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Rapporti ISTISAN 09/37 ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ La sperimentazione clinica in oncologia. 2: elementi per la valutazione da parte dei comitati di etica

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ISSN 1123-3117

Rapporti ISTISAN 09/37 La sperimentazione clinica in oncologia.

2: elementi per la valutazione da parte dei comitati di etica

Marina Cicerone (a), Roberta Minacori (a), Antonio G. Spagnolo (a), Carlo Petrini (b)

(a) Istituto di Bioetica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

(b) Unità di Bioetica, Presidenza dell’Istituto Superiore di Sanità, Roma

(2)

Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità e Direttore responsabile: Enrico Garaci Registro della Stampa - Tribunale di Roma n. 131/88 del 1° marzo 1988

2009, 33 p. Rapporti ISTISAN 09/37

Il testo descrive i principali aspetti che occorre esaminare nella valutazione dei protocolli di sperimentazione clinica da parte dei comitati di etica, con particolare riferimento ai trial in oncologia. I trial in concologia, infatti, presentano varie peculiarità. Esse hanno importanti implicazioni di etica per quanto riguarda, per esempio, il consenso informato e il rapporto rischi/benefici. Sono descritti gli aspetti principali riguardanti l’organizzazione degli studi e la tutela delle persone che vi partecipano. Sono elencati i documenti, le linee guida e le normative di riferimento per la valutazione dei protocolli. Il Rapporto è complementare ad un altro testo riguardante la sperimentazione clinica in oncologia, pubblicato nella stessa serie (Rapporti ISTISAN 09/30). Il presente volume è indirizzato ai membri dei comitati etici; il Rapporto ISTISAN 09/30 è indirizzato ai medici e ai ricercatori che eseguono sperimentazioni cliniche in oncologia.

Parole chiave: Bioetica, Comitati di etica, Oncologia, Sperimentazione clinica

Istituto Superiore di Sanità

Human experimentation in oncology. 2: some issues for the evaluation by ethics committees.

Marina Cicerone, Roberta Minacori, Antonio G. Spagnolo, Carlo Petrini 2009, 33 p. Rapporti ISTISAN 09/37 (in Italian)

The report describes the main aspects that ethics committees should consider in the evaluation of human experimentation protocols, and particularly of cancer clinical trial. Cancer clinical trials are characterized by several ethically relevant peculiarities. Among these there are, for example, the informed consent and the risk/benefit balance. The main aspects of the organization of the protocols and the protection of human subjects are described. A list of documents, guidelines and regulations that should be taken into account during the protocols’ evaluation is provided. The text is complementary to another report about the ethics of oncology clinical trial, published in the same series (Rapporti ISTISAN 09/30). This text is addressed to the members of ethics committees; the other one is addressed to researchers and clinicians who perform oncology clinical trial.

Key words: Bioethics, Clinical trial, Ethics Committees, Oncology

Il presente rapporto è realizzato nell’ambito del Programma Straordinario Oncologico a Carattere Nazionale di Alleanza Contro il Cancro (Programma 1 “Riduzione delle disparità nell’accesso dei pazienti ai mezzi diagnostici e alle terapie”, work package 5: “Comunicazione e strutture informative in oncologia”)

Per informazioni su questo documento scrivere a: bioetica@iss.it.

Il rapporto è accessibile online dal sito di questo Istituto: www.iss.it.

Citare questo documento come segue:

Cicerone M, Minacori R, Spagnolo AG, Petrini C. La sperimentazione clinica in oncologia. 2: elementi per la valutazione da parte dei comitati di etica. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2009. (Rapporti ISTISAN 09/37).

(3)

INDICE

Prefazione ... iii

Istituzione dei comitati etici e principi etici della sperimentazione clinica ... 1

Normativa di riferimento per i comitati etici ... 5

Revisione dei protocolli di sperimentazione clinica in oncologia ... 8

Premessa e razionale ... 8

Obiettivi ... 9

Fasi dello studio ... 10

Ricerca pre-clinica ... 10

Trial di fase I... 10

Trial di fase II ... 11

Trial di fase III ... 11

Trial di fase IV ... 12

Disegno ... 12

Placebo... 13

Placebo: il caso dell’ondasetron ... 15

Procedure sperimentali che coinvolgono i pazienti... 15

Selezione dei soggetti ... 16

Sperimentazione in oncologia pediatrica ... 17

Numerosità campionaria ... 19

Trattamento in studio ... 19

Criteri di valutazione di efficacia e sicurezza ... 20

Aspetti etici ... 20

Accordi finanziari e assicurazioni... 20

Criteri di pubblicazione... 21

Idoneità del centro e dello sperimentatore ... 21

Compensi ... 21

Consenso informato ... 22

Conclusioni ... 25

Appendice 1 - Check list degli elementi da considerare per la valutazione etico-scientifica di un protocollo sperimentale... 26

Appendice 2 - Normativa nazionale sulla sperimentazione clinica ... 28

Bibliografia ... 31

(4)
(5)

PREFAZIONE

Il Rapporto è complementare ad un altro testo riguardante la sperimentazione clinica in oncologia, pubblicato nella serie Rapporti ISTISAN, con il numero 09/30. Il presente volume è indirizzato ai membri dei comitati etici; il Rapporto ISTISAN 09/30 è indirizzato ai medici e ai ricercatori che eseguono sperimentazioni cliniche in oncologia. I due documenti sono stati redatti nell’ambito delle attività realizzate dall’Unità Operativa “Bioetica” nel primo “Programma straordinario oncologico a carattere nazionale” di “Alleanza Contro il Cancro” e, specificamente, in un workpackage intitolato “Istituzione di un servizio nazionale informativo sul cancro”.

Alcune risorse informative messe a disposizione tramite “Alleanza Contro il Cancro” sono rivolte ai cittadini. Altre sono rivolte agli operatori: medici, ricercatori, professionisti della sanità. La presente pubblicazione, insieme al testo rivolto a chi esegue le sperimentazioni, è indirizzata prevalentemente a professionisti, ma anche a chi nei comitati etici rappresenta l’associazionismo, il volontariato, l’assistenza.

Le sperimentazioni cliniche in oncologia presentano alcune peculiarità che le differenziano da ogni altro tipo di sperimentazione. Con questo testo si è ritenuto utile proporre ai membri dei comitati di etica uno strumento operativo che possa facilitare la valutazione dei protocolli. Il testo, infatti, evidenzia le peculiarità rispetto alle sperimentazioni cliniche in altri contesti.

Analogamente, il testo offerto agli sperimentatori, è orientato all’operatività: senza la pretesa di illustrare agli sperimentatori gli aspetti tecnico-scientifici di loro competenza, vorrebbe stimolare la sensibilità verso le implicazioni di etica sollevate da tali aspetti.

Le sperimentazioni in oncologia pongono, infatti, problemi di grande rilevanza per l’etica.

Tra gli altri, si devono evidenziare:

− L’utilizzo di sostanze citotossiche, e quindi certamente nocive.

− L’impossibilità di eseguire sperimentazioni con volontari sani e quindi di applicare i normali schemi di sperimentazione, specialmente per quanto riguarda la fase I.

− Il cosiddetto “fraintendimento terapeutico” per cui al paziente risulta difficilmente comprensibile se stia seguendo una normale terapia ormai consolidata oppure se sia soggetto ad un trattamento sperimentale.

I maggiori problemi di etica per la sperimentazione in oncologia, ampiamente discussi in letteratura, riguardano infatti principalmente due aspetti: il rapporto rischio/beneficio e il consenso informato. Il più recente rapporto “La sperimentazione clinica dei medicinali in Italia”

dell’Osservatorio Nazionale sulla Sperimentazione Clinica dei Medicinali (Agenzia Italiana del Farmaco) riferisce che nel 2007 in Italia sono state avviate 194 sperimentazioni in oncologia, corrispondenti al 27,0% del totale. L’83,7% di tali sperimentazioni sono multicentriche

. I dati evidenziano dunque l’elevato numero di comitati etici e di professionisti coinvolti. L’auspicio è di offrire loro, con i due Rapporti ISTISAN, strumenti utili per il lavoro.

Come si è detto, i due testi, pur evidenziando la complessità delle problematiche di etica anche sotto il profilo teorico, hanno però principalmente una finalità operativa nella valutazione dei protocolli. In ciò non si vuole alimentare un’arida burocratizzazione: al contrario, quando il rischio è la polarizzazione dell’attenzione su meccanismi talvolta burocratici e spersonalizzanti di valutazione dei protocolli, si vorrebbe richiamare l’attenzione sulla centralità del paziente. Questi non è l’oggetto della sperimentazione, ma il protagonista.

