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1. LE RAZZE BOVINE ITALIANE DA CARNE NEI CLASSICI LATINI

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1. LE RAZZE BOVINE ITALIANE DA

CARNE NEI CLASSICI LATINI

1.1

Introduzione

Le razze bovine italiane da carne hanno un’origine molto antica e, sebbene non sia possibile identificarne con esattezza l’origine, si possono scoprire delle analogie con gli animali allevati oggi dalle numerose descrizioni dirette e indirette che compaiono nei testi degli autori latini: si parla di bovini di taglia grande e struttura solida, dal mantello bianco e allevati nell’Italia centrale.

Le citazioni indirette sono frammentarie: consistono in descrizioni di banchetti o di cerimonie religiose ma consentono comunque di raccogliere informazioni preziose e di delineare un quadro dell’allevamento bovino in epoca romana.

Le citazioni dirette consistono in opere di divulgazione tecnica rivolte esplicitamente ai proprietari terrieri che ne ricavano consigli su come gestire l’azienda, sui rapporti da tenere con i coloni e gli schiavi e su come trattare gli animali.

Tra queste opere è possibile collocare il De Agri Cultura di Catone il Censore, il De Re Rustica di Columella, che dedica un libro (il sesto) all’allevamento del bestiame, e il Rerum Rusticarum de Agri Cultura di Varrone.

A fianco di tali opere esistono poi opere poetiche e filosofiche come le

Georgiche di Virgilio o il De rerum natura di Lucrezio in cui i bovini sono presi

come pretesto e punto di partenza per sviluppare temi che toccano la sensibilità umana.

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Di notevole interesse e pregio è poi l’opera scientifica Naturalis Historia di Plinio in cui vengono descritte sistematicamente le specie animali (oltre ai vegetali e ai minerali), con dovizia di particolari sul loro comportamento e abitudini e sulle differenze tra gli stessi animali di diverse regioni. L’opera è anche ricca di notizie imprecise o fantasiose, specie su animali esotici, ricavate da racconti di viaggiatori o da altre opere.

1.2

Generalità

Presso i Romani l’allevamento dei bovini aveva un’importanza fondamentale anche se per ragioni molto diverse da quelle odierne: gli animali erano infatti impiegati soprattutto per il lavoro o come vittime nei sacrifici, mentre l’allevamento per la produzione di latte e carne non era praticato e la carne bovina godeva di scarsa considerazione, fatta eccezione per quella consumata durante le cerimonie religiose.

La dieta dei Romani antichi prevedeva uno scarso consumo di carne, tanto che un suo uso frequente era considerato usanza tipica dei popoli barbari: lo storico greco Polibio, per testimoniare l’inciviltà dei Celti, racconta che dormivano in terra e si nutrivano di carne.

“I Celti abitavano in villaggi non fortificati, ed erano privi di ogni

altra comodità. Dormivano su letti di fieno e di paglia, mangiavano solo carne e non esercitavano altro mestiere che la guerra o l’agricoltura, tutt’ altra scienza, tutt’ altra arte era loro sconosciuta. L’avere di ciascuno consisteva in bestiame e in oro poiché erano le sole cose che potevano, secondo le circostanze, portare con loro e spostare a loro grado. Portavano la più grande attenzione a formare delle associazioni, poiché presso di essi il più temibile e potente è colui che mostra di avere il maggior numero

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possibile di uomini pronti a servirlo e a fargli da corteo. “ (Polibio, Storie, II, 17).

Più tardi, in età imperiale, il più famoso trattato di cucina romano, il De Re

Coquinaria di Apicio, parla di carni suine, avicole, cunicole, di cacciagione e

persino di pavoni e lumache, ma cita solo marginalmente la carne di vitello e ignora del tutto quella di bovino adulto (Dosi et al., 1986).

Anche nelle descrizioni di banchetti fatte da vari autori come Orazio (Satire), Giovenale (Satire), Marziale (Xenia) compaiono varie carni ma mai quella bovina.

Nel 301 d.C. l’imperatore Diocleziano emanò l’editto dei prezzi (De

pretiis rerum venalium), con la funzione di calmierare l’aumento dei prezzi,

punendo i trasgressori con la pena di morte: nell’elenco, la carne bovina è presente ma con un prezzo di gran lunga inferiore a quello delle altre carni e a quello del pesce di mare, e uguale solo a quello del pesce di fiume.

Lo scarso apprezzamento per la carne bovina risiede nel fatto che, a parte quella consumata nelle cerimonie sacre, essa proveniva soprattutto da buoi da lavoro a fine carriera, messi all’ingrasso e macellati più per recuperare una risorsa alimentare che per apprezzamento del prodotto in sé.

Questo cibo di bassa qualità era destinato soprattutto ai servi che non avevano facilmente accesso a carni più pregiate: gli scavi archeologici nelle ville romane restituiscono, nei depositi dei rifiuti delle zone abitate dagli schiavi, soprattutto ossa di bovino adulto e, in misura minore, di suino e di ovino (Dosi et al., 1986).

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1.3

La sacralità del bovino da lavoro

Nei primi secoli della storia romana i bovini erano considerati sacri in quanto motori del lavoro agricolo e quindi colonne portanti dell’approvvigionamento alimentare della città; per questo chi uccideva un bue veniva punito con la pena di morte o con l’esilio (Plinio, Naturalis Historia, VIII, 70, 180).

Ovidio (Fasti IV 413-416), parlando dei sacrifici alla dea Cerere, invita a immolare il “pigro maiale”, risparmiando i buoi e lasciandoli al duro lavoro dei campi, evitando di “colpire con l’ascia il collo che è abituato al giogo”.Era quindi lecito macellare solo i buoi non più in grado di lavorare e i riproduttori a fine carriera.

Questo tabù si attenuò con il tempo, con l’urbanizzazione e l’aumentata richiesta di cibo, ma Virgilio rimpiangeva il tempo in cui non ci si nutriva di giovani bovini (Georgiche, II 538), e questo verso, secondo Svetonio (Dom, IX), ispirò all’imperatore Domiziano il proposito di proibire con un editto l’uccisione dei buoi.

Un’eccezione al rispetto assoluto dei bovini era il loro uso nei giochi del circo che però spesso riguardava animali selvatici (compreso l’uro, bovino selvatico oggi estinto) oppure consisteva soprattutto nello stancare gli animali facendo loro caricare dei fantocci di paglia, per poi spingerli a terra prendendoli per le corna.

Seneca (De Ira, V, 30, 1) afferma che già al suo tempo si usavano drappi rossi per eccitare i tori e che erano frequenti lotte tra tori e orsi che si concludevano con la prevedibile morte del toro.

L’attitudine “religiosa” del bestiame bovino era considerata con grande rispetto e i bovini destinati al sacrificio erano scelti con grande cura e dovevano essere privi di difetti, altrimenti gli Dei non li avrebbero accettati e non avrebbero esaudito le richieste di chi compiva il sacrificio (Pallottino, 2000).

Vittime con difetti, ad esempio zoppe o troppo nervose, erano considerate di cattivo auspicio e quindi scartate; all’animale si chiedeva simbolicamente il

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consenso all’abbattimento e gli si faceva abbassare la testa in segno di assenso: se la vittima si rifiutava di farlo il sacrificio non si poteva compiere (Figura 1).

Figura 1: Bassorilievo del sacrificio di un toro, Galleria degli Uffizi, Firenze.

Anche la fuga della vittima prima del sacrificio era considerata di cattivo auspicio sebbene Svetonio (Caes, 59) affermi che Cesare, non molto attento a questi presagi, avesse iniziato lo stesso una spedizione di guerra dopo un fatto del genere, peraltro risultando vincitore.

Le vittime dovevano essere animali allevati, quindi erano esclusi i selvatici, così come i vegetali da offrire agli Dei dovevano essere solo quelli coltivati, trascurando le piante spontanee. I sacrifici si compivano sia in occasioni pubbliche sia per ricorrenze private (nascite, matrimoni, funerali), ma anche per altri festeggiamenti: Orazio (Epistole, I, 36), scrivendo a un amico lontano, gli dice che sta allevando una giovenca per festeggiare il suo ritorno. Gli animali sacrificati erano diversi a seconda delle divinità a cui erano destinati: alle divinità

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minori si immolavano specie di piccola taglia, mentre il toro, definito da Virgilio la maggiore tra le vittime (georgiche, II, 146-147), era riservato alle divinità celesti più importanti come Giove, Giunone, Minerva, Marte, Apollo e Nettuno.

