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1. I CETACEI 1.1 L’evoluzione dei cetacei

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Academic year: 2021

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1.

I CETACEI

1.1

L’evoluzione dei cetacei

Quelli che oggi sono mammiferi perfettamente adattati alla vita acquatica, un tempo vivevano sulla terraferma, dove si è evoluta la classe cui appartengono.

Nel paleocene, circa 70 milioni di anni fa, viveva lungo le coste della Tetide, il mare che si estendeva tra l’Africa e l’Europa, un gruppo di mammiferi Ungulati, i Condylarthra. Quasi tutti erbivori, daranno origine agli Artiodattili (a cui appartengono i ruminanti) e ai Perissodattili (a cui appartengono i cavalli). Ma un gruppo era costituito da predatori: i

Mesonychidae (Figura 1), quadrupedi terrestri e pelosi che si cibavano probabilmente di pesce

e carogne. Prove morfologiche sullo scheletro e sul cranio lo indicherebbero come progenitore dei cetacei.

Figura 1: Rappresentazione di come doveva essere il Mesonichide

I primi resti di Mammiferi riconoscibili come cetacei appaiono in strati del primo Eocene (circa 55 milioni di anni fa) e vengono classificati all’interno di un sottordine oggi completamente estinto, gli Archeoceti (dal greco Archùs, archeòs, antico, e dal latino Cetus, cetaceo). A questo gruppo appartengono tre famiglie, distinguibili attraverso successivi livelli di adattamento al nuovo ambiente:

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• Protocetidae: famiglia che raggruppa le specie più primitive, è costituita da animali con cranio allungato, eterodonti, narici ancora in posizione anteriore e l’orecchio interno non ancora completamente adattato;

• Remingtonocetidae: animali dal cranio lungo e stretto, mascelle con molari molto in avanti, sono vissuti per un periodo relativamente breve;

• Basilosauridae: sono di certo i più specializzati. Le narici sono ancora sul rostro, ma iniziano ad arretrare, mentre la struttura dei denti mostra una maggiore varietà di comportamenti alimentari; gli arti posteriori sono ancora presenti, anche se di dimensioni ridotte.

L’anello di congiunzione tra il Mesonichide, e gli Archeoceti è l’Ambulocetus natans (Figura 2), un cetaceo capace di muoversi sulla terra, ambulo, ma anche di nuotare, natans. Questo animale possedeva una lunga coda, ma era privo di pinna caudale e non era ancora completamente svincolato dalla vita sulla terraferma.

Figura 2: Rappresentazione di un Ambulocetus natans

Nell’ Oligocene fecero la loro comparsa i primi rappresentanti dei due sottordini viventi di cetacei. I più antichi resti fossili degli Odontoceti e dei Misticeti risalgono infatti, rispettivamente, all’Oligocene inferiore e all’Oligocene medio (Gaskin 1982), anche se la differenziazione e la completa affermazione dei due gruppi ebbe luogo nel Miocene.

Gli Odontoceti usano l’ecolocalizzazione per cacciare prede singole, mentre i Misticeti si nutrono filtrando grandi banchi di prede. Sembra che queste due strategie alimentari siano

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comparse quando i due sottordini ebbero origine dagli Archeoceti, che non usavano l’ecolocalizzazione e non erano filtratori. Probabilmente Odontoceti e Misticeti ebbero origine per evoluzione dai Basilosauridi, circa 30-40 milioni di anni fa, ma sfortunatamente questo periodo è povero di reperti fossili.

Delfinidi nel senso più stretto della parola, che ricordano molto le moderne Stenelle e Tursiopi, sono datati nel tardo Miocene e sono stati ritrovati in depositi della California.

R. Kellogg (1931) ha discusso una sequenza molto specifica e particolare di fossili del primo Pliocene in Italia; apparentemente si tratta di tutti gli stadi dell’evoluzione del Tursiope, nella quale si osserva un crescente numero di denti. Anche il più recente di questi crani, comunque, presenta un numero molto inferiore di denti (circa 66) rispetto al moderno Tursiops truncatus (più di 100 denti).

L’ampia gamma di forme del cranio suggerisce differenti metodi per procurarsi il cibo e probabilmente diversi impieghi della ecolocalizzazione.

U.Arnason (1972, 1974) e D.D.Kulu (1972) hanno fornito forti evidenze a favore della teoria monofiletica dell’origine dei cetacei. In base ai moderni studi di citogenetica e all’affinamento di tecniche di indagine cariologica e di biologia molecolare, essi hanno dimostrato che Odontoceti e Misticeti dividono lo stesso cariotipo (in termini di morfologia dei cromosomi), ma che presentano anche la stessa distribuzione caratteristica della eterocromatina-C all’interno dei cromosomi.

