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Ginevra 2: la Conferenza Nelle parole di Al-Jazeera, Al-Arabiya e AMC

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex D.M. 270/2004)

in Lingue e Istituzioni Economiche e giuridiche dell’Asia e dell’Africa Mediterranea

Tesi di Laurea

La Conferenza di Pace Ginevra 2

Gli eventi, gli attori, la descrizione da parte di

Al-Jazeera, Al-Arabiya e Aleppo Media Centre

Relatore

Ch. Prof. Francesco Grande Correlatrice

Ch. Prof.ssa Barbara De Poli

Laureanda Giulia Maccagli Matricola 844515

A Anno Accademico 2013/2014

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Indice

Introduzione

PARTE PRIMA

Il conflitto siriano e Ginevra 2

1. Il conflitto siriano 2. Ginevra 2

2.1 L’opposizione

2.2 La conferenza: tra presenti e assenti 2.3 Gli attori principali

2.4 Il gioco delle parti: tra mosse e contromosse

2.5 Stati Uniti, Russia, Siria e Opposizione: il gioco degli scacchi 2.6 Il primo round: un fallimento su quasi tutti i fronti

2.7 Ginevra 2: il secondo round

PARTE SECONDA

Il giornalismo arabo: Al-Jazeera, Al-Arabiya, Aleppo Media Centre

1. Il giornalismo arabo 2. Globalizzazione e media

3. Al-Jazeera, Al-Arabiya e Aleppo Media Centre 3.1 Al-Jazeera

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3 3.1.1 Al-Jazeera: la storia

3.1.2 Al-Jazeera: l’espansione 3.1.3 Al-Jazeera: le caratteristiche 3.2 Al-Arabiya

3.3 Al-Jazeera e Al-Arabiya: un confronto 3.4 Aleppo Media Centre

PARTE TERZA

Analisi 1. Strumenti di analisi 1.1 Definizione di discorso 1.2 L’analisi critica 1.3 Il quadro di Fairclough 1.4 La lingua del giornalismo 2. Articoli e Analisi

2.1 Metodo di studio 2.2 Articoli e traduzione 2.3 Analisi

Conclusione

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“From September to November of last year(2012), Zaatari doubled in size, to 5,000 shelters. It long ago exceeded its planned capacity of 60,000 people. There are now 25,000 dwellings sprawling across five square miles.” The New York Times

“Il numero delle vittime in tre anni di guerra civile in Siria ha superato le 170 mila unita’, un terzo delle quali civili.” Internazionale

‘ ،ةلعتشم لازت لا يتلا برحلا ببسب اودرشت نمم ايروس لافطأ نم ليج صصق ظفاح لفطلا ةاسأم رصتخت بيذعت ءارج ريغصلا لفطلا دسج يف حورجلاف ثحبت ةلئاعلا نادقفو درشتلا حارج نكل ،لمدنت دق ماظنلا تاوق اهيوادي نم نع . ‘ ةريزجلا

“To handle one of the worst humanitarian crises in recent history, the UN and other aid agencies say they need more than $4.2bn. However, only a fraction of that amount has been received so far, making it difficult to meet the needs of those who seek safety and that of the host communities. “ Al-Jazeera English

ةكبش تدافأ " رشابم ايروس " ميظنت نأ " شعاد " ةقبطلا راطمل يسيئرلا بابلا نيتخخفم نيترايسب فدهتسا ةقرلا فير يف يركسعلا يبرغلا . نأ نوطشان دافأ امك 31 اهفيرو ةقبطلا ةنيدم نلآا ىتح تفدهتسا ةيوج ةراغ ةنيدملا برغ تفدهتسا ةدحاو ةراغو ،ةقرلا يف

.

ةيبرعلا

“Attualmente sono 39 i reporter di cui non si hanno più notizie: oltre la metà nel Paese di

Asad, in gran parte prigionieri dei jihadisti dello Stato Islamico.” La Repubblica

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7 Introduzione

Il 15 marzo 2011, migliaia di persone affollarono le strade e piazze di Aleppo e Damasco per manifestare contro il regime del presidente Bashar al-Asad. Fu una delle prime e più grandi proteste di massa nella storia siriana più recente. La reazione del regime nelle settimane successive fu estremamente violenta: torture, uccisioni, arresti. L’opposizione, tuttavia, non si arrestò ma iniziò ad organizzarsi in gruppi di ribelli, suscitando sempre più l’attenzione dei media internazionali ed arabi sugli eventi che scuotevano e ancora scuotono il paese.

In un paese di 22 milioni di abitanti, tre anni di guerra hanno significato decine di migliaia di vittime, 3 milioni di profughi nei paesi limitrofi e 5 milioni di sfollati presenti ancora in Siria.

Il 22 gennaio 2014 a Montreux, in Svizzera, si incontrano i rappresentanti di circa 40 paesi, per dare avvio ai colloqui preliminari, in vista della conferenza di pace sulla Siria che avrà luogo due giorni dopo, a Ginevra. La conferenza, nota come “Ginevra 2” – che segue a quella tenuta nel 2012 – si propone di stabilire una tregua in Siria, tramite la costituzione di un organo di governo provvisorio che veda l’accordo tra il regime di Bashar al-Asad e l’opposizione siriana, attraverso la mediazione

dell’inviato speciale delle Nazioni Unite, Lakhdar Brahimi. La Conferenza, nella quale emergono principalmente le voci di Stati Uniti, Russia e

Iran (il cui invito a partecipare verrà ritirato da Ban ki-Mon) e che si conclude senza alcun risultato degno di nota, ha avuto un enorme seguito mediatico sia da parte di testate occidentali che arabe.

Sono proprio le agenzie di stampa arabe che oggigiorno stanno andando incontro ad un cambiamento radicale, lanciato – in primo luogo – da Al-Jazeera. L’emergere di Al-Jazeera e in seguito di Al-Arabiya – per citare le realtà mediatiche più importanti e che sono oggetto di analisi nella presente tesi, insieme alla meno nota Aleppo Media Centre -, ha segnato una vera e propria rivoluzione nella società che, per la prima volta, ha sentito di poter fruire di una stampa aperta, libera, più trasparente e, soprattutto, araba. Sebbene condividano lingua e cultura e, in ampia parte, lo stile di

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broadcast inspirato ai modelli occidentali, queste tre realtà mediatiche hanno diversi obiettivi, ideologie e sponsor, che si riflettono nella loro copertura degli eventi. La lingua quale mezzo di comunicazione è un’ottima rivelatrice delle attitudini sociali, culturali e politiche tanto del produttore quanto del consumatore di notizie. La lingua può essere usata per influenzare opinioni e cambiare l’atteggiamento dei lettori verso un particolare episodio, paese o individuo. Tale influenza può avere un grande impatto sul modo di percepire gli altri.

Uno dei principali obiettivi di questa tesi è di dare, dopo aver tracciato una panoramica del conflitto siriano, della conferenza di pace di Ginevra 2, con i suoi protagonisti, le loro aspirazioni, obiettivi ed interessi, un quadro dello stile delle emittenti: quali sono gli aspetti che contraddistinguono Al-Jazeera, Al-Arabiya e Aleppo Media Centre, quali quelli che, invece, le accomunano.

Passerò in seguito ad analizzare una serie di articoli – tradotti dall’arabo all’italiano, delle tre testate, sulla base dell’approccio elaborato da Fairclough e adottato nella produzione del discorso. Ho scelto di servirmi di Fairclough perché fornisce una chiara visione di come l’analisi testuale sia strettamente connessa ad una analisi socioculturale e politica.

La scelta di Al-Jazeera, al-Arabiya e Aleppo Media Centre è principalmente legata al fatto che rappresentano voci diverse nel panorama del giornalismo arabo, mostrando come, l’appartenere ad una stessa cultura e la condivisione della stessa lingua non portino necessariamente ad abbracciare uno stesso pensiero o ideologia.

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PARTE PRIMA

Il conflitto siriano e Ginevra 2

1. Il conflitto siriano1

34 mesi di guerra, più di 100.000 morti, 9 milioni e mezzo di persone private delle proprie case, paese, vita, due conferenze di pace fallite e ancora non vi è segno di una fine del conflitto.