Sacrifici particolarmente solenni erano i Suovetaurilia, in cui si immolava un maiale (sus), una pecora (oves) e un toro (taurus) di colore bianco. I Suovetaurilia erano celebrazioni molto antiche, già citate da Tito Livio (I, 44) a proposito del re Servio Tullio (VI secolo a.C.), ed erano destinate a Giove, Giunone, Minerva o Marte e ne esistono diverse rappresentazioni scultoree che mostrano imponenti tori simili alle odierne razze bianche italiane (Figura 2).

Figura 2: Roma. Foro Romano, rilievo rappresentante un Suovetaurilia.

Nelle Satire di Giovenale (XII, 13-14) si parla di un toro talmente alto da richiedere di essere abbattuto da un vittimario di alta statura e che apparteneva a una razza molto pregiata in quanto proveniente dai pascoli umbri presso il Clitumno, citati come ottimi produttori di tori anche da Virgilio (Georgiche, II 146).

Vittime bovine erano destinate anche ad altre divinità: al Genius Augusti si sacrificava un vitello maschio o un toro, al Numen Augusti un vitello maschio, a Divus un bue, a Diva, Vittoria e Iuno Augustae una vacca.

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Varrone (Rerum Rusticarum, II 5) cita gli “hordicidia”, sacrifici in cui si immolava una vacca gravida (horda), che era anche la vittima destinata a Tellus, divinità sotterranea; il secondo re di Roma Numa Pompilio aveva imposto il sacrificio di una vacca gravida alle vedove che si risposavano prima del periodo minimo di vedovanza, fissato in dieci mesi (Plutarco, Numa, 12).

Per i sacrifici familiari la scelta della vittima era legata alla disponibilità economica della famiglia: Giovenale (Satire XII, 10-15) si lamenta di doversi accontentare di un vitello, anziché di un toro, per festeggiare un amico.

Tertulliano, scrittore cristiano del II-III secolo, nell’Apologeticus (30, 6), per farsi beffe dei pagani li accusa di sacrificare alle loro divinità dei buoi talmente vecchi da chiedere soltanto di morire, o comunque in cattive condizioni o, in caso di vittime ben pasciute, li accusa di destinare agli Dei solo le parti che darebbero agli schiavi, quali teste e zampe.

Dopo il sacrificio, i visceri (fegato, polmoni, cistifellea, peritoneo e cuore) venivano esaminati per leggervi presagi favorevoli sull’esito del sacrificio (litatio), se invece presentavano anomalie il responso era infausto e il sacrificio andava ripetuto.

I visceri potevano esser esaminati anche per trarne presagi per il futuro, secondo l’auruspicina, disciplina di origine etrusca che considerava particolarmente importante la lettura del fegato, le cui singole regioni erano assegnate alle diverse divinità.

Uno dei più famosi tra i presagi di questo genere è quello riferito da Plutarco (Vita di Cesare, LXIII), secondo il quale Giulio Cesare, poco prima di essere ucciso, aveva sacrificato un toro, trovandolo privo di cuore, ma Svetonio (Caes, 77), ci dice che Cesare non aveva dato importanza al fatto affermando che fosse normale che un animale non avesse il cuore.

Dopo il sacrificio, una volta esaminati i visceri, la carne era offerta simbolicamente agli Dei, ma veniva meterialmente consumata dai partecipanti al rito che fungevano da ospiti degli dei al banchetto, detto “epulum”, che costituiva la consumazione del sacrificio. Nell’epulum la carne, contrariamente all’uso profano, non era lessata ma cotta allo spiedo, mentre le interiora (stomaci e intestino) erano usate per preparare salsicce e sanguinacci.

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Gli organi interni (exta) erano bruciati come offerta agli dei oppure venivano bolliti e consumati dai sacerdoti e dai loro assistenti.

Una variante, narrata da Svetonio, è riferita ad Ottavio, antenato di Augusto che, sorpreso dall’attacco del nemico durante il sacrificio propiziatorio a Marte, aveva mangiato i visceri semicrudi per affrettarsi alla battaglia che poi aveva vinto; da allora era stato emesso un decreto secondo cui nei sacrifici a Marte i visceri andavano consumati crudi (Gaddini, 2005).

1.4

L’ allevamento bovino negli scrittori “agrari”

Numerosi autori hanno parlato in modo più specifico della zootecnia e in particolare della specie bovina sia in opere di divulgazione tecnica, dedicate ai proprietari terrieri, sia in opere poetiche.

E’ da notare che molti dei suggerimenti pratici sulla gestione del bestiame ricorrono quasi immutati, anche a distanza di secoli, probabilmente perché gli autori più recenti li hanno ripresi dai più antichi, di norma senza citarli.

Il più antico dei trattati sull’agricoltura che ci sono giunti è il De Agri

Cultura di Catone il Censore che è un vero e proprio manuale di cose da fare e da

non fare, di consigli su come trattare il fattore, gli schiavi, gli animali o le colture. I consigli di Catone per la cura del bestiame hanno una forte componente magica e comprendono anche le modalità dei sacrifici votivi agli dei, con l’avvertenza di non compierli alla presenza o in vista di donne. Non è presente una descrizione delle patologie, definite genericamente come “malattia”, a parte la scabbia, le malattie del piede e il morso dei serpenti.

Tra le cure ce ne sono alcune particolari come quella di somministrare al bovino un uovo intero o come la seguente:

“Ogni anno, quando l’uva comincia a invaiare, darai questa medicina ai bovini, perché stiano in salute. Quando troverai una pelle di serpente, raccoglila e mettila da parte, per non doverla

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cercare quando ne avrai bisogno. La pelle, con farro, sale e timo serpillo, tutti polverizzati nel vino, la darai a bere a tutti i bovini”

(De Agri Cultura, 74).

Anche le modalità di somministrazione delle medicine hanno un fondo di magia, come l’accorgimento che, sia per chi dà la medicina, sia il bovino che la riceve, non debbano toccare il suolo.

Catone riporta poi meticolosamente la composizione in peso delle varie razioni e dà consigli su come trattare al meglio le risorse disponibili per utilizzarle come foraggio o come lettiera.

Tra gli ingredienti della razione, oltre a leguminose, graminacee e paglia, l’autore consiglia un ampio uso di fronde d’albero, ghiande e vinacce.

Catone sconsiglia poi di abituare i buoi da lavoro al pascolo per evitare che vadano a cercare l’erba fresca durante l’aratura, infine consiglia le misure per le rastrelliere in stalla, tali da evitare che il bestiame sprechi il foraggio.

Marco Terenzio Marrone è autore di un importante trattato di agricoltura, il Rerum Rusticarum de Agri Cultura, iniziato nel 35 a.C., all’età di 80 anni; l’opera è in tre libri, il secondo dei quali è interamente dedicato al bestiame. Già nel primo libro (20, 1-5), però, Marrone parla del bestiame da lavoro, sconsigliando di comprare animali provenienti da zone pianeggianti per farli lavorare in montagna e viceversa.

Quanto alla morfologia, il consiglio è di acquistare animali dagli ampi diametri trasversali, dalle corna nere, di età non precoce né avanzata (3-4 anni) e di pari vigore, nel caso si acquisti una pariglia.

L’autore passa poi a dare dei suggerimenti per l’addestramento dei giovenchi, consigliando di allenarli gradatamente al giogo e alla fatica o, se destinati a tirare i carri, di abituarli un po’ per volta al frastuono della città o dei viaggi.

Nel secondo libro (1, 9-13), Varrone conferma l’importanza dei bovini, riportando l’opinione di Pisone, secondo cui il nome “Italia” deriva dalla parola “vitelli” e descrive il mercato dei bovini, spiegando che i prezzi più bassi sono per

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animali al di sotto di un anno d’età o vicini alla fine della carriera, fissata intorno ai 10 anni.

Quindi l’autore parla delle malattie del bestiame attribuendole tutte a problemi climatici, alla stanchezza o all’eccessiva inattività o, infine, all’alimentazione in momenti sbagliati, ad esempio subito dopo il lavoro.

Nessuna malattia specifica è identificata, ma sono solo menzionati sintomi generici e i rimedi consistono nel tenere al caldo l’animale o nel frizionarlo con olio o vino caldo e, in casi estremi, l’autore consiglia il salasso.

