DI TORINO
Rapporto economico sul settore agricolo e agroalimentare nella provincia di Torino
Edizione 2008
Il presente “Rapporto economico sul settore agricolo e agroalimentare nella provincia di Torino” è stato realizzato da Borsa Merci Telematica Italiana S.c.p.A. in collaborazione e con il contributo della Camera di commercio industria artigianato e agricoltura di Torino.
Camera di commercio di Torino Presidente: Alessandro Barberis Segretario Generale: Guido Bolatto
Borsa Merci Telematica Italiana S.c.p.A.
Presidente: Francesco Bettoni Direttore: Annibale Feroldi
“Rapporto economico sul settore agricolo e agroalimentare nella provincia di Torino”
Gruppo di lavoro BMTI: Gianluca Pesolillo (responsabile studio), Giampaolo Nardoni, Antonella Guzzon, Ilaria Romano, Maria Carmela Somma
Ricercatore esterno: Dario Maiolino
Sommario
Premessa
... 5Introduzione
... 7Parte prima
... 91. Scenario macroeconomico ... 11
1.1 Lo scenario internazionale. Domanda, offerta ed esplosione del prezzo delle materie prime agricole ... 11
1.1.1 Il caso del mercato cerealicolo nazionale ... 16
1.1.2 Il rientro dei prezzi dei cereali ... 18
1.2 Biocarburanti ... 20
1.2.1 Costi di produzione biocarburanti e competitività con i carburanti fossili ... 22
1.2.2 Il potenziale bioenergetico europeo ... 24
1.2.3 Scenari di produzione e di consumo in Italia ... 24
1.3 Obiettivi e storia della Politica Agricola Comunitaria ... 26
1.3.1 La riforma Fischler del 2003 ... 27
1.3.2 Gestione dei rischi e delle crisi ... 29
1.3.3 Organizzazioni comuni di mercato (OCM) ... 30
1.3.4 La riforma del 2003 in Italia ... 35
1.3.5 Verifica della PAC (Health Check 2007) ... 36
1.3.6 Concorrenza ... 38
1.3.7 Sicurezza dei prodotti alimentari ... 38
1.3.8 Benessere degli animali ... 39
1.3.9 Ambiente ... 40
1.4 Il Programma di Sviluppo Rurale ... 41
1.4.1 Piano di sviluppo rurale della regione Piemonte ... 48
2. Il contesto nazionale ... 61
2.1 Il valore aggiunto ... 61
2.2 Il tessuto imprenditoriale ... 66
2.3 La produzione agricola... 74
2.4 I consumi delle famiglie ... 76
2.5 I prezzi ... 79
3. Il settore agricolo e agroalimentare nella provincia di Torino ... 81
3.1 Valore aggiunto ... 81
3.2 Il tessuto imprenditoriale ... 96
3.3 La produzione agricola... 102
3.4 Il commercio estero ... 127
4. Le produzioni tipiche locali ... 131
4.1 Definizioni di prodotti DOP e IGP ... 132
4.2 I prodotti DOP e IGP in Italia ... 133
4.3 I prodotti tipici del Piemonte ... 147
4.4 I prodotti certificati della provincia di Torino ... 150
5. La Borsa Merci Telematica Italiana ... 155
5.1 La Borsa Merci Telematica Italiana ... 155
5.2 I risultati della Borsa Merci Telematica Italiana ... 158
5.3 Le contrattazioni telematiche nella regione Piemonte e nella provincia di Torino ... 161
Parte seconda
... 1636. I prezzi dei prodotti agricoli e agroalimentari ... 165
6.1 Avicunicolo ... 167
6.2 Cereali ... 183
6.3 Farine e Sottoprodotti della macinazione ... 199
6.4 Lattiero ‐ Caseari ... 203
6.5 Olio ... 211
7. I prezzi sulla Borsa Merci Telematica Italiana ... 225
7.1 La Comunicazione Prezzi ... 226
Appendice
... 229Bibliografia
... 315Sitografia
... 317
Premessa
Le vicende che hanno caratterizzato i mercati agricoli mondiali negli ultimi due anni, prima la fortissima crescita dei prezzi nel periodo compreso tra l’estate del 2007 e i primi mesi del 2008, poi la successiva fase di flessione verificatasi a partire dalla primavera, hanno contribuito a riportare il settore agricolo al centro dell’attenzione dei governi nazionali e, soprattutto, dell’opinione pubblica.
Al tempo stesso, risulta ormai chiara la stretta interdipendenza che lega l’economia mondiale e le vicende di una finanza sempre più globalizzata con le agricolture dei singoli paesi. Molte economie si troveranno a dover affrontare cali più o meno consistenti dei consumi alimentari, direttamente connessi alla crisi che l’economia reale sta vivendo, largamente riconosciuta come conseguenza della crisi finanziaria ed economica globale.
Sulla base di questi presupposti, la Camera di commercio di Torino ha voluto realizzare un Rapporto annuale sull’economia agroalimentare a livello provinciale al fine di comprendere e delineare il quadro del settore agroalimentare nella regione Piemonte e, in particolare, nella provincia di Torino, andando a ricercare quali sono gli elementi strutturali e le dinamiche che lo contraddistinguono.
L’auspicio è che quanto emerso dallo studio possa contribuire ad una migliore conoscenza dei punti di debolezza e delle opportunità di sviluppo di un settore importante dell’economia territoriale.
Alessandro Barberis Francesco Bettoni
Presidente della Camera di commercio di Torino Presidente BMTI S.C.p.A.
Introduzione
Il presente Rapporto economico sul settore agricolo e agroalimentare nella provincia di Torino è strutturato in due parti.
Nella prima parte viene presentata inizialmente un’analisi approfondita dello scenario macroeconomico, mettendo in evidenza sia le cause che, nella seconda parte del 2007, hanno determinato l’esplosione dei prezzi delle materie prime agricole sui mercati internazionali sia i motivi che, a partire dalla primavera del 2008, hanno provocato il progressivo rientro delle quotazioni. In particolare, viene analizzato il caso del mercato cerealicolo nazionale. Viene poi fornito un quadro sul settore dei biocarburanti e sulla Politica Agricola Comunitaria, mettendo in evidenza gli effetti della Riforma Fischler del 2003 e le misure previste nell’Health Check del 2007. L’analisi dello scenario macroeconomico è completata con una descrizione del Programma di Sviluppo Rurale, soffermandosi sul Piano di sviluppo rurale della regione Piemonte.
Il Rapporto passa poi ad esaminare il contesto economico nazionale, al cui interno il settore agricolo evidenzia chiari segnali di debolezza sia in termini di diminuzione della propria incidenza sul valore aggiunto sia da un punto di vista di “sofferenza” del tessuto imprenditoriale. L’analisi sul settore primario viene ulteriormente approfondita attraverso l’esame della produzione agricola, dei consumi delle famiglie e dei prezzi al consumo dei prodotti alimentari.
Successivamente l’analisi si sposta sul settore agricolo ed agroalimentare a livello locale, effettuando un’analisi del valore aggiunto, del tessuto imprenditoriale, della produzione agricola e del commercio estero sia a livello regionale che provinciale.