Le prime scintille dello scoppio del conflitto in Siria iniziano nel marzo 2011, quando la popolazione dà avvio ad una serie di proteste, nella capitale Damasco e nella città di Deraa, a sud del paese, chiedendo il rilascio di prigionieri politici. Le forze di sicurezza reagiscono sparando sulla folla, uccidendo alcuni manifestanti e scatenando ulteriori proteste che si acuiranno nei giorni successivi.

Il governo del presidente Asad, nel tentativo di calmare le acque, rilascia alcuni prigionieri politici e interrompe, dopo ben 48 anni, lo stato di emergenza. Tuttavia, accusa i manifestanti di essere degli agenti israeliani.

È il 22 aprile 2011. È l’inizio di una serie di violente proteste e uno dei giorni che sarà ricordato come tra i più sanguinosi nella storia della rivoluzione del paese: più di cento persone vengono uccise dalle forze di sicurezza durante la “Great Friday protest”, in cui gruppi di cittadini rivendicano la fine dell’uso di tortura e violenza sulla popolazione, il rilascio di prigionieri politici e una data per le elezioni presidenziali. La rapida e violenta reazione del regime non lascia alcun dubbio:era già pronto a dare una risposta forte ed affatto pacifica.

…protesters scattered for cover from sniper bullets, then dragged corpses through the streets. Mobile phone images showed the

1http://www.bbc.com/news/world-middle-east-14703995

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bodies lined up on the floor inside buildings. (April 22, 2011; NPR STAFF AND WIRES)2

Nel tentativo di reprimere il movimento di protesta, il presidente siriano Bashar al-Asad espelle dal paese i giornalisti stranieri e sottopone ad arresto e tortura chiunque provi a filmare o riportare, con qualunque mezzo, quanto sta accadendo nel paese. Nel luglio 2011 l’Esercito Siriano Libero cerca di rovesciare, fallendo, il regime di Asad. Gli eventi si susseguono sempre più velocemente, in una escalation di violenze.

Agosto 2011: le proteste stanno ormai inesorabilmente scivolando nella guerra civile. Sono almeno 1,538 i civili e quasi 400 tra membri dell’esercito e forze di sicurezza i morti dal marzo dello stesso anno.

Iniziano le condanne da parte dell’Occidente, mentre si organizzano le prime forme di opposizione. Nel novembre 2011 la Lega Araba impone sanzioni su Damasco per aver fallito nel ripristinare l’ordine nel paese. La Siria rifiuta tali sanzioni e accusa i paesi stranieri di cospirazione.

Continuano, nel frattempo, gli scontri tra le forze di sicurezza siriane e i manifestanti: a trovare la morte sono, molto spesso, i civili, tra cui si contano donne e bambini. Le Nazioni Unite iniziano a far sentire la propria voce, accusando Asad di crimini di guerra. Accusa che questi rifiuta, negando qualsiasi tipo di responsabilità negli eventi che stanno tingendo di rosso il suo paese. Nel febbraio 2012, Russia e Cina bloccano la bozza di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sulla Siria, mentre il regime siriano riesce a riappropriarsi – “a suon di bombe” - di Homs e di altri distretti caduti sotto il controllo dell’opposizione.

All 13 other members of the council, including the US, France and Britain, voted in favour of the resolution, which backed an Arab peace plan aimed at stopping the violence in Syria. Russia and China blocked the resolution because of what they perceived to be a

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potential violation on Syria’s sovereignty, which could allow for military intervention or regime change3. (4 February 2012, The Guardian)

Sono ormai, secondo le Nazioni Unite, più di 7.500 le persone morte dallo scoppio del conflitto e migliaia i rifugiati siriani nei paesi limitrofi (solo in Turchia se ne contano già 14.000).

25 maggio 2012, centinaia di persone, molte delle quali donne e bambini, vengono uccise nella regione di Houla vicino ad Homs: è uno dei più atroci massacri dall’inizio del conflitto. In segno di sdegno e protesta Francia, Regno Unito, Germania, Italia, Spagna, Canada e Australia espellono i diplomatici siriani dai propri paesi.

A seguito di questo episodio il Segretario Generale per le Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, e l’inviato speciale Kofi Annan danno vita ad un “joint statement”, condannando aspramente l’attacco.

This appalling and brutal crime involving indiscriminate and disproportionate use of force is a flagrant violation of international law and of the commitments of the Syrian government to cease the use of heavy weapons in population centres and violence in all its forms. Those responsible for perpetrating this crime must be held to account4 [27 May 2012, Aljazeera]

I conflitti, attacchi, uccisioni hanno ormai cadenza giornaliera. Nell’agosto 2013, la strage nella zona di al-Ghouta a Damasco, dove muoiono circa 300 persone, solleva il terribile sospetto dell’uso di armi chimiche parte del regime. Sospetto che trova conferma a seguito della a lungo ostacolata ispezione delle Nazioni Unite in Siria. E mentre inizia la fase di smantellamento degli armamenti chimici dal paese, le Nazioni Unite cessano di riportare il numero delle vittime del conflitto siriano, in quanto non è più possibile verificare le fonti di informazioni.

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http://www.theguardian.com/world/2012/feb/04/Asad-obama-resign-un-resolution

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12 2. Ginevra 25

Il 22 gennaio 2014 si apre in Svizzera, a Montreux (per poi spostarsi a Ginevra il 24 gennaio) la conferenza organizzata dalle Nazioni Unite per trovare una soluzione diplomatica al conflitto, che scuote la Siria dal 2011. L’obiettivo è la creazione di un governo di transizione che includa rappresentanti del regime e dei ribelli e che conduca a libere elezioni.

La strada verso Ginevra 2 era stata intrapresa già a partire dal 2012, quando si era tenuto il vertice internazionale, noto come Ginevra 1.

Il 30 giugno 2012 viene rilasciato il Geneva Communique, a seguito di un incontro, nella città svizzera di Ginevra, del Gruppo di Azione per la Siria, su iniziativa dell’allora inviato dell’ONU, Kofi Annan. All’incontro partecipano, tra gli altri, Stati Uniti e Russia. Nel documento si individuano una serie di punti che avrebbero dovuto condurre, se non ad una totale risoluzione del conflitto, ad almeno avviarne il processo. I passi chiave prevedono la costituzione di un governo di transizione con pieni poteri esecutivi, che includa membri dell’attuale governo e dell’opposizione; la partecipazione di tutti i gruppi e segmenti della società siriana ad un processo di dialogo nazionale; una revisione del sistema legale e costituzionale; elezioni libere e multipartitiche; piena rappresentanza delle donne in tutti gli aspetti della transizione.

On 30 June 2012, the Secretaries-General of the United Nations and the League of Arab States, the Foreign Ministers of China, France, Russia, United Kingdom, United States, Turkey, Iraq (Chair of the Summit of the League of Arab States), Kuwait (Chair of the Council of Foreign Ministers of Arab States), and the European Union High Representative for Foreign and Security Policy met at the United Nations Office at Geneva as the Action Group for Syria, chaired by the Joint Special Envoy of the United Nations and the League of Arab

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http://www.internazionale.it/news/siria/2014/01/21/tutto-quello-che-ce-da-sapere-sulla-conferenza-di-ginevra-2/ http://www.bbc.com/news/world-middle-east-24628442

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States for Syria6 [Action Group for Syria, Final Communiqué, 30.06.2012]

Per mesi, i diplomatici di Nazioni Unite, Stati Uniti e Russia tentano di persuadere Governo ed Opposizione siriani a partecipare alla conferenza, che sarebbe diventata nota con il nome di “Ginevra 2”.

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, dichiara che sarebbe stato “unforgivable not to seize this opportunity” di porre fine ad un conflitto che ha causato la morte di più di 100,000 persone e ne ha costrette oltre 9 milioni ad abbandonare le proprie case.

Nel maggio 2013, il Segretario di Stato degli Stati Uniti, John Kerry, e il Ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, si accordano per cercare di convincere i due protagonisti del conflitto a sedersi al tavolo delle trattative. Kerry afferma che quella in Siria era una situazione nella quale “heads were closer to an abyss, if not over the abyss and into chaos”. Tuttavia, i tentativi iniziali di dar vita a tale conferenza falliscono.