Varrone riprende il tema della scelta del bestiame da acquistare (5, 7-18), parlando delle fattrici, che devono essere:

“sane e in età da generare frutti piuttosto che già da riformare;

devono essere ben conformate, con gli arti integri, il corpo lungo, larghi, con le corna nere, la fronte ampia, gli occhi grandi e neri, le orecchie pelose, le mascelle ben serrate con profilo un po’ camuso, non gibboso, con il dorso leggermente insellato, le narici aperte, le labbra nerastre, con il collo spesso e lungo, da cui penda la giogaia, con un bel costato, spalle larghe, belle natiche, la coda lunga fino ai piedi, con l’estremità con fitti peli un po’ crespi, le zampe piuttosto corte e dritte, con ginocchia leggermente sporgenti e distanti tra loro, i piedi non larghi e che non puntino in fuori al passo, con gli unghioni che non si divarichino e siano leggeri e pari tra loro, la pelle non deve essere rugosa o dura al tatto, di colore molto preferibilmente nero, altrimenti rossiccio, come terza scelta bruno, infine bianco; infatti la pelle chiara è tanto tenera quanto è resistente quella nera. Dei due colori intermedi il rossiccio è migliore del bruno ed entrambi sono migliori del bianco e del nero.”

Per la scelta dei tori l’autore consiglia di esaminare la discendenza per vedere se i caratteri positivi del riproduttore si sono trasmessi alla progenie.

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Questa consapevolezza della trasmissione ereditaria dei caratteri da una generazione all’altra non è sempre presente negli scrittori antichi: ad esempio lo storico greco Plutarco, nel negare che la scelta dei governanti possa privilegiare i figli dei grandi politici del passato, porta come argomento il fatto che anche nella scelta degli animali non si guarda ai genitori, visto che anche un cavallo può generare un mulo.

Varrone descrive i bovini italiani come animali molto adatti ai sacrifici, viste le loro grandi dimensioni e per tale uso consiglia quelli di colore bianco.

L’autore passa quindi a descrivere le modalità di allevamento che consistono in un’alternanza di pascolo primaverile nei boschi, invernale presso il mare e monticazione in estate.

Per la riproduzione consiglia di tenere le vacche a razione ristretta due mesi prima del parto perché una maggiore magrezza propizierebbe una maggiore fertilità, mentre i tori, al contrario, andrebbero sovralimentati a partire da due mesi prima della monta per essere maggiormente in forze.

Varrone riporta poi, con un certo scetticismo, una curiosa superstizione secondo cui se il toro scende dalla monta da destra è stato concepito un vitello maschio, mentre se scende da sinistra sarà stata generata una femmina.

Virgilio, nelle Georgiche, tratta i temi dell’agricoltura e dedica il terzo libro alla zootecnia trattando con molta attenzione la scelta dei riproduttori. Consiglia di scegliere vacche con una testa sgraziata, di grandi dimensioni, con alcune caratteristiche fisiche tipiche degli animali da lavoro, come un piede grande e la giogaia molto ampia, che disperda bene il calore corporeo e con una pessima indole:

“né mi dispiace se (…) talvolta si ribelli al giogo con le corna

appuntite e sembri più che altro un toro, e avanzi tutta eretta spazzandosi l’estremità dei piedi con la coda”.

Per le vacche, la carriera riproduttiva viene fatta iniziare al quarto anno di età e terminare al decimo e Virgilio consiglia di tenere riguardate le vacche durante la gravidanza e di fornire loro i migliori pascoli.

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C’è infine da notare che Virgilio descrive con grandi lodi la fertilità dell’Italia e, a proposito delle fonti del Clitunno, descrive il grande toro bianco utilizzato per i sacrifici in occasione delle vittorie militari romane (Gaddini, 2005).

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2. LA RAZZA CHIANINA

2.1 Cenni storici sulla razza Chianina

La razza Chianina ha origini antichissime.

Poco accreditata è l’ipotesi secondo la quale essa sarebbe una derivazione diretta del Bos primigenius, l’Uro selvatico, giunto in Italia al seguito delle popolazioni indoeuropee durante le loro ripetute migrazioni. Secondo Marchi, Zanelli e Cocconi “…Che tali bovini, che si riscontrano in tutta la zona ove passarono gli Arii, abbiano largamente influito nella formazione della razza della Val di Chiana non può mettersi in dubbio, ma deve anche ritenersi come certo che questa non sorse per diretta derivazione da quella, modificata soltanto per l’influenza dell’ambiente, ma che alla sua formazione non meno largamente debbono aver contribuito gli altri bovini domestici che nella zona già si trovavano…Dunque, quando gli Arii, nell’epoca neolitica, immigrarono in Italia, seco conducendo i propri bovini di tipo macrocero grigio, in essa già esistevano buoi domestici”. (Gugnoni e Piccinini, riportato in Marchi e Mascheroni, 1925).

Si ammette dunque al massimo un’immissione del Bos primigenius in epoca lontana a giustificazione del colore fromentino del mantello dei vitelli alla nascita e della pigmentazione apicale che lo caratterizza.

Secondo Giuliani (1954) la Chianina sarebbe invece la diretta discendente del bovino di cui parla Columella ( “…boves progenerat…Umbria vastos, et albus eademque rubros…”), presente già molti secoli prima di Cristo nella regione umbro-sabina.

Già in epoca pre-romana infatti, ma soprattutto durante l’Impero, venivano sacrificati agli Dei bovini bianchi, allevati, secondo le fonti dell’epoca, nel

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territorio dell’attuale Umbria. Questi bovini bianchi sembra fossero allevati, insieme ad altri più rustici e di pelame fulvo, nella Campania e nell’Umbria, specialmente nella Valle del Clitunno, le cui acque, secondo la leggenda, ne rendevano candido il mantello.

La sacralità dei bovini nella cultura latina e romana era particolarmente sentita nei confronti dei tori di colore bianco: durante le Feriae Latinae, importantissime feste istituite dall’ultimo re Roma Tarquinio il Superbo, la cerimonia più importante era il sacrificio di un toro bianco presso il tempio di Giove Laziale sul Monte Albano (oggi Monte Cavo).

A Roma i trionfi dopo le vittorie in guerra si concludevano sul Campidoglio con il sacrificio di un toro bianco.

Nei sacrifici domestici le vittime bianche erano offerte agli dei celesti, mentre quelle nere erano per gli dei degli inferi e della notte.

Lucilio e Giovenale (Satire, X 65-66) affermano che in assenza di bovini bianchi si usava macchiare con argilla bianca degli animali di altro colore.

Anche nella fondazione di una città, atto di grandissima importanza religiosa, la presenza dei bovini era indispensabile: il solco che delimitava il perimetro della futura città era tracciato da un aratro trainato da un toro ed una vacca, rigorosamente bianchi, che poi venivano sacrificati.

L’importanza per i romani del mantello bianco nei bovini, insieme al fatto che secondo molti autori latini gli animali destinati al sacrificio fossero accuratamente selezionati, potrebbe contribuire a spiegare perché tutte le razze bovine italiane da carne abbiano un mantello bianco o grigio chiaro.

L’importanza religiosa del toro bianco era diffusa in molte altre epoche e parti del mondo: ad esempio il Minotauro di Creta era nato dall’amore di Pasifae con un toro bianco destinato ad essere sacrificato a Poseidone, come cantato, tra l’altro da Ovidio nell’Ars Amandi (I, 290): Candidus, armenti gloria erat (v’era un bianco toro, la gloria dell’armento).

Inoltre il culto di Mitra, di origine orientale, ma molto diffuso a Roma in età imperiale, dava un posto fondamentale al toro, simbolo lunare, ucciso da Mitra, divinità solare.

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Il culto del toro bianco sopravvive ancora oggi in alcune zone del mondo come ad esempio tra i Parsi dell’India e dell’Iran, seguaci dell’antica religione zoroastriana, presso i quali la scelta del toro sacro prevede addirittura un esame con una lente di ingrandimento per accertarsi che non ci sia nemmeno un pelo di colore diverso (Fasana E., 1984).

A testimonianza della diffusione di tale razza, numerosi scavi effettuati in Umbria e Toscana hanno portato alla luce vasi, cornicioni e monete raffiguranti bovini o teste di bovini molto simili ai Chianini, specialmente per quanto concerne la testa leggera e brachicefala con corna piccole (Figura 3).

Figura 3: Vaso greco a figure rosse, 490 a.C., Museo Nazionale Tarquinese, Tarquinia.

