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In “The Inmost Light” Dyson, l’alter ego di Machen, spiega cosa non dovrebbe contenere un racconto fantastico: every story that he has to tell is spoilt in the telling

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4.ANALISI DEI RACCONTI

4.1. Racconti del soprannaturale?

Un’identificazione precisa del genere dei racconti qui presi in esame non è facile. Il motivo è semplice: sebbene siano stati scritti nel biennio 1890-91, non fanno parte di una raccolta curata da Machen, pertanto non costituiscono un vero e proprio macrotesto. Si tratta invece di racconti pubblicati singolarmente in tre quotidiani londinesi, ovvero il «St. James’s Gazette», «The Whirlwind» e

«The World». Ritual and Other Stories1, l’antologia che contiene anche queste storie e che è presa qui come riferimento, è stata edita molti anni dopo la morte di Machen (1947), nel 1992. Essa ha una natura composita, poiché riunisce praticamente tutti i racconti brevi della lunga produzione dello scrittore gallese.

Soprattutto due dei sette racconti in esame possono essere fatti rientrare nel genere fantastico. In “The Inmost Light” Dyson, l’alter ego di Machen, spiega cosa non dovrebbe contenere un racconto fantastico:

every story that he has to tell is spoilt in the telling. His idea of horror and of what excites horror is so lamentably deficient. Nothing will content the fellow but                                                                                                                

1 A. MACHEN, Ritual and Other Stories, a cura di R.B. Russel, Tartarus Press, Leyburn [1992] 20112. (Da ora in poi citata mediante la sigla ROS).

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blood, vulgar red blood, […] it is the most commonplace and brutal murders

which always attract the most attention and get written up the most2.

Poche pagine piú avanti, lo stesso Dyson riflette in modo implicito sull’indeterminatezza del racconto fantastico, che affascina proprio perché rimane ambiguo: «That’s the Harlesden case, Salisbury, and I think it interests me all the more deeply because there does not seem the shadow of a possibility that I or anyone else will ever know more about it»3.

Inoltre, l’elemento orrorifico o soprannaturale dev’esser sí presente, però mai in modo manifesto: in altre parole, l’autore deve solo suggerirlo al lettore.

Nella monografia sul modo fantastico, Ceserani riporta la definizione di fantastico del filosofo Vladimir Sergeevič Solovëv, che conferma quanto detto:

«l’autenticamente fantastico […] non deve mai presentarsi, per cosí dire, in forma scoperta. Le sue manifestazioni non devono imporre la fede nel senso mistico degli avvenimenti umani, ma piuttosto accennare, alludere ad esso»4.

L’allusione all’elemento misterioso è un espediente che domina gran parte delle opere di Machen degli anni Novanta dell’Ottocento (non a caso considerate le piú riuscite): «Machen’s Gothic tales of the 1890s are full of doors shut firmly in our face, with only the barest suggestion of the unimaginable horrors that take place behind them. […] Machen knew how to suggest, but never show»5.

Questi racconti presentano un’ambientazione riconoscibile: si svolgono                                                                                                                

2 A. MACHEN, The Three Impostors, a cura di S.T. Joshi, Chaosium, Oakland 2001, p. 53.

3 Ibidem, p. 69.

4 R. CESERANI, Il fantastico, il Mulino, Bologna 1996, p. 49. (Da ora in poi citata mediante la sigla: IF.)

5 R. LUCKHURST (a cura di), Late Victorian Gothic Tales, Oxford University Press, Oxford 2005, pp. xxix.

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infatti nella Londra di fine Ottocento (a esclusione di “The Autophone”, ambientato in una località marittima inglese non ben specificata). Anche The Great God Pan è ambientato a Londra, ma non da subito:

starting on the wild fringes or margins – in this case the ancient woodland of Gwent – the horror moves steadily towards the imperial metropolis and the centre of fashionable society. Like Count Dracula’s move from the Carpathian mountains via Whitby and Purfleet to Piccadilly, the Gothic relentlessly advances

on the centres of urban civilization6.