In seguito al massiccio attacco chimico che colpisce la periferia di Damasco il 21 agosto 2013, lasciando dietro di sé centinaia di vittime (strage di al-Ghouta), le pressioni per la conferenza si fanno sempre più forti. Il 27 settembre, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, all’unanimità, adotta la “risoluzione 2118”, nella quale chiede fermamente la distruzione o rimozione delle armi chimiche dalla Siria entro la prima metà del 2014. Il Consiglio esorta poi ad una conferenza internazionale sulla Siria, con l’obiettivo di implementare il “Geneva Communique” e che tutte le parti coinvolte nel conflitto siriano si impegnino attivamente a raggiungere una situazione di stabilità e riconciliazione.

Il governo siriano annuncia, il 27 novembre, che prenderà parte alle trattative ma che non ha intenzione di consegnare il potere a nessuno.

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In un’intervista – tre giorni prima della conferenza- il presidente siriano Bashar al-Asad afferma l’alta possibilità di un suo terzo mandato a seguito delle elezioni previste per il giugno di questo anno – previsione che si dimostra veritiera. Il 3 giugno 2014, Asad viene rieletto presidente con l’88,7% delle preferenze, esattamente 9 punti in meno rispetto al referendum del 2007, dove aveva ottenuto il 97,6% dei voti. Questa volta Bashar ha deciso, caritatevolmente, di concedere ai propri “avversari” politici rispettivamente il 4,3% e il 3,2%. La politica del “Gattopardo” del “ cambiare tutto perché nulla cambi” ha vinto ancora una volta: in fondo, il pluralismo politico, sebbene assolutamente illusorio, c’è stato.

Syrian President Bashar al-Asad has won the presidential election in a landslide victory with 88.7 percent of the vote, the country’s parliament speaker said Wednesday, in an election dismissed as a sham by his opponents and held amid a raging civil war which grew out of protests against his rule7 [Al Arabiya News, 4 June 2014] The opposition and its international backers have denounced the election as a farce, saying the two relatively unknown and state-approved challengers offered no real alternative to Asad8 [Al Jazeera, 5 June 2014]

Secondo i conteggi ufficiali non verificabili in maniera indipendente, sono undici milioni i siriani che hanno votato. Lo stesso numero aveva detto “sì” nel 2007 al referendum confermativo per la rielezione di Asad. Per la prima volta dopo decenni, non è più un nove la prima cifra delle decine della percentuale della vittoria di un Asad ai vertici del regime9 [Lorenzo Trombetta, 4 giugno 2014]

7 http://english.alarabiya.net/en/News/middle-east/2014/06/04/Asad-readies-for-Syria-vote-count-victory-.html 8 http://www.aljazeera.com/news/middleeast/2014/06/bashar-al-Asad-re-elected-syrian-president-20146419457810751.html 9 http://www.sirialibano.com/short-news/storia-percentuale-bulgara.html

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15 2.1 L’Opposizione

I vari gruppi di opposizione hanno a lungo mostrato resistenze alle forti pressioni internazionali di partecipare alla conferenza. Nonostante le numerose incertezze, alla fine le forze di opposizione al regime di Bashar al-Asad – o almeno quelle rappresentate dalla Coalizione Siriana Nazionale -hanno approvato l’invio di una propria delegazione alla conferenza. Il sì è arrivato a seguito di una votazione tenutasi a Istanbul, con uno scrutinio segreto che ha visto 58 membri a favore della partecipazione al negoziato, 14 hanno votato contro, due si sono astenuti e uno ha consegnato scheda bianca.

Il blocco più consistente dell’opposizione, il Consiglio Nazionale Siriano (una sorta di governo in esilio fortemente influenzato dalla fratellanza islamica, uscito dalla Coalizione Nazionale, la più grande alleanza di forze di opposizione), afferma che la propria presenza e apertura ai negoziati sarebbe possibile solo se Asad lasciasse il potere. Tale linea viene assunta anche da altri gruppi di opposizione. Il 16 gennaio, Hassan Abdul Azim, leader del National Co-ordination Committee annuncia, infatti, di rifiutare di partecipare quale parte di una unica delegazione di opposizione, guidata dalla Coalizione Nazzionale. Il Fronte Islamico (potente alleato dei gruppi ribelli islamici), dal canto suo, afferma che considererà come tradimento la partecipazione a Ginevra 2. Il comandante del potente gruppo ribelle Ahrar al-Sham, Hassan Abboud dichiara ad Al-Jazeera:

We see Geneva as a tool of manipulation; to derail the Syrian revolution away from its goals and objectives .... Whatever outcome the conference may yield, will be binding on the Syrian National Coalition only. For us, we will continue to fight for our revolution until we restore our rights.10

L’opposizione appare dunque frammentata tra Coalizione Nazionale Siriana – comunque divisa al suo interno e di cui molti chiedono il boicottaggio – , Esercito siriano libero e Fronte islamico, che non prenderanno parte alla conferenza.

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Sorge dunque anche l’interrogativo sulla consistenza politica dell’opposizione siriana,già protagonista di numerosi scismi e che, di fatto, non controlla le formazioni armate che agiscono contro l’esercito siriano. La Coalizione Nazionale Siriana sembra avere un potere assai limitato tanto nelle trattative relative alla cessazione delle ostilità, quanto in quelle concernenti lo scambio dei prigionieri di guerra o l’arrivo di aiuti umanitari alla popolazione civile. In breve, la Coalizione mostra di avere delle debolezze interne che non solo la rendono incapace di dare avvio ad una soluzione pacifica del conflitto ma che ne mostreranno tutta la precarietà nel confronto con il governo di Asad, durante la conferenza.

I due principali protagonisti al conflitto siriano sembrano avere dunque obiettivi inconciliabili: se il governo siriano vede come impensabile un’uscita di Asad dalla scena politica, la Coalizione Nazionale considera, invece, la propria partecipazione a Ginevra 2 possibile solo a patto che Asad lasci il potere.

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17 2.2 La conferenza: tra presenti e assenti11

All’incontro arrivano 30 membri delle due principali delegazioni:quella del governo siriano, guidata da Ministro degli Esteri Walid al-Muallem e quella della Coalizione Nazionale, presieduta da Ahmad al-Jarba. Con loro anche le delegazioni di circa 40 paesi, l’Unione Europea, la Lega Araba, l’Organizzazione della Cooperazione Islamica e i due principali artefici della conferenza: Russia e Stati Uniti, rappresentati rispettivamente da Brahimi e Kerry.

Il grande assente è l’Iran. Invitato, il 19 gennaio, a partecipare alla conferenza dal segretario dell’Onu, Ban Ki-Moon,su richiesta della Russia, l’Iran, principale alleato esterno del governo siriano, vede ritirarsi il giorno successivo, dallo stesso Ban Ki-Moon l’invito, in quanto il paese ha rifiutato di sottoscrivere il comunicato di Ginevra. Gli Stati Uniti avevano dichiarato, infatti, che la partecipazione dell’Iran alla Conferenza – considerata fondamentale da Ban per la soluzione del conflitto siriano – sarebbe stata condizionata dal pubblico supporto da parte dell’Iran alla piena implementazione del comunicato di Ginevra. In aggiunta, gli Stati Uniti non avevano mancato di ricordare che l’Iran aveva non solo “prestato” le proprie forze militari in Siria ma aveva anche fornito supporto al movimento islamico libanese, Hezbollah, noto sostenitore del presidente Asad. La Coalizione Nazionale – indicata da Stati Uniti e Unione Europea come unica e legittima rappresentante del popolo siriano - aveva poi minacciato di non essere presente in caso di partecipazione di Teheran.