Carlo Petrini

Unità di Bioetica, Presidenza dell’Istituto Superiore di Sanità

Agenzia Italiana del Farmaco. La sperimentazione clinica dei medicinali in Italia. 7° rapporto nazionale. Rapporto 2008. Roma: Agenzia Italiana del Farmaco; 2008. p. 116-24.

(6)
(7)

ISTITUZIONE DEI COMITATI ETICI E PRINCIPI ETICI DELLA SPERIMENTAZIONE CLINICA

Pur essendo specificato dal DM del 12 maggio 2006 recante “Requisiti minimi per l’istituzione, l’organizzazione e il funzionamento dei Comitati etici per le sperimentazioni cliniche dei medicinali” che il CE può svolgere diversi compiti all’interno dell’Istituzione di appartenenza (art. 1, comma 3: i comitati etici possono svolgere anche una funzione consultiva in relazione a questioni etiche connesse con le \attività scientifiche e assistenziali, allo scopo di proteggere e promuovere i valori della persona umana. Il comitato etico, inoltre, può proporre iniziative di formazione di operatori sanitari relativamente a temi in materia di bioetica), il ruolo prioritario nell’attività del CE continua ad essere quello della revisione dei protocolli di sperimentazione.

La funzione di valutazione dei protocolli di ricerca e di sperimentazione clinica è stata spesso l’occasione per la creazione dei CE. È proprio questa funzione che è sembrata più urgente e più richiesta sia per la molteplicità degli interessi che si muovono nell’ambito della ricerca clinica, sia per la complessità delle competenze richieste, sia anche per le nuove prospettive che si aprono alla sperimentazione farmacologica, medica, e chirurgica.

La valutazione etico-scientifica di un protocollo implica un giudizio relativo al rispetto della difesa della vita dei soggetti, dei diritti dei pazienti di vedere tutelata l’integrità fisica, psichica e morale, e del rispetto dei diritti delle persone che accedono alla struttura per motivi assistenziali.

Perciò il CE ha anche la funzione di verificare la compatibilità delle sperimentazioni non solo con le normative e i regolamenti, ma anche con le caratteristiche culturali e il background etico-morale e religioso della Istituzione dove si attua la sperimentazione.

Nella sperimentazione sull’uomo i principi fondamentali di riferimento, ormai da tempo codificati e riconosciuti a livello internazionale derivano dal “Belmont Report” del 1978 (1), documento prodotto dalla National Commission for the Protection of Human Subject of Biomedical and Behavioural Research che per mandato del Congresso statunitense aveva il compito di identificare i principi etici generali in tema di sperimentazione:

1. Il principio del rispetto delle persone coinvolte nella sperimentazione che implica di trattarle come soggetti autonomi – dove per autonomia si intende la capacità di agire consapevolmente e senza costrizioni – e di tutelarle quando la loro autonomia è ridotta o addirittura assente. Corollario immediato è l’obbligo del consenso informato ai trattamenti sperimentali da parte del soggetto capace o di chi ne è rappresentante legale.

Elemento fondamentale che configura il rispetto per le persone è rappresentato dal

consenso libero e informato del soggetto di sperimentazione. Dal punto di vista etico, e

anche per quanto concerne il consenso, va anche operata una distinzione tra la

sperimentazione terapeutica e la sperimentazione clinica pura. La prima ha una rilevanza

diagnostico-terapeutica diretta al paziente stesso, soggetto di sperimentazione, nel senso

che, pur essendo la finalità ultima l’acquisizione di nuovi dati, vi è anche un potenziale

fine diagnostico terapeutico realmente innovativo rispetto a quanto disponibile; l’altra

ha come obiettivo la verifica di ipotesi scientifiche senza alcuna possibilità di apportare

un beneficio diretto al paziente o al volontario sano. Entrambe hanno dunque la finalità

di acquisire nuove conoscenze e, in ultima analisi, rendere disponibili nuovi mezzi

terapeutici per la società; mentre la sperimentazione terapeutica si caratterizza per

l’obiettivo assoluto o relativo di beneficiare direttamente l’individuo, la

sperimentazione clinica pura è fatta semplicemente a scopo di accertare i dinamismi del

farmaco (o di una tecnica chirurgica). Tale distinzione negli obiettivi è importante ai fini

(8)

del consenso informato: infatti, nella sperimentazione clinica pura il consenso deve essere personale, esplicito e non delegabile, per cui dovrebbe essere escluso, tranne in determinate circostanze, il coinvolgimento dei soggetti incapaci di dare un consenso personale. Diversamente, nelle sperimentazioni con finalità terapeutica la possibilità di beneficio per il paziente invitato a partecipare giustifica, in alcuni casi, la deroga alla necessità del consenso esplicito e personale.

2. Il principio di beneficialità negli interventi sperimentali, cioè di perseguire il bene dei soggetti evitando di arrecare danni agli stessi, e dunque: massimizzare i possibili benefici minimizzando i rischi. La intangibilità della vita e la difesa della sua integrità costituiscono il primo dovere e il primo diritto. A tal fine, per acquisire il massimo di cognizioni valide a ridurre al minimo il rischio nell’applicazione sull’uomo, dovrebbero essere completati con accuratezza tutti gli studi di fase pre-clinica (in laboratorio e sugli animali). Una adeguata valutazione del rischio rispetto ai benefici esige, infine, che la sperimentazione sia condotta da personale competente e qualificato e che sia preventivamente e successivamente revisionata dai comitati di etica.

3. Il principio di giustizia, sia nella distribuzione degli oneri della sperimentazione, in rapporto ai benefici per i soggetti di sperimentazione, sia nel garantire a tutti i soggetti l’accesso alla sperimentazione e ai trattamenti migliori disponibili. Questo principio richiama anche ad un’equa distribuzione di oneri, di rischi e di benefici, cosicché non ci siano all’interno di una stessa sperimentazione gruppi svantaggiati. Altro valore che entra in gioco nella sperimentazione clinica è quello della solidarietà sociale: in forza di questo principio è lecito chiedere al singolo (salvo sempre quanto abbiamo detto dei due valori precedenti da tutelare) una quota di sacrificio o di rischio per il bene della società di cui ognuno è membro.

Tutti questi principi, riconosciuti e consolidati devono essere preceduti da un pre-requisito etico: il valore scientifico e clinico stesso della sperimentazione, la ragionevole evidenza di poter acquisire nuove conoscenze o migliorare le terapie disponibili. Tale requisito è imprescindibile per una valutazione etica, in quanto non è moralmente accettabile l’idea di sottoporre i soggetti ad un rischio, seppur minimo, a fronte di nessun beneficio (neanche indiretto).

Pertanto i valori sopra analizzati motivano l’esigenza di applicare misure di correttezza progettuale, strutturale e procedurale alla sperimentazione clinica, oltre che sufficienti garanzie di sicurezza per i soggetti.

Questa esigenza della revisione etica formalizzata della ricerca biomedica deriva dal fatto che proprio la sperimentazione ha rappresentato una di quelle esperienze morali che hanno turbato profondamente le coscienze nella seconda metà del XX secolo e che possiamo collocare, insieme con la tecnologizzazione della medicina e l’uso ideologico della stessa, fra le condizioni storico-culturali che sono all’origine della bioetica come movimento e come disciplina (2).

All’indomani del Processo di Norimberga, infatti, emerse con sconcertante evidenza che la

ricerca medica poteva essere utilizzata, oltre che per curare, anche per commettere delitti, oggi

conosciuti e raccolti dagli atti del Processo che rimangono come una testimonianza in negativo

di quanto possa essere fatto dal potere assoluto svincolato dalla morale o presunto detentore

della morale stessa, anche con la collaborazione di medici e ricercatori che si lasciarono

strumentalizzare dal potere politico, ritenendosi giustificati perché “costretti” (3). Così,

nonostante che da sempre la ricerca biomedica fosse stata condotta in modo più o meno

controllato – anche in ossequio alle esigenze del metodo sperimentale – la preoccupazione

specifica degli aspetti etici implicati nella conduzione della ricerca si manifestò concretamente

proprio dopo la Seconda Guerra Mondiale, con la documentazione delle atrocità commesse dai

medici nazisti in nome di questa ricerca. E il Codice di Norimberga (1947), con il richiamo alla

(9)

irrinunciabilità del consenso informato dei soggetti di sperimentazione e alla protezione

“oggettiva” di essi da parte dello sperimentatore rappresentò uno dei primi documenti di bioetica ante litteram (4).