Ancora, secondo alcuni studiosi, la testa di toro scolpita sopra un' ara romana del I sec. d.C. , rinvenuta nei pressi di Asciano (Comune confinante con la Valdichiana), e il toro italico che figura nel rame manufatto nel Lazio ai primi del sec. IV a.C. sono due riproduzioni di un animale che per le sue caratteristiche morfologiche è molto somigliante al "chianino".

Dei bovini Chianini si trova testimonianza nei testi dei poeti latini, in bronzi di epoca etrusca e romana e in numerosi bassorilievi, tra cui famoso è quello presente sulla Colonna Traiana a Roma (Figura 4).

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Figura 4: Colonna Traiana, Traiano purifica l’esercito con i Suovetaurilia, Roma.

Interessante notare che alcune acconciature degli animali "aggiogati" agli aratri o ai carri, come l' intrecciatura a fiocchi posta sulla fronte dei bovini, presenti su sculture etrusche e romane, sono in uso ancora oggi in Toscana e nelle Marche.

Con il collasso dell’organizzazione politica dell’Impero e la paralisi della gestione del suolo e del sistema di regimazione delle acque, la Val di Chiana subì il progressivo impaludamento, culminato nei secoli XII e XIII per effetto dei dissesti ambientali conseguenti ai dissidi politici, alle guerre intestine e alle invasioni barbariche.

Il perdurare dell’incuria e del dissesto idrogeologico portarono alla decadenza dell’agricoltura e alla diminuzione dell’impiego dei Chianini, che vennero sostituiti con bovini più rustici, di piccola statura, con mantello “rossigno” a pelo lungo e ruvido (Marchi et al., 1925).

La rinascita della razza può essere dunque datata tra la fine del 1700 e la prima metà dell’800 in concomitanza con la grande bonifica operata dal Fossombroni e con la costituzione delle fattorie appoderate (Figura 5).

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Figura 5: Lavoro nei campi.

Nel 1932, su iniziativa del Prof. Giuliani, venne istituito il Libro Genealogico della Chianina e attivato il programma di selezione morfo-funzionale che in breve tempo portò al miglioramento della razza.

Raggiunta la massima diffusione agli inizi degli anni 1960, quando si contavano circa 300.000 capi, la razza sembrò successivamente andare incontro ad un inesorabile declino numerico dovuto al rapido mutare della realtà agricola e zootecnica italiana (Falaschini et al., 1965).

L’industrializzazione sempre più spinta, il rapido diffondersi della meccanizzazione anche nel settore agricolo e la profonda crisi della mezzadria segnarono l’inizio di una rapida contrazione numerica della razza.

I terreni più fertili della Val di Chiana furono destinati ad usi industriali, sicuramente più redditizi, l’abbandono della mezzadria lasciò il posto ad altre forme di conduzione che, grazie all’impiego di motori meccanici, fertilizzanti ed antiparassitari di sintesi, rendevano possibile la diffusione della monocoltura.

Soprattutto la meccanizzazione comportò conseguenze negative per la zootecnia dell’Italia centrale: tutte le razze allevate, in particolare la Chianina, persero importanza dal punto di vista dell’attitudine dinamica ed il loro allevamento doveva trarre vantaggi economici esclusivamente dalla produzione di

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carne che, comunque, restava inferiore a quella delle razze più specializzate diffuse soprattutto nell’Oltralpe.

Intorno al 1980 la Chianina, insieme alle altre razze dell’Italia Centrale, subiva ancora il fortissimo calo di interesse da parte del mercato che preferiva animali meso-brachimorfi, con arti meno sviluppati, in grado di garantire migliori rese al macello e carcasse meglio conformate, con il quarto posteriore più sviluppato nei diametri traversi.

Attualmente, invece, conformemente ai nuovi indirizzi locali, regionali e comunitari che sempre di più mirano a salvaguardare e a promuovere le biodiversità, sono state e vengono tuttora adottate strategie per la valorizzazione della razza. Il conseguimento di tale obiettivo è stato ed è reso possibile grazie alla caparbietà di alcuni allevatori, all’interessamento sempre crescente del consumatore verso alimenti di qualità e all’interessamento del mondo scientifico e tecnologico legato alla zootecnia. (Sargentini, 2005)

In questi ultimi anni, inoltre, l'interesse per la razza Chianina è andato crescendo anche (e soprattutto) all'estero dove si sono costituite numerose associazioni di allevatori (Sud America, Argentina, USA, Canada, Australia, ecc.) per l'importazione di riproduttori e di seme congelato dei tori di maggior valore, per la creazione di "ceppi" adatti ai vari Paesi e per la produzione di "incroci" su razze locali bovine e zebuine.

2.2 Origine geografica e diffusione

La razza ha avuto origine nella valle da cui prende il nome: la Val di Chiana.

“Con il nome di Val di Chiana si chiama oggigiorno non tutta la piana estendentesi per circa sessanta chilometri dal fiume Paglia all’Arno, ma una zona limitata a nord dalla goletta di Chiani, ed a sud da Città della Pieve e Chiusi, designandosi con il nome di Chiavetta Romana il rimanente australe e con quello di Pian d’Arezzo e Pian di Quadratala parte boreale, dalla stretta di Chiani

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all’Arno. Lunga 57 Km e larga 20 Km circa è compresa nelle provincie di Arezzo (Arezzo, Castiglione Fiorentino, Civitella della Chiana, Cortona, Forano, Lucignano, Marciano e Monte San Savino), di Siena (Cetona, Chianciano, Chiusi, Montepulciano, Sarteano e Torrita), e per breve tratto in quella di Perugia (Castiglion del Lago e Città della Pieve) (Figura 6).

Figura 6: Area geografica della Val di Chiana.

La Val di Chiana è una pianura limitata da colline ubertosissime, ad eccezione del tratto fra Cortona e Arezzo che è costituito da monti aspri e brulli” (Marchi et al., 1925).

La razza della Val di Chiana si è diffusa originariamente in tutte le zone di pianura e media collina del bacino dell’Arno e nelle provincie di Perugia e Terni.

A causa delle mutate condizioni socio-economico-culturali dell’agricoltura italiana verificatesi a partire dal secondo dopoguerra, attualmente il suo allevamento è diffuso nelle provincie di Arezzo, Siena, Firenze, Grosseto, Livorno, Pisa e Pistoia in Toscana; Perugia e Terni in Umbria e Rieti e Viterbo nel Lazio (Sargentini, 2005).

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2.3 Selezione e miglioramento genetico

Prima della creazione dei Libri Genealogici il miglioramento e la selezione della razza venivano effettuati empiricamente su basi essenzialmente morfologiche. Solo in alcuni casi si andavano ad associare le caratteristiche morfologiche con le informazioni sugli ascendenti ottenute da registrazioni genealogiche private.

Mentre per alcune razze, anche dell’Italia centrale, un’attenta selezione su basi empiriche dava buoni risultati, per la Chianina la situazione rimaneva molto più confusa: dopo il rapido miglioramento dell’inizio del XIX secolo, derivante dalla bonifica Leopoldina della Val di Chiana, la razza era andata progressivamente degenerando per gli effetti dannosi di un’alimentazione non sempre idonea alle sue elevate potenzialità produttive, del sistema di allevamento stabulato, ma soprattutto della mancanza di chiare linee di condotta nelle opere di selezione.

La situazione risultò poi essere ulteriormente aggravata dagli effetti distruttivi della prima guerra mondiale: gli animali, soprattutto i giovani soggetti, venivano sottoposti ad un’alimentazione inadeguata, con razione spesso costituita esclusivamente da foraggi grossolani e voluminosi che andavano a causare un’eccessiva dilatazione del rumine.

La notevole dilatazione del rumine comportava un appesantimento dell’organo stesso che andava a gravare sulla volta rachidea, costretta a insellarsi.

Anche il regime stabulato agiva negativamente, specie per una razza allevata soprattutto per il lavoro, su alcuni caratteri morfologici: “Quasi tutti i Chianini hanno il difetto dell’unghia poco resistente, dovuto alla mancata funzione dell’organo, alla soverchia stabulazione” (Marchi e Mascheroni, 1925).

Intorno ai primi anni ’20 del XX secolo le Cattedre Ambulanti di Agricoltura di Siena e Arezzo, a mezzo delle loro sezioni zootecniche, con l’intenzione di riportare ordine nell’opera di miglioramento della razza, diedero inizio allo svolgimento di un vasto programma di lavoro.