Infine, la prima parte del Rapporto si caratterizza per la presenza di due capitoli dedicati, rispettivamente, alle produzioni tipiche locali, in cui si evidenzia la forte importanza che le produzioni di qualità ed il loro riconoscimento rivestono in Piemonte e nella provincia di Torino, e alla Borsa Merci Telematica Italiana, il mercato telematico regolamentato dei prodotti agricoli, agroalimentari ed ittici.
Nella seconda parte del Rapporto viene presentata un’analisi sui prezzi dei prodotti appartenenti ai settori dell’avicunicolo, dei cereali, delle farine e sottoprodotti alla macinazione, dei lattiero‐caseari e dell’olio, con particolare riferimento ai prodotti quotati nel listino pubblicato dalla Camera di commercio di Torino.
Infine, viene fornito un resoconto completo dei prezzi di tutti i prodotti agricoli transati sulla Borsa Merci Telematica Italiana nella regione Piemonte e nella provincia di Torino.
Parte prima
1. Scenario macroeconomico
1.1 Lo scenario internazionale. Domanda, offerta ed esplosione del prezzo delle materie prime agricole
In un contesto economico internazionale caratterizzato dal progressivo aggravarsi della crisi finanziaria globale, che ha colpito alcune delle più grandi istituzioni finanziarie americane ed europee, provocando fortissime cadute dei corsi di borsa e creando timori non solo di un collasso del mercato finanziario mondiale ma anche di una profonda recessione per le economie dei principali paesi industrializzati, i mercati agricoli internazionali sono stati travolti nel biennio 2007‐08 da un insieme di avvenimenti che hanno messo a dura prova la struttura stessa dei mercati.
A partire dall’estate del 2007 e fino alla metà del 2008, si è assistito ad un progressivo incremento delle quotazioni delle principali commodity agricole sui mercati internazionali. La drastica crescita dei prezzi agricoli è stata ancor più eccezionale in quanto ha colpito un settore che da alcuni decenni assisteva ad una loro costante diminuzione, secondo la teoria che vuole i prezzi agricoli nel lungo periodo in calo grazie agli effetti positivi del progresso tecnico.
Se tale crescita ha coinvolto tutte le maggiori categorie di materie prime destinate all’alimentazione umana, il caso senza dubbio più eclatante ha riguardato le quotazioni dei principali cereali (frumenti, mais, riso) e dei prodotti oleaginosi (soia in primis), prodotti base per l’alimentazione mondiale, sia in termini di consumo diretto che di input per le filiere zootecniche. Come si può osservare nella tabella 1.1.1, il grano e il riso hanno raggiunto le rispettive quotazioni massime nella primavera del 2008 mentre il prezzo di mais e soia ha raggiunto i massimi livelli nel mese di giugno 2008.
Tabella 1.1.1: Variazioni dei prezzi di alcune commodity agricole nel periodo 2005‐2008
Prodotto Prezzo medio 2005 ($/tonn)
Prezzo giugno 2008 ($/tonn)
Variazione giugno 2008/
media 2005 (%)
Valore max. nel periodo 2006‐08
($/tonn)
Variazione valore max. periodo/ media
2005 (%)
Grano 152,44 348,55 128,7% 439,72
Marzo 2008 188,5%
Mais 98,41 287,11 191,8% 287,11
Giugno 2008 191,8%
Riso 287,81 834,60 190,0% 1.015,21
Aprile 2008 252,7%
Soia 223,13 552,47 147,6% 552,47
Giugno 2008 147,6%
Fonte: Nomisma
Per dare un’idea degli aumenti che hanno colpito i mercati agricoli internazionali a partire dall’estate del 2007 viene riportato graficamente l’andamento degli indici dei prezzi di alcune delle principali commodity agricole elaborati dalla FAO.
Grafico 1.1.1: Indice mensile dei prezzi (1998‐2000=100) dei cereali nel periodo feb 07 ‐ ott 08
Fonte: FAO
Grafico 1.1.2: Indice mensile dei prezzi (1998‐2000=100) degli oli e dei grassi nel periodo gen 05 ‐ ott 08
Fonte: FAO
0 50 100 150 200 250 300 350
0 50 100 150 200 250 300 350
Grafico 1.1.3: Indice mensile dei prezzi (1998‐2000=100) dei prodotti lattiero – caseari nel periodo gen 05 ‐ ott 08
Fonte: FAO
Alla base di questo vero e proprio shock dei prezzi sui mercati agricoli ci sono fattori che sono sia di natura strutturale che congiunturale.
Tra i fattori di natura strutturale occorre citare innanzitutto la contrazione dell’offerta, conseguenza sia della riduzione del tasso di crescita della produzione agricola, dovuta a una minore crescita delle rese rispetto al passato, che della diminuzione degli investimenti in strutture e in ricerca. La riduzione dell’offerta, tuttavia, è stata anche causata dalla attuazione di nuove politiche agrarie meno protezioniste nei confronti del settore agricolo. L’effetto di tali politiche ha comportato così una riduzione delle scorte da parte dei principali paesi esportatori.
Tuttavia, a livello strutturale, è l’aumento della domanda dei prodotti agricoli il vero elemento cardine che ha causato la violenta crescita dei prezzi. Prima di tutto, l’aumento della domanda alimentare nei paesi emergenti, Cina e India in testa. Le crescenti disponibilità finanziarie di questi paesi e lo sviluppo delle classi medie, inteso come miglioramento delle condizioni di vita, sta comportando la modifica delle loro abitudini alimentari, orientando i consumi alimentari verso alimenti ad alto contenuto di proteine animali, come ad esempio carne e prodotti lattiero caseari. Di conseguenza, aumenta la domanda di questi prodotti sui mercati internazionali e, insieme con essa, anche la domanda di cereali da destinare all’alimentazione animale.
Accanto alla crescita della domanda di prodotti alimentari, il settore agricolo ha dovuto far fronte all’aumento della domanda di mais, frumento, soia, colza, zucchero, olio di palma e di altri prodotti oleaginosi da utilizzare per la produzione di biocarburanti. Questo secondo tipo di domanda, spinto dall’alto prezzo del petrolio e da politiche di incentivazione nell’utilizzo dei biocombustibili, è entrato rapidamente in competizione con la domanda alimentare per l’uso delle risorse agricole (terra coltivabile e acqua soprattutto), contribuendo così a spingere verso l’alto le quotazioni delle commodity agricole. Basti pensare al caso del mais negli Stati Uniti, paese che da solo copre i 2/3 delle esportazioni mondiali di questo prodotto (FAPRI 2008) e in cui la crescita dei consumi per la produzione di etanolo ha determinato un aumento del prezzo del mais quotato presso il Chicago Board of Trade. A sua volta, l’incremento del prezzo ha spinto gli agricoltori ad aumentare la superficie destinata all’uso di mais da destinare alla produzione di etanolo, sottraendo superfici ad altre coltivazioni (soia, orzo e cotone principalmente) e causando, conseguentemente, anche l’aumento del prezzo di quest’ultime.
