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EARLY SIGNS OF ABUSE AND NEGLECT INDICATORI PRECOCI DI ABUSO E TRASCURATEZZA

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TAGETE 3-2009 Year XV

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EARLY SIGNS OF ABUSE AND NEGLECT

INDICATORI PRECOCI DI ABUSO E TRASCURATEZZA

Dr. Salvatore Nuzzo*

ABSTRACT

In western Societies child abuse is not necessarily a consequence of living in poorer or multiproblematic areas. Any child can potentially be at risk, not only those belonging to socially disadvantaged groups (poverty, illiteracy, immigration, poor social assistance). Signs of abuse and neglect are also found in children living in higher socio-economical groups, these children may not suffer the material deprivation of poorer families, but often suffer emotional neglect, leading to loneliness and isolation. Child abuse not only includes physical and sexual abuse, but also neglect, where the child is denied material and emotional succour and access to health care.

Health professionals need an elevated awareness of child abuse issues in order to in order to be able to distinguish between normal behaviour and the early signs of abuse, to permit a timely intervention where necessary.

The discovery of one or more of these signs should not automatically bring about a diagnosis of

“abuse”. All information and signs need to be taken together and should be confirmed by a psychological, social and medico legal evaluation. Our aim should be the prevention of child abuse. The raising of awareness both in parents, in respect of their relationships with their children, and also in the wider society. With this raised awareness the fundamental principles of observing, listening and ultimately protecting can improve the prospects of all children.

* Psicologo Psicoterapeuta Specialista in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale Dirigente Alta Professionalità “Adozioni, Abuso e Maltrattamento Minori”

Azienda Sanitaria Locale Lecce - Area Sud Maglie

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170 1. Definizioni

Il maltrattamento comprende la Trascuratezza materiale e quella affettiva, la Patologia delle cure, il Maltrattamento fisico, il Maltrattamento psicologico, l’Abuso e lo sfruttamento sessuale, la Violenza assistita, ed è determinato da relazioni interpersonali adulto-bambino inadeguate, gravemente distorcenti, violente, strumentali.

Non vi è solo la violenza materiale o quella morale ma anche la trascuratezza, la mancanza di assistenza, di protezione dai pericoli, di attenzione alla salute, di cura dei bisogni fondamentali.

Il maltrattamento può concretizzarsi, pertanto, con condotte attive (percosse, lesioni, atti sessuali) e con condotte omissive (incuria, trascuratezza, abbandono).

Costituisce, in ogni caso, un attacco che destabilizza lo sviluppo della personalità in formazione del bambino e può provocare gravi conseguenze a breve, medio e lungo termine.

Il “mal-trattamento” è sempre cattivo trattamento dei sentimenti e delle emozioni del bambino poiché, in primo luogo, sono i sentimenti e le emozioni del bambino ad essere manipolati e calpestati.

Tanto maggiore è l’investimento emotivo di un bambino su un adulto abusante, tanto più il bambino viene violentato nei suoi sentimenti e tanto maggiori saranno le conseguenze distruttive che peseranno su di lui a seguito dell’abuso ai suoi danni.

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171 Il maltrattamento sui bambini può realizzarsi sia all’interno che all’esterno della famiglia.

Tende ad essere “nascosto” e “negato” da chi lo applica, ma anche da chi lo subisce o ne è a conoscenza, soprattutto in ambito familiare, dove spesso scatta un vero e proprio

“segreto di famiglia”.

Il maltrattamento è difficilmente rilevabile con sufficiente certezza. Tende ad aggravarsi nel tempo e non sempre ha una risoluzione spontanea. La percezione della condizione di abuso varia a seconda del contesto socio-culturale e familiare.

Tutte le condizioni di maltrattamento incidono sullo sviluppo fisico e psicologico del bambino, sulla strutturazione della sua personalità, sulla sua relazione con la famiglia, sulla sua relazione con gli adulti al di fuori della famiglia, sulla sua relazione con i coetanei.

2. Ruolo e significato degli indicatori

Per dare inizio ad un qualsivoglia intervento di aiuto al bambino maltrattato è preliminarmente indispensabile saper percepire dei segnali (fisici, emotivi, comportamentali).

Questi “segnali” che possono far insorgere nell’adulto attento il sospetto che il minore possa essere vittima di comportamenti dannosi o maltrattanti non sono però mai specifici ed inequivocabili.