The UN Secretary General’s decision to revoke his invitation to Iran to take part in the upcoming Syria peace conference was ‘a mistake’ but not ‘a catastrophe’, says Russian Foreign Minister Sergey Lavrov [...] Lavrov said he believed the reasoning behind Ban’s decision is 11 http://www.zenit.org/it/articles/tra-presenti-e-assenti-a-ginevra-2-per-la-pace-in-siria http://www.bbc.com/news/world-middle-east-25836827 http://www.theguardian.com/world/2014/jan/24/geneva-ii-talks-syria-key-participants http://www.aljazeera.com/indepth/features/2014/01/explaining-geneva-ii-peace-talks-syria-2014118142853937726.html

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erroneous. He pointed out that the demand that Iran committed to the communiqué was actually a demand to commit to a false interpretation, which claims that the document provides for a regime change in Syria. The actual document contains no such provision, the Russian minister said. [Lavrov on Iran’s exclusion from Geneva II]12

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19 2.3 Gli attori principali

Lakhdar Brahimi: rappresentante dell’Onu e della Lega Araba, Brahimi è uno dei più

esperti mediatori al mondo. Ora ottantenne, il diplomatico algerino, ha assunto il suo ruolo nella questione siriana a seguito delle dimissioni del precedente segretario Onu, Kofi Annan.Il 14 maggio 2014, Brahimi, come il suo predecessore, ha presentato le proprie dimissioni.

A costituire la delegazione siriana, vi sono Walid al-Moallem, Faisal Miqdad e Bashar Jafaari.

Walid al-Moallem è ministro degli esteri siriano dal 2006. Membro del partito al

potere Ba’ath, è stato ambasciatore presso gli Stati Uniti dal 1990 al 2000, quando Bashar è succeduto al padre Hafez come presidente. Descritto dall’opposizione come “traditore”, durante la conferenza ha parlato per 40 minuti, nonostante le richieste del Segretario Generale UN, Ban Ki-moon, di concludere il suo intervento in tempi ristretti.

Faisal Miqdad, vice Ministro degli Esteri, ha più volte accusato i sostenitori

occidentali dell’opposizione siriana di essere connessi ad al-Qaida.

Bashar Al Jaafari è Ambasciatore siriano presso le Nazioni Unite.

La Coalizione Nazionale, sostenuta dall’Arabia Saudita e rappresentativa dell’opposizione siriana, viene introdotta da Robert Ford, ex Ambasciatore Usa a Damasco.

Fanno parte della Coalizione Nazionale siriana, Ahmad Al-Jarba, Haitham Maleh, Michel Kilo.

Ahmad Al-Jarba, musulmano sunnita e sostenuto dall’Arabia Saudita, è a capo della

delegazione di opposizione.

Haitham Maleh, veterano siriano democratico, attivista per i diritti umani, con alle

spalle una carriera da giudice, è stato più volte imprigionato sotto Hafez al-Asad, oltre ad essergli stato vietato di lasciare il paese.

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Michel Kilo, scrittore e più volte detenuto sotto il regime di Asad.

Ad aprire la conferenza è il Segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, che indica dieci minuti di tempo per ogni intervento, tranne quello dei siriani, concesso a 15 minuti.

Il primo intervento è quello del Ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, che definisce il dialogo come unica soluzione alla questione siriana. Il Segretario di Stato Usa, John Kerry, definisce la conferenza un test per l’intera comunità internazionale, ribadendo che al governo di transizione non dovrebbe prendere parte Asad. Il Ministro degli Esteri siriano, Walid Al Muallem, esprime la disponibilità al dialogo per porre fine al conflitto. Riferendosi alle parole di Kerry, tuttavia, precisa che nessuno, se non il popolo siriano, può stabilire chi debba essere il presidente.

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2.4 Il gioco delle parti: tra mosse e contromosse

Il gioco delle mosse è iniziato due giorni prima l’apertura della conferenza. Ad iniziare la schermaglia, è stata l’opposizione che ha esposto le immagini di oltre

11.000 prigionieri, torturati e uccisi, dalle forze del regime. Le 55.000 immagini13 sono state prelevate di nascosto da un agente del governo siriano, che aveva il compito di fotografare i corpi e registrarne i nomi, così da consentire alle forze di sicurezza siriane di costruire storie di copertura (solitamente malori o suicidi in carcere) da addurre come spiegazione alla morte dei detenuti. Il dossier, finanziato dal Qatar e da alcuni oppositori di Asad, è stato dichiarato dal Ministero della Giustizia di Damasco non veritiero ma politicizzato e mancante di obiettività e professionalità.

Il regime si è limitato a ripetere le ormai note accuse di ingerenza esterna da parte dei paesi del Golfo, degli Stati Uniti e dell’Occidente in generale. Prima dell’inizio della conferenza, il regime aveva manifestato riserve sui punti che la Conferenza di Ginevra 2 si era proposta di affrontare, definendoli non in linea con le aspirazioni del popolo siriano e reclamando, invece, un focus sulla “lotta contro il terrorismo”. Verrebbe da chiedersi quale, dal suo punto di vista, sia la definizione di “terrorista”, considerando che il regime ha le mani sporche del sangue del proprio popolo. In aggiunta, Damasco si mostrava non particolarmente entusiasta all’idea della costituzione di un governo di transizione, con pieni poteri, come previsto dall’agenda della conferenza.

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2.5 Stati Uniti, Russia, Siria e Onu: il gioco degli scacchi14

La rivoluzione siriana è un gioco degli scacchi, un alternarsi di mosse, di frasi dette e non dette e di diplomazia, tanta forse troppa, che ha condotto a miseri risultati. È un campo tinto di rosso in cui i vari attori, internazionali e regionali, interagiscono in un momento di grande cambiamento, dove il concetto americano di “sicurezza nazionale” si è ampliato e mutato a seguito delle politiche interventiste di George Bush e dove la Russia appare impegnata nel tentativo di riconquistare la propria posizione di super potenza, all’interno di un palcoscenico mondiale, che quasi sembra indossare, di nuovo, le vesti della passata guerra fredda.

In questo folle gioco, gli Stati Uniti sembrano non tanto alleati della rivoluzione, quanto piuttosto concentrati sulle questioni concernenti i propri interessi geopolitici, con un occhio di riguardo, in primis, alla posizione di Israele, nell’equazione che vede tra i vari fattori le armi chimiche e l’estremismo islamico. Gli Stati Uniti, inoltre, mostrano di rapportarsi alla situazione siriana come crisi internazionale, cercandone una soluzione in collaborazione con la Russia. Non bisogna dimenticare, infatti, che la conferenza di Ginevra 2 nasce su iniziativa del Segretario di Stato degli Stati Uniti, John Kerry, e della sua controparte russa, Sergey Lavrov. Raramente come questa volta, il gap tra retorica e azione da parte degli Stati Uniti non è mai stato tanto grande come lo è nella questione siriana: il presidente americano Barack Obama, durante i primi mesi dell’insurrezione, aveva affermato che Asad “doveva farsi da parte”, senza che, tuttavia, a queste parole seguissero dei fatti. Stessa mancanza di azione si era registrata a seguito della denuncia di Washington dell’uso di armi chimiche e quindi del superamento della “red line”, da parte di Asad. E’piuttosto chiaro che l’interesse da parte degli Stati Uniti nei confronti della questione siriana è nettamente inferiore rispetto a quello avuto in altri

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http://english.dohainstitute.org/home/Search?queryString=syria&page=4&hitsPerPage=10 http://english.dohainstitute.org/release/ca319815-97a0-4481-8f06-be43126f546b

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eventi che li hanno coinvolti in Medio Oriente. Si guardi, a tale proposito, al fatto che gli Stati Uniti hanno speso meno di 2 miliardi di dollari in Siria: l’equivalente di quanto avevano speso in tre giorni ai massimi della guerra in Iraq15.

La Russia, dal canto suo, gioca dall’altra parte del campo, supportando il regime siriano, tanto che ha utilizzato il proprio diritto di veto contro tre risoluzioni nel Consiglio di Sicurezza, perché viste poco favorevoli per il governo di Asad. A Ginevra 2, la Russia ha un duplice interesse: la Siria e l’Iran. Le relazioni con l’Iran sono, per la Russia, economicamente e strategicamente molto più importanti di quelle che intrattiene con la Siria. La Russia ha bisogno dell’Iran quale alleato sul Mar Caspio, ha con esso interessi legati a gas e petrolio oltre al fatto che l’Iran è il principale acquirente russo del nucleare.