Due linee di normative si svilupparono a partire da quel momento tragico: la dottrina dei

“diritti dell’uomo”, culminata nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948 (5), e l‘approvazione via via aggiornata di linee-guida specifiche per l’etica della sperimentazione emanati da organismi internazionali, come l’Associazione Medica Mondiale cui si deve la famosa Dichiarazione di Helsinki, emanata nel 1964 (6). Questa normativa sovranazionale necessariamente veniva ad implicare e richiedere una fondazione teoretica e giustificativa dell’etica della ricerca biomedica, facendo confluire di fatto tale fondazione fra gli ambiti di riflessione della bioetica, la nuova disciplina, appunto, che stava per sorgere.

Ci volle un certo tempo prima che il Codice di Norimberga venisse implementato in termini di sorveglianza formale della ricerca sull’uomo. E così, anche dopo Norimberga, la società nord-americana degli anni ’50-’60 dovette confrontarsi con la realtà di alcune ricerche che non avevano nulla da invidiare a quelle compiute dai medici nazisti, abusi sistematicamente organizzati di sperimentazione selvaggia sull’uomo che generarono profonda sofferenza morale.

Nel 1963, ad esempio, al Jewish Chronic Disease Hospital di Brooklyn erano state iniettate, nel corso di una sperimentazione, cellule tumorali in pazienti anziani, senza il loro consenso, al fine di studiare le modalità di diffusione del tumore. L’età dei soggetti e la prospettiva che gli eventuali effetti negativi di tale esperimento probabilmente non avrebbero fatto in tempo a manifestarsi in loro, permettendo invece lo studio dei meccanismi di metastatizzazione delle neoplasie, furono le ragioni addotte dai medici chiamati a risponderne in tribunale (7). O, ancora, nel periodo 1965-1971 al Willowbrook State Hospital di New York vennero condotti una serie di studi sull’immunizzazione contro l’epatite virale B, inoculando il virus in alcuni bambini orfani, psichicamente handicappati, ricoverati nell’ospedale (7). La non eticità di tale sperimentazione fece decadere la candidatura del ricercatore Saul Krugman, scopritore del vaccino per l’epatite B e responsabile di quegli studi, al premio Nobel per la medicina, praticamente già assegnatogli.

Henry Beecher, professore di anestesiologia alla Facoltà di medicina dell’Università di Harvard pubblicò circa venti anni dopo il Codice di Norimberga un famoso articolo nel quale riportava alcune decine di esempi di ricercatori che avevano messo a rischio la vita e la salute di soggetti umani senza informarli dei pericoli che la ricerca comportava e senza ottenere previamente il loro consenso (7). E l’anno dopo MH Pappworth (8) denunciò centinaia di sperimentazioni non etiche, molte delle quali pubblicate su prestigiose riviste scientifiche.

Sarebbe un errore, tuttavia, pensare che prima della introduzione formalizzata di una

revisione sistematica della ricerca non vi fosse alcuna attenzione alla sicurezza e agli interessi

dei soggetti coinvolti nella sperimentazione. Walter Reed che ha studiato a lungo la febbre

gialla, introdusse sin dal 1900 un vero e proprio consenso informato per i soggetti che

partecipavano alla sperimentazione su questa malattia, con la informazione previa su rischi e la

documentazione del consenso espresso (9). E la Germania, forse primo paese al mondo, emanò

nel 1931 delle linee guida ufficiali, rivolte ai centri di ricerca universitari, che i medici

avrebbero dovuto seguire per l’uso di “nuove terapie” e per l’esecuzione di esperimenti

scientifici. Fatto ancor più sorprendente, tali raccomandazioni riguardanti la sperimentazione

avevano già un precedente in una direttiva emanata nel 1900 dal governo prussiano, in seguito

al dibattito acceso dal “caso Neisser”. Nel 1898 il prof. Albert Neisser, scopritore del batterio

che causa la gonorrea – che venne chiamato appunto Neisseria gonorreae – pubblicò i dati di

una sperimentazione su pazienti sifilitici. Tale pubblicazione fu accompagnata da discussioni e

polemiche poiché Neisser per raggiungere i suoi scopi scientifici aveva iniettato il siero

(10)

proveniente da malati sifilitici a donne dedite alla prostituzione e ad altri pazienti ricoverati per altre patologie, inconsapevoli e ignari di tutto ciò (10).

Nonostante le raccomandazioni contenute nelle Richtlinien possano essere considerate non meno avanzate e cogenti, e in alcuni elementi anche più dettagliate di quelle del Codice di Norimberga e della Dichiarazione di Helsinki, esse non ebbero la forza e l’incisività per impedire a diversi medici di macchiarsi di orribili crimini contro persone inermi, vittime dell’abominio nazista nei campi di concentramento (11). Quello che era mancato in questi esperimenti era non solo il consenso informato dei soggetti, ma anche la correttezza delle procedure del disegno sperimentale (sarebbe più appropriato definire quei metodi folli e disumani!), la protezione contro i rischi eccessivi a cui i soggetti erano esposti, la libertà di potersi ritirare in qualsiasi momento dalla sperimentazione, la mancanza di benefici per i soggetti, lo scarso o nullo valore medico-scientifico delle sperimentazioni in gran parte dei casi.

Furono perciò questi aspetti che la comunità scientifica e sociale ritenne si dovessero valutare prima di dare inizio ad una sperimentazione clinica, ed è da qui che nasce sostanzialmente l’esigenza di una revisione etica previa, sistematica e formale, di ogni progetto di ricerca da parte di una commissione indipendente.

Il più noto esperimento condotto negli USA è stato il Tuskegee Syphilis experiment su un progetto preparato dal Public Health Service: furono sottoposti a sperimentazione cittadini USA di colore e di essi il 20% morirono a seguito di trattamenti invasivi continuati e anche quando la penicillina era ormai disponibile, la sperimentazione continuò (12). A reazione di tale ulteriore scandalo il Presidente Nixon firmò la legge sulla ricerca (13) nella quale, alla sezione 474, si chiedeva la formazione degli Istitutional Review Boards (IRBs), da istituire in tutti i centri in cui veniva fatta con fondi pubblici, ricerca che coinvolgeva soggetti umani, affinché i diritti di tali soggetti venissero tutelati.

Si istituì una Commissione nazionale per la protezione dei soggetti umani nella ricerca

biomedica e comportamentale con il compito di fornire linee-guida etiche per la ricerca,

indicazioni per il funzionamento degli IRBs incaricati alla revisione dei protocolli di

sperimentazione e la formulazione di alcuni principi etici fondamentali per la conduzione delle

sperimentazioni. La commissione lavorò dal 1974 al 1978, producendo il Rapporto Belmont (1)

nel quale vennero riportati i principi etici a cui i ricercatori dovevano ispirarsi: principio del

rispetto delle persone, principio di beneficialità, principio di giustizia, alla luce dei quali gli

IRBs dovevano valutare i protocolli presentati per l’approvazione.

(11)

NORMATIVA DI RIFERIMENTO PER I COMITATI ETICI

È utile fare un rapido excursus sulla normativa, che non ha però la pretesa di esaurire il vastissimo mondo della regolamentazione inerente la sperimentazione, ma piuttosto di porre l’accento su quegli aspetti che sembrano essere più rilevanti e utili per una valutazione etico- scientifica dei protocolli di ricerca.

− Il Codice di Norimberga (4).

In seguito ai crimini perpetrati dai medici nazisti con sperimentazioni condotte senza alcun rispetto della dignità delle persone, è stato elaborato nel 1947 un documento con il quale si è inteso porre dei limiti espliciti a qualsiasi intervento sperimentale su esseri umani, primo fra tutti quello che nessuna sperimentazione poteva essere condotta senza il consenso libero e informato dei soggetti. Tale documento ha rappresentato la base di partenza per la successiva elaborazione di linee-guida specifiche.