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172 Un solo indicatore non è sufficiente, per questo occorre ricercare diversi indicatori, raccogliere quanti più elementi ed informazioni possibili, sforzandosi di pensare tutta la storia del bambino, collegando anche precedenti comportamenti ed episodi, valutando la continuità o l’occasionalità dei segnali che ci preoccupano. Gli indicatori dovranno essere raccolti, confrontati e connessi come parte di un tutto, per ricomporsi in un quadro d’insieme che abbia senso e consistenza, anche per dialogare con la “rete istituzionale” degli interventi.

Per indicatore di maltrattamento/abuso si può intendere qualunque manifestazione psichica e psicofisiologica che possa essere diagnosticata come reazione a uno stress traumatico, una «variazione del comportamento abituale non necessariamente sintomatica» (Ormanni, Pacciolla, 2000), che non va confusa con l’indizio o col valore di una prova. Può trattarsi, infatti, di variazioni comportamentali o di abitudini, dal momento che in età evolutiva il cambiamento di comportamenti e di abitudini è molto frequente e può non avere una causa traumatica.

In tema di abuso è importante non abusare degli indicatori di abuso, in quanto il rilevamento di uno o più segni non definisce in modo automatico la situazione come necessariamente di “abuso”; tutti i segnali rilevati devono essere inseriti in un quadro

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173 globale di valutazione diagnostica e devono essere confermati da una valutazione medico-psicologico-sociale.

L’utilizzo di un indicatore è particolarmente utile e funzionale nell’orientare a ricercare le cause sottostanti ad un disagio. L’indicatore, alla stregua di un cartello stradale, ha la preziosa funzione di indicare delle piste da seguire per l’individuazione delle possibili fonti di malessere di un bambino, ma nulla di più.

Quasi tutti i classici indicatori di abuso sessuale si possono riscontrare anche in bambini non abusati: non c’è un unico comportamento che da solo sia sufficiente a provare un avvenuto abuso sessuale. Non tutti i bambini vittime di esperienze traumatiche, come l’abuso sessuale, esprimono comportamenti sessualizzati. Non tutti i bambini che esprimono comportamenti sessualizzati sono vittime di abuso sessuale: i segni rilevati possono essere correlabili a promiscuità negli stili di vita familiare, a sollecitazioni inadeguate, alla “sindrome delle porte aperte”, ecc.

In letteratura non esistono pareri concordi e studi che dimostrino scientificamente l’esclusività di una o più condotte come criterio diagnostico. Talvolta alcuni segni costituiscono la prova tangibile di un avvenuto abuso sessuale; altri segni, invece, soprattutto quelli comportamentali, si prestano a svariate interpretazioni risultando ambigui.

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174 Per questo la rilevazione della “sofferenza” del bambino e la sua traduzione in indicatori che possano orientare il professionista nel percorso conoscitivo e di approfondimento deve necessariamente sfociare in un confronto multiprofessionale allo scopo di tutelare l’osservatore dal pericolo di “allearsi” eccessivamente con il proprio indicatore

“preferito”, che a volte coincide con l’indicatore più emergente a cui è collegato il concetto di “verità”.

L’accordo attorno alla definizione dell’oggetto di osservazione è assolutamente indispensabile affinché tutti gli osservatori rilevino lo stesso fenomeno o la stessa classe di fenomeni e producano e raccolgano dati integrabili e comparabili. Ricordando che la qualità dei dati e delle informazioni dipende dalla qualità dell’osservazione, una competenza che attiene non solo al sapere o al saper fare dell’operatore ma anche al suo saper essere, cioè alla capacità di stare in contatto con la sofferenza, con l’orrore, con la rabbia generati dalla violenza all’infanzia (Bianchi, 2004).

Come sostengono Del Longo, Giubilato e Raengo (2002, p. 10), per poter leggere correttamente gli indicatori di maltrattamento è necessario possedere:

- una discreta conoscenza delle problematiche inerenti al maltrattamento;

- una capacità di analisi degli eventi libera e serena;

- una particolare attenzione al contesto sociale e culturale in cui si sviluppa la problematica;

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175 - una disponibilità a porsi in dialogo e confronto con quanti possono offrire un

contributo in termini di professionalità e di solidarietà.