Londra viene pertanto considerata una città in cui regna il male, ma anche dove eventi misteriosi e soprannaturali s’innestano in uno spazio apparentemente sicuro e protetto. Se in The Great God Pan (1894) Machen può operare un cambio d’ambientazione, arrivando piú lentamente e indirettamente alle scene orrorifiche, nei racconti questo non avviene: da un lato la loro brevità non lo permetteva, e dall’altro nel 1894 Machen aveva un’esperienza che all’epoca di “The Lost Club” e “A Double Return” ancora non possedeva.

In questo contesto familiare s’instaurano situazioni piú o meno misteriose:

«[i]l racconto fantastico punta a coinvolgere il lettore, a portarlo dentro un mondo a lui familiare, accettabile, pacifico, per poi far scattare i meccanismi della sorpresa, del disorientamento, della paura»7.

Manca, alla fine dei racconti, una spiegazione definitiva; essa può esser desunta interpretativamente, ma rimane sempre un margine d’ambiguità e di dubbio, un aspetto fondamentale del genere fantastico. Tuttavia, far rientrare                                                                                                                

6 Ibidem, pp. xxix-xxx.

7 R. CESERANI, IF, p. 79.

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tutti questi racconti di Machen nella narrativa fantastico sarebbe esagerato, ma non si possono non notare elementi che perlomeno lo suggeriscono e che fanno nascere domande a cui il lettore non può rispondere con sicurezza. Questo è sicuramente vero per “A Double Return” e “The Lost Club”: sebbene in entrambi i casi gli eventi possano esser spiegati razionalmente, troviamo alcuni elementi che sembrano rimandare al soprannaturale8. La già citata definizione di Solovëv fa riferimento proprio alla possibilità di una spiegazione che non rimandi al soprannaturale: «[n]ell’autenticamente fantastico rimane sempre una possibilità formale, esteriore, di una spiegazione semplice, basata sui rapporti normali e abituali tra i fenomeni»9.

Machen immerge il lettore in un’atmosfera che va dalla luce all’oscurità, usando coppie di opposti per strutturare la storia. Infatti, come riporta Ceserani, si tratta di un sistema tematico ricorrente nella letteratura fantastica:

«[l]a contrapposizione fra luce e buio, solarità e oscurità notturna è molto spesso utilizzata nel fantastico»10. Ad esempio, se il protagonista di “A Double Return” ha un cappotto chiaro, quello del doppio che gli si materializza davanti per un secondo è nero; in modo simile, in “The Lost Club”, mentre di notte i due protagonisti si trovano davanti un usciere vestito di nero, di giorno quella stessa porta viene aperta da un uomo vestito di bianco. Machen, inoltre, usa con regolarità parole suggestive ed evocatrici di significati “oscuri”: ad esempio le «grida» del treno e i riferimenti alla «polvere» e alle «ceneri» in “A Double Return”. Infine, il passaggio graduale dalla luce all’oscurità è segnalato                                                                                                                

8 L’analisi che segue riprende in parte N. WILSON, “A Double Return” and “The Lost Club”; Tales of Darkness and Light, in «Faunus», The Friends of Arthur Machen, Croydon, Summer 2009, pp. 21-24.

9 R. CESERANI, IF, p. 49.

10 Ibidem, p. 85.

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dall’autore attraverso la reiterazione di parole come «gloomy», «dark»,

«black»: in “The Lost Club” troviamo «a great cloud […] darkening the sky»,

«a dark passage», «it seemed all dark and gloomy», «past them in the darkness», «we’ll keep it dark enough», «in a room […] almost quite dark»;

infine, per decidere chi scomparirà, si prende come riferimento la pagina

«nera» di un libro.