Così nella più grande fattoria della Val di Chiana senese, quella degli eredi del conte Bastogi di Abbadia di Montepulciano, fu istituito un libro genealogico,

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vennero costruiti, nei pressi di ogni stalla, dei paddock per l’esercizio funzionale e l’azienda trasformò l’ordinamento colturale attuando regolari rotazioni con una più estesa coltivazione di erba medica al posto del trifoglio e della lupinella.

Nello stesso periodo, sempre nel senese, iniziarono delle esposizioni metodiche di bovini chianini intercalate da mercati-concorso di tori e vacche (Figura 7).

Figura 7: Esposizione di bovini chianini.

Con tali programmi di miglioramento e di propaganda si cercava di ottenere un notevole contributo al ripopolamento e al miglioramento della razza Chianina.

Tuttavia fu solo verso la fine degli anni ’20 che, presso due aziende di Bettolle, sotto la supervisione del Prof. Giuliani, ebbero inizio gli studi e i controlli funzionali ai fini della selezione.

Nel 1930, Nicola Tortorelli riporta nella Rivista di Zootecnia i risultati relativi allo “Sviluppo dei bovini di razza chianina dalla nascita ad un anno di età studiato con il metodo biometrico”. Tale esperienza, insieme a quella svolta negli stessi anni nella Val di Chiana aretina, si può considerare prodroma dell’azione di selezione e miglioramento genetico il cui inizio viene ufficialmente sancito nel 1931, quando il Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste emise la circolare 04/07/1931 in cui sono descritti i “Programmi di attività zootecnica”.

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Tali programmi furono predisposti, per ogni provincia, dalle Cattedre Ambulanti dell’Agricoltura, coordinati dagli Ispettorati Compartimentali ed approvati dal Ministero.

Nel 1932 Giuliani pubblica sulla Rivista di Zootecnia le “Direttive per la selezione delle razze bovine da carne e da lavoro” e lo “Standard di perfezionamento della razza Chianina”.

L’azione di selezione e miglioramento, volta all’ottenimento di una razza specializzata per la produzione della carne e del lavoro era articolata secondo lo schema che segue:

• Determinazione dello standard di perfezionamento delle razze;

• Predisposizione di una scheda di valutazione dei riproduttori;

• Predisposizione di controlli funzionali;

• Istituzione e regolare funzionamento dei Libri Genealogici;

• Controllo della capacità dei tori di trasmettere il loro patrimonio genetico;

• Istituzione di stazioni di monta e costituzione di famiglie selezionate;

• Concessione di premi di conservazione per i tori razzatori;

• Concessione di premi di allevamento per i vitelli maschi di tori razzatori;

• Adeguato miglioramento dei metodi di alimentazione e di allevamento;

• Disciplina del commercio del bestiame bovino.

La selezione, articolata quindi sulla base della genealogia, sul controllo delle prestazioni produttive (Incrementi Medi Giornalieri, Indice di Conversione Alimentare, raggiungimento di pesi stabiliti alle età tipiche di 6-12-18-24 mesi), e sui caratteri morfologici stabiliti (standard di perfezionamento della razza) era dunque genotipo-morfo-funzionale.

Un riproduttore era quindi valutato in via preliminare in base alle prestazioni degli ascendenti e dei collaterali, poi in base agli incrementi in peso

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dalla nascita all’età della riproduzione; infine, quando il riproduttore aveva avuto almeno 25 figli di 12 mesi, si effettuava una prima valutazione sulla base della discendenza che, se positiva, consentiva al soggetto, allorché avesse avuto 50 figli di un anno, di ottenere il giudizio definitivo.

In questo modo, nei primi anni di messa in atto del piano di selezione furono definite le linee guida, i caratteri tipici e gli indirizzi del miglioramento che avevano come obiettivo l’esaltazione dell’attitudine alla produzione di carne, senza compromettere però l’attitudine al lavoro.

Gli Ispettorati dell’Agricoltura furono dotati di personale specifico adeguatamente formato e nel 1934 i controlli funzionali, fino a questo momento sporadici, diventarono obbligatori per i figli di riproduttori iscritti al Libro Genealogico.

La creazione del Libro Genealogico e la straordinaria accuratezza nello svolgimento dei controlli funzionali furono fondamentali per la buona riuscita di un’opera di selezione che aveva il suo fulcro nei nuclei di selezione.

Il nucleo di selezione era costituito da 25-40 vacche ed un toro, scelti sulla base dei caratteri morfologici e iscritti al Libro Genealogico; i riproduttori maschi provenienti dai nuclei di selezione venivano impiegati negli allevamenti di moltiplicazione.

Poiché in ogni azienda si potevano generalmente formare solo uno o due nuclei di selezione, si praticava in realtà una selezione intra-allevamento che risentiva dell’effetto “azienda” con tutte le implicazioni di carattere generale (aspetti quali-quantitativi delle produzioni foraggere, aspetti igienico-strutturali delle stalle) che possono influire sulle performance dei possibili riproduttori.

Nonostante i suoi limiti il nucleo di selezione portò notevoli vantaggi al miglioramento genetico della Chianina, soprattutto per l’ampia diffusione dei riproduttori valutati e per il moderato grado di consanguineità che ne derivava.

Successivamente, con i nuovi sistemi di approccio scientifico e statistico, venne valutata l’elevata ereditabilità dei caratteri legati alla produzione di carne, le correlazioni fenotipiche e genotipiche tra l’Incremento Medio Giornaliero, l’Indice di conversione Alimentare ed alcune caratteristiche di macellazione.

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Nel 1961 fu approvata una nuova scheda di valutazione morfologica e nel 1963 la gestione della razza fu affidata all’Associazione Italiana degli Allevatori; nel 1966 venne istituita l’Associazione Allevatori Bovini Italiani da Carne (ANABIC); nel 1969 fu approvato il nuovo regolamento del L.G. e nel biennio 1974-1976 lo furono le tecniche relative al suo funzionamento (Sargentini, 2005).

L’ANABIC è delegata in base alla legge 30/90 alla tenuta del Libro Genealogico Nazionale e alle Valutazioni Genetiche delle razze bovine italiane da carne, svolgendo quindi un’importante azione di selezione che ha come obiettivi il miglioramento o il mantenimento delle seguenti caratteristiche:

• Elevata velocità di accrescimento: incrementi medi giornalieri (IMG) e pesi elevati alla macellazione in soggetti di giovane età;

• Elevato sviluppo muscolare: maggiore produzione di tagli di prima qualità;

• Alte rese alla macellazione e allo spolpo: agendo in particolare sulla muscolosità, sulla finezza dello scheletro e della pelle;

• Sviluppo somatico: mantenere la mole degli animali, in particolare la lunghezza del tronco e i diametri trasversi;

• Elevata efficienza riproduttiva: produzione del massimo numero di vitelli nati per anno per ogni fattrice allevata;

• Elevata attitudine materna: facilità di parto e produzione di vitelli con elevato peso allo svezzamento.

Per il raggiungimento di tali obiettivi è stata data maggiore importanza alla selezione della linea maschile in quanto attraverso i tori, soprattutto con l’inseminazione artificiale, si è in grado, in breve tempo, di diffondere nella popolazione i caratteri richiesti. Il primo passo è rappresentato quindi dall’identificazione dei riproduttori maschi con elevato valore genetico, soggetti che hanno cioè la maggiore probabilità di dare una discendenza superiore alla media della popolazione per i caratteri oggetto di selezione.

La selezione diretta è quella tecnica di miglioramento genetico di una popolazione per la quale la scelta dei riproduttori viene fatta in base al loro valore

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genetico generale stimato per un carattere (mezzo di selezione) che coincide con il carattere da migliorare (obiettivo di selezione).

La selezione è svolta dall’ANABIC tramite due strumenti principali che risultano essere: il Libro Genealogico Nazionale delle razze bovine italiane da carne (Chianina, Marchigiana, Romagnola, Podalica e Maremmana) e la valutazione dei riproduttori.

Oggi lavorano a fianco all’ANABIC il Consorzio di tutela “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale”, il “Consorzio Carni Bovine Italiane” (CCBI) e l’”Italiana Genetica e Servizi” (IGS) per fornire agli allevatori e ai consumatori un insieme di servizi e di prodotti di qualità (Fedeli, 2005).

2.4 Il Libro Genealogico

Presso l’ANABIC opera l’Ufficio Centrale del Libro, con funzione di coordinamento e controllo del lavoro svolto dagli Uffici Provinciali situati presso le APA e distribuiti su tutto il territorio nazionale.

