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Il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi stranieri (art. 839 c.p.c.) - Judicium

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F

RANCESCO

P. L

UISO

Il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi stranieri (art. 839 c.p.c.)

Forse ci si poteva meravigliare dell’ordine in cui sono stati disposti gli argomenti da trattare:

ma, come vedremo subito, così non è. Tuttavia, prima di affrontare la vigente disciplina in tema di riconoscimento ed esecuzione del lodo straniero, è necessario soffermarsi sulla normativa previgente.

L’art. 800 del c.p.c. de 1942 estendeva al lodo la disciplina che gli artt. 796 – 799 dettavano per le sentenze. E dunque, per <<far valere>> nel Regno un lodo straniero, occorreva instaurare un ordinario giudizio di cognizione dinanzi alla corte di appello.

Nel 1968 fu ratificata dall’Italia la convenzione di New York, la quale, con l’art. 3, impone agli Stati contraenti di non prevedere, per il riconoscimento e l’esecuzione del lodo straniero,

<<condizioni considerevolmente più rigorose>> di quelle previste per il lodo nazionale. L’Italia si trovava quindi inadempiente, in quanto il procedimento di exequatur del lodo nazionale era disciplinato dall’art. 825 c.p.c. in modo sensibilmente più semplice di quanto prevedeva l’art. 800 c.p.c. Sicché parte della dottrina ebbe anche a sostenere l’abrogazione tacita di quest’ultima norma.

In occasione della seconda riforma dell’arbitrato, la L. 25/1994 abrogò l’art. 800 c.p.c., e lo sostituì con gli artt. 839 ed 840. Il procedimento fu modificato, ma rimase ferma l’impostazione originaria: chi vuol <<far valere>> nella Repubblica un lodo straniero deve preventivamente ottenere un provvedimento giurisdizionale interno.

Si noti che l’anno seguente la L. 1995/218 di diritto internazionale privato ha previsto che le sentenze straniere sono efficaci in Italia senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento.

Un processo di cognizione (che si svolge secondo il rito sommario, dinanzi al giudice ordinariamente competente) sarà necessario solo se si vuole munire la sentenza di efficacia esecutiva, ovvero se sorgono contestazioni in ordine alla sua efficacia.

* * *

La portata normativa degli artt. 839 ed 840 c.p.c. è meramente processuale, in quanto essa si limita a dare attuazione alla convenzione di N.Y. Poiché, infatti, l’Italia non ha utilizzato la riserva prevista dall’art. I, comma 3 (secondo la quale ciascuno Stato poteva riservare l’applicazione della convenzione ai lodi stranieri radicati in un altro Stato contraente), il riconoscimento e l’esecuzione di ogni lodo straniero, in Italia, rientra nella disciplina della convenzione. In altri termini, non

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esistono lodi stranieri al cui riconoscimento si applichino solo gli artt. 839 ed 840 c.p.c. e non la convenzione.

Ciò spiega perché, nell’ordine degli interventi, quello sulla convenzione di New York ha preceduto il presente.

Questo non significa, tuttavia, che il contenuto degli artt. 839 ed 840 c.p.c. debba essere perfettamente coincidente con il contenuto della convenzione: l’art. VII, comma 1, della convenzione consente alle parti di valersi di un lodo <<nella maniera e nella misura ammesse nella legislazione … dove la sentenza è invocata>>. Dunque la convenzione stabilisce dei requisiti massimi, che non possono essere aggravati dalla normativa interna, la quale viceversa può accontentarsi anche della presenza di requisiti inferiori a quelli previsti dalla convenzione.

* * *

L’art. 839 c.p.c. parla di lodo straniero. Normalmente si fa riferimento alla sede. Anche la convenzione, all’art. 1, comma 1, parla di <<sentenze arbitrali emesse sul territorio di uno Stato diverso>>. Questo però è solo il <<marchio>> del radicamento del lodo in un ordinamento: ciò che conta veramente è la disciplina processuale applicabile al processo arbitrale ed al lodo.

Il ricorso si propone alla corte di appello, territorialmente individuata dall’art. 839, I. La competenza territoriale è derogabile, perché non rientra in alcuna delle fattispecie dell’art. 28 c.p.c.

L’oggetto del processo è processuale, in quanto non si chiede un provvedimento che incorpori e duplichi il contenuto lodo, sibbene che estenda nell’ordinamento interno gli effetti che esso ha già1.

È molto discusso se si possa avere un riconoscimento incidentale, come prevede – per le sentenze straniere – l’art. 67, comma 3, della L. 218/1995. Nella vigenza dell’art. 800 c.p.c. la risposta era affermativa, in quanto tale norma faceva rinvio alle disposizioni dettate per le sentenze, e l’art. 799 c.p.c. lo prevedeva. In mancanza di una analoga disposizione, la risposta deve essere negativa.

È invece certo che non è ammissibile una domanda di accertamento negativo della (non) riconoscibilità del lodo, in quanto il procedimento speciale previsto dagli artt. 839 ed 840 c.p.c.

costituisce l’unica sede in cui si possa discutere dell’efficacia del lodo nell’ordinamento interno2. L’art. 839 c.p.c. prescrive testualmente: << Il ricorrente deve produrre il lodo in originale o in copia conforme, insieme con l'atto di compromesso, o documento equipollente, in originale o in copia conforme.

1 Cass. 16 febbraio 1999 n. 1301.

2 Cass. 17 aprile 2003 n. 6164; Cass. 15 giugno 2000 n. 8163.

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Qualora i documenti di cui al secondo comma non siano redatti in lingua italiana la parte istante deve altresì produrne una traduzione certificata conforme>>.