“A Double Return” può essere considerato un racconto in cui vengono puniti l’orgoglio e la superbia del protagonista, Frank Halswell. Già nel primo paragrafo Halswell «congratulated himself and the railway company rather too soon»11, mentre piú tardi si congratula «on the paucity of his bags»12 e immagina che «I will make a pretty good show»13. Poco prima dell’arrivo a destinazione, il treno su cui viaggia si vede costretto a fermarsi, il che sembra presagire la sua rovina, non solo per quanto riguarda la carriera, ma anche, probabilmente, la vita. Mentre il treno è fermo, ne passa un altro nella direzione opposta, e Halswell vede, o crede di vedere, il suo doppio, un uomo con la faccia identica alla sua (tanto da scambiarlo col suo riflesso nel vetro), e vestito di nero.

Il doppio del protagonista viene fatto entrare in casa dalla moglie perché scambiato per il marito, un possibile riferimento alle tradizioni in cui le entità maligne possono attraversare la soglia solo se invitate. Inoltre, il viaggio verso casa sottolinea il contrasto tra la campagna “luminosa” e le strade “tetre” della città, che ora sembrano «so much dingier than usual after the blue mist upon

                                                                                                               

11 A. MACHEN, ROS, p.80.

12 Ibidem.

13 Ibidem, p. 81.

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the sea, the purple heather and the sunny fields»14.

Infine, è interessante osservare i riferimenti all’occidente; il viaggio verso occidente in letteratura viene spesso associato con la morte (come in “The Dead” di James Joyce). In “A Double Return” la vettura che conduce Halswell a casa va verso occidente e, alla fine, l’uomo emigra in America.

In “The Lost Club”, sebbene abbiamo l’impressione di trovarci nella comune Londra di fine Ottocento, i due protagonsti, Austin e Philipps, si ritrovano in una metropoli alternativa o mistica alla quale – secondo Machen – si può accedere occasionalmente o nella quale ci si può perdere – fino addirittura a “scomparire” – quando la coscienza viene alterata dalle droghe o dall’alcol, come avviene appunto in questo caso. Oltre alla summenzionata insistenza di Machen sul campo semantico dell’oscurità, risalta un evento che definire una coincidenza sarebbe riduttivo: quando i due protagonisti si ritrovano di fronte all’edificio che ospita il “circolo scomparso” del titolo, Austin si ricorda che l’amico Wylliams una volta gli aveva raccontato che lí si trovava un circolo, e nello stesso momento appare Wylliams, proprio come se fosse stato invocato. Se questa figura rappresenta il male, come il doppio di Halswell in “A Double Return”, sembra quasi che questa circostanza sia stata inserita per rappresentare il detto «speak of the devil (and he shall appear)», equivalente all’italiano «parli del diavolo (e spuntano le corna)». Ancora piú inquietante è l’augurio che verso la fine del racconto Wylliams fa al membro scomparso: alla domanda di Austin «it isn’t murder, is it?» risponde infatti:

«Oh no, not at all. Mr D’Aubigny will, I hope, live for many years»15.                                                                                                                

14 Ibidem.

15 Ibidem, p. 93.

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Prima della riunione i due bevono molto vino, il che potrebbe portare a un obnubilamento dei sensi, andando a contribuire a quell’ambiguità a cui si è accennato. Inoltre, Wylliams sembra non capire quando il giorno dopo i due gli chiedono spiegazioni circa il “circolo scomparso”, e dice apertamente che «I am afraid the fact is that Azario’s Chianti was rather too strong for you»16; ciò che è inquietante è che Wylliams non poteva in alcun modo sapere che avevano bevuto proprio quel vino e proprio in quel locale.