Gli indicatori ritenuti più significativi per la valutazione del disagio del bambino e della sua famiglia vengono suddivisi, a grandi linee, in:

ƒ indicatori fisici e di salute (che si riferiscono a lesioni, ustioni, morsi, ematomi, ecchimosi, escoriazioni, fratture, condizioni igieniche, modalità di alimentazione, aspetto fisico, etc.);

ƒ indicatori psicologici (segni cognitivi, comportamentali, emozionali: improvvisi cambi d’umore, persistenti sensi di colpa e d’ansia; atteggiamenti ribelli e provocatori;

alterazione delle abitudini alimentari: anoressia, ma soprattutto bulimia;

inadempienze scolastiche o crolli del rendimento; comportamenti seduttivi e/o sessualizzati verso adulti o coetanei, etc);

ƒ indicatori sociali (incapacità di stabilire relazioni positive con i compagni, isolamento sociale).

Questi indicatori variano in relazione alla fase di sviluppo del minore e ci permettono di avere informazioni su come i bambini e le famiglie stanno nella dimensione psicofisica

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176 (“dentro di loro”), nell’interazione reciproca (“tra di loro”) e nella relazione con il mondo esterno (“con gli altri”).

3. Le più frequenti condizioni di abuso e trascuratezza dei minori

La salvaguardia della salute mentale dell’età evolutiva richiede il «riconoscimento precoce del disagio e delle condizioni individuali, familiari e sociali da cui esso deriva, al fine di prevenirne la perpetuazione e la cronicizzazione» (Montecchi, 2003).

Pertanto la prima e fondamentale opera di protezione del bambino, ossia di tutela dei suoi interessi, consiste nella prevenzione. La prevenzione è un processo di pensiero critico che si sforza di intravedere presagi e segnali negativi in situazioni culturali e mentali apparentemente neutre e ampiamente condivise o date per scontate.

Una prima situazione critica è la stessa relazione adulto-bambino che - come sappiamo - è contrassegnata dalla asimmetria: il rapporto tra l’adulto e il bambino non è un rapporto alla pari in quanto l’adulto ha maggiori responsabilità. Se l’adulto non fosse superiore al bambino per competenze, possibilità di intervento, gestione pratica e mentale delle cose, il bambino non potrebbe sopravvivere, perchè non è autosufficiente e perché i suoi apprendimenti verso l’autosufficienza gli provengono dall’adulto che lo accompagna, lo guida, lo aiuta a crescere.

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177 Ma la relazione asimmetrica è sempre a rischio, perché «prevede che alcuni sappiano e comandino e decidano per altri che non sanno e possono solo ubbidire ed eseguire;

l’asimmetria dà potere e il potere può essere usato male» (Pedrocco Biancardi, 2001).

Proprio a causa di questa indispensabile, innegabile, insuperabile e ovvia posizione asimmetrica che caratterizza la relazione adulto-bambino, i bambini nel mondo degli adulti sono in una situazione di protezione e di vantaggio, ma talvolta anche in una situazione di rischio allorquando gli adulti che si prendono cura di loro non sono consapevoli che la parte forte, competente, adulta può prevaricare sulla parte debole, sprovveduta e affidata.

Pre-venire è allora, innanzitutto, un processo mentale di progressiva consapevolezza della asimmetria che esiste nella relazione tra adulto e bambino e dei rischi che le sono connaturati. Diventare consapevoli di questa asimmetria attiva la prevenzione che richiede sempre - innanzitutto - l’osservazione, l’ascolto e, quindi, la protezione.

Ne consegue che un’area da tenere sotto osservazione perché particolarmente esposta al rischio della non consapevolezza degli adulti e al conseguente rischio di disagio per i bambini è l’area sempre più vasta di quelle coppie che diventano genitori in situazione di fragilità coniugale:

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178 a) coppie cosiddette “premature”, nate da unioni decise con troppa leggerezza o

urgenza, oppure motivate da interessi estranei alla libera scelta della coppia stessa, come l’attesa imprevista di un figlio, la pressione al matrimonio da parte della famiglia allargata, motivi economici.

b) coppie che non sono ancora riuscite a creare tra loro una base di alleanza sull’essenziale e sul quotidiano e che, quindi, improvvisano, vivono alla giornata, mancano di un progetto di coppia e di famiglia.

c) coppie in cui ogni contrattempo o litigio o differenza insinua l’ipotesi della divisione, della separazione e rappresenta ogni volta l’inizio della fine.

d) coppie dipendenti dall’uso di sostanze psicotrope o in cui la dipendenza severa da esse da parte di uno o di entrambi i partner pone il bambino in situazione di grave fragilità. «Alle dipendenze tradizionali si aggiungono oggi ulteriori dipendenze: quelle legate alla sempre più diffusa pratica delle scommesse - videogiochi, lotterie, bingo - che disturbano la coppia genitoriale nel suo impegno di cura e di educazione e

