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INTRODUZIONE/RIASSUNTO

Il dibattito e i tentativi di riforma del bicameralismo perfetto, ed in particolare del Senato, hanno caratterizzato la Repubblica italiana fin dalle sue origini; è stata sempre avvertita infatti, la sensazione che una revisione del sistema parlamentare avrebbe garantito un migliore funzionamento dello Stato, una risposta più adeguata alle aspettative dei cittadini, oltre a rappresentare un punto di partenza per una rinascita economica e sociale.

Il presente lavoro si propone, prima di tutto, di realizzare uno studio sul tentativo di riforma del Senato e del bicameralismo paritario proposto dal Governo Renzi, al quale sarà interamente dedicato il IV Capitolo.

Tuttavia, al fine di realizzare un'analisi più completa possibile, ho deciso

di iniziare da molto più lontano, incentrando il I Capitolo sul modello di

bicameralismo previsto dallo Statuto Albertino, per poi analizzare

l'evoluzione da esso subita in Assemblea Costituente, verso la

configurazione attuale. Il II Capitolo invece tratta dei principali

orientamenti, spesso concretizzatisi in veri e propri tentativi di riforma,

circa il superamento dell'assetto bicamerale perfetto “costruito” in

Assemblea Costituente, partendo dalle prima Legislatura della

Repubblica italiana fino ad arrivare ai tempi più recenti; su questa linea

prosegue il III Capitolo, che tratta degli ultimi due tentativi di revisione

costituzionale riguardanti il Senato ed il bicameralismo perfetto, cioè il

Comitato dei Saggi istituito dal Presidente della Repubblica Giorgio

Napolitano e la Commissione per le riforme costituzionali istituita

dall'allora Presidente del Consiglio Enrico Letta. Il V Capitolo invece si

propone di realizzare una comparazione tra gli attuali modelli di seconda

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Camera e di bicameralismo degli Stati Uniti e dei principali Stati europei caratterizzati da una forma di Stato federale o da un decentramento territoriale accentuato, rispetto ai quali, in seguito alla riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione, il nostro Paese ormai presenta diverse similitudini.

ABSTRACT

Debate and attempts to reform the perfect bicameralism, and particularly the Senate, have characterized the Italian Republic since its origins; was always perceived in fact, the feeling that a revision of the parliamentary system would ensure a better functioning of the State, a more appropriate response to citizens' expectations, as well as representing a starting point for an economic and social renaissance.

The present work, it is proposed, first of all, to conduct a study on the attempt to reform the Senate and of the equal bicameralism put in place by the Government Renzi, which will be entirely dedicated Chapter IV. However, in order to achieve a more complete analysis possible, I decided to start from much further away, focusing on the I Chapter of bicameralism model provided by the Statute Albertino, and then analyze the evolution from it suffered in the Constituent Assembly, to the current configuration. The Chapter II instead is the major orientations, often been invoked in real attempts at reform, about overcoming of the bicameral perfect "built" in the Constituent Assembly, starting from the first legislature of the Italian Republic up to the more recent times; on this line continues the Chapter III, which deals with the last two attempts at constitutional amendment regarding the Senate and the perfect bicameralism, that the Committee of Wise Men set up by President Giorgio Napolitano and the Commission for constitutional reforms instituted by the then President of Enrico Letta. The Chapter V instead aims to create a comparison between the current models of the second Chamber of bicameralism and the United States and key European states characterized by a form of federal state or a territorial decentralization accentuated, with respect to which, following the reform Title V of the second part of the Constitution, our country now has several similarities.

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Parole chiave

Assemblea Costituente, bicameralismo, Bundesrat, Costituzione, Parlamento, Renzi, revisione costituzionale, riforma, seconda Camera, Senato, Senatori.

Key words.

Bicameralism, Bundesrat, Constituent Assembly, Constitution, constitutional revision, Parliament, Renzi, reform, second Chamber, Senate, Senators

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1. LE ORIGINI DEL SENATO IN ITALIA

1. Lo Statuto Albertino

Lo Statuto Albertino emanato da Carlo Alberto di Savoia-Carignano il 4 marzo del 1848, inizialmente relativo ed operante solo all'interno del Regno di Sardegna, ed esteso progressivamente agli altri territori in seguito alle loro annessioni, fino a divenire la Costituzione del Regno d'Italia, promuoveva un sistema bicamerale fondato su una Camera elettiva, la Camera dei Deputati, e su un Senato composto da membri nominati a vita dal Re. Numerosi erano gli articoli della Carta costituzionale in cui quest'organo trovava disciplina: dal 33 al 38, dal 48 al 64.

1

Dato che lo Statuto non era il prodotto di una Costituente, ma era stato concesso dal Sovrano, che per prevenire “mali maggiori“, aveva elargito ai sudditi determinati diritti, il Senato si configurava formalmente come uno strumento per garantire alla Corona un saldo controllo sull'ordinamento ed ampi poteri di intervento nella politica estera ed interna.

Essendo di nomina regia, la Camera alta era un organo apparentemente idoneo a sorreggere la monarchia e a frenare impulsi e velleità provenienti da quella bassa

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; del resto, a differenza della Camera dei Deputati, egemonizzata dalla borghesia liberale, di cui esprimeva e

1 N.Occhiocupo, Il Senato, pag 1,2; in: Enciclopedia Giuridica Treccani.

2 Cosi' emerge dai verbali della seduta del Consiglio di Conferenza del 7 febbraio 1848 nelle parole di De Ambrois e di Borelli. In proposito cfr. A. Manno., La concessione dello Statuto. Notizie di fatto documentate raccolte dal barone Antonio Manno, Nistri, Pisa, 1885, pag. 26 e ss;

G.Maranini., Le origini dello Statuto Albertino, Vallecchi, Firenze, 1926, pag. 54 e ss.; A.C.

Jemolo, M.S. Giannini., Lo Statuto Albertino, Sansoni, Firenze, 1946, pag. 43 e ss.

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tutelava gli interessi, il Senato era espressione di aristocrazia, clero, alta burocrazia, esercito e varie forze legate alla Corona ed al Governo

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. Ai sensi degli articoli statutari, in particolare l'art.33, i membri del Senato erano infatti nominati in numero illimitato dal Sovrano tra coloro che avevano raggiunto i quaranta anni di età e rivestivano le più alte cariche ecclesiastiche (Arcivescovi,Vescovi), politiche (Deputati e Ministri), diplomatiche (Ambasciatori e Inviati), giudiziarie (Magistrati dei gradi superiori e Avvocati generali), militari (Generali e Contrammiragli), amministrative (Consiglieri di Stato, Intendenti generali) e culturali (membri della Regia Accademia delle Scienze e del Consiglio Superiore d'istruzione pubblica)

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.

Funzionale a modificare la composizione della Camera alta in favore della politica del Sovrano e dell'esecutivo era la possibilità di individuare membri vitalizi del Senato anche all'interno di due categorie non precisamente determinate, che sono state definite “ extra-burocratiche”:

gli Illustri della Patria

5

e coloro i quali, in ragione del censo, pagassero una quota minima annua di tributi; grazie a tale norma vennero chiamati a far parte del Senato del Regno, nel corso del tempo, insigni personaggi della cultura italiana come Alessandro Manzoni, Giosuè Carducci, Benedetto Croce, Guglielmo Marconi e Giovanni Gentile

6

. Oltre a questi requisiti previsti dallo Statuto, ne erano richiesti altri, detti impliciti, perché ivi non menzionati: la cittadinanza del Regno; il godimento dei

3 Grazie al Senato, il lavoro legislativo sarebbe stato più ponderato proprio per l'intervento, in sede di rappresentanza parlamentare, di persone “più elette seppur non elette”, scelte nell'ambito delle ventuno categorie previste dallo Statuto per la nomina dei Senatori a vita (ai sensi dell'art. 33 dello Statuto Albertino). Cfr. S.Bonfiglio, Il Senato in Italia. Riforma del bicameralismo e modelli di rappresentanza, Editori Laterza, Roma, 2006, pag.9.