Piú di decifrare cosa sia realmente successo, c’interessa l’indeterminatezza, l’impossibilità di trovare una soluzione che possa spiegare tutto in modo razionale e definitivo. Alla fine del racconto, non si può esser certi di che cosa sia effettivamente successo; come in The Turn of the Screw di Henry James, non possiamo sapere se quello che hanno vissuto i protagonisti si possa definire realtà o no. Nella lunga definizione che Todorov dà del fantastico, troviamo un passaggio che non possiamo condividere, soprattutto considerando il romanzo di James e i due racconti di Machen: «[a]lla fine della storia, il lettore […] prende comunque una decisione, opta per l’una o l’altra soluzione e quindi, in tal modo, evade dal fantastico»17. Un aspetto affascinante del genere fantastico è invece proprio il finale aperto, che si presta a piú interpretazioni, e che lascia alcune domande senza risposta: in The Turn of the Screw, l’istitutrice è un narratore affidabile oppure interviene veramente il soprannaturale? E in “The Lost Club”, i due protagonisti assistono davvero a una riunione del Circolo Scomparso oppure è un’invenzione delle loro menti obnubilate dall’alcol? In questi casi, sta al lettore scegliere – secondo la                                                                                                                

16 Ibidem, p. 94.

17 R. CESERANI, IF, p. 52.

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distinzione calviniana – tra “fantastico mentale” e “fantastico visionario” 18. A ogni modo, non sarà mai una scelta definitiva.

Rispetto a “The Lost Club” e “A Double Return”, negli altri racconti la componente fantastica è presente in misura minore: in altre parole, ci sono elementi che possono suggerire fatti difficilmente spiegabili razionalmente, ma che non permettono di definirli racconti fantastici tout court.

Un'altra caratteristica, che sarà intensificata nel romanzo breve The Great God Pan, è la tendenza ad affrontare temi “forti” per il pubblico di fine Ottocento. Ad esempio, in “A Double Return” e “Jocelyn’s Escape” si allude infatti all’adulterio, anche se in maniera non proprio diretta, dato che nel primo caso si può considerare “incidentale” (un uomo identico al protagonista riesce a ingannare prima la domestica e poi la moglie) e nel secondo il personaggio principale – a quanto afferma – chiude la relazione adultera probabilmente ancora prima che questa inizi.

Da notare che questi sono i primi tentativi di Machen di scrivere narrativa in lingua moderna. Come si è già ricordato nel primo capitolo, i suoi primi testi pubblicati – The Anatomy of Tobacco e le traduzioni dal francese – furono infatti scritti in un inglese arcaico, secentesco, persino la sua opera di finzione The Chronicle of Clemendy e altri racconti pubblicati in alcuni quotidiani londinesi nel 1889. Col 1890 l’autore inizia invece a usare un inglese moderno, piú appetibile per il lettore coevo, probabilmente anche grazie all’influenza dei racconti di Oscar Wilde: un passo in avanti per cercare di ottenere una maggiore visibilità.

                                                                                                               

18 Ibidem, p. 83-84.

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4.2. Il narratore

La narrazione avviene sempre al passato, con un passaggio al presente nel caso di descrizioni o conclusioni. “An Underground Adventure” è il racconto in cui troviamo piú transizioni temporali: inizia con una descrizione al presente, poi usa il passato per spiegare l’antecedente, torna al presente per un’ulteriore presentazione di sé stesso e, dopo aver raccontato la sua avventura al passato, chiude con un breve commento al presente.

Il tempo non è chiaramente specificato, ma gli eventi non avvengono mai in un passato lontano non riconoscibile dal lettore.

Il narratore è praticamente sempre eterodiegetico onnisciente (questo vale praticamente per tutta la produzione macheniana), anche se non sempre sembra volerci svelare tutto: ad esempio, in “A Remarkable Coincidence” il narratore dice che «it has been whispered that Marvell […]»19, nascondendo in questo modo la verità al lettore; un espediente comunque adatto in questo caso, poiché si lascia al lettore almeno un dubbio sull’attività e reputazione di Marvell.