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179 e) coppie in cui entrambi o uno dei due partner è ancora troppo dipendente dai

genitori, non avendo saputo sdoganarsi dalla propria condizione di figlio, per cui non riesce ad elaborare autonomi sistemi di significato e stili di comportamento in grado di diventare per il bambino sicuri punti di riferimento.

f) coppie caratterizzate dalla presenza di giochi familiari (Pedrocco Biancardi, 1996) nei quali gli adulti sono invischiati e in cui il bambino si trova suo malgrado coinvolto con ruoli sostitutivi di affetti mancati o con ruoli riparativi di ferite subite o con ruoli pacificatori di conflitti antichi e insanabili. In tutti questi casi il rischio consiste nell’impossibilità che gli adulti hanno di pensare a lui, di vederlo come veramente è:

un bambino bisognoso di attenzioni particolari, adeguate e modificate a ogni passaggio di età e a ogni conseguente compito evolutivo.

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180 g) coppie che non hanno ancora risolto la loro relazione, «non riuscendo ad orientarla

né nella direzione della stabilità né nella direzione della separazione» (Pedrocco Biancardi M.T., 2001). L’insicurezza del nucleo familiare si ripercuote negativamente sul benessere del figlio, principalmente perché i genitori sono distratti rispetto alle esigenze evolutive del piccolo, sono ancora troppo concentrati su di sé per potersi rendere conto della fatica che i loro figli stanno facendo per crescere e apprendere, perché sopraffatti dalla fatica di restare coppia. In queste situazioni il rischio per il bambino consiste nella possibilità che egli non veda valorizzato e premiato, perché non osservato e riconosciuto, dai genitori distratti, il percorso di crescita che sta compiendo.

h) coppie in cui la violenza tra gli adulti espone i bambini a gravi forme di trascuratezza, di maltrattamento fisico e psicologico in quanto assistere alla violenza in famiglia rappresenta un’evenienza distruttiva.

Un bambino che vive in una famiglia nella quale avvengono ripetutamente violenze contro la madre o un altro familiare di riferimento, anche se non subisce atti violenti diretti, è comunque un bambino vittima degli stessi nella forma di violenza assistita, un’espressione del maltrattamento traumatogena e distorsiva quanto il maltrattamento fisico o l’abuso sessuale (Cismai, 2000).

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181 Infatti «l’attentato alle figure di attaccamento del bambino (in primis la madre) priva lui stesso della necessaria base sicura per il proprio conforto e della prevedibilità dell’esistenza, fattori chiave per l’equilibrio; trasmette anche al piccolo una “filosofia di vita” in cui diventare persecutori può sembrare l’unico modo per evitare di diventare vittime» (Malacrea, 2004, p. 10).

Non infrequente è il coinvolgimento precoce del bambino nelle problematiche dell’adulto, addossandogli un peso che egli non può ancora sopportare, non avendo gli strumenti necessari per accoglierle ed elaborarle.

Abbiamo elencato alcune delle situazioni in cui il bambino che cresce è in difficoltà e in forte disagio. In tutti questi casi la protezione da attuare consiste nell’osservare e decodificare i segnali del disagio per alleviarli e rendere meno faticoso il processo impegnativo della crescita.

F. De Zulueta (1999) suggerisce di non trascurare una serie di atteggiamenti intesi come stili e modalità affettive e relazionali dell’adulto nei confronti del bambino che possono costituire, insieme ad altri fattori di ordine psicosociale, dei veri e propri predittori di rischio:

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182 9 il perfezionismo: un atteggiamento di estrema esigenza da parte del genitore che

causa nel figlio una serie di preoccupazioni e di ansie relative alle prestazioni e ai risultati in campo fisico, sociale, intellettuale che finiscono con l’aumentare l’insuccesso e fanno emergere sentimenti di impotenza e di autodenigrazione;

9 la costrizione: l’atteggiamento tipico del genitore che tende a comandare, controllare e dominare il figlio, proponendogli una “lista” senza fine di regole, disposizioni, modi di fare che gli procurano ansia e talvolta lo bloccano nell’evoluzione ed espressione di propri bisogni, desideri e aspirazioni e lo inducono a non avere fiducia in sé e a contare solo sulle iniziative provenienti dall’esterno, finendo col mettere in discussione i propri vissuti e le proprie certezze;