1.2

Sistematica dei cetacei viventi

I cetacei attuali sono suddivisi in due sottordini: gli Odontoceti, ossia i cetacei con i denti (dal greco Odous, odontòs, dente) ed i Misticeti, cioè i cetacei con i fanoni (dal greco Mystax,

mystakòs, baffi o mustacchi, ai quali i fanoni possono vagamente somigliare). L’evoluzione ha

quindi creato 78 specie di cetacei, 11 di Misticeti e 67 di Odontoceti, riunite in 14 famiglie e 33 generi (Notarbartolo di Sciara e Bearzi, dicembre 2006).

I Misticeti comprendono le Balene e le Balenottere. Sono filtratori ed usano i fanoni per setacciare i piccoli organismi planctonici. I fanoni sono lamine cornee triangolari, sfrangiate in fibre simili a setole nel lato interno della bocca, disposte lungo i due lati della mascella superiore. Lo sfiatatoio, all’apice della testa, è costituito da due orifizi che sono omologhi alle nostre narici. La loro mole è grande o grandissima; basta pensare che il più grande dei Misticeti, la Balenottera azzurra (Balaenoptera musculus) è l’animale più grande attualmente

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esistente, ma anche il più grande tra tutti gli animali mai esistiti fino ad ora, superando ampiamente anche le dimensioni dei più grandi dinosauri. È lunga fino a 25-26 metri nell’emisfero settentrionale e oltre 30 metri in quello australe; il peso medio di un adulto di questa specie è di 100 tonnellate, per i maschi, e130 tonnellate ed oltre per le femmine.

Al sottordine dei Misticeti appartengono quattro famiglie:

• Balenidae: prive di pinna dorsale e solchi golari, sono anche dette “vere balene”. Rappresentate da due generi e quattro specie;

• Neobalenidae: provviste di pinna dorsale, ma prive di solchi golari. Rappresentate da un genere e una specie;

• Eschrichtiidae: prive di pinna dorsale, hanno due solchi a V sulla gola e sono cosparse di incrostazioni. Rappresentate da un genere e una specie;

• Balaenopteridae: provvisti di pinna dorsale e solchi golari, sono slanciate e veloci. Rappresentate da due generi e sei specie.

Gli Odontoceti costituiscono il più vario e numeroso sottordine dei cetacei, con circa 67 specie di mole piccola, media e grande (massima nel Capodoglio).

La caratteristica che accomuna tutti gli Odontoceti è il fatto di possedere denti. Negli esemplari più evoluti c’è stata una tendenza all’aumento del numero di denti ed alla semplificazione di tutti i denti in radici singole e corone coniche (omeodontia); tuttavia alcune specie hanno perso la maggior parte dei loro denti o sviluppato denti specializzati. Lo sfiatatoio è provvisto di un unico orifizio. Il cranio è asimmetrico, e tale asimmetria è probabilmente collegata alla presenza di una apertura singola dello sfiatatoio.

Una cosa molto interessante da notare all’interno del sottordine degli Odontoceti è la loro diversità. Essi mostrano una incredibile gamma di forme, comportamenti e modi di vita che riflettono la loro lunga storia evolutiva e la varietà di ambienti nei quali vivono: alcuni sono esclusivamente marini, altri di acqua dolce, altri ancora si spostano tra i due ambienti.

Gli odontoceti sono suddivisi in 10 famiglie:

• Physeteridae: capo squadrato, pinna dorsale assente, numerosi denti solo nella mandibola e sfiatatoio spostato a sinistra. Rappresentati da un genere e una specie;

• Kogiidae: in origine appartenenti alla famiglia dei Physeteridae, hanno capo squadrato, pinna dorsale, denti solo nella mandibola e sfiatatoio spostato a sinistra. Rappresentati da un genere e due specie;

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• Monodontidae: capo arrotondato e privo di rostro, pinna dorsale assente, vertebre cervicali non saldate tra loro, vivono nelle acque artiche e subartiche. Rappresentati da due generi e due specie (alcuni includono anche l’orcella, mentre altri la associano ai Delfinidi);

• Ziphiidae: rostro distinguibile, denti assai ridotti e pinna dorsale piccola, triangolare e arretrata. Rappresentati da cinque generi e 21 specie;

• Delphinidae: grande famiglia comprendente specie molto diverse tra loro. Rappresentata da diciassette generi e trentacinque specie;

• Phocoenidae: piccole e prevalentemente costiere, sono prive di rostro e hanno una pinna dorsale piccola e triangolare. Rappresentate da tre generi e sei specie;

• Platanistidae: vivono nelle acque torbide dei fiumi Indo, Gange, Brahmaputra e Meghan, hanno un rostro lungo e stretto e una gobba bassa e triangolare al posto della pinna dorsale. Rappresentati da un genere e due specie;

• Pontoporiidae: vivono vicino alle coste di Brasile e Argentina, hanno un rostro lungo e stretto e pinna dorsale eretta. Rappresentati da un genere e una specie;

• Lipotidae: vivono nel fiume Yangtze Kiang in Cina, hanno un rostro lungo e stretto e pinna dorsale bassa e triangolare. Rappresentati da un genere e una specie. Dal dicembre 2006 la specie è però considerata estinta;

• Iniidae: vivono nei grandi fiumi del bacino dell’Orinoco e del Rio delle Amazzoni in sud America, hanno rostro lungo,una gobba con cresta al posto della pinna dorsale e colorazione molto chiara. Rappresentati da un genere e una specie.

