendosi manifestare con fistolizzazioni nelle anse tenuali, nello stomaco, nella parete vaginale e nella vescica. Tumori del cieco o del colon destro possono determinare un coinvolgimento del duodeno o del rene di destra, quelli del colon trasverso dello stomaco e dell’omento; le neoplasie della flessura splenica possono interessare la milza, la coda del pancreas, il diaframma ed il rene di sinistra; i tumori del sigma e meno frequentemente anche quelli del cieco possono estendersi alla cupola vescicale e nella donna all’utero ed infine, qualsiasi tumore del grosso intestino può per contiguità infiltrare la parete addominale.

Da ultimo, la propagazione per via endocavitaria comporta l’insorgenza di carcinosi peritoneale con colonizzazione ovarica1.

La via seguita dalla diffusione linfatica dipende strettamente dalla sede tumorale, potendo interessare i linfonodi epicolici addossati alla parete intestinale, paracolici situati sul margine mesenterico, intermedi lungo il decorso delle arterie coliche e principali in corrispondenza dell’origine dell’arteria colica di riferimento e delle arterie mesenteriche. Nelle localizzazioni rettali le vie di diffusione sono essenzialmente tre: una superiore che coinvolge i linfonodi emorroidari superiori che afferiscono al meso-sigma, una media che raggiunge i linfonodi ipogastrici ed una inferiore che giunge ai linfonodi inguinocrurali. La via di diffusione principale è ad ogni modo la superiore, la media e l’inferiore divengono importanti solo se si crea inversione del flusso per blocco linfatico1.

La disseminazione ematica per le neoplasie del colon e del retto superiore avviene in massima parte con la corrente del sangue portale. Pertanto l’organo principalmente

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interessato da metastasi è il fegato anche se in alcune situazioni caratterizzate da anastomosi porto-cavali le cellule possono raggiungere direttamente la vena cava. Il retto medio e quello inferiore, invece, metastatizzano più frequentemente al polmone, in quanto attraverso le vene emorroidarie medie ed inferiori, le cellule neoplastiche passano direttamente nellla cava inferiore. In alcuni casi si possono diagnosticare metastasi a livello vertebrale per l’esistenza di anastomosi con il plesso venoso vertebrale1.

L’exitus del paziente con CRC avviene spesso come conseguenza della massiva compromissione di organi vitali, quali fegato, polmone od encefalo. In circa la metà dei casi il decesso sopraggiunge per complicazioni ostruttive intestinali o ureterali, per perforazioni od emorragie1.

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1.

8 SINTOMATOLOGIA E DIAGNOSI

La presentazione del CRC è differente in relazione alla localizzazione. Si può comprendere il motivo di ciò considerando essenzialmente due fattori che agiscono sinergicamente:

• il calibro del lume intestinale, che decresce progressivamente dal cieco al retto

• la consistenza delle feci, che aumenta in direzione distale a seguito del riassorbimento progressivo di acqua (uno dei principali compiti del grosso intestino)

Pertanto i tumori del colon destro più difficilmente si presenteranno con sintomi legati alla difficoltà di transito. Frequentemente rimarranno asintomatici per lunghi periodi di tempo fino a dare manifestazione di sé per la comparsa di anemia sideropenica, ipocromica, microcitica, causata dallo stillicidio ematico cronico o meno comunemente sino a divenire di dimensioni tali da risultare palpabili. Al contrario i tumori localizzati a sinistra saranno solitamente evidenziati da sintomi legati all’alterazione del transito (stipsi o stipsi alternata a diarrea, dolore addominale crampiforme) o al sanguinamento (eventuali perdite ematiche non vengono mascherate dalla commistione con le feci). Una sensazione di defecazione incompleta, tenesmo, proctorragia o la comparsa di diarrea mucosa sono invece indicativi di tumori dell’ampolla rettale. Una semplice esplorazione digitale sarà, in questi casi, in grado di confermare la diagnosi, ma il paziente andrà comunque per completezza sottoposto a pancolonscopia esplorativa. Tale esame non deve essere negato neppure al soggetto anziano, con sanguinamento rettale, in cui l’esplorazione digitale conferma la presenza di tumefazioni dei plessi emorroidari.

Va ad ogni modo sottolineato come l’adozione di programmi di screening di massa permetta sempre più spesso di fare diagnosi in stadio precoce quando il paziente è ancora del tutto asintomatico.