Inoltre, anche a causa della brevità dei racconti, il narratore non ci dà accesso ai pensieri dei protagonisti, che verrano dunque giudicati in base alle loro azioni e parole. Questo si collega alla scarsa caratterizzazione dei personaggi che, sebbene sia qui giustificata dalla brevità imposta dalla pubblicazione nei quotidiani, sembra essere una peculiarità del primo Machen. Ci risulta utile in questo senso un’affermazione riguardo a The Great God Pan, un romanzo breve: «And it describes the activities of various gentlemen who each play some part in the story but do not have distinctive characters, so that it is                                                                                                                

19 A. MACHEN, ROS, p. 77.

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possible to become confused by the role of each»20.

Solo in “An Underground Adventure” abbiamo un narratore omodiegetico, e nello specifico autodiegetico, ovvero il narratore è anche il protagonista.

Nonostante si possa considerare una variazione dallo schema, non sembra avere una rilevanza particolare (non è, ad esempio, il racconto piú autobiografico). Si potrebbe comunque tentare di spiegare il motivo di questa eccezione: il racconto tratta di un’avventura curiosa in cui un giovane legge l’annuncio su un quotidiano nel quale una signora vuole ringraziare personalmente un uomo che l’ha aiutata nella stazione della metropolitana; il protagonista, mosso da curiosità, decide d’assistere all’incontro nascosto in un angolo ma, con sua sorpresa, scopriamo che la signora cercava proprio lui che, confuso, alla fine sta al gioco per scoprire come andrà a finire questa sua

“avventura sotterranea”. Nel finale la marchesa (cosí si identifica lei stessa), chiede al giovane di sposarla, perché non desidera vivere con altri se non con lui, e i commenti del narratore omodiegetico ne riportano le reazioni ed emozioni; inoltre, la frase conclusiva tira le conseguenze di tutto ciò: «The result has been an undermining and general collapse of my whole constitution»21. Probabilmente, quindi, Machen voleva mostrare al lettore il turbamento del protagonista attraverso una descrizione soggettiva degli eventi.

Inoltre, la narrazione in prima persona è frequente nel modo fantastico22, dove emerge anche il problema dell’affidabilità del narratore: come abbiamo già accennato per The Turn of the Screw, ad esempio, è possibile che l’istitutrice non sia un narratore affidabile, dato che nessun altro personaggio                                                                                                                

20 M. VALENTINE, AM, p. 25.

21 A. MACHEN, ROS, p. 99.

22 Cfr. R. CESERANI, IF, p. 77.

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del racconto può confermare quanto afferma d’aver visto. E in “An Underground Adventure” il protagonista stesso mette in dubbio il racconto: «I depend upon my own imagination […] for my amusement»23.

In tutti i racconti presi in esame, solo in tre casi troviamo un intervento diretto del narratore. In “The Lost Club”, ad esempio, abbiamo un commento metanarrativo, un’esplicitazione che non va d’accordo con l’atmosfera di mistero e ambiguità che Machen era riuscito a creare finora: «D’Aubigny was never heard of again. But the strangest part of the story remains to be told»24. In “A Double Return” troviamo un caso di prolessi, ovvero «l’anticipazione di un evento futuro (il termine greco vuol dire “prendere in anticipo”» 25, un espediente in contrasto con l’indeterminatezza che caratterizza buona parte della narrativa fantastica: «Poor fellow! he was never to paint another picture;

but he did not know it»26. Infine, in “An Underground Adventure” il narratore autodiegetico fa un altro intervento di tipo metanarrativo, rivolgendosi questa volta direttamente al lettore: «I saw the above about a week ago, and if you care to read further, you will see the result of my, rather to be deplored, little weakness»27. Sebbene in questo caso sia piú indiretta, possiamo ugualmente parlare di anticipazione, o di prolessi, poiché a un lettore attento la sua debolezza «rather to be deplored» non può certamente suggerire un lieto fine:

in questo modo, Machen allude, sin dall’inizio, a una conclusione negativa per il protagonista.