− La Dichiarazione di Helsinki (6)

L’Associazione Medica Mondiale adotta la Dichiarazione di Helsinki, il documento di indirizzo più importante e ampiamente accettato nel campo della ricerca medica su esseri umani, nel giugno 1964 nella 18

a

Assemblea Generale (in questa prima revisione non è ancora presente il riferimento ai Comitati etici). Il documento viene emendato con la 29

a

Assemblea generale, Tokyo, Giappone, Ottobre 1975 (questa revisione, lunga almeno il doppio rispetto all’originale, ha introdotto il concetto di supervisione da parte di un comitato indipendente (Articolo I.2) che è divenuto il sistema dei comitati etici negli USA o IRB); Venezia a Ottobre, 1983; 41

a

Assemblea generale a Hong Kong, Settembre 1989;

48

a

Assemblea generale a Somerset West, Repubblica del Sud South Africa, Ottobre 1996; 52

a

Assemblea generale a Edimburgo, Scozia Ottobre 2000; 59

a

Assemblea generale a Seoul, Ottobre 2008.

Tra i punti affrontati segnaliamo i seguenti:

1. viene sottolineato con forza e in modo inequivocabile come sia necessario ottenere il consenso informato, preferibilmente scritto, da parte di tutti i soggetti partecipanti alla ricerca;

2. è stabilito che ogni ricerca deve garantire la possibilità di un beneficio reale a chi vi partecipa. Viene esplicitamente affermato che una ricerca risulta giustificata solo se la popolazione oggetto di studio potrà usufruire dei benefici eventuali derivati dalla ricerca stessa;

3. viene infine richiesto che tutti gli sperimentatori partecipanti allo studio dichiarino l’esistenza di eventuali interessi economici, o altri potenziali conflitti di interesse, in modo che si possa oggettivamente valutare il potenziale rischio dell’interpretazione dei dati di una ricerca motivata da altri interessi che non siano solo quelli scientifici.

Infine si affronta il problema del placebo che verrà discusso in un apposito paragrafo.

− Linee-guida Etiche Internazionali per la Ricerca biomedica che coinvolge soggetti umani (14).

Emanate dal Consiglio delle Organizzazioni Internazionali di Scienze Mediche (CIOMS) in

collaborazione con la World Health Organization (WHO), per la prima volta nel 1982,

riviste prima nel 1993 e in una successiva edizione nel 2002, il documento è costituito da 21

linee-guida e da un ampio commentario alle stesse. Sono trattati i temi fondamentali della

sperimentazione sull’uomo: il consenso informato dei soggetti, l’analisi rischi-benefici, la

selezione dei soggetti di ricerca, il coinvolgimento di popolazioni e comunità con risorse

(12)

limitate, la sperimentazione sui minori e sui soggetti incapaci, il coinvolgimento delle donne in età fertile e in gravidanza, la tutela della riservatezza, il risarcimento ai soggetti impiegati nella ricerca in caso di danno accidentale, le procedure di revisione, la ricerca sponsorizzata dall’esterno.

− Direttive europee

Sin dal 1965 sono state emanate alcune direttive con l’obiettivo di superare le differenze procedurali fra i vari Stati dell’Unione Europea. L’avvicinamento delle legislazioni, però, è proceduto con molta lentezza. La necessità di sviluppare al più presto in Europa alcune linee-guida per la sperimentazione dei nuovi prodotti farmaceutici, in analogia con quanto esisteva negli Stati Uniti ha spinto, perciò, le stesse industrie farmaceutiche a farsi promotrici di un gruppo di lavoro che elaborasse alcune linee-guida coinvolgendo successivamente la stessa CEE. Tali linee-guida dovevano raggiungere l’obiettivo di:

armonizzare i requisiti per la conduzione dei trial nei vari centri di ricerca europei, uniformandoli a quelli internazionali; rendere credibili i trial stessi così da non doverli ripetere nei diversi paesi dove viene chiesta la registrazione del farmaco; assicurare il più alto standard etico a protezione dei soggetti di sperimentazione; garantire, in generale, un alto livello scientifico. Ciascuno stato membro designò un delegato per partecipare ai lavori del Working Party on Efficacy of Drugs, uno dei gruppi di studio costituiti dal Committee for Proprietary Medicinal Products (CPMP) con l’incarico di elaborare il documento. Così, a partire dal 1985, fu elaborata una prima stesura della Good clinical practice for trial on medical products in the European Community (GCP), “Norme di Buona Pratica Clinica”

finalizzate a stabilire i principi standard nella conduzione dei trial per la sperimentazione su soggetti umani di nuovi prodotti farmaceutici, il testo fu completato nel 1988. Dopo diverse revisioni, il documento è diventato la Direttiva n. 91/507/CEE (15) che è stato recepito in Italia, con il DM del 27 aprile 1992 (16).

Le GCP sono state concepite per essere “indirizzate”, principalmente alle industrie farmaceutiche che programmano la sperimentazione di nuovi prodotti, ma di fatto riguardano tutti gli attori coinvolti nelle fasi di sperimentazioni.

Nel luglio del 1996, il Comitato permanente per i medicinali per uso umano (CPMP) dell’Agenzia europea per la valutazione dei medicinali (EMEA) ha aggiornato le GCP – alle quali ogni Paese membro dell’Unione Europea è tenuto ad uniformarsi – con il documento Good Clinical Practice: Consolidated Guide-line (17). La Direttiva è stata adottata in Italia con il Decreto del Ministero della Sanità del 15 luglio 1997 (18). Va segnalato anche che questa seconda edizione delle GCP costituisce il riferimento non solo per l’Unione Europea (UE), ma anche per gli Stati Uniti e il Giappone. Un apposito Comitato definito International Conference on Harmonization (ICH), costituito da rappresentanti delle tre aree geografiche (UE, USA e Giappone), lavorò infatti congiuntamente per rilasciare un testo unico al quale attenersi.

Tra i vari pronunciamenti in ambito europeo, approfondimenti per le procedure da adottare

da parte dei comitati etici, dei promotori e degli sperimentatori, sono stati apportati

attraverso la Direttiva 2001/20/CE (19), relativa all’applicazione della buona pratica clinica

nell’esecuzione delle sperimentazioni cliniche farmacologiche, inclusi gli studi

multicentrici e dalla Direttiva 2005/28/CE (20), dell’8 aprile 2005, della Commissione delle

Comunità Europee. Quest’ultima direttiva stabilisce i principi e le linee guida dettagliate

per la buona pratica clinica relativa ai medicinali in sperimentazione sull’uomo e i requisiti

per l’autorizzazione alla fabbricazione e all’importazione degli stessi. Tale direttiva

ribadisce che “i diritti, la sicurezza e il benessere dei soggetti della sperimentazione

devono prevalere sugli interessi della scienza e della società”; ciascuna persona che

partecipi alla realizzazione dell’esperimento deve essere qualificata, in base alla sua

(13)

istruzione, formazione ed esperienza, ad eseguire i propri compiti; le sperimentazioni cliniche devono essere valide dal punto di vista scientifico e guidate da principi etici in tutti i loro aspetti; devono essere osservate le procedure necessarie per assicurare la qualità di ogni aspetto delle sperimentazioni.

− La Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina (21)

La Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina del Consiglio d’Europa, affronta i temi della ricerca scientifica sull’uomo, analizzando tra gli altri, le condizioni per le quali una persona può legittimamente sottoporsi a ricerca scientifica (art. 16) e i criteri di tutela delle persone incapaci di esprimere un valido consenso informato (art. 17).

− Normativa Italiana

La Direttiva europea sui trial clinici 2001/20/EC ha puntato ad armonizzare e a elaborare standard medico-scientifici ed etici da applicare per i trial clinici in via di svolgimento in tutta l’Unione europea. Tale normativa recepita in Italia con il DL.vo 211/2003 (22) è oggi la legge che regolamenta la sperimentazione nel nostro Paese e che detta norme per la protezione di tutti i soggetti di sperimentazione, e in particolare per i minori e i soggetti incapaci. Un ulteriore importante pronunciamento legislativo, per quanto riguarda l’Italia, e lo è particolarmente per la sperimentazione in campo oncologico, è quello relativo alla cosiddetta “sperimentazione no profit” (23). Oltre a tutta la sperimentazione sponsorizzata, finalizzata all’immissione in commercio di nuovi farmaci e regolamentata dal citato DL.vo 211/2003, il Legislatore ha voluto fornire, attraverso l’emanazione del Decreto del 17 Dicembre 2004, un supporto e una particolare attenzione anche alla sperimentazione che non ha fini commerciali o di lucro ma è volta ad ottenere un miglioramento della pratica clinica. Il suddetto Decreto, infatti, detta condizioni e prescrizioni di carattere generale relative all’esecuzione delle sperimentazioni cliniche finalizzate al miglioramento della pratica clinica quale parte integrante dell’assistenza sanitaria e non a fini industriali, ad esempio il miglioramento dell’uso terapeutico dei farmaci (es. ottenere migliori protocolli terapeutici, individuando associazioni o usi sequenziali di farmaci o di farmaci più altri interventi – chirurgia, radioterapia – più efficaci rispetto a quelli correntemente in uso, ecc.).