0 50 100 150 200 250 300 350
Lo squilibrio tra un’offerta strutturalmente in contrazione e una domanda in espansione, per i motivi precedentemente citati, è stato ulteriormente aggravato da una serie di fattori congiunturali. In primo luogo l’andamento climatico sfavorevole, che ha inciso negativamente soprattutto sulla produzione di cereali. La stagione estremamente calda che ha colpito il Canada e la vera e propria siccità che ha investito l’Australia hanno causato una fortissima riduzione della produzione cerealicola del secondo e terzo paese esportatore mondiale di frumento. Forte riduzione che si è verificata, a causa delle troppe piogge, anche in Francia, principale produttore di frumento tenero in Europa. La conseguenza di questi avvenimenti è stata una riduzione drastica delle scorte cerealicole mondiali, altro elemento che è andato ad incidere sulla crescita dei prezzi. In aggiunta, per salvaguardare la propria domanda interna, paesi esportatori come Argentina, Russia, Kazakistan e Ucraina hanno deciso di imporre dazi alle esportazioni cerealicole, limitando le quantità di prodotto disponibili sul mercato mondiale. Similmente è avvenuto nel mercato del riso, dove l’India e il Vietnam, rispettivamente secondo e terzo paese esportatore mondiale, hanno ridotto drasticamente le proprie esportazioni.
In secondo luogo va citato l’aumento del costo del petrolio, giunto nel mese di luglio 2008 quasi alla soglia dei 150 $ al barile, che ha influito negativamente sui prezzi agricoli non solo in termini di incremento dei costi dei mezzi tecnici (dai fertilizzanti ai carburanti, dai trasporti ai processi di essicazione, stoccaggio e conservazione dei prodotti) ma anche di maggiore spinta alla produzione di biocarburanti, visti come possibili sostituti del petrolio stesso. E quest’ultimo elemento spiega lo stretto legame ormai esistente tra andamento del prezzo del petrolio e andamento del prezzo delle materie prime agricole.
Terzo elemento congiunturale è stato il deprezzamento del dollaro rispetto alle diverse monete dei paesi produttori di alimenti, oltre che rispetto all’euro. In sostanza, nel momento in cui il dollaro si è svalutato, i paesi produttori, al momento di esportare, hanno chiesto prezzi maggiori per il proprio prodotto in modo da non subire il deprezzamento del dollaro stesso. Questo elemento ha inciso notevolmente in quanto le quotazioni delle principali commodity agricole sul mercato mondiale sono espresse in dollari.
Infine, altri due fattori, correlati tra loro, hanno influenzato i prezzi agricoli: la crisi dei mercati finanziari e lo scoppio della bolla immobiliare. La crisi dei mercati finanziari, iniziata nell’estate 2007 e causata principalmente dalle vicende dei mutui subprime americani, ha contribuito infatti a spostare l’attenzione degli investitori verso i mercati delle commodity agricole, ritenuti più sicuri, causando l’accentuarsi dei fenomeni speculativi su questi mercati, il cui effetto ha spinto al rialzo i prezzi agricoli.
L’operare congiunto degli elementi precedentemente citati ha portato ad una situazione in cui i consumi sono risultati superiori alla produzione, con il conseguente effetto di ridurre gli stock mondiali di materie prime.
Nelle tabelle 1.1.2 e 1.1.3 vengono riportati i dati relativi al mercato mondiale del frumento e del mais. In entrambi i mercati, sin dalla campagna 2005/06 i consumi sono stati maggiori della produzione. In particolare, per il frumento si può notare come a partire dalla campagna 2004/05 le scorte mondiali sono state in progressivo calo, risentendo da un lato della contrazione dell’offerta e dall’altro dell’aumento della domanda, giungendo nella campagna 2007/08 a toccare i 118 milioni di tonnellate, valore più basso dalla campagna 1979/80. Nel caso del mais, invece, si può osservare come a partire dalla campagna 2004/05 i consumi siano progressivamente cresciuti, risentendo non solo dell’aumento della domanda per uso alimentare ma anche del consistente aumento della domanda di mais per la produzione di biocarburanti.
Tabella 1.1.2: Il mercato mondiale del grano (milioni di tonnellate)
2004/05 2005/06 2006/07 2007/08 2008/09*
25‐set 30‐ott
Produzione 628 621 598 610 676 683
Scambi 110 110 110 110 116 117
Consumo 615 625 611 614 646 651
Stocks 139 135 122 118 153 150
5 principali esportatori** 56 55 39 29 41 44
* Stime
** Argentina, Australia, Canada, Stati Uniti, Unione Europea Fonte: International Grains Council
Tabella 1.1.3: Il mercato mondiale del mais (milioni di tonnellate)
2004/05 2005/06 2006/07 2007/08 2008/09*
25‐set 30‐ott
Produzione 713 696 708 787 771 773
Scambi 76 79 87 100 87 86
Consumo 686 700 724 775 788 790
Stocks 135 132 116 128 109 111
* Stime
Fonte: International Grains Council
Il boom dei prezzi delle materie prime agricole ha investito l’intero mercato agricolo mondiale mettendo in difficoltà soprattutto i paesi più poveri. L’inflazione dei prezzi alimentari, infatti, colpisce maggiormente le popolazioni povere poiché la spesa per procurarsi il cibo rappresenta una quota molto più alta del totale del loro budget di quanto non sia per le popolazioni più ricche. La spesa per il cibo rappresenta oggi solo il 10‐20 % della spesa complessiva del consumatore nei paesi industrializzati ma per il consumatore dei paesi in via di sviluppo, molti dei quali si trovano a far dipendere il proprio fabbisogno alimentare quasi esclusivamente dalle importazioni, può arrivare a rappresentare sino al 60‐80 % del totale.
Di conseguenza, l’aumento dei prezzi agricoli ha comportato per i paesi più poveri due tipi di conseguenze negative: in primo luogo un fortissimo aumento della spesa per le importazioni alimentari e, in secondo luogo, la creazione di forti tensioni sociali nella popolazione, sfociate in manifestazioni violente, come avvenuto nel mese di marzo 2008 in Egitto, Camerun, Costa d’Avorio, Senegal, Burkina Faso, Indonesia, Madagascar, Haiti oppure in Pakistan ed in Thailandia dove si è dovuto ricorrere all’esercito per evitare assalti al cibo nei campi e nei magazzini.
L’impennata dei prezzi delle commodity agricole ha creato ripercussioni anche nei mercati agricoli dei paesi industrializzati. In tal senso l’Unione Europea, al fine di salvaguardare il mercato interno dalla carenza di offerta agricola e dopo anni di politiche finalizzate a contenere la produzione agricola (si pensi al cosiddetto disaccoppiamento della produzione), è intervenuta sia abolendo il set‐aside (ovvero la misura contenuta nella Politica agricola comunitaria che prevedeva la messa a riposo obbligatoria del 10% dei terreni coltivabili) sia sospendendo, nel dicembre 2007, i dazi da applicare alle importazioni di cereali per i rimanenti mesi della campagna di commercializzazione 2007/08, cioè fino al 30 giugno 2008 (v. paragrafo 1.3).