                                                                                                               

23 A. MACHEN, ROS, p. 95.

24 Ibidem, p. 94.

25 A. MARCHESE, L’officina del racconto, Mondadori, Milano 1983, p. 47.

26 A. MACHEN, ROS, p. 81.

27 Ibidem, p. 95.

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4.3. Struttura

Per quanto riguarda la struttura narrativa, generalmente la trama prevede

«una situazione iniziale, una serie di complicazioni e peripezie attraverso cui si sviluppa l’intrigo, con i suoi ritardi (suspense) e sorprese (colpi di scena), fino all’acme della tensione (Spannung), quando i fili sparsi del racconto si riannodano e la storia si avvia alla risoluzione»28. Nei racconti che stiamo analizzando non sempre sono presenti tutte queste parti, oppure non sono facilmente distinguibili a causa della loro brevità.

Ad esempio, in “A Double Return” e in “Jocelyn’s Escape” manca una vera e propria situazione iniziale, presentando un inizio in medias res: questa tecnica narrativa, opposta alla narrazione ab ovo, consiste nell’entrare dalle prime parole del testo nel vivo dell’azione, per catturare da subito l’attenzione del lettore. In “Jocelyn’s Escape”, ad esempio, assistiamo subito a un dialogo tra il protagonista e uno dei suoi assistenti: si tratta di una strategia efficace, perché il lettore si pone subito delle domande, entrando immediatamente nella storia. In questo caso, la battuta che apre il racconto, «Mr Mathews in?», nonostante la sua semplicità, incuriosisce subito il lettore, che si chiederà chi sta parlando, chi è l’interlocutore, chi è il signor Mathews e, infine, perché lo sta cercando. Inoltre, sono assenti i verba dicendi: Machen, non ci dà indicazioni né su chi sta parlando né su come viene posta la domanda (il protagonista potrebbe anche voler evitare il signor Mathews). Solo dopo altre tre battute ci viene svelata l’identità dei due personaggi.

In “The Lost Club”, invece, troviamo una situazione iniziale ben delineata                                                                                                                

28 F. BRIOSCHI – C. DI GIROLAMO – M. FUSILLO, Introduzione alla letteratura, Carocci Editore, Roma 2003, p. 178.

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ma non lo scioglimento e la conclusione: il finale rimane aperto, non ci viene data una spiegazione che spieghi gli eventi. Il racconto è chiaramente ispirato a The Suicide Club di Stevenson, in cui tuttavia il finale è diverso: in quel caso il narratore non solo ci racconta il duello tra il principe Florizel e il presidente del club dei suicidi, ma spiega anche la situazione attuale dei protagonisti. Nel racconto di Machen, al contrario, non sappiamo che cosa succede al membro del Circolo Scomparso che scompare, lasciando spazio alle congetture del lettore (è anche possibile che Machen, a imitazione del modello stevensoniano, avesse pensato a un seguito che non riuscí poi a scrivere).

Al contrario, in “An Underground Adventure” la conclusione è esplicitata chiaramente dall’io narrante, che descrive le conseguenze della sua (dis)avventura: «This is the first time a lady has proposed to me, and that I have had to refuse. Heaven grant that it may be the last! The result has been an undermining and general collapse of my whole constitution»29.

In quest’ultimo racconto, è presente uno dei procedimenti narrativi tipici del modo fantastico: l’ellissi, cioè «l’improvvisa apertura di spazi vuoti […]

Nel momento culminante della narrazione, quando la tensione è alta nel lettore, e forte la curiosità di sapere, d’improvviso sulla pagina si apre un buco bianco, nella scrittura campeggia il non detto»30. Nella parte conclusiva di “An Underground Adventure», dopo che la marchesa ha chiesto al giovane se vuole sposarlo, questi decide di fuggire, lasciando il lettore confuso: perché vuole sposare un uomo che forse ha visto solo una volta? Come può essere lui la persona che cerca se non ne conosce bene alcuni tratti somatici? Se il                                                                                                                

29 A. MACHEN, ROS, p. 99.

30 F. BRIOSCHI – C. DI GIROLAMO – M. FUSILLO, Introduzione alla letteratura, p. 82.

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protagonista, come afferma, fa molto affidamento sulla sua immaginazione, è lecito considerarlo un narratore inattendibile? 31 L’ellissi è un procedimento che non permette di evadere dal fantastico, come diceva Todorov, di scegliere una soluzione inequivocabile agli avvenimenti raccontati.