Talora è però possibile che il tumore si manifesti clinicamente per le complicanze legate al suo accrescimento. Tra queste vanno ricordate:

• la perforazione intestinale con successivo sviluppo di peritonite chimica diffusa o tendente a circoscriversi per la presenza di processi aderenziali; o con creazione di tragitti fistolosi con gli organi circostanti (vescica, vagina, altre porzioni intestinali).

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Tale complicanza può manifestarsi quale conseguenza della progressiva penetrazione del tumore nella parete colica o per eccessiva distensione ciecale qualora il tumore determini un’occlusione completa del lume intestinale e la valvola ileo-ciecale sia continente (perforazione diastatica). Oltre alla mortalità legata all’evento acuto, la perforazione intestinale si associa ad una peggior prognosi in quanto facilita l’insemenzamento di cellule neoplastiche in tutta la cavità peritoneale

• l’occlusione o la sub-occlusione meccanica determinata dal progressivo accrescimento della massa tumorale vegetante all’interno del lume intestinale o per l’infiltrazione stenosante della parete.

Si manifesta con dolore crampiforme, chiusura dell’alvo a feci e gas, nausea e vomito, quest’ultimo tanto più precoce quanto più è alta e completa la sede di ostruzione. Come dimostrato da diversi studi, l’esordio clinico di un CRC con occlusione intestinale rappresenta un fattore prognostico negativo. La sopravvivenza a 5 anni, dopo chirurgia praticata con intento curativo, passa dal 65.5% dei tumori che non si manifestano con occlusione al 20% di quelli la cui storia naturale è caratterizzata da evento occlusivo41.Verosimilmente questo è parzialmente spiegato dallo stadio più tardivo con cui i tumori del secondo gruppo giungono alla diagnosi42.

• sindromi dolorose legate al coinvolgimento del pavimento pelvico o all’infiltrazione dei nervi ischiatico e/o otturatorio da parte di una neoplasia rettale.

Nel 10-15% dei casi il paziente giunge all’osservazione del medico quando già sono presenti evidenti segni e sintomi di malattia metastatica. Il senso di peso in ipocondrio destro a cui può associarsi epatomegalia ed il reperto di masse palpabili, orientano verso una diagnosi di localizzazione secondaria al fegato. Non comune è la comparsa di ascite da compromissione della funzione epatica per la presenza di metastasi multiple e voluminose. Anche la disseminazione peritoneale può manifestarsi con raccolta libera o saccata intraperitoneale, distensione addominale, senso di ripienezza precoce, fino all’occlusione intestinale multisegmantaria da carcinosi.

La valutazione di un sospetto carcinoma del colon deve comprendere oltre all’anamnesi e all’esame obiettivo, la colonscopia e l’esecuzione di esami strumentali per la ricerca di metastasi a distanza.

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L’esplorazione digitale rettale è sicuramente importante per la diagnosi clinica, ma presenta un’accuratezza estremamente variabile (dal 44 all’83%) in relazione all’esperienza del clinico e soprattutto al fatto che palpatoriamente non è possibile distinguere una forma tumorale da una infiammatoria.

La colonscopia è considerata l’esame più importante per la diagnosi di CRC ed ha il grosso vantaggio di permettere accertamenti bioptici e di essere terapeutica nel caso di lesioni polipoidi asportabili di tipo benigno. Una revisione della letteratura evidenzia un rischio di perforazioni dello 0.1%, di emorragia di grado maggiore dello 0.3% ed una mortalità dello 0.01-0.03%. La sensibilità della metodica è del 96-97% e la specificità del 98%1.

Il clisma opaco a doppio contrasto conserva un ruolo importante nella diagnosi di CRC particolarmente nei casi in cui non si riesce ad effettuare una colonscopia completa, vuoi per ragioni anatomiche o di tollerabilità del paziente. La sensibilità della metodica è del 55-95%.

Da ultimo, la colonscopia virtuale è una tecnica radiologica di recente introduzione che consente di ottenere una ricostruzione dell’intestino crasso con una sensibilità simile a quella della colonscopia. A differenza di quest’ultima non consente, però, di effettuare accertamenti bioptici. Questo, assieme al lungo tempo necessario per la ricostruzione dell’immagine e alla necessità di personale particolarmente esperto per valutarla, rappresenta uno dei principali limiti dell’analisi. Per tale motivo la colonscopia virtuale non può essere al momento proposta quale metodica di screening.