Infine, un’ulteriore tipologia di studio che può essere condotta in ambito oncologico è quella di tipo osservazionale, che è oggi dettagliatamente regolamentata dalla Determinazione dell’Agenzia Italiana del Farmaco del 20 marzo 2008 (24).

In Appendice 2 è riportato l’elenco della normativa nazionale sulla sperimentazione.

(14)

REVISIONE DEI PROTOCOLLI DI SPERIMENTAZIONE CLINICA IN ONCOLOGIA

Nella valutazione etico-scientifica dei protocolli sperimentali il CE dovrebbe attentamente considerare alcuni aspetti (Appendice 1).

Nella sperimentazione in oncologia è necessaria una analisi della popolazione considerata. Il ruolo del CE è quello di garantire la salute e il benessere dei soggetti in sperimentazione, ma esistono delle categorie di pazienti, cosiddetti vulnerabili, che per la loro posizione di particolare debolezza avranno bisogno di una tutela maggiore da parte del CE (25).

Tali soggetti si identificano in pazienti con limitate capacità cognitive tali da compromettere la reale possibilità di esprimere un consenso realmente informato e valido: in questa categoria sono da considerare i bambini e i soggetti affetti da malattia di Alzheimer o da altre demenze; ci sono poi da considerare anche i soggetti in cui la capacità di prendere autonomamente una decisione libera e consapevole può essere compromessa dalla posizione di dipendenza, o dal timore o dalla paura di ripercussioni, ciò può accadere soprattutto per soggetti che si trovano con limitazioni della libertà personale come, ad esempio, i prigionieri, i militari, gli studenti di una facoltà di medicina. Ci possono essere anche soggetti che sono incapaci di proteggere i propri interessi, perché hanno una riduzione delle capacità di prendere decisioni autonome a causa di gravi patologie che possono indurre una particolare fragilità psico-sociale. Può essere proprio il caso del paziente oncologico che, pur mantenendo, in genere, la capacità di intendere e di volere, si trova in una condizione tale – per la malattia avanzata, la non disponibilità di altri trattamenti, la prognosi infausta – da compromettere, dal punto di vista psico-fisico, la capacità di esprimere una volontà libera e consapevole. Il concetto di vulnerabilità espresso nelle Good Clinical Practice, d’altronde, richiama a quanto precedentemente detto, laddove si fa riferimento a “individui la cui decisione di offrirsi come volontari in uno studio clinico può essere influenzata impropriamente dall’aspettativa, sia essa giustificata o meno, di benefici legati alla partecipazione… esempi sono pazienti affetti da malattie incurabili…”.

Entrando poi nell’analisi del protocollo gli aspetti da considerare saranno i seguenti.

Premessa e razionale

La sperimentazione clinica dei farmaci, essendo un mezzo necessario per scoprire nuovi e migliori presidi terapeutici, diagnostici e di prevenzione contro le malattie, se condotta in modo metodologicamente corretto e nelle condizioni moralmente accettabili, non soltanto è lecita, ma costituisce un servizio all’uomo e partecipa della bontà e del valore della scienza. La sperimentazione, quindi, è necessaria per il progresso della scienza medica.

Pertanto il primo aspetto che dovrà essere valutato è il razionale dello studio proposto. Il razionale dovrà contenere le ipotesi da testare, i dati disponibili sul farmaco da studiare (farmacocinetica, farmacodinamica), i dati su efficacia e tollerabilità, la bibliografia idonea a sostenere le ipotesi proposte.

Per i trial oncologici, a motivo della elevata tossicità dei farmaci, le prime fasi della

sperimentazione sull’uomo non possono essere attuate su volontari sani, pertanto i trial vanno a

sperimentare nuove molecole direttamente su persone malate, bypassando la fase di

sperimentazione sui volontari sani. Ciò comporta la necessità di effettuare una attenta

valutazione dei dati preliminari, ottenuti nella fase pre-clinica, in laboratorio e su animali.

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Infatti, solo dopo questo attento studio della tossicità e della sicurezza, il CE potrà valutare se le ipotesi proposte sono scientificamente e clinicamente plausibili e rispettose della dignità della persona malata, e l’obiettivo della sperimentazione potrà essere di beneficio per i pazienti partecipanti (e per futuri altri nelle stesse condizioni), evitando rischi e disagi inutili e prevedibili.

Dato che l’intangibilità della vita del paziente e la difesa della sua integrità costituiscono il primo dovere per gli sperimentatori e il primo diritto per i malati è necessario che tutti gli aspetti medico-scientifici ed etici del protocollo siano valutati con accuratezza sin dalla fase preclinica.

Oltre ad una valutazione sulla validità scientifica delle ipotesi proposte, rispetto al sapere scientifico disponibile fino a quel momento, il CE dovrà, dunque, verificare la rispondenza di tali ipotesi con i principi etici prima richiamati del Belmont Report (1) e riconosciuti a livello internazionale: il rispetto per le persone, il dovere della beneficialità, il richiamo alla giustizia.

Oltre che dal razionale, la validità scientifica della sperimentazione e la credibilità dei dati originati dalla stessa dipendono dalla progettazione e conduzione dello studio, pertanto, dopo una attenta analisi delle ipotesi proposte, il CE dovrà verificare che le metodologie scelte siano le più adeguate per il raggiungimento degli obiettivi indicati nel protocollo.

Obiettivi

È indispensabile una valutazione appropriata dello scopo principale dello studio ossia del quesito al quale gli sperimentatori sono più interessati a rispondere, e al quale lo studio vuole dare una soluzione. La definizione dello scopo primario è fondamentale e determina la scelta del disegno dello studio e delle dimensioni del campione. Gli obiettivi secondari sono i quesiti in qualche modo correlati al quesito primario (altri endpoint, analisi per sottogruppi, tossicità, ecc.). È molto importante che nel progetto vi sia una netta distinzione tra l’obiettivo in generale, (cioè un generico orientamento di una sperimentazione; es. lo studio si propone di valutare il ruolo del farmaco per il diabete), lo scopo specifico (cioè il quesito preciso al quale lo studio intende rispondere, ad esempio valutare l’attività di un nuovo principio attivo nell’andamento della glicemia nei pazienti con diabete tipo I) e l’endpoint (cioè una specifica variabile quantitativa di risposta che renda misurabile e oggettiva la risposta ad un quesito specifico (es.

la riduzione del diametro della massa tumorale).

È opportuno che il CE accerti che nello studio sia identificato un solo scopo primario, in quanto la scelta di più di uno scopo primario potrebbe verosimilmente creare problemi di tipo metodologico e statistico, tali da compromettere la significatività dei risultati e l’utilità stessa dello studio.

Nella sperimentazione oncologica, sia nel caso di sperimentazione di nuove molecole che

possano implementare le terapie disponibili per contrastare la patologia, sia nel caso di

sperimentazione di terapie palliative, per migliorare la qualità di vita del soggetto – data la

particolare vulnerabilità dei pazienti coinvolti – l’obiettivo dovrà implicare almeno un

potenziale beneficio diretto per il soggetto – a partire già dalla fase I – altrimenti lo studio non

dovrebbe essere considerato eticamente giustificabile (26).