Fin troppo disambiguante, invece, il finale di “The Autophone”, in cui notiamo l’inesperienza di Machen nella costruzione del testo: sebbene per tutto il racconto ci sia la possibilità di considerare l’elemento fantastico, soprannaturale, questo diventa altamente improbabile leggendo la frase conclusiva, riconducendo tutto a una chiara causa organica: «When the doctor came his verdict was ‘Brain fever’»32.

Molto meno esplicito è il finale di “A Remarkable Coincidence”: in questo racconto due autori decidono di scrivere un romanzo, che viene però rifiutato dall’editore perché ha appena accettato un manoscritto praticamente identico al loro. In modo indiretto, nel finale si suggerisce che Walters, che aveva avuto l’idea per il romanzo, crea una nuova identità per incassare l’assegno senza condividerlo col co-autore del libro:

At present Mr William Walters […] has almost forgotten also how large a cheque one Henry Smart, a young man vastly resembling William Walters, cashed at the bank. The temptation was probably too strong for him; it was a picturesque sin,

certainly, to steal his own idea. But he has never done such a thing since33.

Infine, in questo racconto troviamo un caso di analessi (figura opposta alla prolessi di “A Double Return”), cioè «l’evocazione di un evento anteriore al                                                                                                                

31 Cfr. A. MARCHESE, L’officina del racconto, p. 53.

32 A. MACHEN, ROS, p. 71.

33 Ibidem, p. 79.

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punto della storia in cui ci si trova»34. In “A Remarkable Coincidence”, infatti, dopo un breve scambio dialogico, i due protagonisti ricordano l’esperienza che portò alla fine alla «singolare coincidenza» del titolo, e che si svolge in un tempo anteriore a quel passato – indefinito – in cui si svolge la vicenda.

L’analessi è marcata anche dal punto di vista linguistico, attraverso il passaggio dal passato semplice al trapassato.

4.4. Il doppio

Il tema del doppio, o Doppelgänger, si ritrova, in modo piú o meno evidente, in tutti i racconti qui presi in esame. Viene affrontato in modi diversi, sia per quanto riguarda l’approccio vero e proprio sia per quanto riguarda l’identità del doppio.

Massimo Fusillo parla di una variazione sul tema del doppio che definisce

“somiglianza perturbante”: «fin dall’antichità la somiglianza eccezionale fra due persone non legate da parentela è sentita come un fenomeno estremamente perturbante, che scompagina il primo e piú immediato tratto di definizione dell’identità: l’immagine somatica»35. Un esempio si trova in “A Double Return”, in cui il protagonista crede di vedere il proprio volto nel treno che viaggia nella direzione opposta; tuttavia, continua a ripetere «it must have been a reflection», per cercare di autoconvincersi che non era un suo doppio e, in ultima istanza, per negare quella somiglianza perturbante «cosí eccezionale da

                                                                                                               

34 A. MARCHESE, L’officina del racconto, p. 47.

35 M. FUSILLO, L’altro e lo stesso – Teoria e storia del doppio, La Nuova Italia, Firenze 1998, p. 183.

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mettere in crisi il principio di identità»36.