Tra gli esami utilizzati a scopo stadiativo sono da citare l’Rx del torace, l’ecografia addominale, la TC torace/addome/pelvi, la RM addominale e gli esami di laboratorio comprendenti anche alcuni marker tumorali quali CEA e Ca 19.9.

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1.

9 STADIAZIONE E PROGNOSI

Nel 1932 fu introdotto da Cuthbert Dukes il primo sistema di stadiazione del carcinoma del colon-retto. Successivamente lo stesso venne modificato, prima da Astler-Coller nel 1954 e poi da Turnball nel 1967 (TABELLA 1.1).

Tabella 1.1 Classificazione di Dukes modificata Stadio A Tumore limitato alla mucosa

Stadio B1 Tumore non esteso oltre la muscolare propria

Stadio B2 Tumore esteso oltre la muscolare propria senza interessamento linfonodale Stadio C1 Presenza di metastasi ai linfonodi regionali

Stadio C2 Presenza di metastasi ai linfonodi apicali Stadio D Presenza di metastasi a distanza

Il sistema stadiativo TNM (TABELLA 1.2) raccomandato dall’American Joint Committee on Cancer (AJCC) a partire dal 1950, pone l’attenzione su tre parametri:

• T (Tumour: estensione tumorale, ovvero invasione di parete e locale) • N (Nodes: coinvolgimento linfonodale)

• M (Metastasis: localizzazioni a distanza)

Tale sistema è quello oramai universalmente ricosciuto.

Dalla correlazione dei parametri T, N ed M nasce la distinzione in stadi. La conoscenza dello stadio di malattia nella pratica clinica è importante perchè, come schematizzato in TABELLA 1.343, ciascuno è associato ad una prognosi differente.

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Tabella 1.2 Sistema TNM

T Tumore primitivo

Tx Tumore primitivo non valutabile

T0 Tumore primitivo non evidenziabile

Tis Carcinoma in situ: intraepiteliale o invasione della lamina propria

T1 Tumore che invade la sottomucosa

T2 Tumore che invade la muscolare propria

T3 Tumore che invade la sottosierosa o i tessuti pericolici o perirettali non

ricoperti da peritoneo

T4 Tumore che invade direttamente altri organi o strutture e/o perfora il

peritoneo viscerale

N Linfonodi regionali

Nx Linfonodi regionali non valutabili

N0 Linfonodi regionali liberi da metastasi

N1 Metastasi in 1-3 linfonodi regionali

N2 Metastasi in 4 o più linfonodi regionali

M Metastasi a distanza

Mx Metastasi a distanza non accertabili

M0 Assenza di metastasi a distanza

M1 Presenza di metastasi a distanza

Tabella 1.3 Confronto tra stadiazione di Dukes, TNM e relative prognosi

DUKES T N M STADIO OS a 5 anni

A Tis N0 M0 0 100% T1 N0 M0 I B1 T2 N0 M0 93.2% B2 T3 N0 M0 IIA 84.7% T4 N0 M0 IIB 72.2% C1 T1-2 N1 M0 IIIA 83.4% T3-4 N1 M0 IIIB 64.1% C2 Ogni T N2-3 M0 IIIC 44.3% D Ogni T Ogni N M1 IV 8.1%

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Nei CCR gli esami di stadiazione preoperatori sono mirati fondamentalmente alla ricerca di eventuali metastasi negli organi a distanza più frequentemente coinvolti. A tale scopo si eseguono l’ecografia dell’addome per lo studio del fegato e la

radiografia del torace per quello del polmone. Nei tumori rettali, invece, l’attenzione

viene rivolta soprattutto verso i parametri T ed N, in quanto è da tali aspetti che dipende la decisione di effettuare un trattamento preoperatorio. Gli esami praticati sono quindi una TC spirale pelvica, l’ecografia transrettale, per comprendere al meglio la profondità di infiltrazione della parete intestinale e la fissità tumorale, ed eventualmente, quale complemento stadiativo, una ecoendoscopia rettale ed una

RMN pelvica.