Sia Stati Uniti che Russia, ben consapevoli che la complessa crisi siriana non poteva essere risolta per mezzo di una semplice conferenza, hanno preferito interpretare, a 360 gradi, il ruolo di presenza internazionale, mancando quasi del tutto dai negoziati, almeno fino a quando non è sorta la forte probabilità che una o entrambe le parti in causa si ritirassero dalla conferenza o il regime di Asad rifiutasse quanto stabilito con Ginevra 1. Tanto gli Stati Uniti quanto la Russia hanno forti interessi nella questione siriana. Interessi che sentono di dover difendere all’interno di Ginevra 216

, alla quale hanno acconsentito perché consapevoli che la soluzione militare non è più possibile. L’opzione militare, inoltre, non è più desiderabile per l’America. Dopo più di due anni dallo scoppio della guerra in Siria, gli Stati Uniti hanno concluso che l’opposizione armata è incapace di rovesciare il regime e assicurare il controllo del paese. Con Ginevra 2, l’America potrebbe avere l’opportunità di raggiungere obiettivi di breve e lungo periodo. Tra gli obiettivi di breve periodo vi sono: evitare un proprio intervento militare, altamente sgradito e impopolare in America, viste le costose guerre che la hanno impegnata in Afghanistan e Iraq; la rimozione di Asad dalla sua posizione di potere e quindi dal suo controllo delle forze militari; elezioni sotto il controllo internazionale, che risulterebbero, secondo Washington, in una 15 http://america.aljazeera.com/articles/2014/1/23/why-syria-s-Asadapproachesgenevafromapositionofstrength.html 16 http://studies.aljazeera.net/en/positionpapers/2013/06/2013624111534298333.htm

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vittoria certa dell’opposizione, sostenuta dalla maggioranza sunnita, eliminando dunque l’influenza dell’Iran sulla Siria. Tra i principali obiettivi di lungo termine vi è non solo la fine dell’influenza iraniana sulla Regione araba ma anche quella della Russia sul Mediterraneo.

La Russia, da parte sua, crede che, sin dallo scoppio della rivoluzione, il regime siriano abbia mostrato di non avere le risorse adeguate per controllare tutto lo Stato e che necessiti di un accordo politico con i ribelli per condividere il potere ed avere in cambio il riconoscimento di una sola autorità. Per la Russia, la conferenza rappresenta un’opportunità per collocare opposizione e potenze occidentali su un terreno fatto di contraddizioni e fratture politiche.

Quanto al ruolo degli Stati Arabi, l’Arabia Saudita, che inizialmente aveva sostenuto il regime siriano, sostiene ora l’opposizione attraverso i propri canali ad Istanbul e in Giordania; il Qatar, anch’esso inizialmente sostenitore di Damasco, tanto da aver impedito ad Al-Jazeera di coprire le prime proteste che scuotevano la Siria, evitandosi così la scomoda accusa del regime siriano di sostenere la rivoluzione, si è ora attivato nel tentativo di isolare il regime di Asad all’interno del mondo arabo, fornendo, al tempo stesso, supporto armato all’opposizione.

Come risultato delle pressioni internazionali e delle parole degli Stati Uniti di riconsiderare l’armamento dell’opposizione, la Coalizione Nazionale e le Forze di Opposizione hanno preso parte a Ginevra 2 senza aspettarsi alcun risultato rapido ed esaustivo. Alla luce di ciò, la Coalizione si è concentrata sul perseguimento di obiettivi di breve termine, quali il rafforzamento del proprio ruolo di parte “civile” all’interno della rivoluzione siriana e la denuncia della brutalità e dei trattamenti inumani del regime. Sebbene la delegazione dell’opposizione sia stata in grado di guadagnarsi il supporto popolare e il suo “momentum” internazionale, si è tuttavia mostrata incapace, a differenza del regime, di capire l’importanza di “arrivare” ai media occidentali, concentrandosi invece, quasi unicamente, sui media arabi. La delegazione di Damasco è stata, infatti, abile nel raggiungere tanto i media occidentali quanto l’opinione pubblica. Si potrebbe quasi affermare che la delegazione del regime sia stata più interessata a tenere delle conferenze stampa (tre o quattro al giorno), piuttosto che a partecipare alle negoziazioni. Il regime aveva

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addirittura inviato, alla conferenza, un contingente di circa cinquanta giornalisti, che ponevano domande in modo tale da mettere il regime in buona luce.

La cruda verità sembra essere che Asad è arrivato al tavolo delle trattative più forte di quanto non lo sia stato negli ultimi due anni; molto più forte di quando, due anni fa, l’allora Segretario di Stato americano, Hillary Clinton, lo aveva definito “a dead walking man”. Nel tono delle sue parole si percepisce sicurezza e irriverenza, tanto che si permette di liquidare i rappresentanti dell’opposizione etichettandoli come “barzelletta” e rifiuta di accettare le richieste del Segretario di Stato americano, Kerry, e dell’Opposizione di abbandonare la scena politica e accettare un governo di transizione. Dichiara con fermezza che le elezioni in Siria si sarebbero tenute quello stesso anno e che non vedeva alcuna ragione per cui non si dovesse ricandidare. La forza del regime siriano risiede, in primo luogo, nel suo esercito. Senza la sua lealtà, Asad sarebbe probabilmente caduto con la medesima rapidità con cui sono caduti, nel 2011, il presidente tunisino, Zine El Abidine Ben Ali, o il presidente egiziano, Hosni Mubarak. Sebbene alcuni soldati si siano, singolarmente, uniti alle forze dei ribelli, l’esercito siriano è stato, tuttavia, in grado di restare unito e riempire i posti lasciati vacanti dai disertori, con nuove reclute. Al fattore lealtà si unisce poi quello della superiorità degli armamenti rispetto a quelli posseduti dai ribelli. In conclusione, la principale debolezza dell’Opposizione nei confronti di Damasco è stata la sua frammentazione interna.

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2.6 Il primo round: un fallimento su quasi tutti i fronti

Si è concluso con un nulla di fatto, largamente previsto, il primo round di colloqui (il secondo si terrà tra il 10 e il 15 febbraio 2014) svoltosi tra il 22 e il 31 gennaio 2014 in Svizzera.

È stato lo stesso mediatore incaricato da Onu e Lega Araba, Lakhdar Brahimi, ad ammettere la quasi totale inconsistenza dei risultati dei colloqui tra le parti in causa. Non è stato raggiunto alcun accordo di cessate il fuoco o di apertura di corridoi umanitari per le zone sotto assedio né sono stati fatti passi avanti per la costituzione di un governo democratico in Siria.

Durante i dieci giorni di vertice, vi è stato in realtà un peggioramento delle condizioni interne alla Siria: il regime ha intensificato i bombardamenti, uccidendo circa duecento persone al giorno e, secondo fonti dell’opposizione, avrebbe fatto anche uso del gas chimico napalm sulla città, sotto assedio, di Homs. Tutto questo è andato a rafforzare la disgiunzione tra quanto stava accadendo “sul campo” e quanto era in corso nel processo di negoziazione, come se non vi fosse alcuna correlazione tra le due vicende, come se le bombe che colpivano la Siria cadessero in un tempo altro rispetto a quello in cui si svolgeva Ginevra 2.

Il risultato di tale indifferenza sul piano internazionale ha fatto sì che il regime si sentisse libero di “fare i propri comodi” anche all’interno della conferenza, rifiutandosi di riconoscere i termini fissati. Tuttavia, sotto la pressione della Russia, Damasco ha accettato il comunicato di Ginevra 1, continuando ad insistere sulla questione del terrorismo, per distogliere l’attenzione dalla discussione sulla costituzione di un governo transitorio.

Il fallimento del primo round delle trattative, sebbene previsto da molti, ha comunque lasciato l’amaro in bocca su numerosi fronti:

It is shameful that while access to remove chemical weapons can be gained, more has not been done to save the lives of millions of innocent children and their families through ensuring humanitarian access throughout Syria”, said Steffen Horstmeier, World Vision’s

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acting Regional Response Director for Syria. “We recognize that a negotiated political settlement will be a complex process, but children are dying now, under gross violations of international humanitarian law, and this needs to be stopped17.[World Vision International]

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28 2.7 Ginevra 2: il secondo round18

Il 15 febbraio 2014 si conclude il secondo round della conferenza internazionale Ginevra 2, senza che siano stati raggiunti, stando alle parole dell’inviato speciale

Lakhdar Brahimi, risultati tangibili.