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Fasi dello studio

Ricerca pre-clinica

Il primo elemento che il CE dovrà aver cura di verificare – prima che una nuova terapia possa essere somministrata sperimentalmente ai pazienti – sono i dati provenienti dagli studi di laboratorio e sugli animali che devono far presumere l’efficacia e la sicurezza di impiego della nuova molecola

Trial di fase I

Sono i primi studi relativi all’impiego di una nuova terapia sull’uomo (27, 28). La fase I serve a raccogliere dati su dosaggio, tempi d’azione, distribuzione e metabolismo, tollerabilità – ma non ancora su efficacia – di una terapia sperimentale. In questa fase della ricerca clinica, il dosaggio di un farmaco in sperimentazione viene gradualmente aumentato fino a definire una dose sicura da utilizzare in modo soddisfacente. Si raccolgono, inoltre, dati su come il farmaco viene assunto, metabolizzato e distribuito nell’organismo. Anche se nella fase I l’efficacia non è un obiettivo specifico, nei trial oncologici si auspica che alcuni pazienti rispondano al trattamento già in questa fase. Tuttavia, i trial di fase I oncologici sollevano alcune fondamentali problematiche di carattere etico:

a. il rapporto rischio-beneficio potrebbe essere intrinsecamente sfavorevole per i soggetti;

b. la capacità di esprimere un consenso realmente informato e valido, da parte dei pazienti coinvolti, può essere compromessa dalla gravità della patologia, tanto da rendere questi particolarmente vulnerabili (29).

Alcuni studiosi hanno dibattuto sull’eticità dei trial oncologici di fase (29) e se questi offrono realmente una chance di beneficio clinico che giustifichi i rischi che i pazienti devono affrontare. Perciò, un numero crescente di studi empirici ha tentato di quantificare il rapporto rischio-beneficio della ricerca di fase I in ambito oncologico. In generale, la ricerca clinica dovrebbe essere condotta solo quando i rischi siano minimizzati e siano prevedibili potenziali effetti positivi per i soggetti partecipanti, dunque i potenziali benefici per gli stessi pazienti e la società giustifichino i rischi. Dunque, i trial clinici in cui non è previsto, negli obiettivi, un beneficio diretto per i pazienti partecipanti, sarebbero da considerare eticamente accettabili solo se è prevedibile, per gli stessi, un rischio minimo, controllabile e non incidente sulla salute. È auspicabile considerare delle strategie per facilitare e ottimizzare la valutazione etico-scientifica del trial:

1. considerare il valore del trial di fase I (30) per il singolo soggetto. Partecipare al trial potrebbe costituire l’unica alternativa terapeutica per il paziente, anche se le conoscenze disponibili non consentissero, nemmeno in via presuntiva, di stabilire la reale possibilità di un beneficio clinico;

2. valutare concretamente il livello di comprensione dell’informazione fornita ai pazienti

includibili nello studio. In ogni sperimentazione clinica è importante verificare la reale

comprensione dei soggetti rispetto alle informazioni fornite loro, ma tale esigenza si fa

maggiore in un contesto di particolare vulnerabilità, quale l’arruolamento di pazienti

oncologici in un trial di fase I. Si potrebbe allora prevedere, da parte del CE, non soltanto

una adeguata valutazione dei moduli di consenso informato ma anche la richiesta di

strumenti per la verifica oggettiva della comprensione dell’informazione ai fini del

consenso. Per distinguere i problemi di comprensione da quelli di capacità di memoria, la

valutazione dovrebbe essere effettuata subito dopo che lo studio è stato spiegato al

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soggetto e prima che al soggetto venga chiesto il consenso. Questa valutazione dovrebbe includere 5 concetti fondamentali:

- la necessità di contribuire a raccogliere informazioni che potrebbero essere utili ad altri nel futuro.

- la volontà di partecipare al trial pur essendo consapevole dell’ assenza o della scarsa rilevanza di benefici medici diretti

- la previsione di un minimo livello di rischio per il soggetto, anche se al riguardo deve essere specificato che si tratta di previsioni non sempre certe.

- l’assoluta libertà di partecipazione.

- l’assicurazione che la decisione di partecipare o rifiutare non influenzerà la cura e la gestione della sua malattia;

3. esaminare le ripercussioni sulla relazione sperimentatore-paziente, un elemento delicato nell’ambito della ricerca soprattutto in quella oncologica. La vulnerabilità dei pazienti oncologici e la peculiarità dei trial di fase I rende tale rapporto ancora più difficile.

Secondo alcuni autori potrebbe essere ragionevole considerare, ad esempio, che un altro medico dell’èquipe, e non colui che ha in cura il paziente, fornisse l’informazione e raccogliesse il suo consenso. Questo potrebbe ridurre il rischio che i soggetti si possano sentire influenzati e “costretti” a partecipare allo studio, come potrebbe accadere se a formulare la proposta fosse il proprio medico curante.

Trial di fase II

Questi studi forniscono informazioni più dettagliate sulla sicurezza e sull’attività del farmaco. In particolare, viene indagata la capacità del nuovo trattamento di indurre delle modificazioni attraverso le quali si presume possa essere ottenuto un vantaggio clinico contro una specifica patologia. La durata di queste sperimentazioni, in genere, non è superiore a 2 anni e, trattandosi di una fase preliminare, il numero di pazienti coinvolti dovrebbe essere molto limitato (20-40 pazienti).

Trial di fase III

Questo tipo di trial ha l’obiettivo, in genere, di confrontare il trattamento sperimentale con il gold standard correntemente utilizzato nella pratica clinica. Gli studi di fase III servono a valutare l’efficacia e la sicurezza di un nuovo trattamento, attraverso la definizione, nell’obiettivo primario e negli eventuali obiettivi secondari, di determinati endpoints che devono essere raggiunti (es. migliore controllo glicemico per un ipoglicemizzante). In questa fase, che può durare anche più anni, si raccolgono ulteriori dati, coinvolgendo un numero di pazienti molto ampio (dalle centinaia alle migliaia), per verificare se il nuovo trattamento, o una nuova combinazione di farmaci, ha un’efficacia superiore o pari ma con minore tossicità, oppure se è meno efficace ma anche meno tossico e meno costoso, o, infine, se può essere somministrato con modalità più accettabili per i pazienti. Il disegno considerato ottimale per i trial di fase III prevede la randomizzazione e il confronto con uno o più trattamenti (si parla, infatti, di trial clinico controllato e randomizzato).

Trial di fase IV

Questi studi servono a verificare ulteriormente e su larga scala i risultati, relativi sia

all’efficacia sia alla sicurezza (farmacovigilanza) degli studi di fase III che hanno portato alla

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registrazione e commercializzazione del farmaco, per confermare che siano generalizzabili alla popolazione. Si effettuano su pazienti poco selezionati e sono progettati per valutare l’efficacia e la sicurezza del farmaco già in uso nella popolazione reale.

Disegno

Il disegno sperimentale deve essere giustificato ed elaborato in relazione all’obiettivo proposto, al razionale e al cosiddetto background, ovvero a tutte le conoscenze ed esperienze medico-scientifiche note e pertinenti l’oggetto dello studio. In questo paragrafo del protocollo si devono descrivere la modalità di conduzione dello studio, le metodologie, gli obiettivi (primari e secondari), la patologia oggetto di studio, i trattamenti di confronto (o il placebo) e il piano di analisi statistica. Il CE dovrà valutare l’adeguatezza:

− del disegno, rispetto alla fase dello studio e all’obiettivo prefissato, soffermandosi sulla giustificazione etico-scientifica del confronto;

− della randomizzazione, ovvero l’assegnazione dei soggetti già inclusi ai gruppi di trattamento – sperimentale, placebo o altri – secondo una sequenza casuale (at random) decisa generalmente attraverso un software;

− del mascheramento usato per prevenire distorsioni o pregiudizi nella valutazione dei risultati, qualora si conoscesse il tipo di trattamento.

Lo studio si definisce:

· singolo cieco o semplice quando o lo sperimentatore o il soggetto non sono a conoscenza del trattamento assegnato;

· singolo cieco con doppio osservatore quando oltre allo sperimentatore responsabile che è a conoscenza del tipo di trattamento assegnato ad ogni soggetto vi è un altro sperimentatore che valuta i risultati dei gruppi di trattamento ma non è a conoscenza del trattamento assegnato (observer blind);

· doppio cieco quando né lo sperimentatore né il soggetto sono a conoscenza del farmaco assegnato (e i due trattamenti sono indistinguibili);

· doppio cieco con doppio mascheramento, quando i trattamenti da confrontare sono facilmente distinguibili (es. uno è somministrato per via intramuscolo e l’altro per via endovenosa) e per mantenere “la cecità” è necessario somministrare, a tutti i gruppi alternativamente, il placebo di tutti i trattamenti previsti (31).