4 G.Volpe, Storia Costituzionale degli Italiani, L'Italietta (1861-1915), G.Giappichelli editore, Torino, 2009, pag. 26.

5 Coloro che avessero illustrato la Patria con “servizi e meriti eminenti”, le motivazioni che implicavano tale qualifica erano generalmente il riconoscimento di meriti culturali e scientifici; in:

Portale Storico del Senato della Repubblica: www.senato.it/sitostorico/home 6 Ibidem.

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diritti civili e politici; il sesso maschile; il requisito generico della dignità, ovvero l'assenza di precedenti penali ed una regolare condotta civile, morale e politica. Non bisogna poi dimenticare che per norma statutaria facevano parte di diritto del Senato i prìncipi della famiglia reale a decorrere del compimento del ventunesimo anno di età, senza godere del diritto di voto fino al venticinquesimo.

Il Senato esercitava la funzione legislativa in condivisione con il Sovrano e la Camera dei Deputati, e con il limite che a quest'ultima spettasse la precedenza nell'esame dei bilanci e dei conti dello Stato, che venivano da questa approvati e poi trasmessi al Senato alla chiusura dell'anno finanziario; infatti l'imposizione di tributi e l'approvazione dei bilanci divennero appannaggio della Camera dei Deputati.

7

Un altro aspetto che caratterizzava l'Assemblea vitalizia era quanto previsto dagli articoli 36 e 37 dello Statuto, secondo i quali tale organo si costituiva, con decreto del Re, in Alta Corte di Giustizia per giudicare i crimini di alto tradimento e di attentato alla sicurezza dello Stato, nonché i Ministri accusati dalla Camera dei Deputati; la vera peculiarità era che in tali casi la seconda Camera non si configurava quale organo politico, ma giurisdizionale: il primo e più famoso caso fu il processo svolto dal Senato nei confronti dell'Ammiraglio Persano, sconfitto per sue negligenze nella battaglia di Lissa. La Camera alta aveva anche la possibilità di dotarsi di un regolamento interno, in conformità con quanto previsto per l'altra Camera.

Come detto in apertura, l'istituzione in esame è caratterizzata da membri vitalizi nominati dal Sovrano, ma è necessario precisare che la nomina regia era meramente formale in quanto doveva essere concretizzata da una deliberazione del Consiglio dei Ministri e il decreto regio era

7 N.Occhiocupo, Il Senato..., cit. pag.2.

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controfirmato dal Presidente del Consiglio, dunque nella sostanza si trattava di una nomina governativa.

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Deliberazione e controfirma infatti non erano meri passaggi formali di questo procedimento: il decreto di nomina assumeva la natura giuridica di atto complesso, alla cui formazione concorrevano sia la volontà del Re che quella del Governo

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; lo stesso ruolo veniva esercitato da quest'ultimo nella nomina regia di Presidente e vicepresidente della Camera vitalizia; detto questo è evidente come il Senato fosse completamente in balia del Ministero.

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A far parte della Camera vitalizia venivano chiamate personalità vicine alla politica governativa e sulla composizione della stessa era forte l'incidenza delle c.d. infornate, prassi funzionale a modificare la composizione dell'Assemblea in favore del Governo, tramite la nomina di nuovi Senatori da parte dei quali l'appoggio all'esecutivo era indubbio.

Il primo ad utilizzare “le famose quanto deplorevoli infornate

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” fu Cavour, al fine di rendere omogenea la maggioranza del Senato a quella della Camera. Il fenomeno delle infornate fu reso possibile dalla mancata previsione, all'interno dello Statuto, di un limite massimo al numero dei membri del Senato; anzi proprio nell'articolo 33 dello stesso era espressamente sancita l'illimitatezza della composizione della Camera alta.

Nei primi anni del neonato Regno d'Italia il numero dei membri del Senato fu caratterizzato da un'impennata. Basti pensare che nel 1848 i Senatori erano 58, mentre nel 1892 divennero 464; solo nel periodo che va dagli inizi del 1860 alla fine del 1861 ne furono nominati 133; questo aumento sregolato causò un vero e proprio deperimento istituzionale.

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8 Ibidem, pag.2.

9 S.Bonfiglio, Il Senato..., cit. pag.17.

10 G.Mosca, Le Costituzioni Moderne, Palermo 1887, Milano 1958; pag. 503.

11 Ibidem, pag. 503.

12 S.Bonfiglio, Il Senato..., cit. pag. 12.

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A causa di questo assetto, la Camera alta mostro' fin dall'inizio la sua debolezza, risultando un'istituzione lontana dalla volontà popolare e dal potere decisionale, di fatto manovrato dall'esecutivo. Luigi Palma

13

, del resto, nei suoi scritti rimarcava come nonostante la carica vitalizia avesse dovuto garantire l'indipendenza dal Re e dalla piazza dei suoi componenti, il Senato come corpo fu caratterizzato, a causa delle arbitrarie nomine governative, da uno stretto nesso funzionale con il Presidente del Consiglio ed i Ministri

14

. I Senatori in questo sistema divennero “gli invalidi della Costituzione”

15

; in alcuni casi furono nominati Senatori a vita Deputati fedeli all'azione dell'esecutivo ma non più sostenuti dagli elettori. Emblematico in tal senso è quanto avvenuto durante il Governo Depretis che, in barba al divieto sancito nell'articolo 64 dello Statuto (nessuno può essere ad un tempo Senatore e Deputato), nomino' Senatori dodici Deputati che avevano espresso voto favorevole ad un provvedimento governativo nella prima Camera, in modo tale che potessero ripetersi al Senato.

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Le sedute e l'operato del Parlamento furono fortemente condizionati dal potere, attribuito dall'art.9 dello Statuto Albertino al Sovrano, di differirne e prorogarne i lavori:

dall'inizio dell'VIII legislatura alla chiusura della XXVI nel 1924 sono stati calcolati 8.203 giorni di sessione parlamentare a fronte di 14.427 giorni di chiusura, ragion per cui molte decisioni politiche fondamentali saranno prese dall'esecutivo e dal potere regio senza nessuna influenza da parte del Senato e delle Camere in genere

17

.

Originariamente la sede del Senato subalpino era lo storico Palazzo Madama di Torino che, in seguito alle progressive annessioni degli Stati

13 Luigi Palma di Cesnola (1832 Rivarolo Canavese, 1904 New York) fu un ufficiale dell'esercito piemontese ed un diplomatico statunitense. Cfr. Enciclopedia giuridica Treccani, www.treccani.it . 14 S.Bonfiglio, Il Senato..., cit. pag. 13.

15 L.Palma, Corso di diritto costituzionale, vol. II, Firenze 1877 - 80, pag. 265.

16 G.Maranini, Storia del Potere in Italia, Firenze 1967, pag. 149.

17 G.Volpe, Storia..., cit. pag. 25.

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“preunitari” di cui era composta la nostra penisola, maturate tra il 1859 e il 1861, divenne la sede di quello del Regno; in questo periodo ebbe luogo il conseguente ampliamento dei suoi componenti al fine di adeguare la rappresentanza al nuovo assetto territoriale del Regno. Il tutto fu realizzato tramite la anzidetta tecnica delle infornate; si trattò di 128 nuovi Senatori che si aggiungevano ai 91 componenti originari; la provenienza geografica dei nuovi Senatori non era però omogenea:

venne nominato infatti un maggior numero di rappresentanti nelle Regioni settentrionali rispetto a quelle del mezzogiorno.