Articolato in 5 sezioni, una per ciascuna razza, raccoglie in archivi informatici il complesso dei dati anagrafici, genealogici, morfologici, produttivi e riproduttivi dei bovini in selezione.

L’organizzazione informatica, avviata nel 1998, ha consentito all’ ANABIC di realizzare il sistema di registrazione, gestione e scambio delle informazioni con la periferia.

Dal 1992 è stata creata e sviluppata la procedura informatica “DATAGEST” per la gestione dei dati presso l’Ufficio Centrale e gli Uffici Provinciali del Libro Genealogico; essa è stata poi costantemente aggiornata al fine di migliorare il servizio offerto alle APA e agli allevatori. Tale procedura consente la registrazione delle informazioni in allevamento e a livello provinciale e la loro elaborazione per produrre statistiche sui dati riproduttivi (età al primo parto, interparto…) e produttivi (pesi, accrescimenti medi giornalieri), stampe

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riepilogative e di supporto al servizio di ipofertilità, certificazioni (Certificati Genealogici, Premi PAC).

Nel 1999 è stata realizzata una procedura destinata agli allevatori che consente la gestione dei dati anagrafici, riproduttivi, produttivi e genetici delle mandrie.

Queste informazioni contribuiscono a determinare il valore genetico dei riproduttori, consentendo di predisporre opportuni piani di accoppiamento e di fornire agli allevatori tutte le informazioni utili per migliorare il proprio bestiame. (Canestrari, 2005)

2.5 La valutazione dei riproduttori: il Performance

Test

Il Performance test è un metodo universalmente accettato ed adottato per le razze da carne, basato sulla valutazione genetica di un soggetto mediante il controllo delle sue prestazioni produttive in ambiente standardizzato. Le prove di performance vengono effettuate presso il Centro Genetico dell’ANABIC, situato a San Martino in Colle (Perugia): le prime prove di performance sono state avviate nell’aprile del 1985 quando il Centro era in grado di accogliere circa 90 capi; oggi invece la prova è estesa a 190 vitelli ogni anno, nel rispetto delle norme relative al benessere animale.

I vitelli entrano al Centro Genetico a 5 mesi, in gruppi di 15, cinque per ogni razza (Chianina, Romagnola, Marchigiana, Maremmana, Podolica).

I soggetti che entrano nel Centro sono scelti in base ai seguenti fattori:

o Potenziale genetico dei genitori, mediante l’indice di selezione toro e l’indice di selezione vacca dei genitori; viene data la precedenza ai figli di tori testati nati da accoppiamenti programmati con le migliori vacche (TOP COW);

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o Valutazione morfologica del soggetto, effettuata da un esperto di razza incaricato dall’ANABIC;

o Analisi effettuate per l’accertamento della paternità e della maternità: sono esclusi i soggetti con formula eritrocitaria incompatibile con quella dei genitori;

o Analisi del cariotipo: sono scartati i soggetti con corredo cromosomico 2n=59.

Gli animali, prima dell’ingresso al Centro, devono aver superato l’accertamento sierologico per TBC, Brucellosi, Leucosi, IBR e Blue Tongue. All’ingresso segue una fase di quarantena e adattamento che ha la funzione di abituare i vitelli al nuovo sistema di allevamento e alimentazione. Al termine di tale periodo il gruppo viene spostano nella stalla di performance in cui permarrà, per tutta la durata della prova, fino al raggiungimento di un anno di età.

Durante la prova di performance, che dura 24 settimane, gli animali sono sottoposti a:

o Pesate doppie in 2 giorni consecutivi, ogni 21 giorni;

o Rilievi zoometrici doppi, in due giorni consecutivi, a inizio e fine prova. La doppia misurazione è utile per evitare eventuali errori nella raccolta dei dati e per calcolare un valore medio che verrà utilizzato nell’analisi;

o Misurazione della circonferenza scrotale, ogni tre mesi;

o Rilievi sullo sviluppo muscolare, al termine della prova.

Al termine della prova i dati rilevati vengono elaborati attraverso un modello BLUP Animal Model. I caratteri oggetto di indicizzazione sono accrescimento e muscolosità; tale modello permette di stimare contemporaneamente gli effetti dei fattori genetici e dei fattori ambientali e tiene conto delle performance del soggetto e di tutti i suoi parenti testati.

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L’elaborazione dei dati mediante il modello BLUP Animal Model consente di ottenere due indici:

1. Indice di accrescimento (GI).

Calcolato nel pre-performance: nel periodo che va dalla nascita all’inizio della prova (Single Trait), comprende i seguenti effetti fissi: azienda di origine, ordine di parto, gruppo di performance.

Calcolato in performance: nel periodo in cui l’animale entra al Centro fino ai 12 mesi. Questo modello considera più caratteri (Multiple Trait).

2. Indice di sviluppo muscolare (MDI).

Comprende i seguenti effetti fissi: gruppo di performance ed esperto (Single Trait).

Questi indici, opportunamente ponderati, concorrono alla determinazione dell’ Indice di Selezione Toro (IST) che è dato per il 50% dall’Indice di accrescimento e per il restante 50% dalla muscolosità.

L’indice di accrescimento tiene conto dell’accrescimento dalla nascita all’inizio della prova di performance (30%) e dell’accrescimento durante la prova di performance (70%) come regressione lineare peso su età per le nove pesate rilevate. La muscolosità deriva dalle otto voci considerate nella valutazione lineare e ponderate in funzione dell’incidenza delle singole regioni sulla quantità e sul valore totale della carne ottenuta dalle mezzene.

Sono abilitati alla Inseminazione Artificiale (I.A.) i soggetti che, al termine della prova di performance, presentano indice genetico IST nel miglior 30%. Del restante 70% circa la metà, ovvero quelli che raggiungono almeno 82 punti di morfologia e che quindi non presentano particolari difetti, sono abilitati alla monta naturale.

Tutti i tori risultati idonei alla I.A. sono sottoposti alla valutazione dell’efficienza riproduttiva tramite l’analisi del materiale seminale per verificare: quantità, densità, colore, motilità totale e progressiva, vitalità del liquido spermatico.

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Nei vent’anni di funzionamento del Centro Genetico si è registrato un grande miglioramento dei due caratteri selezionati, muscolosità a dodici mesi e capacità di accrescimento, con risultati particolarmente evidenti per quanto riguarda l’accrescimento.

Parallelamente alla linea maschile si è lavorato sulla linea femminile avviando un sistema di classificazione delle fattrici basato sull’Indice di

Selezione Vacca (ISV). Tale indice, calcolato a partire dall’Indice di Selezione

Toro e da un indice fenotipico di morfologia, è utilizzato per individuare le madri che, incrociate con tori testati, daranno vitelli che avranno la precedenza di entrata al Centro Genetico.

Sulla linea femminile, oltre a considerare accrescimento e muscolosità, di fondamentale importanza sono la capacità materna, la longevità e la precocità.

A partire dal 2001 è stato elaborato l’Indice Genetico di Morfologia, derivato dalle informazioni di morfologia rilevate sulle manze. I caratteri di morfologia presi in considerazione sono quattro macrofattoriali per le voci di muscolosità (21%), dimensioni (29%), finezza (10%) e arti (10%). Dai quattro macrofattoriali si ricavano i rispettivi indici genetici che concorrono a formare l’indice di morfologia che varia a seconda della razza:

o Marchigiana = 50% IST + 50% (40% muscolosità + 30% dimensioni + 20% finezza + 10% arti);

o Chianina = 50% IST + 50% (30% muscolosità + 60% dimensione + 10% arti);

o Romagnola = 50% IST + 50% (50% muscolosità + 40% dimensioni + 10% arti).

Questo viene poi accorpato con l’Indice di Selezione Toro della fattrice per formare il Nuovo Indice di Selezione Vacca (ISV).

Le vacche nate dal 01.01.2001, per essere madri di toro, devono aver avuto almeno una volta l’ISV pari o superiore a 100.

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Attualmente sono in fase di studio due nuovi indici:

o Indice di Dimensione: da usare nei piani di accoppiamento programmato in cui vengono presi in considerazione i parametri di morfologia con l’intento di ottenere una maggiore diversificazione nell’uso dei tori miglioratori proposti per le razze Chianina, Marchigiana, Romagnola.

o Indice genetico di Accrescimento e Peso in carcassa: per impiegare i dati rilevati alla macellazione per l’individuazione di tori tra la cui discendenza è possibile scegliere i candidati al performance test che presentino sia nuove linee di sangue che un buon potenziale genetico per la produzione di carne.