1.1.1 Il caso del mercato cerealicolo nazionale
Nel caso dell’Italia, le conseguenze dell’aumento dei prezzi agricoli nel biennio 2007‐08 si sono fatte sentire soprattutto nel mercato dei cereali. Il mercato cerealicolo nazionale, infatti, in modo particolare quello dei frumenti, è ormai strutturalmente dipendente dalle importazioni estere, subendo pertanto le conseguenze dell’andamento dei prezzi sul mercato europeo ed internazionale.
Il rapporto tra produzione nazionale e fabbisogno di frumento è in costante squilibrio, risentendo della forte domanda di materia prima proveniente dall’industria di trasformazione; una domanda strutturalmente superiore all’offerta è di per sé una prima causa di tensioni sul versante dei prezzi. In aggiunta, va detto che il mercato è fortemente influenzato dalla qualità del prodotto. Raccolti buoni a livello quantitativo ma non a livello qualitativo comportano comunque un necessario flusso di importazioni dall’estero, con la conseguenza che è il mercato estero che fissa il livello del prezzo nel mercato italiano. Tra l’altro, nel caso del frumento duro la struttura del mercato è fortemente concentrata, con pochi grandi esportatori, tra cui Canada e Stati Uniti che da soli rappresentano un terzo delle importazioni nazionali (Ismea 2007). In particolare, oltre due terzi (66,4%) delle importazioni italiane di frumento duro provengono da paesi extra UE. Nel caso del frumento tenero la dipendenza dall’estero è ancora più forte, con il prezzo nazionale che, generalmente, dipende strettamente dall’andamento del prezzo francese più i costi di trasporto e i costi di transazione. L’Italia importa frumento tenero soprattutto dai paesi appartenenti all’Unione Europea, la cui quota rappresenta il 61,5% del totale (Ismea 2007).
Per quanto riguarda il mercato del mais, la dipendenza dal mercato estero è inferiore rispetto ai frumenti, in quanto la produzione interna fa fronte a più dell’80% del fabbisogno, come riportato dai dati Nomisma relativi all’anno 2006. Tra i principali fornitori, oltre alla Francia, ci sono i paesi dell’est Europa, Ungheria in testa. In questo mercato, tuttavia, il fortissimo rialzo dei prezzi nella campagna 2007/08 è stato trainato non solo da un aumento della domanda per uso alimentare ma anche da un aumento della domanda per usi non alimentari, ovvero per la produzione di biocarburanti.
Ai fattori di dipendenza strutturale dall’estero precedentemente citati, occorre aggiungere che anche l’Italia è stata colpita nel 2007 da andamenti climatici assolutamente sfavorevoli. Il risultato di questo insieme di cause è stato la fortissima tensione sui prezzi che hanno contraddistinto il mercato interno dei frumenti e del mais nel periodo giugno 2007 – marzo 2008.
Nei tre grafici seguenti, utilizzando il FINC – Fixing Indicativo Nazionale Camerale 1 – realizzato dalla Borsa Merci Telematica Italiana, viene descritto l’andamento del prezzo nel mercato nazionale del frumento duro, del frumento tenero e del mais. Per quanto riguarda i frumenti, si può osservare che la fase di decisa crescita delle quotazioni ha avuto inizio nel mese di giugno 2007, in corrispondenza con l’avvio della campagna di commercializzazione 2007/08, conducendo, nel mese di marzo 2008, il prezzo del frumento duro a raggiungere la soglia record dei 520 €/tonnellata (grafico 1.1.4) e il prezzo del frumento tenero alla soglia dei 280 €/tonnellata (grafico 1.1.5). Nel caso del prezzo del mais (grafico 1.1.6), la fase di progressivo aumento si è registrata a partire da luglio 2007 e, nel volgere di poche settimane, ha condotto il prezzo alla soglia dei 240 €/tonnellata nel mese di settembre, in corrispondenza dell’inizio della campagna di commercializzazione 2007/08. Per tutti i mesi successivi il prezzo si è mantenuto costantemente sopra la
1 Il Fixing Indicativo Nazionale Camerale (FINC) si basa sulle rilevazioni dei prezzi all’ingrosso delle Camere di Commercio italiane e sulle contrattazioni telematiche realizzate sulla Borsa Merci Telematica Italiana.
soglia dei 200 €/tonnellata, raggiungendo di nuovo la soglia dei 240 €/tonnellata nei mesi di gennaio e luglio 2008.
Grafico 1.1.4: FRUMENTO DURO NAZIONALE fino ‐ FINC e confronto con anno precedente
Fonte: Elaborazione BMTI su dati Camere di Commercio e Borsa Merci Telematica Italiana
Grafico 1.1.5: FRUMENTO TENERO NAZIONALE panificabile ‐ FINC e confronto con anno precedente
Fonte: Elaborazione BMTI su dati Camere di Commercio e Borsa Merci Telematica Italiana
€ 150
€ 200
€ 250
€ 300
€ 350
€ 400
€ 450
€ 500
€ 550 nov-07 dic-07 gen-08 feb-08 mar-08 apr-08 mag-08 giu-08 lug-08 ago-08 set-08 ott-08
€ 150
€ 200
€ 250
€ 300
€ 350
€ 400
€ 450
€ 500
€ 550
nov-07 dic-07 gen-08 feb-08 mar-08 apr-08 mag-08 giu-08 lug-08 ago-08 set-08 ott-08
max min FINC anno precedente
€ 140
€ 160
€ 180
€ 200
€ 220
€ 240
€ 260
€ 280
€ 300 nov-07 dic-07 gen-08 feb-08 mar-08 apr-08 mag-08 giu-08 lug-08 ago-08 set-08 ott-08
€ 140
€ 160
€ 180
€ 200
€ 220
€ 240
€ 260
€ 280
€ 300
nov-07 dic-07 gen-08 feb-08 mar-08 apr-08 mag-08 giu-08 lug-08 ago-08 set-08 ott-08
max min FINC anno precedente
Grafico 1.1.6: MAIS NAZIONALE secco ‐ FINC e confronto con anno precedente
Fonte: Elaborazione BMTI su dati Camere di Commercio e Borsa Merci Telematica Italiana
1.1.2 Il rientro dei prezzi dei cereali
A partire dall’inizio dell’estate del 2008 i prezzi delle materie prime agricole hanno visto invertire il loro trend ed iniziare una brusca discesa, con una velocità perfino maggiore rispetto a quella degli aumenti del 2007. In particolare, tale andamento ha riguardato principalmente le commodity cerealicole.
Tra i motivi che hanno causato la discesa delle quotazioni dei cereali c’è innanzitutto l’ottimo andamento dei raccolti, con una produzione cerealicola mondiale che secondo le stime dell’International Grains Council (IGC) dovrebbe far registrare il valore più elevato dalla campagna 2004/05 (tabella 1.1.4). Alla base di tale aumento della produzione vi sono le ottime condizioni climatiche verificatesi durante il periodo di crescita delle colture.