In ottemperanza agli accordi recati nella Convenzione di settembre

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, stipulata con la Francia di Napoleone III nel 1864, fu deliberato da entrambi i rami del Parlamento, tra il 18 Novembre e i primi giorni del Dicembre, il trasferimento della Capitale del Regno da Torino a Firenze, che ebbe luogo nel febbraio del 1865. La sede della Camera alta fu individuata nel Teatro Mediceo, edificato all'interno degli Uffizi; la scelta non fu priva di conseguenze, dato che vi era chi preferiva che si riunisse a Palazzo Vecchio, dove era già stata ubicata la Camera dei Deputati; inoltre accentuò il contrasto tra le decisioni governative e le esigenze della città. A Torino vi furono numerose manifestazioni contro il trasferimento della Capitale a Firenze, culminate il 21 ed il 22 settembre del 1864 in saccheggi e assalti della folla a sedi istituzionali e di giornali; le repressioni furono durissime.

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Alcuni Deputati Torinesi fondarono una associazione comunemente detta “Permanente Piemontese”, che aveva lo scopo di opporsi a qualsiasi Governo che non

18 La Convenzione di Settembre fu stipulata con la Francia nel 1864 a Parigi; con la stessa il Regno d'Italia, in cambio del ritiro delle truppe francesi da Roma entro il termine di due anni, si impegnava oltre a non attaccare Roma, ad accollarsi la metà del debito pontificio, ma soprattutto a rinunciare al trasferimento della Capitale in Roma, sede dell'autorità Pontificia e a dimostrazione di tale intento, a trasferire entro 6 mesi la Capitale da Torino in altra città. Cfr. G. Volpe, Storia..., cit. pag. 51, 52, 53, 54.

19 Ibidem, pag. 48.

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proponesse Roma Capitale nel suo programma

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. In seguito alle vicende del 1870

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, nel febbraio dell'anno successivo, la Capitale fu trasferita a Roma e nell'autunno il Senato venne ospitato, in un locale omonimo a quello piemontese, cioè Palazzo Madama che è ancor oggi sede di questa Camera.

2. Le proposte di riforma a cavallo dei due secoli

Questo assetto, da cui emerge un bicameralismo solo formalmente paritario, comporta la preminenza della Camera dei Deputati sul Senato, nonché la pesante ingerenza governativa sull'operato dello stesso; per questo è stato oggetto di diverse critiche e conseguenti tentativi di riforma già dal 1848 e perduranti poi per tutto il secolo e gli inizi di quello successivo. Lo stesso Cavour infatti non nascondeva perplessità e non mancò di affermare la preferenza per una seconda Camera elettiva

22

. Le proposte di riforma di questo periodo, appena successivo all'emanazione dello Statuto Albertino, furono accomunate dalla richiesta di una Camera (quella dei Deputati) dove fosse preminente la forza motrice dell'elemento popolare che avrebbe dovuto essere contro- bilanciata da un'altra (il Senato), dove predominasse la forza coordinatrice e moderatrice dell'elemento conservatore. Ciò poteva ottenersi, secondo alcune proposte del tempo, attraverso l'instaurazione nella seconda Camera di un sistema di rappresentanza elettiva per categoria; secondo altre, tale obiettivo avrebbe potuto raggiungersi

20 GVolpe, Storia..., cit. pag. 49.

21 La disfatta subita dall'esercito francese (la Francia era protettrice del Papa) nella guerra contro la Prussia, fece tornare in auge un possibile tentativo di annessione di Roma al Regno d'Italia; una possibile “annessione pacifica” fu però subito preclusa dal Papa Pio IX che si rifiutò di trattare, così si procedette all'azione miliare, che culminò il 20 settembre del 1870 con l'apertura di una breccia a Porta Pia, attraverso la quale si principiò l'occupazione di Roma da parte dell'esercito italiano. Cfr. G.Volpe, Storia..., cit. pag. 53.

22 N.Occhiocupo, Senato..., cit. pag. 3.

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tramite la composizione territoriale nonché elettiva del Senato.

23

Nelle sue Lettere del 1848, Giulio Capponi si faceva promotore di un'idea di riforma del Senato che chiamava in causa i Consigli provinciali e dipartimentali.

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Particolarmente moderna era quella di Vittorio d'Ordes Reggio, perché egli auspicava una sorta di forma di Stato divisa in entità territoriali, costituenti evidentemente un'anticipazione delle Regioni;

quest'ultime avrebbero dovuto essere caratterizzate da un certo grado di autonomia politica; conseguentemente, la seconda Camera avrebbe dovuto comporsi di un uguale numero di Senatori per tutte le Regioni.

25

Tali proposte non ebbero nessun effetto concreto e si arrivò al periodo unitario con un Senato della Repubblica invariato rispetto a quello previsto dallo Statuto.

Nonostante le numerose critiche alle interferenze dell'esecutivo nella nomina dei membri della Camera vitalizia, in epoca post-unitaria le proposte di riforma furono caratterizzate in linea di massima da un ideologia di cambiamento non particolarmente radicale, e dall'idea di una composizione mista del Senato; ciò sia perché era la soluzione che appariva di più facile realizzazione, sia per il motivo di non essere in contraddizione totale con lo Statuto; si proponeva quindi una struttura di seconda Camera formata da Senatori in parte di nomina regia ed in parte eletti dal popolo

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. Su questa lunghezza d'onda era anche Luigi Palma, che proponeva altresì di aggiungere alle categorie di eleggibili al Senato (ai sensi dello Statuto), oltre ai professori universitari anche i Sindaci delle principali città o dei Capoluoghi di Provincia. In questo periodo non tramontano le istanze di riforma del Senato verso una sua possibile

23 S.Bonfiglio, Il Senato..., cit. pag. 22.

24 G.Capponi, Lettere di Gino Capponi e di altri a lui. Raccolte e pubblicate da Alessandro Carraresi, 6 voll., Firenze 1882-90, vol. II, pag.405; su tale proposta si veda anche L. Lampertico, Lo Statuto e il Senato. Studio, Roma 1886, pag. 125 ss.

25 S.Bonfiglio, Il Senato..., cit. pag. 22 ss.

26 Ibidem, pag.23.

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composizione su base provinciale tramite elezione di secondo grado da parte dei Consigli provinciali, rifacendosi al modello svedese ed olandese. Altre correnti evidenziavano come il Senato avrebbe dovuto essere eletto dal popolo nell'ambito delle categorie professionali e non rimanere nelle mani dell'esecutivo.

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Anche in questi anni non si giunse a nessun risultato concreto, ma il dibattito in dottrina ebbe l'innegabile effetto di far assumere alla questione un ruolo centrale in ambito politico; grazie ad alcuni Senatori, infatti, venne nominata una Commissione di studio per la riforma sul Senato che presentò la sua relazione finale nel 1877

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. Essa aveva l'obiettivo di porre fine alla prassi delle infornate, in maniera tale da restituire progressivamente al Senato il suo prestigio, prevedendo che il Re ne nominasse i membri fra candidati designati dai collegi elettorali provinciali, formati dalle stesse categorie previste dallo Statuto.

29

Tutte le proposte di riforma però fallirono, e le differenze nei confronti della Camera elettiva si allargarono in conseguenza dell'ampliamento del suffragio per l'elezione della stessa che avvenne nel 1882.

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Alla fine dell'800 e nei primi del '900, l'emergere della società di massa e il rinnovarsi dell'esigenza di una struttura rappresentativa più moderna, fecero da volano per una nuova stagione di proposte di riforma del Senato. Un primo indirizzo sosteneva una Camera alta come

27 S.Bonfiglio, Il Senato..., cit. pag 25ss.

28 Relazione sulla riforma del Senato, in Atti della Commissione senatoriale presieduta da Cambray- Digny, a cura del Sen.Vitelleschi in Atti parlamentari, Senato del Regno, sessione 1886-90, pag.

10-17.