È evidente la differenza con quanto prescrive la convenzione all’art. IV:

<<1. Pour obtenir la reconnaissance et l'exécution visées à l'article précédent, la partie qui demande la reconnaissance et l'exécution doit fournir, en même temps que la demande:

a) L'original dûment authentifié de la sentence ou une copie de cet original réunissant les conditions requises pour son authenticité;

b) L'original de la convention visée à l'article II, ou une copie réunissant les conditions requises pour son authenticité.

2. Si ladite sentence ou ladite convention n'est pas rédigée dans une langue officielle du pays où la sentence est invoquée, la partie qui demande la reconnaissance et l'exécution de la sentence aura à produire une traduction de ces pièces dans cette langue. La traduction devra être certifiée par un traducteur officiel ou un traducteur juré ou par un agent diplomatique ou consulaire>>.

Le diversità sono le seguenti:

a) L’art. 839 c.p.c. non richiede che le produzioni siano effettuate contestualmente alla proposizione della domanda;

b) Se il lodo viene depositato in originale, l’art. 839 c.p.c. non richiede che sia Poiché, come si è detto, l’art. 7, comma 1, della convenzione prevede che il singolo Stato possa ridurre le condizioni richieste dalla stessa convenzione per il riconoscimento, la conclusione è che lodo e convenzione di arbitrato possono essere depositate anche nel corso del procedimento3 – magari su sollecitazione del giudice – e che il lodo, se depositato in originale, non deve essere autenticato4.

3 La giurisprudenza è ambigua, perché – quando afferma che la produzione deve sussistere fin dall’inizio del processo – sembra affermare non già che essa non possa essere effettuata nel corso della fase sommaria, sibbene che non possa essere effettuata per la prima volta in sede di opposizione: Cass. 23 luglio 2009 n. 17291. Cass. 12 novembre 1992 n.

12187, Riv. Arb. 1993, 221, nota BOVE, invece, è antecedente all’introduzione dell’art. 839 c.p.c.

4 Contra Cass. 8 ottobre 2008 n. 24856 la quale – pur trattandosi nel caso di specie di copia e non di originale del lodo – afferma, incidenter tantum, che anche l’originale deve essere debitamente autenticato. Ciò in quanto, si dice, la convenzione dà << luogo ad un micro-sistema del tutto autonomo, non solo in ordine ai presupposti sostanziali dell'exequatur di un lodo straniero da parte degli Stati aderenti, ma altresì in ordine a quelli processuali, limitando la potestà dei medesimi Stati alla mera determinazione del tipo di procedimento strumentale al provvedimento di esecuzione del lodo>>, e cita il precedente costituito da Cass. 14 marzo 1995 n. 2919, antecedente peraltro all’introduzione dell’art. 839 c.p.c. Si dimentica così, la Corte, dell’art. VII, comma 1, della convenzione.

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Ove manchino le prescritte produzioni, la domanda dev’essere rigettata: la giurisprudenza più recente qualifica tali produzioni come presupposti processuali ed afferma che il rigetto non impedisce la riproposizione del ricorso5.

La cognizione del presidente del tribunale riguarda la <<regolarità formale>> del lodo e coincide quindi con quanto prevede l’art. 825 c.p.c.: né potrebbe essere diversamente, stante il disposto dell’art. VII, comma 1, della convenzione. Il giudice deve quindi verificare che vi sia un atto, formalmente qualificabile come lodo, che si fonda su un altro atto, formalmente qualificabile come convenzione di arbitrato.

Oltre alla regolarità formale del lodo, il presidente deve anche verificare di ufficio che la controversia sia arbitrabile secondo la legge italiana e che il lodo non contenga disposizioni contrarie all’ordine pubblico.

Sotto il primo profilo viene in gioco l’art. 806 c.p.c.; dunque, e fondamentalmente, il lodo deve risolvere una controversia relativa ad un diritto disponibile. La natura disponibile o meno del diritto deve peraltro essere verificata alla luce della normativa sostanziale applicabile al rapporto.

Sotto il secondo profilo, viene in gioco l’ordine pubblico6: si discute se si tratti di ordine pubblico interno o internazionale. Sembra preferibile ritenere che si tratta del diritto pubblico interno, che peraltro deve tener conto del collegamento più o meno stretto della controversia all’ordinamento.

È peraltro indubbio che le disposizioni contrarie all’ordine pubblico possono consistere non solo in comportamenti direttamente contrari ad esso (ad es., il dovere di sposare o non sposare una certa persona) ma anche in comportamenti di per sé neutri (ad es., pagamento di una somma di denaro) quando la causa del pagamento sia in sé contraria all’ordine pubblico. Così, ad es., un lodo che condannasse al pagamento del compenso per aver ucciso una persona, o al risarcimento dei danni per essere rimasto inadempiente all’obbligo contrattualmente assunto di uccidere una persona.

L’ordine pubblico, oltre che sostanziale, può essere anche processuale. Per quanto riguarda il nostro ordinamento, due sono i profili che possono assumere rilevanza: l’attuazione del principio del contraddittorio e la nomina degli arbitri secondo un meccanismo che non dia ad una parte più potere dell’altra.

5 Cass. 8 ottobre 2008 n. 24856; Cass. 20 settembre 1995 n. 9980, Giust. civ. 1995, I, 762. In precedenza invece si riteneva che la produzione documentale attenesse al merito, e dunque determinasse l’infondatezza della domanda, con la conseguenza che essa, una volta rigettata, non poteva più essere riproposta: Cass. 19 dicembre 1991 n. 13665, Giur.

it. 1992, I, 1, 693.

6 Il quale ovviamente prescinde da un eventuale error in iudicando, dovendo prendersi in considerazione, in modo oggettivo, le sole prescrizioni contenute nel lodo: Cass. 3 aprile 1987 n. 3221; Cass. 8 aprile 2004 n. 6947

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