Alla fine dell’incontro, Brahimi ha dichiarato che i delegati del governo siriano e dell’opposizione hanno raggiunto un accordo sull’agenda per un nuovo “round of talks”, di cui Brahimi non ha indicato una data. La nuova agenda proposta dovrebbe toccare quattro punti principali, quali la lotta alla violenza e al terrorismo, un governo di transizione, la nascita di istituzioni nazionali, così come un dibattito nazionale. Brahimi ha poi sottolineato la necessità di intrattenere delle discussioni anche con Russia e Stati Uniti, promotori della Conferenza Ginevra 2.

La conferenza si è dunque conclusa con le due parti che, senza cambiare di una virgola le proprie posizioni, si accusavano per la reciproca mancanza di impegno.

I would like to voice our deep regret that this round did not make any progress19

Dichiara, Faisal Makdad, vice Ministro degli Esteri siriano, aggiungendo che la sua delegazione mirava a

implement the declared Syrian position in order to reach a political solution to the crisis that Syria is witnessing20

Louay al-Safi, portavoce della delegazione dell’Opposizione, condannando l’atteggiamento di assoluta indifferenza da parte del regime alle proprie richieste, dichiara:

The negotiations have reached an impasse. We have reached a point where we cannot overcome this point without there being another team that want to interact with this political solution21

18 http://news.xinhuanet.com/english/world/2014-02/15/c_133118161.htm 19 http://news.xinhuanet.com/english/world/2014-02/15/c_126137745.htm 20 Ibidem

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29 PARTE SECONDA

Il giornalismo arabo

Al-Jazeera, Al-Arabiya, AleppoMedia Centre

1. Il giornalismo arabo

Parole e realtà. Due mondi vicini, intersecati e, al tempo stesso lontani. Uno incastrato dentro l’altro, l’uno capace di descrivere, raccontare, plasmare, distorcere l’altro.

I media influiscono costantemente sulle nostre vite, sulla nostra percezione della realtà. Il detto ed il non detto, i differenti modi di raccontare, l’essere più o meno oggettivi, più o meno di parte, tutto questo permette di controllare il pubblico, di istruire, rendere ignorante o consapevole il lettore. Come nota Valeriani (2005: 88)

Il giornalismo ha il potere di costruire la realtà negoziandone il senso con il proprio pubblico, tuttavia questo processo è viziato da un’inevitabile parzialità, che diventa pericolosa nel momento in cui il racconto giornalistico si occupa di eventi politici globali facilmente sfocianti in pericolosi conflitti simbolici.

Dall’indipendenza della maggioranza dei paesi arabi, il ruolo dei media arabi è stato quello di salvaguardare la cultura e l’unità araba, cosa che ha molto spesso, se non sempre, comportato un rigido controllo sui media da parte dei regimi e governi arabi. Oggigiorno, il mondo arabo sta attraversando un cambiamento radicale, testimoniato da realtà come quella di Al-Jazeera o Al-Arabiya, dove i canali hanno iniziato ad adottare propri sponsor, ideologie e un proprio “broadcasting style”. La competizione, andata a svilupparsi negli ultimi decenni sul piano globale con i mezzi di informazione dei vari paesi e la possibilità da parte del pubblico arabo di accedere a notizie trasmesse da tutto il mondo, ha fatto sì che i canali arabi adottassero format occidentali, coprendo non solo notizie relative al mondo arabo ma anche quelle 21

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concernenti questioni internazionali. Inoltre, se in una prima fase, le istituzioni di braodcasting erano possedute dallo stato, negli ultimi decenni, i governi arabi si sono aperti all’idea di organi di stampa controllati da istituzioni private. Le informazioni provenienti dai media internazionali hanno permesso ai giornalisti arabi di pensare a concetti quali “libertà di espressione” e al diritto, per il pubblico arabo, di ricevere notizie imparziali e accurate. A tal proposito, Al-Jazeera e Al-Arabiya hanno stabilito nuovi standard basati sulla libertà di espressione, contribuendo ad aprire le porte al dibattito mediatico. Amin (2004:4) scrive:

Transnational broadcast news coverage about the Middle East conflict has a tremendous appeal to Arab audiences, since unlike print, it favours movement over stillness, simplification over complexity, specificity over abstraction and the present over the past or the future.

Le nuove tecnologie e i metodi di broadcasting utilizzati dai media internazionali (ad esempio, la combinazione di immagini e commenti nella copertura di eventi) hanno avuto un grande impatto sul pubblico arabo e sul loro approccio alla televisione. Amin (2004:8) ancora afferma:

Transnational broadcasting is providing the region with an unprecedented opportunity to share the thoughts and worries of the people in the region without fear. Transnational media are providing the world with a tremendous chance for developing the foundation of peace, an unprecedented forum for the exchange of views. Arab television stations are having secularists debating Islamists, Iraqis debating Kuwaitis and Israelis debating Palestinians.

É interessante poi notare quanto detto da Lahlali (2011:89):

The advent of satellite channels in the region has placed the state-run television channels in an awkward position. The flow of information, irrespective of national geographical borders, has made it quite difficult for Arab governments to control this information.

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Some of the interactive programmes on these channels have encouraged free and open debate; a new approach which has taken both Arab governments and the Arab public by surprise.

In breve, lo sviluppo dei media ha significato, per i governi arabi, un minor controllo sulla circolazione di notizie e informazioni. I nuovi fenomeni della libertà di espressione e di stampa, che sono scivolati dentro il mondo arabo negli ultimi decenni, hanno reso alcuni regimi arabi particolarmente “ansiosi” in merito alle implicazioni che questi nuovi fenomeni comporterebbero nei loro paesi, tanto che sono talvolta arrivati a fare pressioni sul settore privato affinché non pubblicizzassero o supportassero Al-Jazeera (Tassapoulos 2007:8). Azione questa che era stata intrapresa con l’obiettivo di colpire il canale finanziariamente, forzandolo a cambiare le politiche di broadcasting. Da notare che non sono stati solo i regimi arabi ad aver espresso il proprio malcontento nei confronti di canali come Al-Jazeera: durante la guerra in Iraq, il governo americano aveva adottato “repressive measures in its dealing with the media” (Tassopoulos 2007:10), perché non propriamente in linea con i loro obiettivi politici. Dall’altro lato, bisogna osservare che alcuni paesi arabi hanno adottato una serie di misure che hanno allentato le loro politiche e regolamenti sui media, dimostrando dunque di essere disposti ad una qualche apertura.

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32 2. Globalizzazione e media

For any media to be considered “global”, they must be able to: transcend nation-state boundaries and language communities (Barker 2000).

È evidente dalle parole di Barker che due sono gli elementi cruciali perché qualsiasi mezzo di informazione possa acquisire lo status di “globale”: la lingua e la capacità di trasmettere oltre i confini nazionali. Prendiamo, ancora una volta, in esempio Al-Jazeera che, grazie al suo canale in lingua inglese (oltre all’originale in arabo) è in grado di trasmettere globalmente e raggiungere dunque un pubblico estremamente ampio. L’approccio, abbracciato non solo da Al-Jazeera ma anche da Al-Arabiya, di interagire con il mondo esterno attraverso differenti attività di broadcasting, ha permesso loro di raggiungere nuovi mercati e attrarre un nuovo pubblico, andando oltre i confini socio-culturali del mondo arabo.