29 S.Bonfiglio, Il Senato..., cit. pag.26.

30 La nuova legge elettorale generale del 24 settembre 1882, n. 999, ampliava considerevolmente il corpo elettorale, infatti prevedeva: l'abbassamento del limite di età per l'elettorato attivo da 25 a 21 anni; il dimezzamento della quota d'imposta necessaria per avere diritto al voto, ammettendovi tutti gli iscritti nei ruoli delle imposte dirette per una somma annua di lire 19,80; l'estensione del diritto di voto, a prescindere dal pagamento della quota d'imposta a tutti coloro che fossero in grado di leggere e scrivere. L'ampliamento degli aventi diritto al voto fu considerevole, dai 621.000 cittadini a cui spettava l'elettorato attivo prima della riforma, si passò ad un totale di 2.017.829 aventi diritto. Cfr. G. Volpe, Storia..., cit. pag.155.

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rappresentativa di interessi, caratterizzata da “una rappresentanza sincera dentro il Governo delle varie forze sociali“;

31

Brunialti

32

proponeva una Camera alta come espressione di vari interessi sociali e professionali, attribuendole il ruolo di Camera moderatrice

33

; Arcoleo

34

, nell'ambito della relazione finale di una Commissione di studi del Senato (1910), poneva l'accento sul sistema delle categorie sociali ed economiche, indicando il corporativismo come auspicabile centro di rappresentanza della seconda Camera.

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Un secondo indirizzo faceva riferimento ai risultati della Commissione Saredo del 1892, che secondo quando illustrato da Luigi Palma nella relazione finale del 1894, stilava un progetto di seconda Camera eletta a suffragio censitario su base provinciale, riproponendo dunque il tema della rappresentatività territoriale della seconda Camera. Nessuna di queste proposte ebbe gli effetti sperati.

Nel primo dopoguerra la crisi dello Stato liberale e l'affermarsi di altre forme di Stato (la Repubblica di Weimar costituisce la prima esperienza di Stato democratico e sociale), favorisce un nuovo clima di fermento sociale e culturale che si concretizza, per quel che riguarda il Senato, nell'istituzione di una Commissione Speciale al suo interno, che assunse il compito di elaborare un nuovo progetto di riforma della seconda Camera, il cui contenuto prevedeva una composizione numerica di trecentosessanta membri; di questi, sessanta sarebbero stati nominati a vita dal Re nell'ambito di diciassette categorie non totalmente

31 Si veda G.Mosca, Le costituzioni Moderne, Palermo 1887, pag. 287 ss; e anche Id. Teorica dei Governi e del Governo parlamentare (1884), Milano, 1925.

32 Attilio Brunialti (Vicenza 1949, Roma 1929) è stato docente di diritto costituzionale negli atenei di Pavia e Torino, ha ricoperto più volte la carica di Deputato. Fonte: Enciclopedia giuridica Treccani, www.treccani.it

33 I.d., La democrazia e il Governo parlamentare, in ”La Rassegna nazionale” 2, 1884, pag 229.

34 Arcoleo Giorgio (Caltagirone 1850, Napoli 1914) fu docente di diritto costituzionale nelle università di Napoli e Parma, è stato anche un uomo politico, ricoprendo più volte la carica di Deputato e quella di Senatore. Fonte: Enciclopedia Giuridica Treccani, www.treccani.it

35 S. Bonfiglio, Il Senato..., cit.pag. 29.

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corrispondenti a quelle previste dallo Statuto Albertino; altri sessanta eletti dal Senato stesso per nove anni, nell'ambito di trentasette distinte categorie; uno stesso numero sarebbe stato eletto per dodici anni dalla Camera dei Deputati fra Deputati ed ex Deputati; centottanta eletti per nove anni con un procedimento di secondo grado, all'interno di appositi collegi regionali, oltre che da tutte le categorie statutarie (eccettuati gli Illustri della patria), dai consiglieri provinciali, dai Sindaci dei Comuni con più di trentamila abitanti, dai delegati dei Consigli comunali in maniera proporzionale alla popolazione ed ai consiglieri di enti o associazioni a carattere provinciale

36

. Tuttavia anche tale proposta andò ad aggiungersi al novero di quelle irrealizzate. Sempre in questo periodo, emergono istanze da parte delle forze repubblicane e socialiste (ma anche in parte dai cattolici) volte a proporre un Senato come struttura idonea alla rappresentanza di interessi, da affiancare alla Camera dei Deputati che invece svolgeva una funzione di rappresentanza politica; su questo tema concordavano anche i sindacati che da tempo manifestavano l'esigenza di affiancare, alla Camera dei partiti, un organo a rappresentanza professionale

37

. Luigi Sturzo e la generalità del mondo cattolico idealizzavano una seconda Camera come organo rappresentativo di organi accademici, istituzioni statali, di enti locali e organismi sindacali. Tra i nazionalisti è opportuno segnalare l’analoga posizione di Alfredo Rocco che, al secondo convegno del movimento fascista tenutosi nel 1919, si dichiarava a favore di una limitazione del potere della Camera dei Deputati (in cui si esercita il “dominio dei più furbi e demagoghi professionali”), ritenendo al contrario opportuna la creazione di un Senato che riunisse “tutte le forze vive della Nazione”,

36 S.Bonfiglio, Il Senato..., cit. pag. 34.

37 Ibidem, pag. 36.

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rappresentandone “i corpi professionali, i sindacati, i Comuni, gli enti locali”

38

.

3. Il ventennio fascista

Durante il periodo fascista il Senato fu caratterizzato da un sostanziale immobilismo, tuttavia fu oggetto di un elevato numero di infornate, al solito fine di essere reso adatto e compiacente alla politica del regime.

Nonostante ciò non fu del tutto spento il dibattito circa una sua possibile riforma, pur senza mai essere concretizzato in nessun progetto.

L’idea, ad esempio, di puntare oltre che su un Parlamento nazionale, aristocratico e composto da pochi membri, su una serie di Parlamenti tecnici e regionali, era stata già proposta da Sergio Panunzio

39

sulla rivista “Il Rinnovamento” nel 1919: in poco tempo la tesi della doppia rappresentanza, una politica e l’altra tecnica e legata al proprio lavoro, conquistò molti studiosi e l’idea che il Senato fosse legato alla produzione, alla società civile ed al settore del lavoro guadagnò consensi anche nel mondo sindacale. Panunzio, e poi Lanzillo

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, promuovevano l’idea di una rappresentanza dei corpi professionali, ma soprattutto stava loro a cuore che il Senato fosse eletto a suffragio indiretto, in modo che il territorio, gli interessi e il tessuto sociale ad esso collegati fossero parte integrante della seconda Camera. Tuttavia, pur avendo scarso interesse nei confronti di una riforma dell'istituzione, è necessario registrare che inizialmente il regime, nel primo programma dei fasci di combattimento, ne aveva chiesto l'abolizione.

38 F.Pergolesi, Appunti su la rappresentanza corporativa nelle assemblee politiche, Athenaeum, Roma, 1923, pag. 115 e ss.

39 Sergio Panunzio (Molfetta 1886, Roma 1944) giurista e docente universitario, è stato Deputato del Regno D'Italia. In: Camera dei Deputati, portale storico, www.storia.camera.it .

40 Agostino Lanzillo (Reggio Calabria 1886, Milano 1952), è stato Deputato del Regno d'Italia.

Fonte: Enciclopedia Giuridica Treccani, www.treccani.it .

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La Camera dei Deputati fu invece oggetto di rilevanti interventi volti ad annullarne la rappresentatività e a renderla innocua per la politica dell'esecutivo fascista; già nell'ambito della relazione redatta dalla Commissione dei 15, incaricata dal PNF nel 1924 di rilevare i problemi dell'ordinamento costituzionale, era contenuta l'idea di aumentare l'indipendenza dell'esecutivo dal legislativo, intervenendo sulla rappresentanza della Camera bassa, prevedendo che la sua composizione fosse per un terzo espressione degli interessi sociali, invece che totalmente partitica.