Nei trial oncologici, anche nella valutazione del disegno è importante considerare la eventuale vulnerabilità dei pazienti. Si dovrà, quindi, verificare che il soggetto riceva, a qualunque braccio sperimentale egli venga assegnato, un trattamento adeguato. Solo in tal caso la randomizzazione potrà essere considerata equa, quindi eticamente accettabile (clinical equipoise).

L’impiego di queste metodiche (randomizzazione, doppio cieco) possono creare problemi

etici rilevanti. Nel caso di una sperimentazione di un nuovo trattamento, ma con un obiettivo

non terapeutico sui pazienti coinvolti e già in trattamento, è eticamente doveroso accertarsi che

l’eventuale sospensione della terapia ordinaria non esponga i pazienti a rischi per la salute e la

vita. Inoltre è comunque necessario che i pazienti comprendano appieno, prima di esprimere il

consenso, il significato delle procedure di randomizzazione e di doppio cieco e come esse

modificheranno il loro rapporto con il medico curante. Se la sperimentazione ha una finalità

terapeutica si deve comunque avere la certezza, in caso di sospensione delle cure ordinarie, che i

benefici attesi dal nuovo trattamento non siano inferiori a quelli già ottenuti o previsti con il

trattamento standard.

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Il disegno sperimentale del trial clinico può essere:

− di superiorità, qualora l’obiettivo primario sia verificare se il trattamento sperimentale fornisce un risultato superiore al trattamento di confronto (standard terapeutico o placebo);

− di equivalenza, per fare verifiche su farmaci per cui si presume una differenza irrilevante o nulla;

− di non inferiorità, quando si presume che tra un nuovo trattamento e lo standard terapeutico vi sia una sorta di similarità, entro certi limiti predefiniti. Il limite è rappresentato dal livello di inferiorità considerato tollerabile per il nuovo farmaco rispetto allo standard di riferimento. Questa arbitraria differenza in termini di perdita di efficacia si definisce “margine di non-inferiorità” o “delta”. Il farmaco sperimentale di cui si vuole verificare la non-inferiorità può in realtà essere meno efficace o meno sicuro, ma non tanto da essere riconosciuto come tale. Vi è un ampio dibattito sulla giustificazione etica degli studi di non inferiorità. Per molti studiosi tale disegno sembra rispondere più che altro ad interessi di marketing e non apporterebbero alcun vantaggio significativo per i pazienti, né alla scienza medica. Recentemente il Comitato Nazionale per la Bioetica ha elaborato un documento su questo tema, raccomandando di evitare la elaborazione di tale tipologia di trial e di verificarne con accuratezza, da parte del CE, la giustificabilità e la trasparenza dell’obiettivo (32).

Placebo

Un altro aspetto di particolare rilevanza nella valutazione del CE è il confronto del trattamento sperimentale con il placebo (cioè una sostanza apparentemente sovrapponibile a ciò che si vuole confrontare ma che è in realtà farmacologicamente inerte). Tale tipologia di confronto è richiesta, innanzitutto, per esigenze regolatorie nei trial clinici controllati e randomizzati, affinché si abbiano dati sulla superiorità del nuovo farmaco rispetto al placebo (onde evitare, come in passato, l’immissione in commercio di farmaci rivelatisi così scarsamente efficaci da essere considerati come dei placebo). Il placebo può costituire un valido strumento metodologico quando, nella verifica degli risultati del trattamento sperimentale, si vuole eliminare ogni possibile interferenza soggettiva nella valutazione degli effetti realmente attribuibili al nuovo farmaco. Il confronto con placebo può essere scelto anche per motivazioni strategiche commerciali (realizzare più facilmente e velocemente la significatività statistica dell’obiettivo diminuendo la numerosità del campione, quindi anche i tempi di arruolamento e conduzione dello studio, e i relativi costi). Perciò il CE ha una particolare responsabilità nella valutazione della giustificazione scientifica, clinica ed etica del confronto versus placebo (33).

In linea di principio, l’utilizzo del placebo può essere considerato accettabile – anche in studi

che coinvolgono soggetti vulnerabili – a condizione che sia adeguatamente giustificato nel

protocollo e non comporti rischi aggiuntivi per i soggetti stessi. Pertanto, il CE dovrà fare di

volta in volta una valutazione di questa metodologia in relazione alla rilevanza della patologia

oggetto della ricerca, allo stadio della malattia e alla disponibilità di eventuali altri trattamenti

validati. Ad esempio, il confronto con placebo si potrebbe considerare accettabile nel caso di

una patologia in remissione dopo trattamento, qualora si volesse valutare l’efficacia di un nuovo

farmaco per prevenire le recidive (qualora l’assenza di recidive sia parte della storia naturale

della malattia). Oppure, il controllo con placebo può essere giustificato per valutare l’efficacia

di un nuovo trattamento per patologie che presentano o un decorso e una severità alternante, con

spontanee fasi di remissione o un decorso incerto e imprevedibile. Infine, il placebo costituisce

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un controllo accettabile (a volte anzi auspicabile) quando l’efficacia delle terapie disponibili ha scarso valore clinico o è dubbia, o è gravata da effetti avversi seri o non è disponibile alcuna terapia efficace (33).

Al contrario, non si potrà assolutamente accettare l’uso del placebo ogni volta che tale utilizzo comporti la privazione, per i soggetti in studio, di altri trattamenti efficaci disponibili, perché questo significherebbe una violazione del principio di difesa della vita fisica (del diritto, per il paziente, di ricevere la migliore terapia disponibile e del dovere, da parte del curante, di fornirla), e pertanto sarebbe eticamente inaccettabile.

Alcune considerazioni di carattere metodologico ed etico-deontologico: lo scopo della medicina e della ricerca clinica è tener conto di quanto già esiste e trovare qualcosa che sia migliore; il medico ha l’obbligo primario clinico-terapeutico, nei confronti del malato, antecedente ad ogni altro interesse sia della scienza sia della società o di futuri pazienti. Le diverse linee-guida etiche sull’uso del placebo nella ricerca clinica, per la verità, non forniscono indicazioni chiare e univoche. Nella quarta revisione della dichiarazione di Helsinki si aggiunse la frase: “... non esclude l’uso di placebo inerti in studi ove non esista alcun provato metodo diagnostico o terapeutico”. Nella quinta revisione art. 29 si afferma che l’uso del placebo (o l’assenza del trattamento) è lecito ove non esista un provato intervento profilattico, diagnostico o terapeutico. Infatti negli studi clinici il comparatore dovrebbe essere il miglior trattamento disponibile. Nel 2002 e nel 2004, furono inserite alcune note di chiarificazione agli articoli 29 e 30. Vennero quindi indicate, in aggiunta, le circostanze in cui un placebo poteva essere considerato “eticamente accettabile”, vale a dire: “per imprescindibili... motivi di ordine metodologico” o “per condizioni minori” ove “il rischio di danni seri o irreversibili”, è considerato basso. Nell’ultima revisione della Dichiarazione, a Seoul nel 2008, (Principi aggiuntivi per la ricerca medica associata alle cure mediche 31-32) si ribadisce che i benefici, i rischi, i disagi e l’efficacia di un nuovo trattamento devono essere testati in confronto con quelli del trattamento migliore in uso, ma viene ribadito che l’uso del placebo è accettabile non solo quando non esistono trattamenti comprovati, ma anche per valide ragioni metodologiche- scientifiche, oppure quando l’uso del placebo è necessario per determinare l’efficacia o la sicurezza e i soggetti coinvolti non avranno rischi di danni seri e irreversibili. La posizione circa il confronto del placebo delle linee guida CIOMS (14) del 2002 è pressoché sovrapponibile a quello delle ultime versioni della Dichiarazione (6). Si afferma, infatti, che i nuovi trattamenti andrebbero confrontati con trattamenti efficaci e confermati, anche se in alcune circostanze è ammissibile l’uso di un braccio con placebo come confronto: quando non esiste un intervento di comprovata efficacia, o quando vi sono rischi minimi. Più restrittiva è, invece, la posizione della normativa italiana: in particolare, nel Decreto Ministeriale 12 maggio 2006 (34) si afferma che i pazienti assegnati al gruppo del controllo con placebo non possono essere trattati con placebo, se sono disponibili trattamenti efficaci noti, oppure se l’uso del placebo comporta sofferenza, prolungamento di malattia o rischio. L’acquisizione del consenso non è una garanzia sufficiente né di scientificità, né di eticità del protocollo di studio e pertanto non esime il Comitato Etico dalla necessità di una valutazione globale del rapporto rischio/beneficio del trattamento sperimentale. Pertanto, a prescindere dalle diverse posizioni assunte dai documenti internazionali, la normativa italiana impone al CE di verificare in ogni caso il rapporto rischio- beneficio per il paziente e di valutare attentamente l’informativa che ad esso viene fornita.