Tabella 1.1.4 Il mercato cerealicolo mondiale (milioni di tonnellate)
2004/05 2005/06 2006/07 2007/08 2008/09*
25‐set 30‐ott
Produzione 1.648 1.604 1.586 1.689 1.754 1.770
Scambi 212 215 221 238 230 231
Consumo 1.599 1.617 1.628 1.685 1.737 1.747
Stocks 332 320 277 281 301 304
5 principali esportatori** 151 144 100 93 93 101
* Stime
** Argentina, Australia, Canada, Stati Uniti, Unione Europea Fonte: International Grains Council
L’aumento dell’offerta cerealicola mondiale ha anche permesso la ricostituzione parziale degli stock che vengono stimati in crescita dai 93 milioni della campagna 2007/08 ai 101 milioni della campagna 2008/09.
Altra causa che ha spinto verso il basso i prezzi è stata l’aggravarsi della crisi dei mercati finanziari, la cui mancanza di liquidità ha fatto venir meno i vantaggi derivanti dalla speculazione sui mercati a termine ed ha quindi determinato l’uscita di molti grandi investitori dal mercato delle commodity agricole.
€ 110
€ 130
€ 150
€ 170
€ 190
€ 210
€ 230
€ 250 nov-07 dic-07 gen-08 feb-08 mar-08 apr-08 mag-08 giu-08 lug-08 ago-08 set-08 ott-08
€ 110
€ 130
€ 150
€ 170
€ 190
€ 210
€ 230
€ 250
nov-07 dic-07 gen-08 feb-08 mar-08 apr-08 mag-08 giu-08 lug-08 ago-08 set-08 ott-08
max min FINC anno precedente
Alla discesa dei prezzi ha poi contribuito anche il forte calo delle quotazioni del petrolio che ha reso molto meno vantaggiosi gli investimenti in biocarburanti, bioetanolo in particolare. Tale elemento ha avuto ripercussioni negative principalmente sul prezzo del mais.
Infine, il rafforzamento del dollaro e il suo aumento di valore hanno permesso alla moneta statunitense di tornare ad attrarre masse di liquidità che ad inizio 2008 erano state investite nelle materie prime agricole.
1.2 Biocarburanti
Nel mercato energetico globale il settore delle bioenergie occupa attualmente una quota ancora limitata;
nonostante ciò, i tassi di incremento degli ultimi anni lasciano presagire un forte aumento del loro impiego nel futuro, specialmente nel settore dei trasporti, in cui i biocarburanti rappresentano la principale fonte energetica alternativa al petrolio.
Il primo fattore ad aver senza dubbio generato le premesse per lo sviluppo dei biocarburanti e che continua a stimolare l’interesse verso nuove fonti di energia rinnovabile, come il biodiesel e il bioetanolo, è l’aumento del prezzo del petrolio sul mercato mondiale. Nella stessa direzione hanno anche spinto le politiche ambientali di riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serra e le politiche volte a trovare nuovi mercati per le produzioni agricole.
I paesi che stanno maggiormente investendo sui biocarburanti sono il Brasile, gli USA e l’UE. Fra questi, in Brasile l’interesse è stimolato dal basso costo della materia prima mentre in Europa la crescente attenzione è dovuta principalmente alle politiche per la riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serra.
Sia la produzione di biodiesel sia quella di bioetanolo stanno quindi attraversando una fase di rapida crescita. Per quanto riguarda il bioetanolo, che a livello mondiale rappresenta oltre il 90% dei biocarburanti, la produzione è più che raddoppiata fra il 2000 e il 2007 arrivando a circa 50 miliardi di litri. Dal 2005 il primo produttore sono stati gli Stati Uniti che, nel 2007, hanno prodotto 24,7 miliardi di litri, seguiti dal Brasile con 19,0 miliardi di litri mentre l’UE si colloca al terzo posto con poco più di 2 miliardi di litri (v.
grafico 1.2.1).
Grafico 1.2.1: Principali paesi produttori di bioetanolo nel 2007 (milioni di litri)
Fonte: Elaborazione BMTI su dati Renewable Fuels Association
Sempre negli Stati Uniti, il 14% della produzione di mais della campagna 2005/2006 è stato utilizzato per la produzione di bioetanolo, che corrispondeva al 3,5% dei carburanti per autotrasporto. In Brasile, invece, il bioetanolo è ottenuto soprattutto dalla canna da zucchero e rappresenta il 40% del mercato interno dei carburanti.
A differenza del bioetanolo, il primo produttore mondiale di biodiesel è l’UE, che nel 2007 ha prodotto 6,7 miliardi di litri, e che ne è al tempo stesso anche il maggior consumatore. Anche negli Stati Uniti la
0 5.000 10.000 15.000 20.000 25.000
USA Brasile UE Cina Canada Tailandia Colombia India
milioni di litri
produzione è cresciuta progressivamente dal 2005 al 2007; nello specifico, è passata da 426 milioni di litri nel 2005 a quasi 1.700 milioni di litri nel 2007 (v. grafico 1.2.2).
Grafico 1.2.2: Produzione di biodiesel nell’UE e negli Stati Uniti negli anni 2005, 2006 e 2007 (milioni di litri)
Fonte: Elaborazione BMTI su dati FAPRI
L’European Bioethanol Fuel Association stima che la produzione europea di bioetanolo aumenterà ulteriormente dai circa 2 miliardi di litri attuali fino a raggiungere 3,8 miliardi di litri nel 2016. Nel 2007 il principale paese produttore è stata la Francia con 539 milioni di litri seguita da Germania (394) e Spagna (348); l’Italia si colloca al 6° posto con 60 milioni di litri. La produzione italiana è particolarmente rilevante se si considera che nel 2005 in Italia sono stati prodotti solo 8 milioni di litri e che addirittura nel 2004 non si produceva bioetanolo (v. grafico 1.2.3).
A livello europeo, il paese leader nella produzione di biodiesel negli ultimi tre anni risulta essere la Germania, che nel 2007 ha raggiunto quasi 2,9 miliardi di tonnellate, seguita a lunga distanza da Francia e Italia, rispettivamente con 872 e 363 milioni di tonnellate (v. grafico 1.2.4). E’ stato stimato che nel periodo 1994 – 2005 la produzione di biodiesel da colture oleaginose è cresciuta di oltre 20 volte, raggiungendo una produzione di energia primaria pari a 3 megatonnellate equivalente petrolio (Mtep) corrispondente al 3,1%
dell’energia rinnovabile prodotta nel 2005.
0 1.000 2.000 3.000 4.000 5.000 6.000 7.000 8.000
2005 2006 2007
milioni di litri
UE USA
Grafico 1.2.3: Produzione di biodiesel nell’UE nel triennio 2005 – 2007 (milioni di tonnellate)
Fonte: Elaborazione BMTI su dati European Bioethanol Fuel Associaiton
Grafico 1.2.4: Produzione di biodiesel nell’UE nel triennio 2005 – 2007 (milioni di tonnellate)
Fonte: Elaborazione BMTI su dati European Biodiesel Board
1.2.1 Costi di produzione biocarburanti e competitività con i carburanti fossili
Teoricamente tutta la biomassa tecnicamente coltivabile costituisce un potenziale per la produzione di energia; in realtà, poi, solo una parte di questa può essere effettivamente trasformata a tale scopo se si valuta la sostenibilità economica del processo. Quest’ultima dipende dal prezzo del petrolio e dei prodotti agricoli e dai costi di produzione.