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Il primo intervento concreto e funzionale all'ormai deciso annientamento progressivo della rappresentatività della Camera dei Deputati, fu l'approvazione, nel 1923, di una nuova legge elettorale:

la legge Acerbo, che riservava i due terzi dei seggi alla lista che avesse ottenuto la maggioranza dei voti, creando così uno strapotere del Partito Fascista, in modo tale da rendere velleitarie le manovre dell'opposizione.

Una successiva legge elettorale del 1928, avrebbe garantito il definitivo passaggio alla realizzazione dello Stato fascista; veniva previsto che la scelta finale dei candidati fosse ad opera del Gran Consiglio del Fascismo sulla base delle proposte delle confederazioni nazionali dei sindacati e degli enti morali legalmente riconosciuti, oltre che delle associazioni di importanza nazionale riconosciute anche solo di fatto.

La discrezionalità degli elettori, dai quali erano escluse le donne e coloro che non soddisfacessero i requisiti specificati all'art.10

42

, si limitava all'espressione di un si o di un no relativamente all'unica lista di 400 candidati presentata dal Gran Consiglio del Fascismo.

43

La composizione della Camera elettiva passò quindi progressivamente dall'essere di

41 S.Bonfiglio, Il Senato..., cit. pag. 37 ss.

42 Si prevedeva che fosse accordato il diritto di voto a coloro che pagassero un contributo sindacale, in quanto appartenenti alla categoria rappresentata dall'associazione sindacale, nonché agli amministratori o soci di una società o altro ente che pagava un contributo sindacale. Ibidem, pag.

40.

43 S.Bonfiglio, Il Senato..., cit. pag. 40.

(17)

rappresentanza politica a rappresentare interessi e corporazioni, mentre il Senato rimaneva estraneo a tale processo.

Dalla discussione circa le riforme aventi ad oggetto gli organi rappresentativi venne infatti progressivamente escluso il Senato; il dibattito si incentrò completamente sulla Camera dei Deputati che, con la legge n.139 del 19 Gennaio 1929, venne soppressa e sostituita con la Camera dei Fasci e delle Corporazioni; la suddetta legge prevedeva anche che quest'ultima e il Senato dovessero solo collaborare con l'esecutivo per la formazione delle leggi; di fatto entrambe le Camere vennero quindi esautorate dall'esercizio della funzione legislativa, che veniva concentrata nelle mani del capo del Governo.

44

Durante il periodo della Resistenza i progetti di riforma costituzionale proposti dai suoi attori non trattano in maniera rilevante e approfondita il tema della ristrutturazione del sistema parlamentare, caratterizzandosi spesso nella semplice richiesta di un Senato elettivo in contrapposizione con quello previsto dallo Statuto Albertino. Tuttavia ci sono anche aspetti interessanti rappresentati dai punti di vista dei partiti politici circa il bicameralismo, alcuni dei quali verranno riproposi in Assemblea Costituente. Democrazia Cristiana, Partito Repubblicano, partiti conservatori e una parte della sinistra richiedevano una seconda Camera rappresentativa degli interessi locali e di categoria. Più originale era la posizione di socialisti e azionisti, che tendeva al monocameralismo; allo stesso tempo gli stessi affermavano di non essere sfavorevoli all'istituzione di una Camera alta prevalentemente tecnica, oppure ad un sistema fondato su un'unica Camera politica, affiancata da più organi settoriali con compiti consultivi. I comunisti invece condizionavano il

44 C.Mortati, L'ordinamento del Governo nel nuovo diritto Pubblico italiano (1931), Giuffrè, Roma, 2000, pag. 182.

(18)

loro favore verso il bicameralismo alla garanzia dell'elezione democratica della seconda Camera.

In generale il dibattito sulla struttura del Parlamento, e dunque della seconda Camera, risulta più vivace tra i militanti impegnati nella lotta clandestina, mentre è meno entusiasta ed innovatore in quelli che operano nell'Italia liberata.

45

4. La scelta del bicameralismo nell'Assemblea costituente.

Il dibattito circa una possibile riforma del Senato, tornò ad essere fiorente dopo la caduta del fascismo: ancor prima che in Assemblea Costituente, si incentrò nella “Commissione per gli studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato” istituita presso il Ministero per la Costituente e più nota come Commissione Forti, dal nome dell'insigne giurista che la presiedeva, il prof.Ugo Forti.

La Commissione aveva il compito di “predisporre gli elementi per lo studio della nuova Costituzione che avrebbe dovuto determinare l'assetto politico dello Stato”

46

. Uno dei temi fondamentali intorno ai quali si incentrò il dibattito in questa Commissione fu quello di scegliere se il potere legislativo avrebbe dovuto essere esercitato da uno o da più organi; su questo tema, un'ampia maggioranza si espresse a favore del sistema bicamerale. Per quanto concerne la composizione della seconda Camera, la maggioranza della Commissione, dopo aver passato in rassegna le diverse ipotesi, si espresse favorevolmente a una rappresentanza regionale o ad un suffragio universale entro determinate

45 P.Aimo, Bicameralismo e Regioni, Edizioni di Comunità. Studi e ricerche di scienze sociali, Milano, 1977, pag. 73 ss.

46 Vedi D.Luog. 31 luglio 1945, n. 435, e la lettera del Ministro per la Costituente, Pietro Nenni, al Presidente della Commissione, in MINISTERO PER LA COSTITUENTE, Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato, relazione all'Assemblea Costituente, I, Roma, 1946.

(19)

categorie di eleggibili

47

.

I lavori della Commissione non ebbero tuttavia nessun risultato concreto, e la riforma del sistema bicamerale venne affidata all'Assemblea Costituente

48

, avente il compito generale di delineare la struttura del nuovo Stato democratico di diritto che sarebbe dovuto sorgere in Italia dopo la caduta del Fascismo, fondandosi sui valori del pluralismo, nella necessaria rappresentanza degli interessi politici

49

e nel ruolo di raccordo tra società ed istituzioni svolto dai partiti.

In particolare, era l'articolazione assembleare della Commissione dei 75

50

che aveva il compito di elaborare un progetto di Costituzione; essa si suddivideva in tre sottocommissioni

51

, di cui la seconda

52

incentrò i propri lavori sul tema del futuro assetto del Parlamento all'interno di

47 N.Occhiocupo, , il Senato..., cit. pag. 3, 4.

48 Le elezioni per l'Assemblea Costituente furono le prime a suffragio universale diretto senza distinzioni di genere e si svolsero, al pari del referendum istituzionale, il 2 giugno 1946, sanzionando una variegata e plurale presenza di culture politiche: i grandi partiti di massa (DC, PSIUP e PCI) raccolsero poco meno del 75% dei voti; i liberali si attestarono al 6,8%, le diverse anime democratiche confluite nel partito d'azione particolarmente attive nell'antifascismo, e nella Resistenza superarono di poco il 2%; i repubblicani oltrepassarono il 4%; destra, monarchici e qualunquisti si attestarono attorno all'8% dei voti, raccolti in gran parte nel Mezzogiorno e nelle isole. F.Sgrò, Tesi Dottorato di Ricerca, Aspetti e Problemi attuali del bicameralismo italiano, anno accademico 2009/2010, Università degli studi di Milano, Facoltà di Giurisprudenza, Dipartimento di diritto pubblico, processuale civile, internazionale ed europeo. pag. 48,

49 Secondo Ambrosini (DC), per l'Italia non sarebbe stato possibile ipotizzare né una forma di presidenzialismo nord-americana, o di premiership anglosassone, né una forma di Governo di direttorio; in quanto nella sua opinione, stante la molteplicità dei partiti italiani e l'applicazione del sistema proporzionale, non sarebbe mai emerso un tipo di Governo unitario; secondo il giurista, il sistema parlamentare avrebbe favorito un “Parlamento di Partiti” e da qui si sarebbe proceduto verso un “Governo di partiti” e quindi verso la formula dei “Governi di coalizione”. L'intervento di Ambrosini si tenne nella seduta del 4 Settembre 1946 sulla Seconda Sottocommissione, subito dopo le relazioni di Mortati (DC) e Conti (PRI) sulla forma di Governo. Cfr. N.Antonetti , U.De Siervo (a cura di) Ambrosini e Sturzo. La nascita delle Regioni, Il Mulino, Bologna, 1998, pag.