Da ultimo, si è a lungo discusso sul ruolo dei marker tumorali, CEA e Ca 19.9, nella diagnosi, prognosi e nel follow-up dei pazienti con tumore del colon-retto. Sia il CEA (Antigene CarcinoEmbrionario) prodotto dal 90% dei CRC, che il Ca19.9, antigene di possibile derivazione da tutto il tratto gastrointestinale, mancano della sensibilità, specificità e precocità di elevazione che caratterizzano un marcatore impiegabile nella diagnosi precoce. Per tali ragioni il maggior utilizzo di questi marcatori si ha oggi nel follow-up del paziente. È pertanto importante registrare il loro valore in fase pre-operatoria e seguirne l’andamento nel post-operatorio. Una mancata caduta dei valori dopo l’intervento chirurgico può indicare la presenza di residuo di malattia; la nuova tendenza al rialzo, dopo un periodo più o meno lungo di normalizzazione, invece si associa, verosimilmente, con la recidiva locale o a distanza. Viene quindi raccomandato il monitoraggio periodico dei livelli di CEA in tutti i pazienti in follow-up e nei pazienti metastatici in corso di trattamento44.

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1.

10 CENNI DI TERAPIA CHIRURGICA

La terapia chirurgica riveste da sempre un ruolo essenziale nell’ottenimento della guarigione del paziente con CRC.

Negli anni le potenzialità della chirurgia si sono ampliate grazie all’affermazione della tecnica laparoscopica e alla possibilità di resezione delle metastasi epatiche; ulteriori miglioramenti sono stati ottenuti dall’approccio multidisciplinare al paziente, combinando la tecnica chirurgica con la radioterapia e la chemioterapia, sia adiuvante che neoadiuvante.

Nell’ottica di un intervento di resezione colica, fondamentale è la preparazione del paziente che necessita di una copertura antibiotica e del “lavaggio meccanico” intestinale ottenuto tramite somministrazione di circa 4 litri di PoliEtilenGlicole ed elettroliti assunti per bocca il giorno precedente l’operazione. Tale pratica rimane lo standard per pazienti che si sottopongono all’intervento in elezione, anche se da numerose metanalisi e studi clinici randomizzati non sembra associarsi, come invece ci si aspetterebbe, a minore incidenza di deiescenza della anastomosi ed infezione della ferita chirurgica45.

Il volume ideale delle resezioni coliche viene definito dalla legatura e sezione del peduncolo vascolare principale, responsabile dell’irrorazione della porzione intestinale in cui è localizzato il tumore, e del corrispondente drenaggio linfatico. Se il tumore è equidistante dai due peduncoli vascolari principali, entrambi andrebbero sezionati all’origine. In genere si considerano sicure, resezioni che ottengono un “margine di sicurezza” di almeno 5-10 cm sia prossimalmente che distalmente al tumore. Nei pazienti con due o più neoplasie coliche o con HNPCC si deve prendere in considerazione la colectomia totale con ileo-retto anastomosi e nei pazienti con colite ulcerosa la proctocolectomia.

Negli anni ’60, per il trattamento di pazienti con neoplasia del colon-retto, R.B.Turnbull mise a punto la cosidetta “no-touch isolation tecnique”. Tale tecnica prevede la legatura precoce dei peduncoli vascolari, prima di qualsiasi manovra sul colon, allo scopo di evitare mobilizzazioni di microemboli neoplastici, possibili fonti di future metastasi. Ma di fatto l’unico studio randomizzato su 236 pazienti non ha dimostrato alcuna significativa differenza in termini di sopravvivenza a 5 anni, tra il gruppo di pazienti trattati con “no-touch isolation tecnique” ed il braccio trattato con chirurgia convenzionale46.

I tumori del colon destro necessitano di interventi di emicolectomia destra con resezione dei 10 cm distali dell’ileo, del cieco, del colon ascendente e della porzione

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prossimale del trasverso, con legatura delle arterie ileocolica, colica destra e del ramo destro della colica media.

Un tumore compreso tra le flessura epatica e la flessura splenica richiede una

trasversectomia, o l’estensione al trasverso di un’emicolectomia destra, con

conseguente legatura dei vasi colici medi. Nella colectomia trasversa vengono rimossi il colon trasverso ed il grande omento, l’arteria colica media ed i linfatici che ne seguono il decorso.

Per i tumori del colon discendente viene praticata un’emicolectomia sinistra, con anastomosi della flessura splenica del colon alla porzione superiore del retto. Si può, quindi, legare l’arteria colica sinistra alla sua emergenza oppure la mesenterica inferiore all’origine.