Rimane, infatti, l’obbligo di fornire al paziente una informazione esauriente e comprensibile,

circa: il significato di placebo, l’esigenza scientifica (e non clinica) di eseguire tale confronto e

di non esserne a conoscenza, le probabilità di essere assegnato casualmente (e non per decisione

del medico curante) al gruppo che lo riceverà, i rischi nel braccio di trattamento e in quello del

placebo circa mortalità, morbilità, disabilità, legate alla patologia. È importante, infine,

sottolineare, dal punto di vista etico-deontologico e giuridico, due criticità: 1) l’ottenimento di

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un valido consenso informato alla sperimentazione controllata con placebo non esime, comunque, il medico dal dovere di somministrare al paziente il miglior trattamento disponibile;

2) se il paziente non riceve una informazione completa e chiara, il consenso informato ottenuto potrebbe essere considerato non valido e si potrebbe configurare un vero e proprio inganno ai danni del paziente.

Placebo: il caso dell’ondasetron

Il trial clinico randomizzato e controllato con placebo per la valutazione di ondansetron – un farmaco antiemetico per gestire la nausea e il vomito da agenti chemioterapici altamente emetici – condotto tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, è un esempio di uso non eticamente accettabile del controllo versus placebo.

Effettivamente, ci sarebbero ragioni metodologiche per giustificare l’uso del placebo per i farmaci antiemetici: la natura variabile e transitoria del sintomo “nausea”, la sua non infrequente spontanea remissione, l’alta frequenza di risposta al placebo. Nel 1981, infatti, la dimostrazione inequivocabile dell’efficacia della metoclopramide per il trattamento della nausea nella chemioterapia venne condotta con un trial contro placebo. Ma in quel caso non erano disponibili altri trattamenti efficaci. Successivamente i trial per la valutazione dell’efficacia e della sicurezza di altri farmaci antiemetici, come appunto l’ondasetron, avrebbero dovuto tener conto di quel gold standard disponibile, la metoclopramide. Dunque, non poteva più considerarsi eticamente giustificato, nei trial di farmaci antiemetici, un controllo con placebo. Era chiaro – anche se il trial per la valutazione dell’ondansetron fu, purtroppo, approvato da alcuni CE ed eseguito – che il gruppo dei pazienti assegnati al controllo con placebo sarebbe stato indebitamente privato di una terapia antiemetica efficace e avrebbe subito ulteriori disagi e sofferenze evitabili. Pur trattandosi di un danno serio ma reversibile, in questo caso il controllo con placebo doveva essere ritenuto, dai CE non giustificato e inaccettabile e il trial non doveva essere approvato con questo disegno (33).

Il CE, dunque, ha la grave responsabilità di pronunciarsi, caso per caso, tenendo conto dei principi etici condivisi e delle normative vigenti, anche sulla giustificabilità etico-scientifica del controllo con placebo, poiché – al contrario del caso appena citato – in altre condizioni tale tipo di confronto, anche in un trial oncologico, potrebbe essere considerato accettabile, laddove ai pazienti, nonostante il placebo, fossero comunque garantiti il miglior trattamento e la massima sicurezza per evitare rischi ulteriori.

Procedure sperimentali che coinvolgono i pazienti

È necessario che nel protocollo vengano dettagliate tutte le procedure con le relative tempistiche. In questa sezione dovrà essere descritto tutto il programma delle rilevazioni clinico- diagnostiche che si intendono eseguire su ogni paziente nel corso dello studio, le visite cliniche, le interviste o la compilazione di questionari, test ematochimici, esami strumentali, ecc.

Spesso nel corso di una sperimentazione vengono richieste visite ed esami supplementari, che non fanno parte della normale prassi clinica, quindi potrebbe accadere – in alcuni casi – che le procedure sperimentali possano arrecare ulteriori sofferenze, disagi o rischi per i pazienti.

Dunque il principio-guida per il CE, oltre che per lo sperimentatore, deve essere il diritto-dovere

al rispetto dell’integrità psicofisica dei pazienti. È d’obbligo esaminare con cura che tutte le

procedure previste dal protocollo siano effettivamente necessarie e non comportino sofferenze,

disagi e rischi evitabili e inutili e solo se nessuna di queste costituisce un pericolo, o una

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sofferenza aggiuntiva per i pazienti, il protocollo può essere considerato eticamente accettabile.

Inoltre, i pazienti devono essere informati del fatto che eseguiranno visite ed esami aggiuntivi, rispetto alla pratica clinica standard, ma solo per motivi legati alla partecipazione allo studio.

Naturalmente, la valutazione dei rischi e dei disagi delle procedure andrà bilanciata rispetto al reale beneficio che i pazienti potrebbero ricevere da tali indagini.

Più che in altri ambiti, soprattutto nella ricerca oncologica è importante il ruolo del CE nel valutare la giustificabilità etico-scientifica di tutte le procedure, tenendo in considerazione lo stadio della malattia, il reale beneficio che il soggetto potrà avere dall’indagine proposta e l’impatto di tali procedure sulla qualità di vita di questi pazienti, spesso già compromessa.

Un aspetto particolare che coinvolge soprattutto i pazienti oncologici è la richiesta di effettuare biopsie, obbligatorie o facoltative, nell’ambito di uno studio. L’obbligo per il paziente di eseguire biopsie (35) non necessarie per la diagnosi e la stadiazione della sua malattia, ma solo per esigenze scientifiche – non sempre giustificate – va contro il principio di autonomia e sembra piuttosto un atto di coercizione verso il soggetto, a cui, magari, si chiede di partecipare allo studio, solo subordinatamente all’esecuzione della biopsia. I CE dovrebbero perciò evitare che nel protocollo vengano richieste biopsie aggiuntive, rispetto a quelle necessarie per la diagnosi e la stadiazione, richiedendo le reali motivazioni di tale richiesta (spesso fatta solo per raccogliere campioni tissutali). Pertanto in tutti i casi in cui le biopsie siano finalizzate unicamente allo studio queste dovrebbero essere opzionali e dovrebbe essere data al paziente la possibilità di non sottoporvisi.

In entrambi i casi, l’eticità della procedura è comunque strettamente legata e vincolata alla reale comprensione, da parte del paziente, del significato dell’indagine proposta prima di fornire il consenso.

Selezione dei soggetti

La ricerca è considerata valida solo se il campione è adeguato sia per numerosità sia per le caratteristiche della popolazione coinvolta nello studio. Pertanto l’arruolamento, che deve avvenire secondo criteri ben definiti, deve permettere di raggiungere il campione statisticamente richiesto (prevedendo anche gli abbandoni e i casi non completati). Nella preparazione del protocollo e nella previsione dei tempi di arruolamento e di inizio dello studio si dovrà, dunque, cercare di prevedere eventuali difficoltà di arruolamento, tenendo conto di taluni elementi come la frequenza della patologia nella popolazione o la sua gravità.

I criteri di eleggibilità indicano i requisiti che deve avere la popolazione in studio, definiti attraverso alcuni criteri di inclusione ed esclusione. I criteri di inclusione definiscono le caratteristiche demografiche, ambientali, diagnostiche, prognostiche dei soggetti che saranno arruolati. I criteri di esclusione definiscono le patologie concomitanti ed eventuali controindicazioni.

Nel protocollo si devono, inoltre, indicare la durata dello studio e i criteri di interruzione (bisogna specificare quando e come ritirare i soggetti dalla sperimentazione; tipologia dei dati e tempistica della raccolta dei dati relativi ai soggetti ritirati; se e come i soggetti possono essere sostituiti; follow-up per i soggetti ritirati dalla sperimentazione). Ciò per garantire sempre la massima sicurezza per i pazienti.

Se questi aspetti non fossero analiticamente e rigorosamente descritti nel protocollo, il CE

deve richiedere integrazioni e modifiche dello stesso, altrimenti si renderebbe corresponsabile di

una conduzione metodologicamente non corretta e molto probabilmente invalidante dello studio

e soprattutto di non aver ottemperato all’obbligo di verificare tutte le necessarie garanzie per la

sicurezza dei pazienti.

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