126. Cfr. V.Falzone, La Costituzione della Repubblica italiana, Casa editrice Colombo, Roma, 1969, pag. 175 e ss.

50 La scrittura della Costituzione fu affidata a una Commissione di 75 costituenti presieduta da Meuccio Ruini (Gruppo Misto, seppur eletto nelle liste del Partito Democratico del lavoro) esponente del liberismo politico. P. Aimo, cit. pag. 116.

51 L'istruttoria fu svolta da 3 sottocommissioni competenti per settori tematici, e dopo la predisposizione di un testo ufficiale da parte di un comitato ristretto, si procedette alla discussione generale, inaugurata il 4 marzo 1947; il testo definitivo fu approvato il 22 Dicembre 1947 con 453 voti favorevoli e 62 contrari (l'estrema destra). Ibidem.

52 La seconda sottocommissione, presieduta dall'On.Terracini; inizio i suoi lavori il 26 luglio 1946. Il tema del bicameralismo fu trattato nella seconda sottocommissione nelle sedute che vanno dal 3 settembre 1946 al 4 gennaio 1947 e poi fu ripreso in sede di adunanza plenaria nei giorni 27-29 e 31 Gennaio 1947. Cfr. P.Aimo, Bicameralismo..., cit. pag. 117 ss.

(20)

quella che sarebbe stata la ormai prossima Repubblica Italiana. Le discussioni e le opinioni degli esponenti politici circa il dotarsi di un organo legislativo a struttura monocamerale o bicamerale, sancirono un accordo a maggioranza sul fatto che il bicameralismo avrebbe dovuto essere il presupposto sul quale fondare la rappresentanza popolare all'interno del nuovo ordinamento statale. Le ragioni espressamente addotte in motivazione di tale scelta furono diverse e sostenute, oltre che dai partiti di destra, dal maggior partito nazionale, la Democrazia Cristiana; per questo il suo leader, Costantino Mortati, le sintetizzo' in tre punti: moderare e controllare l'operato della Camera dei Deputati, integrare la rappresentanza politica con quella economica e culturale, selezionare delle persone capaci e competenti.

53

I Repubblicani, favorevoli alla struttura bicefala del Parlamento, giustificavano la propria posizione servendosi dell'opinione del loro leader, Giovanni Conti, secondo il quale essa sarebbe stata funzionale a far fronte alla necessità di ponderare maggiormente il procedimento di formazione delle leggi, in modo tale da assicurare che la produzione legislativa considerasse e fosse il contemperamento di diversi interessi. Tra le righe, veniva sollevato anche il potenziale pericolo che il monocameralismo degenerasse in oligarchia e che mettesse in pericolo la democrazia stessa.

La destra, in accordo con le tesi sostenute da DC e Repubblicani, giustificava il suo sostegno alla causa bicamerale ponendo l'accento sulla qualità della produzione legislativa e sulla maggiore stabilità all'esecutivo che la stessa avrebbe comportato.

Nonostante questo, è da registrare che almeno inizialmente le sinistre sostennero, in controtendenza con la maggioranza rappresentata da DC e

53 P. Aimo, Bicameralismo..., cit. pag.117.

(21)

dalle destre, il monocameralismo

54

; in ragione di questa istanza, venivano addotte ragioni fondate sul rischio di un appesantimento del procedimento legislativo che sarebbe potuto derivare da un'eventuale scelta bicamerale. La scelta del bicameralismo, nella loro opinione, avrebbe potuto giustificarsi esclusivamente se motivata dall'istituzione nell'ordinamento costituzionale di Regioni come enti autonomi. Tale posizione delle sinistre era anche giustificata dal timore che la scelta del bicameralismo in nome della rappresentanza di forze e interessi economici, sociali e culturali, come sostenuta dalla Democrazia Cristiana, celasse in realtà il tentativo di modificare in senso conservatore gli equilibri politici della società. Tuttavia, consapevoli della loro posizione di minoranza, finirono per convergere sulle posizioni bicamerali, dopo aver ricercato con l'ordine del giorno Lami- Starnuti (non approvato) garanzie circa i suddetti timori. La scelta del bicameralismo fu dunque ben argomentata e approvata a larga maggioranza; tuttavia non si possono trascurare altri aspetti che orientarono tale decisione: oltre a quelli espressamente illustrati in Assemblea, una tale scelta tradiva timori conservatori, insistendo sulla funzione di freno che il Senato avrebbe potuto esercitare su eccessi ed intemperanze della prima Camera o di garanzia contro eventuali dittature dell'Assemblea.

55

54 I socialisti, erano prevalentemente contrari al bicameralismo, anche se riconoscevano la necessità di un apporto tecnico nel procedimento legislativo attraverso l'istituzione di una seconda Camera

“tecnica” o di più organi consultivi da porre accanto (ma non allo stesso livello) dell'unica Camera rappresentativa. Anche PCI e Partito d'azione, erano più interessati ai temi economici e sociali rispetto a quelli costituzionali, tuttavia passarono da posizioni totalmente intransigenti al bicameralismo ad altre meno radicali, basate su motivi di opportunità tecnica e pratica, ponendo come condizione però che fosse garantita la rappresentanza della seconda Camera. In tal senso si era espresso Vezio Crisafulli; Cfr. M.Giannini, Lo Stato democratico repubblicano, “Bollettino dell'istituto di Studi Socialisti”, 11 Aprile 1946, pag. 1 e ss.; V.Crisafulli, Per una costituzione democratica, “ Rinascita”, 1946, 7 pag. 143 e ss.; Ibidem, pag.123.

55 Cfr. Ministero per la Costituente, Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato, Relazione all'Assemblea Costituente, I: Problemi costituzionali-Organizzazione dello Stato, Roma 1946, pag, 21. ss, 191 ss.

(22)

Maggiori difficoltà si riscontrarono invece nel delineare le funzioni e la composizione della seconda Camera; non vi era infatti un'unanimità di vedute in merito, ma erano anzi presenti opinioni contrastanti. Per quanto riguardava le funzioni da attribuire alle due Camere, la maggioranza dell'Assemblea era nettamente a favore delle parità di compiti fra Senato e Camera dei Deputati in campo legislativo, di indirizzo politico e di controllo sul Governo. Le sinistre invece erano contrarie al bicameralismo perfetto, in quanto temevano che la concessione al Senato di pari attribuzioni a quelle della Camera bassa, rimanendo il primo non eletto a suffragio universale diretto, avrebbe compromesso l'interesse generale e dei ceti popolari, privilegiando quello degli interessi forti (proprietari terrieri, industriali, professionisti ecc.); quindi proponevano un bicameralismo differenziato, limitando le competenze della Camera alta ai poteri integrativi e consultivi, escludendo il Senato dal rapporto fiduciario con il Governo, dalla titolarità del potere di inchiesta e di approvazione dei bilanci. Tuttavia la posizione di maggioranza era delineata, e il conseguente rapporto di forza comportò l'approvazione dell'o.d.g. Leone il 26 Settembre 1946, che sancì l'adozione del bicameralismo perfetto. Nonostante ciò, la sconfitta delle sinistre venne attenuata poco tempo dopo dall'approvazione di un ordine del giorno che, a larga maggioranza (comprensiva dei voti delle destre e di alcuni democristiani), sancì l'origine esclusivamente elettiva del Senato

56

.