9 la sopraffazione: si tratta di un atteggiamento spesso abbinato al perfezionismo e alla coercizione, che il genitore ritiene necessario per la disciplina e l’educazione del figlio. In realtà il genitore punitivo scarica sul figlio la sua ostilità e la sua aggressività personale, non essendo l’errore del bambino, ma i suoi sentimenti soggettivi a determinare il castigo. Di solito il genitore, quando era piccolo, è stato trattato in modo molto simile e spesso crede, in buona fede, che questa sia l’unica maniera di imporre una certa disciplina;

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183 9 l’abbandono: è un atteggiamento sempre più diffuso che porta il genitore ad avere

poco tempo, poco interesse e scarsa consapevolezza del bisogno che il figlio ha di un continuo attaccamento a un adulto cui rivolgersi quando sente la necessità di soddisfare le proprie esigenze. L’abbandono può essere provocato da qualsiasi condizione che privi il figlio della completa e affettuosa attenzione da parte dei suoi genitori. Si pensi ai genitori interamente dediti al lavoro, oppure a quelli dipendenti dall’alcol, dalla droga, dal gioco patologico, da Internet, etc. Il bambino abbandonato è spesso incapace di creare delle relazioni intime ed importanti;

9 il rifiuto: quest’atteggiamento trasmette al bambino l’assoluta convinzione di non avere un suo posto di diritto all’interno del nucleo familiare in quanto è considerato e trattato come un peso, come un essere non desiderato. A questa mancanza di accettazione, a questa situazione di isolamento e di impotenza il bambino risponde con amarezza, con angoscia e con un grave senso di autodenigrazione.

Oltre a questi stili e modalità affettive e relazionali dell’adulto, occorre considerare come sintomo di grave pregiudizio anche tutte quelle situazioni di separazione conflittuale in cui i minori sono palesemente strumentalizzati dai genitori nel contrasto reciproco, con evidenti e rilevabili effetti sul loro equilibrio emotivo. Si pensi alla Sindrome d’Alienazione Genitoriale (PAS), dovuta alla incapacità di uno dei genitori di

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184 superare la “rottura” della coppia, per cui riversa sul figlio le proprie difficoltà, lo spinge a rifiutare l’altro genitore con affermazioni pesantemente negative sulla sua persona.

Nella PAS c’è dunque un genitore alienatore, un genitore alienato e un figlio che subisce una violenza emotiva che gli crea un danno enorme: un danno che difficilmente potrà essere sanato o anche solo risarcito, dato che coinvolge la sfera intima della coscienza personale.

4. La personalità dei genitori nel cattivo trattamento dei figli

La trasformazione del disagio sociale in attacco alla prole necessita di anelli intermedi, tra cui il più significativo è il modello di funzionamento psicologico dei genitori, a sua volta derivato dalle precedenti esperienze infantili degli stessi.

Quindi, «la disfunzione relazionale che danneggia i figli affonda le sue radici non in contingenze esterne, che pure possono porsi come fattori aggravanti e/o scatenanti, ma in modelli psichici che renderanno le condotte negative forzatamente perduranti.

Sappiamo, del resto, che solo una minoranza dei casi di maltrattamento è l’esito di una crisi familiare momentanea e superabile in un breve arco di tempo: solo il 5% dei bambini ha subito maltrattamento per un mese e solo il 13% per sei mesi» (Malacrea, 2004, p. 9).

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185 Sono molteplici le variabili che contribuiscono ad innescare una situazione di violenza psicologica a danno dei bambini.

1. Pensiamo alla presenza nei genitori di una psicopatologia che impedisce loro di sviluppare l’empatia nei confronti del figlio e può comportare perfino il rifiuto primario del figlio stesso o può portare a considerarlo di proprietà dei genitori oppure un soggetto privo di un valore intrinseco.

In alcuni genitori vi è la fantasia che il bambino non sia una persona con suoi desideri, bisogni, paure, con una sua individualità da rispettare, ma semplicemente un oggetto, una cosa: non una persona separata, ma un’espansione narcisistica, che permette loro di considerarlo solo il prolungamento della propria vita e, quindi, uno strumento per risolvere i propri conflitti. In quest’ottica il figlio non viene più trattato come il soggetto di un rapporto interpersonale, ma come una materia malleabile e manipolabile all’infinito, a proprio piacimento, un semplice contenitore in cui può essere versato qualunque contenuto predeterminato.