1.3

Le specie del Mediterraneo

Le Specie del Mediterraneo sono state classificate come regolari, occasionali e accidentali da Notarbartolo di Sciara e Demma nel 1994. Questa differenziazione è dovuta al fatto che ci sono specie che si spostano, regolarmente o meno, dall’Oceano Atlantico al Mediterraneo attraverso lo stretto di Gibilterra.

Al gruppo dei regolari appartengono 2 specie di Misticeti, e 8 di Odontoceti (vedi Appendice 1: Tabella specie del Mediterraneo):

• Balaenoptera physalus (Balenottera comune) • Balaenoptera acutorostrata (Balenottera minore) • Physeter macrocephalus (Capodoglio)

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• Globicephala melas (Globicefalo) • Grampus griseus (Grampo)

• Stenella coeruleoalba (Stenelle striata) • Steno bredanensis (Steno)

• Tursiops truncatus (Tursiope) • Ziphius cavirostris (Zifio)

La cetofauna mediterranea può essere considerata come un sottoinsieme di quella nordatlantica, e nessuna specie sembra essere endemica, anzi, si tratta in genere di specie cosmopolite, diffuse in tutti gli oceani del globo.

Malgrado non siano mai state condotte ricerche di campo comparate in tutto il Mediterraneo, le informazioni attuali sembrano indicare che la porzione occidentale (Mare di Alboran, Mare delle Baleari, Mar di Corsica e Mar Ligure) abbia una densità e ricchezza in specie maggiore che nel resto del bacino. Probabilmente, questo è dovuto sia alla possibilità di migrazioni periodiche verso l’Atlantico, sia alla maggiore produttività rispetto al Mediterraneo orientale. Comunque anche le caratteristiche oceanografiche (temperatura, salinità, profondità, ecc..) condizionano la distribuzione delle specie: la forte escursione termica stagionale, ad esempio, esclude la possibilità di permanenza di specie tropicali o temperato-fredde; la scarsa produzione primaria (ad eccezione del bacino corso-ligure-provenzale) non consente, invece, il sostegno di ricche e complesse reti trofiche, e soprattutto non consente il sostentamento di un elevato numero di Misticeti.

Per quanto riguarda i mari italiani, i cetacei sono più abbondanti soprattutto nel Mar Ligure e nel Mar di Corsica, dove si incontrano facilmente, soprattutto in estate, Stenelle e Balenottere comuni. Presenti anche Capodogli, Grampi, Globicefali e Delfini comuni. Il Tursiope si avvista soprattutto nelle zone costiere della riviera di Levante e della Toscana. Il Tirreno è più povero, ma troviamo Tursiopi vicino alla costa e in mare aperto Stenelle e Grampi, soprattutto nei punti dove la scarpata continentale è più ripida. Balenottere comuni, Capodogli e Globicefali sono presenti, anche se non abbondanti. Difficilissimi da avvistare gli Zifii, anche se l’analisi degli spiaggiati evidenzia la loro presenza.

Nel Mare e nel canale di Sardegna il Tursiope abbonda anche in acque molto basse, mentre in acque profonde si possono trovare Stenelle, Balenottere comuni, Capodogli. Il Delfino comune è ormai rarissimo.

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Nel Mar Ionio si trovano Stenelle, Tursiopi e riappaiono Balenottere comuni, Capodogli, Grampi, Zifii e Delfini comuni che non si trovano invece nel Canale di Sicilia.

L’Adriatico infine, possiede una discreta diversità nella porzione meridionale dove troviamo Stenelle, Tursiopi e Grampi, ma andando verso nord la diversità diminuisce fino a ridursi ad una sola specie: il Tursiope.

1.4

Lo status attuale dei cetacei nel Mediterraneo

In tutto il mondo, le minacce alla sopravvivenza dei cetacei sono molteplici, e il Mediterraneo non fa eccezione.