La fase più spinosa che dovette affrontare la seconda sottocommissione fu però quella relativa alla composizione della seconda Camera; i principali orientamenti che emersero in merito furono due: il primo proponeva di configurare il Senato come portavoce degli interessi

56 Cfr. P.Aimo, Bicameralismo..., cit. pag. 123.

(23)

regionali; l'altro proponeva un modello di seconda Camera rappresentativa di categorie professionali, sociali ed economiche.

Entrambe le due proposte erano basate sulla necessità, avvertita nel corso del dibattito assembleare, di assegnare al Senato un ruolo di rappresentanza delle “forze vive del paese”. Secondo la prima, il Senato si sarebbe configurato come l'organo deputato alla tutela degli interessi delle Regioni, costituite in enti autonomi; inoltre, escludendo una rappresentanza uguale per tutte le Regioni (tipica di un sistema federale che si era ab initio rifiutato), si proponeva una rappresentanza regionale temperata, fissando un minimo ed un massimo di rappresentanti regionali (cioè un numero non uguale per tutte le Regioni, ma nemmeno direttamente proporzionale alla loro popolazione), in modo da attenuare le notevoli sperequazioni conseguenti alla mera considerazione del peso demografico delle varie aree

57

. L'altra ipotesi si proponeva di fare della seconda Camera l'organo di rappresentanza di specifici interessi economici, sociali e culturali, su designazione degli enti e delle associazioni che perseguivano tali finalità; questa scelta risultò fin da subito più debole rispetto alla prima, anche per il suo collegamento al corporativismo, che richiamava il periodo fascista; sostenuta inizialmente dalla DC, venne quindi celermente abbandonata anche per l'isolamento registratosi attorno al partito nel sostegno di tale tesi; infatti sia i Repubblicani che le destre, nonostante fino a quel momento avessero sempre sposato le direttive della Democrazia Cristiana, su questo tema non erano concordi: a loro avviso, nella seconda Camera avrebbero dovuto trovar posto soprattutto le Regioni. Fallito anche un tentativo di avvicinamento delle sinistre sul tema, il principale partito

57 N.Occhiocupo, La Camera delle Regioni, Giuffrè, Milano, 1975, pag. 27; E. Rotelli, Federalismo e presidenzialismo, Anabasi, Milano, 1994. Cfr. altresì, E.De Marco, Regionalismo e Federalismo dall’Italia all’Europa, in “1989”, Rivista di diritto pubblico e scienze politiche, Giannini, Napoli, 1994, pag. 495 e ss.

(24)

dell'Assemblea dovette desistere dalla propria prospettiva di riforma.

Altre divergenze si registravano in ordine alla scelta fra un'elezione dei membri di secondo grado ed una diretta e riguardo alla necessità o meno di coinvolgere nella stessa i Consigli comunali; quest'ultima opportunità fu poi accantonata, perché si riconobbe la sua irrealizzabilità, data l'impossibilità di apprestare strumenti adatti a ponderare il voto dei singoli Comuni in rapporto alla popolazione ed alla loro specifica struttura

58

.

La diversità di vedute e la loro incompatibilità rischiò di creare in più occasioni uno stallo nei lavori della Costituente, aggravato dalla varietà delle posizioni all’interno dei diversi schieramenti politici: non esisteva in sostanza all’interno dei vari gruppi una valutazione comune sui temi dibattuti.

59

Circa il metodo elettivo si individuavano nella sottocommissione due posizioni contrapposte: democristiani e repubblicani sostenevano un'elezione di secondo grado che facesse salva la partecipazione dei consiglieri e dei delegati comunali; socialisti, comunisti e liberali erano invece favorevoli ad un suffragio universale diretto per la maggior parte dei Senatori.

60

Circa l'appena esaminato tema del sistema elettorale, alla fine la proposta presentata all'Assemblea generale dalla Commissione prevedeva un Senato eletto per un terzo dai membri dei Consigli regionali e per due terzi a suffragio universale diretto dagli elettori che avessero superato il

58 Il progetto di Perassi, esponente del Partito Repubblicano, prevedeva una seconda Camera interamente elettiva, composta da 315 membri; tra questi 300 sarebbero da eleggersi dalla Regione (15 dalla Camera dei Deputati) a cui era assegnata una quota fissa di Senatori, suscettibile di subire un aumento in misura proporzionale rispetto alla popolazione; all'interno della Regione: due terzi dei Senatori avrebbero dovuto essere eletti dai delegati dei Consigli comunali, ciascuno dei quali avrebbe dovuto eleggerne un numero determinato sulla base degli elettori iscritti nel Comune; il restante un terzo sarebbe stato eletto dall'Assemblea regionale. Cfr. P.Aimo, Bicameralismo..., cit.

pag.132, 133.

59 F.Sgrò, Aspetti...; cit. pag. 48 ss.

60 P.Aimo, Bicameralismo..., cit. pag. 142.

(25)

venticinquesimo anno di età. Nuovamente una soluzione frutto di reciproche convergenze e patteggiamenti tra le forze politiche che, in assenza di visioni comuni sulle questione dibattute, concorrevano a delineare il futuro assetto del Parlamento repubblicano. In merito agli altri aspetti invece, il progetto di Costituzione redatto alla fine dei lavori della seconda sottocommissione, prevedeva che la Camera dei Senatori fosse eletta a base regionale; che ad ogni Regione fosse attribuito oltre ad un numero fisso di cinque Senatori, un Senatore per duecentomila abitanti o per frazione superiore a centomila

61

.

A questo punto terminano i lavori della Commissione e inizia la discussione sul Progetto presentato in Assemblea Generale. Nel corso della discussione sul Progetto, presentato all'Assemblea Generale il 4 marzo 1947, emerge un nuovo assetto di potere, caratterizzato dal progressivo connubio delle sinistre con i liberali; le due correnti, che erano state caratterizzate fin dall'inizio dalla contrarietà alla scelta bicamerale, trovano punti comuni anche nell'indifferenza nei confronti del regionalismo e nel netto rifiuto della rappresentanza di categoria all'interno della seconda Camera. I democristiani rimangono invece arroccati su quest'ultima posizione, rispetto alla quale però non possono vantare l'appoggio dei Repubblicani, ostili ad una rappresentanza di categoria in seno alla Camera alta.

Liberali e sinistre riescono alla fine della discussione generale (7 ottobre 1947) a far approvare, seppur con un'esigua maggioranza (190 contro 181), l'o.d.g. Nitti, in conseguenza al quale si afferma il principio dell'elezione del Senato “con suffragio universale e diretto col sistema del collegio uninominale”, escludendo dunque i Consigli regionali dall'elezione dei membri della Camera alta.