Negli ultimi anni si sono andate a formare nello scenario arabo due forze opposte: i media, che cercano di influenzare il pubblico affinché diventi un vero e proprio agente, e i governi arabi, che vogliono mantenere il pubblico sotto un rigido controllo. I media arabi hanno giocato un ruolo saliente nel creare una sfera pubblica dove l’informazione sia ampliamente condivisa e dibattuta. Il loro carattere internazionale ha incoraggiato al dibattito, alla critica razionale e alla formazione di una “coscienza giornalistica” all’interno del lettore stesso, il quale – grazie alla possibilità di essere consumatore di una vasta gamma di programmi, reperibili tanto sulla televisione quanto, e soprattutto, sul web – è in grado di consultare fonti diverse e avvalersi di punti di vista differenti, se non, talvolta, contraddittori. Secondo Alterman (1998, in Valeriani 2005: 70):

La rapida espansione delle informazioni di cui gli arabi possono entrare in possesso determinerà un aumento delle loro abilità nello stoccaggio delle informazioni, nonché della capacità di distinguere quelle irrilevanti da quelle importanti. In un contesto di questo tipo, dunque, le battaglie politiche si giocheranno molto più sulla costruzione della credibilità delle proprie idee, dal momento che non

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sarà più possibile, nemmeno per i leader, controllare l’accesso ai media dell’informazione.

Le coperture giornalistiche non mutano la politica ma vanno a creare le condizioni entro le quali la politica si forma.

Le recenti sollevazioni che hanno scosso il mondo arabo hanno dimostrato che il pubblico arabo ha maturato capacità di analisi e che si sta attrezzando di tutti gli strumenti necessari per divenire influente: ha passione, entusiasmo e caratteristiche comuni come lingua, identità e cultura. Come nota, giustamente, Lahlali (Lahlali 2011: 68):

Two main issues struck me as focal when dealing with the Arab media and the Arab public. The first is that the Arab public could not exist in isolation from the Arab media. The Arab media remains the oxygen of the Arab public; Arab people are informed and mobilised by this media. Secondly, a new culture of awareness, accountability and responsibility among the Arab public has created a new culture of communication and interaction between the media and the public. The Arab public has become more aware than ever of its role on changing society. The focus of the new media on politics and current affairs in the Arab world has lessened the Arab public’s interest in the musalsalat and entertainment shows which used to be offered by Lebanese and Egyptian channels (Lynch 2006). According to Lynch (2006:41), credit should be given to “Al-Jazeera’s prioritisation of politics and its remarkable success in initiating a region-wide public discourse that quickly reached an incredibly widespread and diverse audience”. Indeed, although it has its pitfalls and shortcomings, Al-Jazeera, like Voice of the Arabs, could be said to have played a great role in shaping the new Arab public. Al-Jazeera is not alone in contributing to the formation of the new public, however, Al-Arabiya, Al-Jazeera’s new rival, could also be said

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to have made a contribution. Lynch (2006: 43) holds a different view and considers the launch of Al-Arabiya an attempt “to strip the satellite television stations of their public sphere qualities and return them to a more conventional news media”. One can sympathise with Lynch’s statement that some of the satellite channels have been launched to promote governments’ policies and domestic activities, but the move could also have a positive side to it. The proliferation of the media could lead to fierce competition and subsequently to fair and transparent broadcasting. In response to the emerging active role of the Arab public, local and national media have started for the first time to adopt a more liberal approach in their coverage. By doing so, they have found in the Arab public an interactive partner who responds quite emotionally to national and regional matters. Although the Arabic public’s level of response and engagement could be regarded as satisfactory, its structure and organisation are still not developed to the level that would make it a strong entity that could have some influence on Arab governments. The fact that its actions is prompted by the media and its response is limited to the national level is an example of the structural fabric of the public is lacking. Lynch (2006) argues that due to the “weak” position of the Arab public, it has been unable to translate its action into tangible political outcomes. This lack of political outcomes can be traced back to the lack of organisation and leadership. In the absence of leader and agenda, it is difficult to envisage the Arab public as a conduit for reform and change (Lynch 2006). However, the 2011 development in the Arab world has caught everyone by surprise. The Egyptian and Tunisian revolutions, along with uprisings ad protests across the Arab world, have shown – contrary to what Lynch has referred to – that the Arab public are capable of making

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drastic changes, even in the absence of leadership. People power can have a big impact on both political systems and societies.

L’idea di globalizzazione viene ormai vista come qualcosa di endemico e proprio dell’era moderna. La maggior parte dei mezzi di informazione transnazionali arabi sono divenuti consapevoli che, al fine di attrarre spettatori, deve adottare un approccio diverso dai modelli televisivi fino ad ora proposti. Questo discorso, tuttavia, cambia in relazione al tipo di broadcaster cui ci riferiamo. È possibile, infatti, distinguere tra media posseduti dallo stato o media transnazionali. Il primo caso è limitato ai confini geografici del paese e sotto il controllo dello stato, tanto che viene molto spesso usato come mezzo di propaganda politica. Nella seconda categoria, invece, rientrano tutti quei canali che vogliono andare al di là dei confini geopolitici dei singoli stati, avendo portata mondiale. A tal proposito, buoni esempi sono, ancora una volta, Al-Jazeera e Al-Arabiya, poiché si servono tanto dell’arabo, quanto dell’inglese, come lingue di comunicazione.

In breve, i media arabi sono stati in grado di assumere, piuttosto in fretta, le caratteristiche proprie dei media internazionali, offrendo al pubblico piattaforme per esprimere le loro opinioni e aprire dibattiti. Al-Jazeera, Al-Arabiya e altri canali transnazionali hanno dimostrato non solo di coprire, abilmente, notizie ma di motivare anche il pubblico arabo a prendere parte a tale “copertura”, assumendo la concezione market oriented occidentale, cioè di vendibilità degli eventi. Il mercato richiede un focus sulle richieste del pubblico, un pubblico affamato di verità e che, fino a poco tempo fa, era abituato ad un tipo di informazione della carta stampata e della televisione che era prevalentemente disinformazione. L’orientamento al mercato condiziona, nell’organizzazione del lavoro, prima di qualsiasi politica. Si tratta di un’ideologia alla base della notizia che può essere riassunta nella frase “bad news is good news” (Valeriani 2005: 89): quanto più è violento l’evento, tanto maggiore è il suo valore in termini di “notiziabilità”.

Sensazionalismo e uso delle “notizie strillate” sono parte delle programmazioni delle televisioni satellitari e senza dubbio contribuiscono al loro successo. L’uso della televisione come

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medium sensazionalista nel mondo arabo è evidente nel largo impiego di video e di immagini dimostranti. […] Anche in questo caso la natura di “prodotto culturale” del giornalismo riveste un ruolo determinante, poiché nel sistema dell’informazione globale, nel quale si incontrano universi simbolici d’appartenenza differenti, i mass media giocano su campi emotivi diversi.[…] Le esclusive assicurano audience e soldi in termini di diritti di vendita delle immagini; esse rappresentano il successo giornalistico per eccellenza e le emittenti satellitari hanno offerto, nel corso degli ultimi anni conflitti, coperture esclusive di livello e valore giornalistico davvero alto. (Valeriani 2005: 89)

La nuova era tecnologica ha lanciato il giornalismo arabo sul palcoscenico dell’informazione globale. Ogni canale, sebbene abbia standard e format simili, resta comunque a se stante, dando a ciascuna notizia “il proprio marchio di fabbrica”.

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3. Al-Jazeera, Al-Arabiya, Aleppo Media Centre:

Il fatto che lo scacchiere mediorientale sia attualmente il punto più caldo del globo mette i giornalisti arabi, ora che possono contare su una maggiore libertà di movimento, nella possibilità di sfruttare la conoscenza approfondita della propria regione, le competenze linguistiche, ma soprattutto la fiducia delle popolazioni locali. (Valeriani 2005: 90)

Alla luce di quanto sta scuotendo il mondo arabo e guardando alla rivoluzione mediatica lanciata da emittenti come Al-Jazeera e Al-Arabiya, il cui perseguire criteri di veridicità ha portato al sorgere di altre realtà giornalistiche che vogliono riportare “la realtà dei fatti”, ho deciso di focalizzare la mia attenzione su Al-Jazeera, Al-Arabiya e Aleppo Media Centre, al fine di individuarne le caratteristiche, gli approcci e gli obiettivi, per poi passare ad una analisi della loro copertura della conferenza Ginevra 2.

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38 3.1 Al-Jazeera:

La rivoluzione mediatica nel mondo arabo inizia con Al-Jazeera. 3.1.1 La storia di Al-Jazeera:

Nel 1995, mentre il padre era a Ginevra, Hamad bin Khalifa Al-Thani prende il potere per mezzo di un golpe bianco, divenendo il nuovo emiro del Qatar.