La materia prima costituisce la principale voce di costo per la produzione dei biocarburanti e presenta una notevole variabilità in rapporto alla competizione per l’allocazione della terra con altre colture destinate sia ad uso energetico che ad altri usi. Per il bioetanolo, il costo della materia prima rappresenta circa il 50% del
0 100 200 300 400 500 600
milioni di litri
2007 2006 2005
0 500 1.000 1.500 2.000 2.500 3.000 3.500
milioni di tonnellate
2007 2006 2005
costo di produzione, che quindi sarà significativamente influenzato dalla variabilità nei prezzi della materia prima stessa nonché dal suo contenuto in amido o in zucchero. Lo stesso vale per il biodiesel dove il costo degli oli vegetali rappresenta tre quarti del costo di produzione totale.
Altre voci che influenzano i costi di produzione, e che variano fra i diversi paesi, sono il costo dell’energia necessaria per il processo di trasformazione ed il prezzo ricevuto per i sottoprodotti che sono molto diversi a seconda del paese di riferimento. In Brasile, il costo di produzione dell’etanolo è pari a circa la metà di quello sostenuto in Australia e un terzo di quello tedesco. I prezzi di trasformazione invece sembrano essere abbastanza standardizzati.
Negli ultimi anni i costi di produzione sono aumentati a causa della crescita dei prezzi delle materie prime agricole, provocando, quindi, una riduzione della competitività dei biocarburanti che, però, è stata in buona parte compensata dall’aumento del prezzo del petrolio.
Una correlazione fra le commodity agricole e il petrolio ha iniziato a manifestarsi a partire dal 2002 quando i prezzi di entrambi hanno cominciato a crescere in maniera significativa. Questo aumento non è però dovuto solo all’incremento della produzione dei biocarburanti ma anche al contemporaneo aumento della domanda di prodotti agricoli, non sostenuta da un corrispondente aumento dell’offerta a causa della crescita della domanda in Asia, dell’indebolimento dell’offerta in Australia provocato dalla siccità e dalla scarsa dinamicità delle produzioni agricole in Africa.
Per quanto riguarda l’aumento del prezzo del petrolio, questo influenza i mercati agricoli in un duplice modo: da un lato crea un aumento dei costi di produzione e, quindi, una contrazione dell’offerta ed un aumento dei prezzi agricoli; dall’altro stimola la produzione di biocarburanti inducendo un aumento della domanda di materia prima e quindi, di nuovo, dei prezzi agricoli.
L’effetto totale sui mercati agricoli dipenderà dall’incremento relativo dei prezzi dei biocarburanti rispetto a quello dei costi di produzione agricoli. Da uno studio del 2006 dell’OECD (in INEA, 2008) è emerso che l’effetto dell’aumento del prezzo del petrolio sui costi di produzione agricoli è sensibilmente più forte di quello sulla domanda di materia prima agricola per la produzione di biocarburanti, perché sono ovviamente ancora molto limitate sia la quota relativa dei biocarburanti sul totale dei combustibili utilizzati per i trasporti sia la capacità produttiva degli stessi.
Un esempio delle possibili relazioni fra il mercato dei biocarburanti e quello delle materie prime agricole si ha negli Stati Uniti in cui l’introduzione nel 2005 del Renewable Fuel Standard (RFS), che consiste in un mandato governativo di produzione di 7,5 miliardi di galloni di combustibili rinnovabili entro il 2012, e la rimozione dell’MTBE, una sostanza chimica usata come additivo per ossigenare la benzina e che compete con l’etanolo, ha provocato una crescita ulteriore della domanda di etanolo e del suo prezzo, poiché la produzione, seppur in forte aumento, non è riuscita a soddisfare la richiesta del prodotto.
La conseguenza di quest’espansione dell’industria dell’etanolo è stata un aumento della domanda di mais e la crescita del prezzo dello stesso a causa della competizione con l’industria zootecnica, forte utilizzatrice del mais come mangime.
Anche per lo zucchero di canna si evidenzia una forte correlazione con i prezzi del petrolio e del bioetanolo, dato che questo prodotto soddisfa una parte rilevante della domanda di bioenergie soprattutto in quei paesi come il Brasile che domina sia il mercato dell’etanolo sia quello dello zucchero. Questo legame è ancora più forte se il settore è caratterizzato da numerose imprese con una struttura di trasformazione duale che può passare rapidamente dalla produzione di zucchero a quella di etanolo.
Da uno studio FAO del 2006 è emerso inoltre che i segnali del mercato del petrolio si trasmettono a quello dello zucchero molto più velocemente che non nella direzione inversa, il che implica che sono i secondi a seguire i primi. Se il prezzo del petrolio continuerà a salire, l’etanolo diventerà sempre più competitivo e di conseguenza anche i prezzi dello zucchero tenderanno a crescere. Per questo motivo, la coltivazione della canna da zucchero potrebbe essere estesa anche nei paesi in via di sviluppo dell’area tropicale come la Malesia che ha già investito in impianti per la produzione di etanolo.
1.2.2 Il potenziale bioenergetico europeo
Fino al 2010, sulla base delle tecnologie disponibili e degli orientamenti di politica agricola comunitaria, i principali prodotti bioenergetici sembrano essere bioetanolo e biodiesel ottenuti da colture in rotazione fra cui coltivazioni amilacee (frumento, patate, mais, orzo e segale) e zuccherine (barbabietola, sorgo dolce) per il bioetanolo e coltivazioni oleaginose (colza, girasole, soia) per il biodiesel.
Dopo il 2010, con lo sviluppo delle nuove tecnologie, la produzione di biocarburanti si baserà su uno sfruttamento maggiore delle coltivazioni cellulosiche a rotazione breve come salice, pioppo o colture annuali come cereali a pianta intera.
Stime effettuate dall’European Environmental Agency (EEA) sul potenziale bioenergetico europeo prevedono per l’UE‐25 una produzione di 47 Mtep nel 2010, 96 Mtep nel 2020 e 142 Mtep nel 2030, con una quantità di energia rinnovabile che triplica nell’arco di trent’anni.
In termini di disponibilità potenziale di superficie da investire a colture bioenergetiche, sempre l’EAA stima che questa nel 2010 sarà pari a 14 milioni, nel 2020 a 18 milioni e, infine, nel 2030 a 20 milioni. Queste superfici comprendono la disponibilità di terra sia arabile sia di quella ottenuta da sfalci dei precedenti prati e pascoli e dagli oliveti, terra quindi non arata.
Relativamente alla sola terra arabile, si prevede che dai 13 milioni di ettari previsti nel 2010, corrispondente all’8% della SAU, si passerà ai 13 milioni del 2030 (12% della SAU), in seguito al rilascio di superfici dalle produzioni di alimenti e mangimi per effetto della riforma della PAC e degli aumenti nella produttività delle colture.
Il 74% della superficie prevista per il 2020, con un vincolo di utilizzo minimo di biocarburanti pari al 10%
previsto dal protocollo di Kyoto, dovrebbe interessare la produzione di bioetanolo e la restante parte la produzione di biodiesel. Queste previsioni vedono un’inversione di tendenza tra i due carburanti, che nel 2006 vedevano prevalere le colture destinate alla produzione di biodiesel.