I tumori del sigma distale vengono generalmente trattati con la sigmoidectomia, accompagnata dalla legatura dell’arteria mesenterica inferiore all’origine oppure oltre l’emergenza della colica sinistra.

Attualmente, in pazienti selezionati con CRC, sempre più utilizzate sono le tecniche di chirurgia laparoscopica. Si tratta solitamente di piccoli tumori del colon ascendente o discendente, verosimilmente < pT4, in pazienti senza complicazioni perforative, ostruttive e non operati in precedenza. Se comparata con la tecnica di chirurgia convenzionale (cosidetta “open”), la colectomia laparoscopica mostra nell’immediato sicuri vantaggi, tra cui emergono47: una minore durata della degenza

ospedaliera, un minor impiego di oppiacei e quindi, verosimilmente, minor dolore nel decorso post-operatorio, una più rapida ripresa delle funzioni digestiva ed intestinale ed un più precoce ritorno all’attività lavorativa. Ad ogni modo, i tempi necessari per la procedura laparoscopica risultano maggiori di quelli impiegati in chirurgia tradizionale, e non è escluso che un intervento iniziato laparoscopicamente necessiti di conversione a chirurgia “open”. Da non sottovalutare, la richiesta di una maggiore spesa sanitaria rispetto all’intervento convenzionale48.

Non sembrano emergere sostanziali differenze tra le due modalità di approccio chirurgico in termini di sopravvivenza49. Una possibile problematica della tecnica laparoscopica consiste nell’impossibilità da parte del chirurgo di palpare il colon in tutta la sua estensione, alla ricerca di eventuali neoformazioni concomitanti. Per questa ragione vengono programmati sempre più spesso interventi in

“hand-assisted”, metodica che oltre a facilitare il compito del chirurgo, accorcia i tempi

operatori e minimizza la necessità di conversione dell’intervento50.

Spostando l’attenzione sui tumori del retto, le difficoltà maggiori in campo chirurgico si incontrano per le neoplasie localizzate negli ultimi 5 cm di tale

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segmento intestinale, ossia nel retto extraperitoneale. Il problema principale riguarda la possibilità o meno di conservare lo sfintere anale e quindi la continenza intestinale del paziente. In tal senso il margine di resezione importante è quello distale, sono infatti i rapporti con lo sfintere a condizionare l’esecuzione di un intervento conservativo o demolitivo. Attualmente si ritiene adeguato un margine di resezione prossimale di almeno 5 cm e uno distale di almeno 1-2 cm. È dimostrato, infatti, che in oltre il 95% dei tumori la diffusione microscopica distale intramurale è limitata entro 2 cm dal bordo tumorale. Se la propagazione distale supera 1.5 cm, ciò avviene in tumori poco differenziati, a prognosi pessima, indipendentemente dall’ampiezza della resezione.

Pertanto, gli interventi eseguibili sul retto sono essenzialmente di due tipi:

• la resezione anteriore del retto, con confezionamento di anastomosi colo-rettale in caso di resezioni alte o colo-anale in caso di resezioni basse o ultrabasse. In quest’ultima circostanza, sfruttando una porzione di colon, si ricostituisce una neo-ampolla, detta “pouch” o “reservoir”, e si posiziona una stomia temporanea, in considerazione dell’alta frequenza di deiescenza dell’anastomosi.

• l’amputazione addomino-perineale secondo Miles, con completa escissione del retto e dell’ano e concomitante dissezione addominale e perineale, associata a chiusura permanente del rafe perineale e confezionamento di una colostomia terminale.

Per quel che riguarda l’escissione del mesoretto, questa può essere parziale, limitata a pochi centimetri distali, per i tumori superiori del retto, ma deve essere totale (TEM) nei tumori del retto medio e distale. L’esecuzione della TEM comporta una complessità aggiuntiva all’intervento ed aumenta il rischio di deiscenza dell’anastomosi51, ma si è dimostrata in grado di aumentare la sopravvivenza a 5 anni

dal 45-50% al 75% e di ridurre i tassi di recidiva locale dal 30 al 5-8%52. La diffusione neoplastica nel mesoretto (pT3) rappresenta un importante indicatore di gravità della malattia e un coinvolgimento del margine radiale dopo TEM è indicativo di malattia avanzata ed il più importante predittore di ricorrenza locale53. L’intervento di escissione locale per via transanale (transanal endoscopic

microsurgery) rappresenta una possibile alternativa per il trattamento di carcinomi

rettali, ma dal punto di vista oncologico, il suo ruolo resta controverso54.