Capendo l’importanza di inserire il paese all’interno del panorama occidentale e volendo presentarsi al mondo arabo come homo novus, l’emiro inizia ad adottare, sin dal momento della sua instaurazione al potere, una serie di politiche “liberali”, quali l’abolizione del Ministero dell’Informazione, responsabile di una rigida censura. In tal quadro si colloca, nel 1996, il lancio di Al-Jazeera: mossa sapiente da parte dell’emiro che ha così la possibilità di utilizzare l’emittente come ente promotrice delle iniziative del suo piccolo ed estremamente ricco paese.

Hamad bin Khalifa Al-Thani partecipa come “sostenitore” (Valeriani:2005), investendo nel progetto di lancio della organizzazione di news una somma iniziale pari a 140 milioni di dollari e promettendo al canale di sostenerlo con una cifra annuale di 50 milioni di dollari per i primi cinque anni, dopo di ché l’emittente avrebbe dovuto essere in grado di mantenersi unicamente con i propri introiti pubblicitari.

Il canale, fin dalla sua nascita, si mostra determinato ad offrire una copertura di notizie provenienti da tutto il mondo, presentandole da un punto di vista tale per cui tutte le popolazioni arabe potessero riconoscersi e accedervi facilmente. È proprio sulla base di tale approccio innovativo che Al-Jazeera arruola un team di giornalisti estremamente vario, capillare e dinamico. Attualmente, Al-Jazeera può contare su uno staff di circa 350 giornalisti e 50 corrispondenti dislocati in 31 diverse nazioni (Valeriani 2005), che coprono tutto il mondo arabo e le zone più importanti del mondo occidentale.

L’approccio nuovo, fresco, il format e la grafica accattivante e occidentalizzata di Al-Jazeera permettono al canale, sin dal principio, di incontrare un immediato e ampio successo tra il pubblico arabo. La franchezza e irriverenza con cui Al-Jazeera

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riporta le notizie, puntando - in un’ottica estremamente commerciale - su quelle più cruente, accusando e dipingendo, talvolta anche pesantemente, i leader politici arabi, catapulta gli spettatori arabi entro un mondo ed un modo di fare giornalismo che fino ad allora era a loro ignoto o conosciuto solo attraverso la televisione occidentale. Al-Jazeera rompe tutti i tabù nel modo di fare giornalismo nel mondo arabo, cosa che gli comporta, fin dall’inizio, una pioggia di critiche e di incidenti diplomatici.

Al-Jazeera si è mostrata in grado di andare controcorrente: in un momento in cui le istituzioni dei governi mediorientali si chiudevano sempre più nel mondo della censura e della repressione mediatica (uffici di corrispondenza chiusi, giornalisti allontanati e ostacolati nella loro attività), l’emittente parlava in modo nuovo e schietto, raccontando, informando e conquistando il pubblico arabo. Al-Jazeera ha scommesso sull’abbattimento di tabù e sull’adozione di un modo di fare giornalismo innovativo per il mondo arabo, vincendo non solo la sua scommessa ma fornendo anche la spinta per la nascita di emittenti che accogliessero il modello che lei stessa aveva lanciato.

Il canale in questi anni ha dato voce alle opposizioni del governo, ha sollevato problemi quali la corruzione e la mancanza di democrazia, tutte tematiche che il mondo arabo, a causa del digiuno forzato di informazioni, era estremamente avido. Non è possibile tuttavia trascurare il fatto che il successo dell’emittente – si stima che oggi possa contare su una media di almeno 35 milioni di spettatori – sia stato raggiunto a suon di scoop, esclusive e coperture di conflitti realizzati sul campo. […] Con l’undici settembre, la scelta da parte di Osama bin Laden di comunicare con il mondo attraverso messaggi inviati all’emittente e la copertura in Afghanistan del 2002, Al-Jazeera è diventata un fenomeno globale. Dai media occidentali, di cui l’emittente è divenuta una fonte molto importante, sono piovute da subito critiche di partigianeria e collaborazionismo, ma per il suo pubblico Al-Jazeera resta una”boccata d’aria fresca”, lontana anni luce dall’informazione censurata delle emittenti nazionali e anche da

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quella addolcita dei media satellitari sauditi. Il punto è che Al-Jazeera ha rappresentato la risposta a quella richiesta di innovazione e di liberalizzazione dell’informazione di cui le popolazioni arabe erano alla ricerca. […] Anche per questo, spesso i giornalisti di Al-Jazeera puntano alla contrapposizione di opinioni opposte, alle immagini forte, a un giornalismo spesso emotivo, comunque commerciale. In ogni caso, si tratta di informazione di “qualità occidentale”, critica e assolutamente non monolitica. (Valeriani 2005:55)

3.1.2 Al-Jazeera: l’espansione

L’espansione di Al-Jazeera deve essere considerata nell’ottica del canale di diventare l’emittente per eccellenza, nota e seguita in tutto il mondo. Riferendosi alla propria prospettiva internazionale, il direttore dell’emittente ha dichiarato:

we are expanding globally because for us the competition is not Al-Arabiya. They may have been set up to compete with us, but for the competition (and I say this in the collegial spirit of friendship and cooperation) it is the BBC World Service and CNN International because we see ourselves as a global broadcaster on the merits of our coverage and the fullness of our vision. (qtd in Zayani and Sahraoui 2007: 163)

Partendo dalla popolarità del canale televisivo tra il pubblico arabo, Al-Jazeera ha lanciato il proprio sito web arabo nel 2003, seguito da quello in inglese poco dopo (2006). Al-Jazeera English è tuttavia indipendente, nella scelta dei contenuti, dalla sorella araba. Alcuni osservatori hanno notato di come le due emittenti assumano talvolta delle posizioni estremamente differenti. In seguito, l’emittente ha dato vita ad un sito web multi - linguistico, al fine di implementare la propria veste di rete globale. Citando Lahlali (Lahlali 2011: 88), “although Al-Jazeera has been criticised for its narrow broadcasting approach and for creating division and fiction among

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Arab countries, it is fair to say that the channel has introduced a new broadcasting culture to the Arab world”.

3.1.3 Al-Jazeera: le caratteristiche

La maggior parte dei media occidentali si pregia del fatto di offrire una copertura delle notizie imparziale e oggettiva. Oggettività e imparzialità sono, senza ombra di dubbio, le parole chiave della realtà mediatica occidentale, che vanno di pari passo con concetti quali libertà di stampa e diritto di espressione. L’oggettività era un concetto che mancava nella maggior parte dei media arabi a causa, come già sottolineato in precedenza, della rigida censura dei governi che, spesso, usavano ( e usano tuttora) la stampa quale strumento di promozione delle proprie politiche e di “asservimento” al potere. L’ingresso di Al-Jazeera ha cambiato questo scenario, dal momento che l’emittente fa dell’oggettività una propria prerogativa e “marchio di riconoscimento”. Aspetto questo facilmente deducibile dal suo motto “The Opinion and the Other Opinion” (El-Nawawy 2006:29). El-Nawawy (2006:30) non manca di notare che “the channel covers the news from an Arab perspective to correct anti-Arab distortions and to counter dominant Western perspective like CNN and the BBC”. Di nuovo, dunque, viene da riflettere sul come il riportare una notizia (modalità di scrittura, parole e punto di vista adottati) possa influenzare se non la realtà dei fatti, il modo in cui essi sono percepiti dal pubblico.

Mohammed Jasim Al-Ali, il precedente managing director di Al-Jazeera, afferma “they [Al-Jazeera staff] take the professional experience from BBC, but their background as Arabs means we can adapt this experience and apply it to the Arab world. We know the mentality of the Arabs” (El-Nawawy and Isakandar 2002:54). A tal proposito, guardando alle parole di Ali, qualcuno potrebbe pensare che Al-Jazeera vizi la realtà, “tradendo” il pubblico arabo e che l’oggettività sia sacrificata in favore della popolarità e audience.

In ogni caso, è corretto osservare che Al-Jazeera è stata in grado di dettare e creare un format di broadcasting di riferimento per il Medio Oriente, contribuendo a

Riferimenti

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