Infine, queste previsioni a lungo termine indicano un progressivo spostamento verso l’utilizzo di bioetanolo di seconda generazione, anche se la quota maggiore verrà mantenuta dal bioetanolo di prima generazione.
In particolare, i cereali destinati alla produzione di bioetanolo dovrebbero arrivare a coprire il 14%
dell’intera superficie coltivata a cereali.
1.2.3 Scenari di produzione e di consumo in Italia
Per quanto riguarda la produzione attuale di biocarburanti in Italia, l’attività è incentrata principalmente sul biodiesel al punto che l’Italia risulta essere il terzo paese produttore di biodiesel nell’UE con una
produzione di 273.000 tonnellate nel 2003, 320.000 tonnellate nel 2004 e fino a 396.000 tonnellate nel 2005. Questa produzione non esaurisce in realtà la capacità produttiva stimata che, secondo i dati pubblicati dall’European Biodiesel Board, nel 2005 ammontava a 857.000 tonnellate, ripartita fra nove produttori attivi sul territorio nazionale.
Inoltre, parte di questa produzione viene attualmente esportata e solo un’aliquota è immessa nel consumo;
quest’ultima nel 2005 era pari a 200.000 tonnellate. Da sottolineare inoltre che la quasi totalità della produzione attuale deriva da materie prime importate; molto bassa è infatti l’incidenza da parte delle produzione agricole locali.
Per quanto riguarda invece il bioetanolo, la produzione nazionale è ancora molto limitata; nel 2005, il bioetanolo in Italia è stato principalmente prodotto dalla distillazione dei sottoprodotti delle filiere per la produzione del vino e dello zucchero e, in minor parte, dai cereali. E’ tuttavia difficile effettuare delle stime attendibili sulla capacità produttiva del settore perché sono pochi gli impianti in grado di produrre il bioetanolo anidro effettivamente utilizzabile per la miscelazione con la benzina.
In termini di immissione dei biocarburanti nel settore dei trasporti, è stato calcolato che nel 2005 è stata raggiunta una quota complessiva di biodiesel e bioetanolo miscelati con carburanti fossili pari allo 0,505%
della benzina e del gasolio immessi sul mercato; quantitativo ancora insufficiente se rapportato all’incremento del fabbisogno energetico previsto al 2010, che arriverà a 48,4 Mtep, il 9% in più rispetto al 2004.
Alla luce dell’aumento della domanda energetica, nel 2010 sarà necessario raggiungere un contributo di biocarburanti di 2.230.000 Tep. Per raggiungere tale obiettivo si renderà indispensabile non solo aumentare la capacità produttiva, realizzando nuovi impianti o potenziando quelli già esistenti, ma anche adeguare la capacità nazionale di fornire la materia prima necessaria.
Per provvedere ai quantitativi stimati dovranno essere notevolmente aumentate le superfici destinate alla coltivazione delle specie idonee arrivando, in base alle rese agronomiche attuali, a circa 2.000.000 ettari per la coltivazione delle oleaginose per la produzione di biodiesel e 260.000 ettari per le colture destinate alla produzione di bioetanolo.
1.3 Obiettivi e storia della Politica Agricola Comunitaria
Gli obiettivi della Politica Agricola Comunitaria (PAC) sono stati stabiliti nel Trattato di Roma del 1957 e sono stati definiti in risposta alle forti condizioni di arretratezza che caratterizzavano il settore agricolo e di povertà dei paesi firmatari nel dopoguerra. Nello specifico, l’articolo 33 del Trattato stabilisce che la politica agricola europea debba:
‐ aumentare la produttività agricola favorendo la ristrutturazione del settore mediante aiuti finanziari alle aziende agricole per accrescere le loro dimensioni e capacità tecnologiche;
‐ assicurare un tenore di vita equo alla popolazione rurale migliorando il reddito individuale di coloro che lavorano nel settore agricolo;
‐ stabilizzare i mercati, proteggendo i produttori agricoli dalle fluttuazioni dei prezzi sui mercati mondiali;
‐ garantire la disponibilità costante di alimenti;
‐ assicurare prezzi accessibili ai consumatori.
I principi su cui si fonda l’impianto della PAC sono:
‐ un mercato unificato in cui vi sia uniformità di disposizioni amministrative, di regole di concorrenza e di prezzi;
‐ preferenza comunitaria, ossia un trattamento favorevole per gli scambi fra i produttori interni all’Unione Europea;
‐ solidarietà finanziaria, ossia tutti i paesi membri devono contribuire alle spese di implementazione della PAC a prescindere dalla distribuzione dei benefici che derivano dall’attuazione delle politiche comunitarie.
Durante gli anni ’80 gli obiettivi iniziali di autosufficienza e di stabilizzazione dei mercati stabiliti con il trattato del 1957 furono raggiunti. Al contempo, la politica di sostegno ai prezzi adottata dalla Comunità Europea (CE) portò alla sovrapproduzione dei principali prodotti agricoli. Le eccedenze venivano immagazzinate all’interno della Comunità o esportate con l’aiuto di sovvenzioni, generando elevati costi di bilancio ed effetti distorsivi nei mercati internazionali, soprattutto a danno dei paesi Terzi esportatori di prodotti agricoli.
L’eccesso di produzione e la crescente insostenibilità finanziaria della spesa agricola comunitaria erano dovuti all’accoppiamento del sostegno con la quantità prodotta. Fra l’altro tale politica ha condotto a una distribuzione poco equa del sostegno, a favore delle imprese più grandi, che già essendo in grado di produrre quantità maggiori e a costi più bassi, traevano maggior vantaggio dagli aiuti.
All’inizio degli anni ’90 nuovi strumenti vennero pertanto introdotti ai fini di controllare la produzione, fra cui le quote latte e il set‐aside, ossia la messa a riposo dei terreni, e la possibilità per i governi degli Stati membri di varare provvedimenti per l’incentivazione della cessazione dell’attività zootecnica.
Contemporaneamente, si cominciò a dare maggior rilievo al problema della sostenibilità ambientale dell’agricoltura.
Nel 1992 fu attuata la riforma MacSharry che aveva tre obiettivi fondamentali: il riequilibrio dei mercati, una maggiore equità della PAC e la compatibilità ambientale dell’agricoltura. Questi obiettivi furono realizzati mediante il mantenimento del sostegno diretto ai redditi aziendali che però fu reso svincolato dalla produzione, in modo tale da non provocare effetti sulla domanda e sui flussi commerciali
internazionali. Lo svincolo del sostegno dalla produzione ha risolto inoltre il problema che si era in precedenza creato della iniqua ridistribuzione di reddito a favore delle aziende meno bisognose di aiuto. La compatibilità ambientale dell’agricoltura, intesa non solo come riduzione delle esternalità negative ma anche come ruolo di salvaguardia del territorio e della tradizione agricola, è stata perseguita grazie al sostegno del reddito ai produttori agricoli per la continuazione dell’attività anche quando la convenienza economica veniva meno.