Tale trattamento necessita di una accurata selezione dei pazienti, in quanto risultano candidabili solo quelli con “early rectal cancer” o con carcinoma T2 già trattato con

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radio e chemioterapia neoadiuvante55. Ma la recidiva dopo trattamento si registra dal 4 al 18% dei carcinomi T1 e dal 22 al 67% di quelli T2, con un tasso di guarigione completa di solo il 70-80%56. Si tratta solitamente di recidive già localmente avanzate che possono beneficiare solo di un’estesa dissezione pelvica con resezione in blocco degli organi adiacenti e sopravvivenza a 5 anni di circa il 50%.

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1.

11 CENNI DI CHEMIOTERAPIA ADIUVANTE

La resezione chirurgica radicale dei CRC rappresenta un fondamentale tempo terapeutico che permette di ottenere la guarigione in una percentuale di pazienti variabile dal 45 al 100% a seconda dello stadio di malattia (vedi tabella 1.3; paragrafo 1.9 Stadiazione e prognosi).

La chemioterapia nel post-operatorio, pur potendo rappresentare un over-treatment in quei pazienti già guariti con il solo intervento chirurgico, permette di ampliare ulteriormente le possibilità di guarigione nel gruppo di pazienti a maggior rischio di recidiva.

I primi risultati positivi nel trattamento medico adiuvante del CRC sono stati ottenuti dallo studio di Moertel e coll. del 1990. In tale trial, i 1296 pazienti arruolati (986 con CRC in stadio III, 318 in stadio II) sono stati randomizzati a ricevere un trattamento con la sola chirurgia, uno comprendente la chirurgia più un anno di chemioterapia adiuvante a base di solo levamisolo (LEV, farmaco antielmintico) ed uno con chirurgia seguita da LEV + 5-FU per un anno. Nei pazienti con CRC in stadio III, trattati con la combinazione dei due farmaci, dopo un follow-up mediano di 6.5 anni, è stata riscontrata una riduzione del rischio di recidive del 40% (p<0.0001) e del rischio di morte del 33% (p=0.0007)57.I risultati non sono risultati altrettanto incoraggianti per il gruppo di pazienti con neoplasia in stadio II58.

Pertanto, la Consensus Conference del National Institute of Health del 199059, ha stabilito, come nuovo approccio terapeutico di riferimento, in pazienti con CRC in stadio III, un trattamento di chemioterapia adiuvante a base di 5-FU.

Successivamente lo studio IMPACT ha indagato l’utilità dell’associazione terapeutica 5-FU (in bolo, schema Mayo Clinic)/Acido Folinico (AF), concludendo che tale trattamento adiuvante determina una riduzione delle recidive del 35% (p=0.0001) e della mortalità del 22% (p=0.0029)60. Anche in questo studio non è stato dimostrato un chiaro beneficio al trattamento per i pazienti in stadio II, sia in termini di sopravvivenza complessiva (OS) che di sopravvivenza libera da progressione (PFS)61.

Nel 1998, lo studio del gruppo cooperatore NSABP “C-04”, ha attestato l’inutilità dell’aggiunta di LEV al trattamento 5-FU/AF (PFS a 5 anni 65% con LEV vs 60% senza)62.

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Risultati analoghi sono stati ottenuti dallo studio randomizzato INT 0089, che ha assegnato i pazienti a schemi di trattamento a base di 5-FU/AF (ad alto o basso dosaggio) associati o meno alla somministrazione di LEV.

Al termine non sono risultate differenze d’efficacia tra i due gruppi che hanno previsto la somministrazione dell’AF, rispettivamente a basse ed alte dosi, ed il regime 5-FU/AF/LEV non si è dimostrato superiore a 5-FU/AF. Pertanto gli autori hanno conluso che il LEV non è necessario e che entrambi i regimi con 5-FU ed AF possono essere considerati per il trattamento adiuvante standard di pazienti con CRC in stadio III resecato63.