Una volta individuati i migliori riproduttori attraverso il performance test, la fase successiva del programma di selezione prevede l’impiego oculato degli stessi al fine di diffondere, con la massima rapidità possibile, il loro patrimonio genetico.

Per aumentare il progresso genetico annuo si tende a ridurre l’intervallo di generazione ed è importante che i migliori riproduttori possano iniziare la loro carriera quanto prima; è per tale motivo che i migliori torelli abilitati alla I.A. sono inviati subito nei centri di prelievo ed il loro seme viene diffuso in tutta la popolazione.

Attraverso uno specifico programma di accoppiamenti tali soggetti vengono impiegati sulle migliori vacche ad alto indice di capacità materna. I vitelli maschi, nati da tali accoppiamenti, hanno la precedenza nell’ingresso al Centro Genetico per essere sottoposti ad un nuovo ciclo di performance, avviando così il lavoro della generazione successiva.

Gli accoppiamenti programmati, definiti e avviati sperimentalmente nel 1997 e diventati di routine a partire dal 2000, forniscono agli allevatori l’opportunità di migliorare il livello morfologico e produttivo del proprio bestiame.

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Il servizio è erogato in due versioni:

o La versione “Standard”, che prevede l’indicazione di un solo toro per bovina, viene inviata gratuitamente agli allevatori, tramite le APA, ogni sei mesi.

o La seconda versione, “Personalizzata”, a pagamento, è stata predisposta per gli allevatori più esigenti, che possono, in collaborazione con gli esperti, definire i requisiti minimi dei riproduttori da impiegare sulle rispettive mandrie.

In questo secondo caso vengono consigliati tre tori per ciascuna bovina ed il piano può essere riservato anche solo ad una parte delle bovine presenti in azienda.

In entrambe le versioni, l’accoppiamento viene programmato sulle bovine presenti in allevamento purchè queste ultime risultino valutate su scheda lineare e abbiano ascendenza nota.

Il programma prevede inoltre la compensazione morfologica delle bovine per i tratti di tipicità razziale, muscolosità, dimensioni, struttura e finezza, ordinando i riproduttori per Indice Selezione Toro.

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Per quanto riguarda la razza Chianina di seguito vengono riportati i riproduttori maggiormente impiegati, il loro IST (Indice Selezione Toro), il loro indice AMG (Indice di Accrescimento) e il loro Indice Muscolosità (Tabella 1) (Quaglia et al., 2001).

NOME IST AMG MUSC. PUNTI

DONO 121,959 88,753 142,68 86 DAZZO 154,506 141,194 149,84 90 DREA 123,255 110,786 126,77 90 EOLO 133,152 133,717 132,28 86 GETTO 143,039 138,923 134,17 87 ESCATO 133,952 120,95 134,87 86 LABIRINTO 141,374 128,724 139,9 84 DEODATO 131,735 140,815 115,36 89 ELINO 108,062 110,794 103,55 87 EMAN 142,012 136,366 134,67 84 GIGANTE 135,296 121,156 136,75 84 LENTO 118,343 121,916 110,23 86 LIGIO 119,66 123,388 111,05 86 DIRO 142,949 132,764 139,03 87 IDOLO 125,07 106,716 132,85 86 ETTORE 125,565 115,862 126,18 87 FEROTTO 128,534 117,635 129,28 86 FANFULLO 130,879 136,451 117,59 88 ICARUS-ET 93,913 104,846 86,76 85 EUGENIO 113,018 129,286 96,12 87 ESCO 133,67 123,821 132,11 89 FABIO 125,414 115,024 126,63 85 IOVOSO 114,358 131,828 96,1 84 LIMONE 115,307 111,493 114,06 84 FLUTTO 95,652 99,241 93,97 90 MANDRILLO 156,169 146,156 148,36 88 DITOLO 114,08 132,94 94,77 88 ERIKO 130,04 123,31 126,98 87 GIOTTO 120,591 115,645 118,76 86

Tabella 1: Tori maggiormente impiegati per l’inseminazione artificiale.

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L’azione di selezione ha portato a una notevole evoluzione delle razze in questi ultimi anni.

Nelle razze Chianina, Marchigiana e Romagnola sono fortemente aumentati la capacità di accrescimento (AMG) e lo sviluppo delle masse muscolari, oggetto di selezione diretta. Nella razza Chianina, infatti, prima della prova di performance, i vitelli mostrano un accrescimento medio giornaliero di 1,432 kg/die mentre durante la prova accrescimento arriva a sfiorare 1,7 kg/die con un aumento, negli ultimi dieci anni, di circa 100 gr/die sia per l’AMG in performance che per l’AMG in pre-performance.

A.M.G. MUSCOLOSITA' ANNO

NASCITA I.S.T.

Pre-Perf. Perf. Indice Punti Indice

PESO 365 GG 1994 104,2 1,231 1,664 104,3 326,0 102,9 555,0 1995 105,2 1,240 1,634 106,3 321,6 102,7 559,7 1996 106,7 1,282 1,595 105,9 332,1 105,5 561,1 1998 108,2 1,397 1,661 107,2 355,9 106,7 595,0 1999 109,4 1,353 1,543 106,9 360,7 108,8 568,7 2000 110,3 1,401 1,638 107,6 366,0 109,7 595,1 2001 112,8 1,336 1,769 109,6 373,0 111,9 597,9 2002 113,5 1,338 1,750 109,9 358,3 112,7 594,3 2003 117,3 1,432 1,691 114,1 373,5 115,0 607,2

Tabella 2: Trend indici genetici di tutti i tori testati per la razza Chianina.

Nello stesso periodo la muscolosità è passata da 325 a 365 punti con un aumento di oltre il 10%. Gli indici genetici medi dei torelli testati sono passati da 104 a 117 con un guadagno di oltre una deviazione standard.

Il peso a 365 giorni, negli ultimi anni, è ulteriormente aumentato da 540 a 600 kg circa (Tabella 2) e le principali dimensioni mostrano uno spiccato aumento di quelle trasversali, più marcato rispetto a quelle longitudinali (Grafici 1-6).

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Grafico 1-2: Peso a 365 giorni e altezza al garrese.

Grafico 3-4: Larghezza della groppa agli ischi e larghezza torace.

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Con lo scopo di favorire le analisi e le indagini utili alla selezione e alla valorizzazione, non solo della razza Chianina ma di tutte e cinque le razze bovine italiane da carne, è stata istituita la “Banca del DNA” che raccoglie e conserva il materiale genomico dei principali riproduttori rendendolo disponibile nel tempo, anche dopo la morte dei soggetti stessi. I campioni di tessuto ed il DNA, opportunamente raccolti e conservati, sono disponibili per le seguenti applicazioni:

a) Corretta e univoca identificazione degli animali e dei prodotti alimentari derivati (tracciabilità);

b) Accertamento della razza di origine con opportune analisi molecolari; c) Accertamenti di paternità e maternità per aumentare la sicurezza dei

pedigree e degli indici genetici dei riproduttori;

d) Stima della parentela tra individui e sui livelli di imbreeding delle popolazioni per la salvaguardia della biodiversità e la conservazione della variabilità genetica;

e) Integrazione e miglioramento dei piani di accoppiamento in funzione delle indicazioni sulla somiglianza genetica degli individui (complementare alle informazioni genealogiche);

f) Studio di geni candidati e di marcatori di geni interessati alla produzione di carne (quanti-qualitativa), impiegando anche analogie di sequenze note in altre specie (topo, uomo, maiale);

g) Studio delle anomalie genetiche sfruttando anche le conoscenze ottenute su altre specie (topo, uomo,maiale);

h) Applicazione delle informazioni ottenute dall’analisi dei geni individuati nei programmi di selezione (geni letali e subletali, geni responsabili di anomalie gravi o che compromettono il valore riproduttivo o commerciale degli animali);

i) Scelta dei riproduttori anche in base alle informazioni genomiche che saranno disponibili;

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Il tessuto d’elezione per lo stoccaggio dei campioni è il sangue, che fornisce maggior quantità e miglior qualità del DNA rispetto agli altri tessuti presi in considerazione quali bulbi piliferi e porzioni dell’orecchio.

Il metodo di conservazione adottato prevede l’impiego di carte adsorbenti che consentono di mantenere indefinitamente i campioni essiccati a temperatura ambiente; in questo modo è possibile coniugare efficienza, conservabilità e potenzialità di impiego, sia nello stoccaggio che nella fase operativa, con un’elevata conservabilità del campione biologico.