Con Agenda 2000 il processo di riforma della PAC è continuato nell’ottica avviata con la riforma del 1992, con un orientamento ancora più forte verso un’agricoltura multifunzionale che fosse competitiva e al tempo stesso rispettosa dell’ambiente. Per perseguire l’obiettivo di migliorare la competitività dell’agricoltura europea è stata introdotta una politica di sviluppo rurale volta a sostenere gli agricoltori nella ristrutturazione delle aziende, nella diversificazione della produzione e nel miglioramento della commercializzazione dei prodotti. Nel contempo sono stati introdotti dei massimali di bilancio in modo da garantire ai contribuenti che i costi della PAC non raggiungessero dei livelli incontrollabili. Per favorire un’agricoltura sostenibile da un punto di vista ambientale venne inoltre avviata l’erogazione di aiuti alla produzione quando questa fosse svolta nelle modalità appropriate di salvaguardia ambientale e conservazione del paesaggio.
1.3.1 La riforma Fischler del 2003
Nel 2003 è stata concordata una nuova e fondamentale riforma che continua ed amplia il processo già avviato con la riforma del 1992. Nello specifico, con il Regolamento (CE) n. 1782/2003, che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto alla politica agricola comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori, si è attuato il completamento del disaccoppiamento degli aiuti alla produzione.
Caposaldo della riforma è stata l’introduzione del pagamento unico per azienda (PUA) in cui confluiscono tutti i premi e i pagamenti diretti. Il PUA è definito sulla base dei pagamenti che gli agricoltori hanno percepito nel triennio 2000‐2002 ed è completamente svincolato dal tipo di produzione rendendo in questo modo l’agricoltore libero di rispondere agli stimoli provenienti dal mercato. Diventano obbligatorie l’adozione del principio di eco‐condizionalità (cross‐compliance) e la modulazione di risorse al secondo pilastro della PAC, ossia lo sviluppo rurale. La maggior parte delle organizzazioni comuni di mercato (OCM) sono passate al nuovo sistema nel 2005 o nel 2006 (ad eccezione che nei nuovi Stati membri). Tenendo conto di alcuni criteri (ecocondizionalità), gli aiuti diretti esistenti possono essere mantenuti fino al 2012, ma saranno ridotti in modo progressivo. Alcune colture beneficiano di un aiuto supplementare per compensare la perdita di reddito causata dalla modulazione e dal passaggio al pagamento unico.
La riforma del 2003 modifica notevolmente le norme che costituiscono la condizionalità, ossia i vincoli in termini di salvaguardia ambientale da rispettare ai fini dell’erogazione dei pagamenti agli agricoltori, che vedono aumentare le loro responsabilità qualora vogliano beneficiare del regime di pagamento diretto. In primo luogo, da un insieme di norme da rispettare in maniera del tutto volontaria, così come era stata inizialmente introdotta nell’ambito di Agenda 2000, la condizionalità diventa obbligatoria per tutti gli Stati membri. Tutti gli agricoltori che ricevono aiuti diretti, anche se non fanno ancora parte del regime di pagamento unico, devono rispettare i principi di eco‐condizionalità che, tra l’altro, viene estesa dalla semplice conformità a norme ambientali, andando ad interessare altri aspetti fra cui la salute pubblica,
animale e fitosanitaria, il benessere degli animali e delle piante e il mantenimento dei terreni agricoli in condizioni agronomiche ed ambientali soddisfacenti, introducendo pertanto un forte elemento di novità rispetto al passato.
Gli agricoltori, infatti, non sono obbligati a produrre per beneficiare dell’aiuto ma devono comunque mantenere i loro terreni in buone condizioni agronomiche ed ambientali; questo nuovo requisito è stato ovviamente introdotto con lo scopo di evitare l’abbandono dei terreni e il danno ambientale che ne potrebbe derivare. In aggiunta gli agricoltori devono rispettare un insieme di criteri di gestione obbligatoria, relativi appunto alla salute pubblica, animale e fitosanitaria, al benessere degli animali e delle piante, definiti da 19 direttive e regolamenti comunitari, pena la detrazione o anche la soppressione totale del pagamento diretto.
Nello specifico, nel caso l’azienda risulti negligente e non adempia alle regole di condizionalità, il pagamento può essere decurtato fino al 5%. Nel caso si verifichi, però, un’infrazione dolosa, l’azienda può subire una riduzione dell’aiuto fino al 20% o anche arrivare all’esclusione dell’agricoltore dal regime di aiuto del reddito. Gli aiuti che non vengono erogati confluiscono nel FEAGA (Fondo europeo agricolo di garanzia);
tuttavia gli Stati membri possono trattenere il 25% di tali somme.
Per quanto riguarda il pagamento unico, questo è un aiuto attribuito agli agricoltori indipendentemente dalla loro produzione. Questo regime di sostegno è stato introdotto per garantire stabilità del reddito agli agricoltori e per migliorare la competitività e la sostenibilità dell'agricoltura europea.
Per ogni Stato membro vengono stabiliti dei massimali per il pagamento unico. Inoltre, gli Stati membri istituiscono una riserva nazionale ottenuta sulla base della differenza fra il massimale e la somma degli aiuti da erogare e su un importo del 3% dedotto dal pagamento dovuto agli agricoltori. La riserva così costituita è utilizzata per prevenire il rischio di abbandono dei terreni agricoli e per supportare nuovi produttori agricoli o coloro che si trovano in situazioni considerate particolari.
Gli agricoltori che possono beneficiare del pagamento unico sono coloro che hanno già in precedenza percepito specifici aiuti diretti così come stabiliti all’interno del regolamento, fra questi rientrano i pagamenti basati sulle superfici e quelli attribuiti a titolo di sostegno, come, ad esempio, il premio di destagionalizzazione, il premio all'abbattimento, i premi speciali per i bovini maschi e per le vacche nutrici e il premio per i prodotti lattiero‐caseari. Il calcolo del pagamento viene effettuato sulla base degli aiuti percepiti nel triennio 2000 – 2002.
L’utilizzazione del terreno non è vincolante ai fini dell’erogazione dell’aiuto, nel senso che qualsiasi tipo di superficie dà diritto al sostegno, ad eccezione di alcune colture permanenti. Fra queste sono tuttavia ammissibili alla richiesta di pagamento le superfici coltivate a luppolo, le superfici a oliveto, le superfici coltivate a banane, le colture permanenti di ortofrutticoli e i vivai. Anche i terreni ritirati dalla produzione danno diritto all’aiuto, a patto che siano rispettate le norme di condizionalità. Questi terreni possono anche essere destinati alla coltivazione di colture non alimentari come i semi oleosi o per la produzione di biomassa a scopi energetici.
Inoltre, esiste la possibilità per gli Stati membri di “regionalizzare” il pagamento unico, ossia di distribuire il pagamento agli agricoltori di una data regione in base a massimali stabiliti a livello regionale. Questo tipo di misure ha lo scopo di attenuare le differenze esistenti fra regioni più e meno produttive e con un’agricoltura più e meno diversificata. Gli Stati membri possono anche ricorrere ad un’attuazione parziale del pagamento unico, trattenendo una parte dell’importo dovuto ai produttori che viene poi versata