In uno studio del North Central Cancer Treatment Group (NCCTG) e del National Cancer Institute of Canada, pazienti con CRC in stadio II e III, radicalmente operati, sono stati randomizzati a ricevere lo schema di trattamento standard 5-FU/LEV o quello 5-FU/LEV/AF ed ulteriormente divisi, secondo un disegno 2 × 2, in un braccio di terapia complessiva di 6 mesi ed uno di 12 mesi. I risultati di tale studio hanno indicato, a seguito dell’aggiunta di AF, un aumento dell’OS dal 60 al 70% (p<0.01), nei pazienti trattati per 6 mesi, mentre il prolungamento della terapia non è sembrato apportare ulteriori miglioramenti64.

Accertato il vantaggio derivante dal trattamento del paziente con malattia in stadio III, ulteriori studi hanno voluto testare il possibile beneficio di una chemioterapia adiuvante nel paziente con CRC in stadio II.

Il QUASAR (QUick And Simple And Reliable) Colorectal Cancer Study Group ha condotto un importante trial 2 × 2, nel quale pazienti con CRC in stadio II e a basso rischio di ricorrenza, dopo intervento chirurgico radicale, sono stati randomizzati in due bracci di trattamento: sola osservazione vs chemioterapia con 5-FU/AF. Lo studio ha voluto valutare, in termini di OS, il vantaggio derivante dal trattamento chemioterapico, nel gruppo di pazienti in cui lo stesso è scarsamente indicato. Nel braccio ricevente la chemioterapia, i pazienti sono stati trattati con 370 mg/m2 di 5-FU e randomizzati a ricevere LEV o placebo e basse (25 mg) o alte (175 mg) dosi di AF65. Il trattamento è stato somministrato quotidianamente per 5 giorni ogni 4 settimane, per una durata totale di 6 mesi, o una volta a settimana per 30 settimane66. Dopo un follow-up mediano di 5.5 anni lo studio ha evidenziato la riduzione del rischio di ricorrenza (HR=0.78; 95%IC:0.67-0.91, p=0.001) e di morte da qualsiasi causa (HR=0.82; 95%IC:.70-0.95, p=0.008) nel braccio di trattamento chemioterapico. Nessuna differenza in OS è stata riscontrata tra il gruppo di trattamento ad alte dosi di AF e quello a bassi dosaggi (71% vs 70% a 3 anni); è emersa, invece, una peggior sopravvivenza nel gruppo trattato con LEV che non con

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placebo (69.4% vs 71.5%; p=0.06) ed una minor tossicità in termini di stomatiti, diarrea e neutropenia nel braccio di trattamento settimanale.

Sfruttando il differente meccanismo d’azione del 5-FU in bolo ed infusionale, è stato sviluppato un regime basato sull’infusione in 2 ore di AF + un bolo di 5-FU seguito dalla somministrazione continua di 5-FU per 22 ore, con ripetizione del trattamento ogni 2 settimane. Un confronto di tale regime, conosciuto come LV5FU2, con quello 5-FU (in bolo)/AF, nel trattamento del paziente metastatico, ha mostrato, nel primo, un vantaggio in termini di risposta e PFS. I vantaggi in OS hanno presentato un trend in miglioramento ma non sono risultati statisticamente significativi67.Un più recente trial, condotto su 905 pazienti con CRC in stadio II e III, ha messo a confronto gli stessi due regimi, dividendo ulteriormente i pazienti tra 24 e 36 settimane complessive di trattamento. Dallo studio è emersa una non significativa differenza tra i due regimi di trattamento, sia in termini di DFS (HR=1.04; p=0.74), che di OS (HR=1.26; 95%CI: 0.90-1.78; p=0.18). Anche in relazione alla diversa durata di trattamento, le differenze tra i due gruppi, in termini di DFS, non hanno raggiunto la significatività statistica (HR=0.94; p=0.63). Inoltre lo studio ha sottolineato che, pur avendo manifestato entrambi i regimi una bassa tossicità (neutropenia, mucositi e diarrea sono stati i più comuni eventi avversi di grado 3-4 registrati tra i pazienti), il regime LV5FU2 ha presentato una minore tossicità complessiva (p<0.001)68.

Le difficoltà tecnologiche legate all’infusione continua di 5-FU hanno portato alla valutazione di profarmaci di FU, somministrabili per via orale, quali Capecitabina e UFT. Questi, introdotti nella pratica clinica principalmente per la semplicità della loro somministrazione, hanno poi mostrato la capacità di convertirsi lentamente a FU, mimando, dal punto di vista farmacocinetico, l’infusione prolungata e riproducendone pertanto i vantaggi.