Il numero di imbarcazioni che solca i nostri mari è davvero elevato: navi da crociera, traghetti, motoscafi, pescherecci, gommoni e anche moto d’acqua. Soprattutto nel periodo estivo il traffico nautico aumenta a dismisura e le imbarcazioni, sempre più potenti, corrono sulla superficie del mare a elevata velocità. I cetacei, in genere, infastiditi da tutto quel movimento e dal rumore, lasciano le zone più trafficate per farvi ritorno in autunno. Alcuni esemplari però, restano vittime delle eliche (Figura 3) che provocano profonde ferite, spesso mortali, oppure si scontrano con le imbarcazioni riportando contusioni di varia entità. Nessuna specie viene risparmiata, infatti si registrano casi sia tra i cetacei più piccoli che tra le grandi balene.

Figura 3: Foto di un Capodoglio di 12 metri circa con una ferita dovuta allo scontro con una imbarcazione; le ferite sono profonde 30 cm circa.

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Anche la pesca, praticata nel Mediterraneo ormai da millenni, è diventata negli ultimi decenni, una minaccia. In tutto il mondo, le flotte di pescherecci sono cresciute, hanno sviluppato metodi sempre più efficienti e le nuove tecnologie (come i sonar) hanno dato un notevole impulso a questa attività. Una delle conseguenze ormai note da tempo, è che gli stock ittici sono stati sovrasfruttati (overfishing). I prelievi sono costantemente cresciuti e le popolazioni animali non hanno avuto il tempo di ripristinare le perdite subite. Gli Odontoceti si nutrono essenzialmente di pesci e molluschi, molti dei quali sono specie commerciali. Se l’attività umana ha ridotto il numero delle prede dei delfini, ovviamente questo ha un effetto anche sui predatori, che quindi rischiano di morire di fame. Questo comporta probabilmente un altro problema: faticando a trovare cibo, i delfini si avvicinano alle reti per “rubare” il pesce. Può capitare così che restino a loro volta impigliati nelle reti. Se sono sott’acqua e non riescono a tornare in superficie per respirare, muoiono annegati; se riescono a sopravvivere, possono essere uccisi dai pescatori per vendetta, o per liberare la rete senza danneggiarla eccessivamente. In alcuni casi, i pescatori cacciano volontariamente i delfini, per impedire che tornino a mangiare nelle loro reti, danneggiandole e facendo diminuire il loro pescato.

Le reti che fanno più vittime in assoluto sono le spadare (Figura 4), che per questo motivo sono ormai fuorilegge nel nostro paese. Questo però non impedisce ad alcuni pescatori di continuare ad utilizzarle.

Figura 4: Foto di un Capodoglio e una Stenella rimasti intrappolati in una spadaia.

I danni maggiori però sono quelli causati dall’inquinamento acustico, fisico e chimico. Gli effetti negativi che il rumore può avere sulla vita dei cetacei, non sono stati investigati in maniera approfondita, ma gli studi di questo tipo si stanno intensificando. Il rumore antropico può causare danni fisici e psichici nell’uomo; per i cetacei, il cui senso principale e quindi più sensibile, è proprio l’udito, il problema è anche più serio. Oltretutto non è importante solo il

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livello sonoro, ma anche la frequenza dei suoni e pare che ogni specie sia sensibile a frequenze diverse. Il rumore a bassa frequenza delle navi ad esempio, potrebbe mascherare le normali comunicazioni sociali tra gli individui, riducendone la portata e modificando così il loro comportamento; altri suoni possono causare disagio, stress, e perfino traumi all’apparato acustico.

Gli oggetti di plastica galleggianti costituiscono un pericolo, perchè possono essere scambiati per cibo e ingoiati, portando l’animale verso una lenta morte per inedia. Infatti tali materiali non sono digeribili e possono ostruire l’apparato digerente impedendo all’animale di nutrirsi. Ma il problema forse più grande, è costituito dalle numerose sostanze chimiche che le attività umane riversano continuamente nell’ambiente e che i cetacei spesso accumulano nei loro organi e tessuti in quantità elevate. Essi infatti, trovandosi all’apice delle reti trofiche, accumulano in gran quantità sostanze, come i DDT e i PCB, che inquinano anche le loro prede, con conseguenze spesso letali: l’organismo, indebolito dalla presenza di sostanze tossiche, diviene più vulnerabile a malattie che in genere riesce a combattere (immunosoppressione). Questi composti hanno poi effetto anche sulla riproduzione, causando nascite premature, alterazioni nello sviluppo embrionale, ecc..

Figura

Figura 1:  Rappresentazione di come doveva essere il Mesonichide
Figura 2:  Rappresentazione di un Ambulocetus natans
Figura  3:  Foto di un Capodoglio di 12 metri circa con una ferita dovuta allo scontro con una imbarcazione; le  ferite sono profonde 30 cm circa
Figura 4:  Foto di un Capodoglio e una Stenella rimasti intrappolati in una spadaia.

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