2. Pensiamo a tutte quelle situazioni di disagio economico-sociale che implicano inconsce richieste al figlio di una qualche forma di promozione sociale o di riscatto sociale della famiglia.

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186 I sentimenti di impotenza, di inadeguatezza, di frustrazione per un basso livello sociale o economico possono indurre nel genitore il desiderio di vedere riscattata dal figlio e nel figlio la propria immagine sociale. Con la conseguenza che il bambino non sarà più amato per quello che è ma per quello che può rappresentare agli occhi degli altri: sarà gratificato se si adatterà ai modelli proposti; sarà rimproverato se non raggiunge le prestazioni richieste, sarà ricattato affettivamente se si presenta debole, incapace, schivo o se assume altri atteggiamenti che possano far risaltare la condizione di inadeguatezza dei suoi genitori.

Queste fantasie compensatorie portano il genitore a sovrapporre al figlio reale un’immagine ideale che non tiene conto delle caratteristiche individuali del bambino, delle sue capacità potenziali, dei suoi desideri autentici. Il figlio non esiste più agli occhi del padre e della madre: il suo dramma è di occupare lo spazio di un altro, il tempo di un altro, di vivere la vita di un altro. La sua personalità si strutturerà secondo un Falso Sé (Winnicott, 1960) che distrugge lentamente il mondo interiore del ragazzo, il quale non avrà più sensazioni proprie, bisogni propri, né desideri propri.

A lungo andare il risultato sarà una totale inibizione, una crescita priva di slancio vitale e di qualunque desiderio. L’autostima, del tutto inesistente, sarà legata a una continua conferma da parte del mondo esterno.

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187 3. Pensiamo anche alla permanenza nell’immaginario collettivo di visioni mitiche

dell’infanzia, come quelle che possono essere sintetizzate, da un lato, nell’immagine del bambino “eterno” e, dall’altro, nell’immagine del bambino “negato”.

La visione del bambino “eterno” trova le sue radici nella fantasia mitica di una infanzia felice, momento magico della vita, priva di conflitti e di angosce, che i genitori devono prolungare il più possibile. Il bambino é visto come un essere bisognoso solo di cure, di affetto, di calore, di protezione. Poiché ogni intervento di stimolazione sensoriale, cognitiva o di socializzazione viene valutato come un’interferenza che perturba questo stato immaginario, i genitori eviteranno al bambino l’attività esplorativa, il confronto con situazioni di rischio e i momenti di socializzazione potenzialmente frustranti: il figlio verrà amato unicamente per la sua debolezza, per la sua fragilità, per il suo stato di necessità.

Non trovando punti di riferimento significativi il bambino crescerà senza sapersi assumere le responsabilità adeguate alla sua età, non saprà accettare le inevitabili frustrazioni, i fallimenti, le limitazioni imposte alla sua libertà dal confronto con la vita sociale infantile e, successivamente, non saprà riconoscere i propri limiti, si troverà incapace di accettare la complessità della sua vita di adulto.

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188 Sull’altro versante, quello del bambino “negato”, i genitori ritengono che bisogno fondamentale del figlio sia quello di essere preparato a realizzare a qualunque costo un visibile successo personale. Per questo organizzeranno tutta la vita del figlio in funzione di questo risultato e lo forzeranno a trasformarsi precocemente in un piccolo adulto. Le gratificazioni verranno elargite solo in cambio di risultati e ci saranno altissime richieste di prestazioni scolastiche, mentre verrà ampiamente ridotto o abolito lo spazio del gioco spontaneo e gratuito, senza fini utilitaristici o competitivi.

4. Pensiamo infine a tutte quelle situazioni che possiamo chiamare “le nuove violenze”, tra cui lo sfruttamento del minore nel mondo della pubblicità, dello sport, dello spettacolo, la notevole diffusione delle adozioni nazionali e soprattutto internazionali, le pratiche legate all’inseminazione artificiale, ovvero tutte quelle situazioni in cui il figlio è sollecitato a rispondere alle richieste dei genitori, a conformarsi alle loro fantasie, a non ribellarsi.

Costituscono momenti di violenza psicologica sui minori la pressione esercitata dai genitori, condizionati e affascinati dalla vanità, dalla notorietà e dai guadagni e la violenza della società che continua a permettere l’ingresso troppo precoce dei bambini nei circuiti economici. Nel ragazzo che sta crescendo vengono a mancare

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189 momenti ludici e sociali importanti per il suo sviluppo e vengono esasperati alcuni aspetti della sua personalità: si genera così uno squilibrio evolutivo globale e il ragazzo finisce per identificarsi con l’immagine sociale e con il ruolo che interpreta, a scapito dell’equilibrio delle altre funzioni dell’Io.