Prima di avviare la costituzione della Banca del DNA si è ricercato il sistema che offrisse globalmente le migliori garanzie di conservazione e le maggiori possibilità di impiego nel tempo valutando anche l’economicità complessiva del sistema.

Sono quindi stati studiati i tessuti biologici che è possibile prelevare nei bovini da carne con ragionevole semplicità, la loro possibilità di conservazione e di impiego per le successive analisi del DNA.

Il tessuto ideale deve garantire: buona conservabilità del campione tal quale in attesa di essere analizzato, quantità elevate di DNA ottenibili da singole estrazioni, buona qualità del DNA estratto intesa come integrità della doppia elica e stabilità anche in caso di conservazione per lunghi periodi.

Tra i vari tessuti che in teoria è possibile utilizzare l’attenzione si è focalizzata su: sangue intero, bulbi piliferi, porzioni di orecchio (cartilagine e cute). Per questi è stata valutata la possibilità di raccogliere i campioni in routine su un ampio numero di animali senza eccessive complicazioni organizzative. Sono stati valutati anche diversi metodi di prelievo e conservazione dei campioni al fine di soddisfare complessivamente le esigenze di: quantità e qualità del DNA ottenibile dal campione, semplicità ed economicità del prelievo, sicurezza ed economia del sistema di conservazione, stabilità nel tempo del campione, semplicità ed economicità di estrazione del DNA dal campione.

Il DNA ottenibile dai bulbi piliferi è risultato di scarsa qualità (tendenzialmente frammentato), in quantità modeste e a rischio di contaminazione con peli di altri animali. Tuttavia vi sono indubbi vantaggi circa la semplicità ed

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economicità del prelievo e la possibilità di estrazioni ripetute nel tempo senza la necessità di dover scongelare e ricongelare il tessuto.

La porzione di orecchio, prelevabile con un’apposita pinza che ingloba il tessuto in una capsula di materiale plastico, presenta maggiori complessità di estrazione del DNA in quanto bisogna effettuare una vera e propria digestione enzimatica della cartilagine e del derma per far fuoriuscire il DNA dalle cellule. La qualità del DNA è buona, la quantità medio-bassa anche se non sempre costante.

2.6

Caratteristiche

morfologiche

della

razza

Chianina

Nella valutazione delle caratteristiche morfologiche della razza Chianina si tiene conto soprattutto della bellezza funzionale; questo bovino riunisce in sé diverse ottime qualità che gli conferiscono una pregevole estetica ed una elevata adattabilità a condizioni climatiche ed ambientali diverse.

Il grande sviluppo di tutte le parti del corpo e i loro rapporti correttamente proporzionati determinano un gigantismo somatico che comunque non dà mai l’impressione di grossolanità poichè l’armonia delle proporzioni e la correttezza delle forme conferiscono eleganza e dignità: la razza Chianina è quindi caratterizzata dall’imponente mole, lunghezza e altezza del tronco, senza traccia alcuna di grossolanità, apprezzabile dalle ridotte dimensioni della testa e dalla finezza dello scheletro.

Il temperamento è nevrile ma allo stesso tempo docile, senza segno di aggressività o nervosismo.

Caratterizzano la razza gli elevati incrementi giornalieri in peso vivo, che nei giovani maschi possono raggiungere e superare i 2 kg/giorno e i pesi dei soggetti adulti.

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Il mantello è bianco porcellana e, unitamente alla pigmentazione nera della cute, conferisce grande resistenza ai raggi solari.

Secondo i requisiti di razza riportati nel disciplinare del Libro Genealogico, devono presentare pigmentazione nera le seguenti parti: ciglia e margine libero delle palpebre, mucose orali, regione perivulvare e perianale, nappa della coda, fondo dello scroto, fiocco del pisciolare, musello, unghielli e punta delle corna.

La persistenza di peli rossi limitatamente alla regione del sincipite, la coda grigia e la depigmentazione parziale delle mucose orali sono tuttavia tollerate nel caso in cui il soggetto in questione sia dotato di requisiti morfo-funzionali pregevoli, ricordando che tali caratteri non trovano origine in pregresse forme di meticciamento ma nell’estrinsecazione discontinua di geni presenti nel patrimonio della razza.

L’eventuale presenza di gradazioni di colore grigio limitatamente alla regione del collo e della spalla non ha mai contorni definiti, non deve dare l’impressione di colorazione intensa, ma inserirsi in maniera armonica nel mantello: la sua presenza è spesso legata al tipo di allevamento (brado e semibrado).

La cute è pigmentata, sottile, facilmente sollevabile. La finezza della cute oltre che a incidere notevolmente sul valore commerciale della carcassa è importante per garantire una corretta termoregolazione.

La testa è leggera, distinta, espressiva con profilo frontonasale rettilineo, musello ampio: di notevole importanza sono la forma e le dimensioni della scatola cranica che devono essere valutate in funzione della mole generale dell’animale. Il cranio è estremamente leggero, armonicamente inserito al collo, con profili rettilinei, pelle tesa che permette di evidenziare la struttura fine delle ossa cranio-facciali.

I masseteri sono ben sviluppati, il musello è ampio e ben disegnato.

Gli occhi neri, vivaci, attenti conferiscono all’animale una spiccata espressività.

Le corna sono corte, piuttosto sottili, a sezione ellittica, dirette lateralmente ed in avanti; è consentita la decornificazione (Figura 8).

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Figura 8: Aspetto ideale della testa di bovino chianino.

Il collo è corto, forte, muscoloso, ricco di pliche cutanee che esprimono l’estrema finezza della pelle, armonicamente inserito con le regioni contigue. Il toro presenta inoltre un gibbo che ne evidenzia la mascolinità già a partire dai 2 anni di età (Figura 9) (Borgioli, 1975).

Figura 9: Aspetto ideale del toro chianino.

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La spalla deve essere ampia per costituire un’ampia base ai muscoli che in essa si attaccano, ben aderente al tronco senza rilasciamento dei muscoli della cintura toracica, ben diretta cioè aderente al torace e ben angolata, cioè formante un angolo di giusta apertura (115-120°) con l’omero.

Il petto deve essere ampio e potente perché l’ampiezza del petto contribuisce ad aumentare la cavità toracica: deve essere inoltre marcatamente muscoloso, disceso e convesso.

Il torace deve essere ampio e profondo, di altezza almeno uguale alla distanza sterno-suolo con costato ben arcuato. Il torace è infatti una regione di estrema importanza in quanto esprime lo sviluppo di tutta la cavità toracica e quindi degli organi dell’apparato circolatorio e respiratorio.

Il ventre deve essere ampio e sostenuto.

I fianchi devono essere pieni e ben raccordati con le regioni contigue: essi esprimono lo sviluppo della cavità addominale e non devono presentare il rilasciamento della tunica e dei muscoli addominali. La linea superiore deve essere pressoché rettilinea e parallela a quella inferiore.

Il dorso deve essere lungo, largo e muscoloso. I muscoli che segnano questa regione forniscono tagli di prima qualità: il lunghissimo dorsale è il più grosso e il più lungo muscolo pari del corpo ed assume particolare importanza in quanto, insieme agli altri muscoli del tratto dorso-lombare, fornisce tagli di carne ricchi di tessuto muscolare e poveri di connettivo. Il dorso deve pertanto evidenziare al massimo la presenza di tessuto muscolare tanto da manifestare la doppia convessità.

I lombi devono essere muscolosi, spessi, larghi, lunghi. Fanno parte di questa regione, oltre al lunghissimo del dorso, altri muscoli sottolombari che costituiscono tagli commerciali di prima qualità (filetto e controfiletto).

Come per il dorso anche i lombi devono essere marcatamente muscolosi ed armonicamente attaccati al dorso e alla groppa.

La linea dorso-lombare deve essere orizzontale o lievemente inclinata in senso antero-posteriore e deve conferire all’animale un aspetto potente e vigoroso (figura 10).

Figura

Figura 1: Bassorilievo del sacrificio di un toro, Galleria degli Uffizi, Firenze.
Figura 2: Roma. Foro Romano, rilievo rappresentante un Suovetaurilia.
Figura 3:  Vaso greco a figure rosse, 490 a.C., Museo Nazionale Tarquinese, Tarquinia
Figura 4: Colonna Traiana, Traiano purifica l’esercito con i Suovetaurilia, Roma.
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