61 Ibidem, pag.146 ss.

(26)

5. I motivi della scelta finale.

Dall'analisi politica delle diverse fasi del processo costituente relative alla formazione del Senato, emerge come l'assetto definitivo di tale organo sia stato determinato da un quadro politico caratterizzato dalla convergenza tra partiti di sinistra ed i liberali, determinando un nuovo assetto di potere rispetto a quello che ne aveva caratterizzato le fasi iniziali, dove Democrazia Cristiana e Partito Repubblicano erano in grado senza difficoltà di orientare i lavori dell'Assemblea Costituente a loro piacimento, consentendogli di “far passare” il sistema bicamerale e la parità di funzioni. Poi, come visto, la situazione si capovolge rapidamente nella fase finale della Commissione dei 75 e rimarrà tale in Assemblea generale, complice l'abilità e il tatticismo delle sinistre che si affiancano ai partiti conservatori, riuscendo ad impedire sia un Senato di categoria che un organo accentuatamente regionale. Tale nuovo quadro politico derivò comunque anche dall'incondizionato e ostinato sostegno della Democrazia Cristiana nei confronti di una Camera alta rappresentativa delle categorie, il che fu causa della rottura dell'intesa con i Repubblicani, a loro volta immobili su posizioni marcatamente regionaliste, dalle quali il partito cattolico non trae mai spunto per intavolare un dialogo teso a concordare una linea comune. Una politica di convergenze fu invece posta in essere da progressisti e conservatori; la netta chiusura dei Liberali verso il regionalismo portò al rigetto di un ipotesi di Senato regionale

62

, e la successiva adesione del PCI al sistema

62 comunisti e socialisti diventarono più autonomisti quando si accorsero del ruolo che le Regioni, avrebbero potuto svolgere in un mutato quadro politico che li vedesse in minoranza; tuttavia essi puntarono comunque a togliere dal Senato ogni riferimento regionalistico perché il loro obiettivo comune era quello di realizzare una composizione simile tra le due Camere. Cfr. P.Aimo, Bicameralismo..., cit. pag.167

(27)

del collegio uninominale suggellò l'accordo fra le due forze politiche a scapito delle istanze proporzionaliste

63

, che erano state sostenute in precedenza dalla sinistra. L’abilità di quest'ultima fu allora quella di sfruttare una convergenza “in negativo” con le posizioni dei liberali (oltre a qualche esponente di gruppi minori, quali il Fronte democratico liberale dell’uomo qualunque e l’Unione democratica nazionale), che si risolse nell’approvazione di una seconda Camera molto lontana dalle aspirazioni autonomiste di cattolici e repubblicani. Di certo, le norme consacrate nel testo costituzionale risentono dell’ambiguità e della strumentalità di quegli accordi e la disciplina normativa del bicameralismo risulta alquanto eterogenea proprio a causa della duplicità, o meglio triplicità, di ispirazione politica, stante l’influenza che, in diversa misura, ebbero nel processo costituente l’ideologia cattolica, quella marxista e quella tradizionale di tipo liberale.

64

Infatti, sicuramente l'espressione contenuta nel primo comma dell'articolo 57 della nostra Costituzione circa l'elezione del Senato a base regionale, oltre alla previsione di un numero minimo di Senatori per ogni Regione, sono frutto degli sforzi della Democrazia Cristiana, concretizzatisi con il progetto da essa proposto in precedenza (che affidava l'elezione di un terzo dei Senatori ai Consigli regionali). L'elezione a suffragio universale diretto, la scelta del collegio uninominale (seppur non menzionato espressamente in Costituzione) e la mancata previsione di specifiche

63 Pur di ottenere una seconda Camera il più possibile simile rispetto alla prima, le sinistre si dimostrarono disponibili ad abbandonare le tradizionali posizioni proporzionaliste, per sostenere la proposta del collegio uninominale avanzata dai Liberali; il compromesso tra le forze politiche contrapposte resse nel seguito del dibattito e sfociò nell'approvazione dell’o.d.g. Nitti (Unione democratica nazionale), che coniugò direttamente l’elezione a suffragio universale diretto con il collegio uninominale, sancendo così la definitiva prevalenza della rappresentanza politica. Cfr. G.

Rivosecchi, La “lezione” dell’Assemblea costituente sui processi di rappresentanza: verso un’integrazione della rappresentanza politica?” in C.Decaro (a cura di), Il bicameralismo in discussione: Regno Unito, Francia, Italia. Profili comparati, Luiss University Press, 2008, pag.

176 e ss.

64 F.S.Regasto , La forma di Governo parlamentare fra “tradizione” e “innovazione”, Giuffrè, Milano, 2008, pag. 178 e ss.

(28)

categorie di eleggibili, rappresentavano una sostanziale vittoria delle sinistre e dei partiti conservatori (appoggiati da una componente cattolica)

65

.

Pertanto, la “base regionale” concepita dalla DC in funzione di una successiva esplicitazione della partecipazione delle Regioni, si era ridotta a mero strumento classificatore di collegi e circoscrizioni

66

; sfumava così l'ultimo tentativo di differenziare le due Camere in modo da evitare un bicameralismo perfetto, che invece caratterizza oggi il nostro Parlamento.

Il risultato finale dei lavori dell'Assemblea Costituente in merito al Senato, dunque la configurazione attuale di quest'organo, è il frutto quindi non di un disegno comune condiviso all'unanimità dalle forze politiche che ne presero parte, ma è piuttosto il prodotto delle molteplici differenze di opinione relativamente a quale aspetto esso dovesse assumere, che caratterizzavano l'opinione dei partiti, ed al casuale formarsi di “quella o questa estemporanea maggioranza”

67

. Da ciò derivano le caratteristiche del bicameralismo italiano, che rappresenta un'assoluta peculiarità nel panorama europeo, presentando alcuni aspetti caratteristici: perfettamente paritario sul piano funzionale, non molto differenziato sul piano strutturale e solo embrionalmente agganciato ad una prospettiva (incompiuta) di decentramento territoriale

68

. L’abbandono dell’idea di integrare nel Senato le rappresentanze territoriali si rivelò tuttavia funzionale all’esigenza di offrire al Paese una nuova identificazione democratica ed unitaria, ed il dibattito sulla sovranità territoriale non risultò vano, avviando comunque la difficile

65 F.Sgrò, Aspetti..., cit. pag. 56 66 Ibidem, pag. 57

67 In tal senso, L.Paladin, Tipologia e fondamenti giustificativi del bicameralismo. Il caso italiano, in Quaderni costituzionali, n° 2/1984, pag. 231 e ss.

68 E.Cheli, voce Bicameralismo, in Digesto delle discipline pubblicistiche, vol. II, Utet, Torino, 1987, pag. 323.

(29)

trasformazione strutturale dello Stato accentrato unitario, in uno Stato fondato “su basi di autonomia” (seppur con moduli organizzativi allora ancora acerbi e spesso inefficaci).

69

69 N.Antonetti, Bicameralismo e regionalismo nella Costituente repubblicana, in www.sintesidialettica.it, 09.12.2006.

(30)

2. IL SENATO ED IL BICAMERALISMO

NELL'ORDINAMENTO VIGENTE E LE SUE PROPOSTE DI RIFORMA NEL CORSO DELLE c.d. “I E II

REPUBBLICA”.

1. Il Senato nell'attuale sistema bicamerale perfetto

La Costituzione prevede attualmente un bicameralismo perfetto, dove le due Camere (Camera dei Deputati e Senato della Repubblica) hanno le medesime funzioni, sia relativamente alle competenze di indirizzo e controllo sul Governo (entrambe le Camere sono titolari del rapporto fiduciario con il Governo

70

), che a quelle legislative

71

.

L'articolazione in due Assemblee, dotate sostanzialmente delle stesse competenze e funzioni, fa del Parlamento italiano un organo complesso;

ad arricchire tale complessità organizzativa, concorre il fatto che all'interno di ciascuna Camera esistono poi organi a composizione ristretta denominati Commissioni, che possono esercitare funzioni parlamentari

72

. Camera e Senato presentano solo lievissime differenze strutturali; infatti il Senato della Repubblica si compone di 315 membri elettivi contro i 630 della Camera dei Deputati, ed è caratterizzato, a differenza di quest'ultima, anche da membri vitalizi: ai sensi dell'art.59 Cost., salvo rinunzia, ne fanno parte coloro che hanno ricoperto la carica di Presidente della Repubblica; inoltre a quest'ultima Istituzione la Carta costituzionale riserva la facoltà di nominare 5 senatori a vita.

70 Di conseguenza ciascuna Camera può deliberare la concessione o il ritiro della fiducia al Governo (art.94 Cost.).

71 La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere (art.70 Cost.).

72 G.de Vergottini, Diritto Costituzionale, Bologna, CEDAM, sesta edizione; pag.442.

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