Si diceva delle adozioni nazionali e internazionali: i criteri di abbinamento spesso sopravvalutano le esigenze dell’adulto e tendono a sottovalutare i bisogni del minore. Non basta un desiderio umanitario, spesso genuino anche se malinteso, o il benessere economico con la possibilità di assicurare al bambino sicurezza materiale e sociale: i genitori adottivi devono possedere soprattutto una forte capacità empatica e dimostrare una piena disponibilità pedagogica.

Il lavoro nel Consultorio Familiare mi porta ad affermare che le difficoltà per il bambino adottato sono tanto maggiori quanto più distorta è la motivazione dei genitori, quanto più grande è la differenza di cultura con il figlio, quanto più elevata è l’età del bambino al momento di essere adottato.

A tutti questi fattori di violenza, di rischio e di disagio possiamo aggiungere in ultimo le violenze “istituzionali”, quelle che possono essere commesse da figure istituzionali che avrebbero come loro scopo principale quello di tutelare i minori: può essere il caso del medico che ricovera un bambino in ospedale senza necessità, dello psicologo che non

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190 inoltra la denuncia per atti di abuso a danno di un minore, del giudice che allontana un bambino dalla famiglia collocandolo in una struttura residenziale per un tempo superiore a quello necessario a trovare una sistemazione più idonea per lui; dell’assistente sociale che non fa le visite domiciliari; dell’insegnante che rifiuta di seguire un bambino perché problematico, ecc.

Tutte le forme di violenza che abbiamo precedentemente descritto o a cui abbiamo accennato riconoscono una matrice comune, particolarmente evidente nell’abuso psicologico, ossia che queste violenze nascono da una insufficiente o alterata percezione delle reali esigenze del bambino, delle sue caratteristiche individuali, delle difficoltà che incontra e che non è in grado di superare.

In tutte queste situazioni è come se mancasse negli adulti uno spazio mentale per il bambino, che è costretto a rinunciare ad essere se stesso per divenire come l’adulto gli chiede di essere.

Siamo dunque in presenza di vari e complessi indicatori precoci di abuso e trascuratezza. Per questo è necessario che «tutti coloro che lavorano con i bambini e per i bambini, oltre alle tradizionali competenze professionali, abbiano nuove competenze specifiche, per accogliere e riconoscere il disagio sofferto dai bambini e per individuare

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191 nei loro comportamenti i segnali e i sintomi rivelatori anche delle situazioni a rischio»

(Montecchi, 2003).

5. Ascolto, osservazione e protezione del minore

Nelle moderne società occidentali il rischio per i minori non coincide più con le aree di povertà o di multiproblematicità.

Se nelle società meno sviluppate il bambino a rischio appartiene a gruppi sociali svantaggiati e multiproblematici (povertà, marginalità, analfabetismo, scadente assistenza, basse opportunità di vita), nelle moderne società occidentali sviluppate il bambino a rischio vive in un contesto socio-relazionale che non è in grado di produrre risorse capaci di soddisfare i suoi bisogni evolutivi sul piano mentale e dove prevale la solitudine, il malessere e l’instabilità affettiva e accuditiva.

Tutti siamo chiamati, pertanto, ad affinare gli strumenti osservativi per individuare tra le pieghe della normalità i primi segnali di pericolo, così da rendere più tempestiva e continuativa l’attività di protezione.

Ma credo anche che tutti chiediamo di essere messi in grado di distinguere meglio la gravità delle varie situazioni. Tutti abbiamo bisogno di essere aiutati ad evitare inutili allarmismi, da un lato, e cecità nei confronti delle eventuali situazioni estreme, dall’altro.

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192 Ma credo anche che tutti chiediamo di essere messi in grado di distinguere meglio la gravità delle varie situazioni. Tutti abbiamo bisogno di essere aiutati ad evitare inutili allarmismi, da un lato, e cecità nei confronti delle eventuali situazioni estreme, dall’altro.

L’ascolto dei bambini e l’osservazione di come vivono le relazioni con il mondo degli adulti e dei pari rappresentano gli strumenti preziosi a disposizione di chi non voglia sottrarsi al compito di essere un’“antenna sensibile” e promotore di cambiamento sociale e culturale a favore di un maggior rispetto dei bambini e delle bambine come persone e come soggetti di diritto.