L’efficacia e la sicurezza della somministrazione di capecitabina è stata confrontata con lo schema di infusione Mayo Clinic in un ampio studio di fase III denominato X-Act, condotto su 1987 pazienti con CRC in stadio III, provenienti da 164 centri di tutto il mondo. I pazienti trattati con capecitabina hanno presentato valori di DFS (obiettivo primario dello studio) non inferiori a quelli mostrati dai pazienti in trattamento con LV5FU2 ed un migliore profilo di tossicità, con l’eccezione dell’eritrodisestesia palmo-plantare. È stata pertanto stabilita la non inferiorità della capecitabina rispetto al regime LV5FU2, nel trattamento del paziente in stadio III di malattia69. Infatti, sulla base di tale studio, l’US FDA, il National Institute for Clinical Excellence e il Scottish Medicines Consortium hanno approvato la

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capecitabina in monoterapia come trattamento adiuvante di pazienti con CRC in stadio III.

Nel tentativo di migliorare l’attività dello schema di trattamento 5-FU/AF, sono state testate le combinazioni basate su oxalilplatino o irinotecan.

In relazione all’aggiunta di oxaliplatino, i dati più significativi riguardano lo studio MOSAIC70, dove 2.246 pazienti con carcinoma del colon in stadio II e III sono stati randomizzati a ricevere LV5FU2 + oxaliplatino (FOLFOX 4) o solo LV5FU2. Entrambi somministrati ogni 2 settimane per 6 mesi complessivi. I dati riportati a conclusione dello studio hanno dimostrato che l’aggiunta di oxaliplatino, nel trattamento adiuvante di pazienti con CRC in stadio II o III, determina un miglioramento significativo sia della DFS a 5 anni (73.3% vs 67.4%, p=0.003) che dell’OS a 6 anni (78.5% vs 76%; p=0.046). Ma, mentreil vantaggio in tasso di OS a 6 anni risulta significativo nei pazienti con malattia in stadio III (72.9% vs 68.7%; p=0.023), non sono sembrate esserci differenze statisticamente rilevanti per i pazienti in stadio II. Il profilo di tossicità della combinazione è apparso accettabile, con modesta tossicità ematologica ma con neuropatia manifesta nel 92% dei pazienti (12.5% di grado 3). Gli autori hanno pertanto concluso che l’aggiunta di oxaliplatino a LV5FU2, come trattamento adiuvante del paziente con malattia in stadio II o III, aumenta significativamente la DFS a 5 anni e l’OS a 6 anni e che tale trattamento dovrebbe essere preso in considerazione dopo la chirurgia nei pazienti in stadio III71.

Anche variando la modalità di somministrazione del 5-FU, da infusionale a bolo, i risultati non cambiano, come valutato dai dati dello studio NSABP C-07, che ha messo a confronto lo schema standard di somministrazione settimanale di 5-FU/AF (Roswell Park) vs FLOX (oxalilplatino + bolo settimanale 5FU/AF). Ciò a dimostrazione della maggiore efficacia dell’associazione oxalilplatino/FU indipendentemente dallo schema di somministrazioine del FU72.

Lo studio PETACC-373 ha invece valutato l’efficacia, in termini di DFS, derivante dall’aggiunta di irinotecano al regime LV5FU2, in pazienti con tumore del colon retto in stadio III. L’analisi è stata condotta su 2.094 pazienti in stadio III di malattia, randomizzati a ricevere LV5FU2 in associazione o meno ad irinotecano. I dati presentati hanno evidenziato come l’aggiunta di irinotecano non conferisca un vantaggio statisticamente significativo. Inoltre l’aggiunta di irinotecano determina un aumento importante della tossicità del trattamento, con una maggiore incidenza di neutropenia e di eventi gastrointestinali di grado 3-4.

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In conclusione, il regime FOLFOX rappresenta ad oggi una valida opzione terapeutica per il trattamento adiuvante di pazienti con CRC in stadio III. Per i pazienti in stadio II di malattia, la scelta se effettuare o meno un trattamento adiuvante deve essere presa dal medico in considerazione delle caratteristiche biologiche della malattia e cliniche del paziente, in modo da conferire a quest’ultimo il maggior beneficio possibile.

Figura

Tabella 1.1 Classificazione di Dukes modificata  Stadio A  Tumore limitato alla mucosa
Tabella 1.2 Sistema TNM

Riferimenti

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