Claudio Foti (2001) sostiene che l’abuso diventa inespressivo e muto quando chi circonda l’abuso risulta emotivamente e cognitivamente sordo; diventa illeggibile e invisibile quando chi circonda l’abuso risulta emotivamente e cognitivamente cieco.

Ma l’abuso parla e nessuno degli adulti che stanno attorno ad un bambino abusato, e che dicono che non hanno sentito, può sottrarsi alla propria responsabilità dicendo che non si poteva sapere e non si poteva ascoltare.

Non esistono indicatori che ci tolgano «la responsabilità di sviluppare, a partire dal nostro ruolo istituzionale specifico, l’impegno ad approfondire la situazione, assumendo

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193 atteggiamenti emotivi, relazionali e professionali adeguati ed integrando in rete le informazioni acquisite.

Non esistono indicatori che ci possano esimere dal nostro doveroso impegno a costruire un’osservazione partecipe, attenta e prolungata, capace di cogliere la globalità del comportamento e dell’atteggiamento del minore nel suo contesto.

Spesso gli indicatori fisici e comportamentali non possono che essere muti, ma tocca agli adulti, agli operatori delle diverse istituzioni il compito di favorire nella soggettività del minore l’emergenza dell’indicatore più significativo e meno ambiguo, l’attivazione del mezzo simbolico e comunicativo più efficace: la parola» (Foti, 2001).

Concordiamo con Cirillo e Cipolloni (1994) nel sostenere che «un singolo indicatore sarà sempre ambiguo, in quanto può rimandare a una serie di fattori causali differenti dalla trascuratezza e dal maltrattamento. É solo l’inserire il singolo indicatore all’interno di un quadro complessivo che può permettere di arrivare ad una diagnosi convincente».

Ma per fare ciò solitamente non basta un singolo operatore: è necessaria una diagnosi congiunta, in cui più tecnici (per es. il medico scolastico, il pediatra di libera scelta, l’assistente sanitaria, l’insegnante, il dirigente scolastico, l’assistente sociale, lo psicologo, il neuropsichiatra infantile, l’educatore, il volontario, lo psichiatra che ha in cura il genitore...) «mettano insieme gli elementi di osservazione in possesso di ciascuno

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194 per arrivare a formulare un’ipotesi sufficientemente certa di maltrattamento o trascuratezza, oppure per escluderla» (Cirillo e Cipollini, 1994).

Nei confronti del grave fenomeno dell’abuso all’infanzia non è possibile, anzi può risultare pericoloso, nutrire certezze assolute, essendo il terreno spinoso e fumoso, com’è tipico delle dimensioni sommerse e ancora non completamente conosciute.

Concludo pertanto con un invito alla prudenza, ad evitare l’improvvisazione degli interventi e delle letture affrettate sul fenomeno, a costruire la massima competenza professionale dal momento che sono in gioco i destini dei bambini e delle loro famiglie, le responsabilità professionali e istituzionali. Non esiste una “ricetta” univoca per affrontare il fenomeno, così come non esistono “idee perfette”: dobbiamo riconoscerci umili e allenarci ad operare nel dubbio.

Ricordando sempre il monito di Foti (2001, p. 35): «Non possono certo intervenire efficacemente nell’azione di tutela dei bambini gli operatori dell’area sociale, sanitaria, educativa e giudiziaria che non hanno sensibilità emotiva, gli operatori che non hanno capacità di preoccuparsi e di provare dolore o altri sentimenti per le persone con cui entrano in contatto, gli operatori che di fronte alla sofferenza dei bambini ricorrono senza alcuna consapevolezza ai meccanismi difensivi di rimozione, di distacco emotivo, di negazione, di razionalizzazione…

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195 E’ necessario imparare ad ascoltare l’altro, apprendendo nel contempo ad ascoltare, avvertire e decodificare le emozioni che risuonano dentro di sé: saper riconoscere ed elaborare i sentimenti positivi o negativi che ci vengono trasmessi attraverso la relazione interpersonale dai bambini e dagli adulti coinvolti nelle vicende di maltrattamento e di abuso».

Relazione al Convegno “Maltrattamento e trascuratezza dei minori: ruolo preventivo del medico e dell’odontoiatra. Aspetti medico-legali, odontoiatrici e giuridici”, organizzato dalla Società Italiana di Odontoiatria Legale ed Assicurativa e Associazione Italiana Odontoiatri

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