Col procedere della narrazione, Halswell pensa a una persona appena conosciuta che gli assomiglia molto: «Curious thing, too, he was wonderfully like me, if he had been only clean shaven and not ‘bearded like the pard’. […]

I fancy he must be an actor; I never saw such a fellow to imitate a man’s voice and gestures»37. Questi ultimi due elementi, che il doppio di Halswell riesce a imitare, potrebbero alludere al racconto “William Wilson” di Poe, in cui «[i]l secondo William Wilson si mostra poi bravissimo nell’imitare i gesti [… ] del narratore, riuscendo a riprodurre persino la sua voce»38. In Poe, inoltre, il protagonista è l’unico a notare i tratti identici, mentre «[s]tranamente la somiglianza non viene notata dai compagni del college»39. Nel racconto di Machen, Halswell si accorge della somiglianza, ma – se ciò che ci viene narrato è vero – se ne accorgono anche la moglie e la domestica, tanto da non riconoscere (a quanto dicono) che chi arriva a casa non è Halswell ma il sosia.

E, oltre al titolo stesso, il tema del Doppelgänger è sottolineato in “A Double Return” anche dal fatto che si parla delle «twin doors of the hansom»40, una scelta lessicale che, seppur minima, indica la volontà di sottolineare la similarità tra i due personaggi.

In “The Lost Club”, Machen presenta il tema del doppio in modo insistito ed esplicito: nella storia uno dei due protagonisti incontra l’altro che, oltre a chiamarsi Johnny come il primo, viene definito «an exact duplicate of

                                                                                                               

36 Ibidem, p. 185.

37 A. MACHEN, ROS, p. 81.

38 M. FUSILLO, L’altro e lo stesso, p. 271.

39 Ibidem.

40 A. MACHEN, ROS, p. 81.

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  XLIX  

himself»41. Entrambi dicono di essere venuti dalla Scozia per motivi legali, e i due concordano sempre l’uno con l’altro. Si potrebbe quasi pensare che il doppio sia solo una proiezione di uno dei due personaggi, una creatura che esiste solo nella sua mente, se non fosse che Wylliams li riconosce come due individui diversi, salutandoli separatamente. A ogni modo, in questo caso – a differenza di quanto accadeva in “A Double Return” – non si ha nessun riconoscimento della somiglianza da parte dei due protagonisti.

Questo tema, anche se in misura minore e in modi diversi, è presente anche negli altri racconti. Ad esempio, in “An Underground Adventure” la marchesa è sicura che il protagonista sia davvero la persona che sta cercando, sebbene questi sia convinto di no, anche perché lei gli dice che dall’ultima volta si è rasato i baffi, che però il narratore afferma di non aver mai portato. Tuttavia, è significativo che, a un certo punto, egli viene colto dal dubbio e si chiede se davvero non fosse davvero lui la persona che la donna stava cercando:

«Perhaps I really had been at the station the other evening and rescued this stout marchioness, and for a few seconds I wondered vaguely and wildly whether I was myself or someone else»42. In “A Wonderful Woman” un uomo crede di riconoscere nella moglie di un amico la donna con cui aveva avuto una relazione in passato, mentre in “A Remarkable Coincidence” uno dei due protagonisti inganna il co-autore del suo romanzo creando una nuova identità:

«Henry Smart, a young man vastly resembling William Walters»43.

Infine, è singolare l’approccio di Machen in “The Autophone”, in cui affronta il tema del doppio a partire da una citazione tratta da The Analogy of                                                                                                                

41 Ibidem, p. 88.

42 Ibidem, p. 97.

43 Ibidem, p. 79.

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  L  

Religion, Natural and Revealed to the Constitution and Course of Nature (1736) del filosofo Joseph Butler: «Personality is not a permanent but a transient thing; it lives and dies, begins and ends continually; no one can remain one and the same person two moments together»44. Il reverendo protagonista del racconto, dopo mesi di studio in una piccola stanza soffocante e dopo non aver mangiato né bevuto per tutto il giorno, crede di vedere una delle sue personalità materializzarsi in un bambino piccolo, evocando cosí ricordi peccaminosi, tanto che alla persona che gli fa visita (ma che probabilmente è soltanto un’allucinazione) chiede: «you didn’t happen to notice a young fellow going out of the house as you came in—a fair complexioned young man, a little like myself, but younger and, well, rather odd looking?» 45

4.5. Riferimenti autobiografici

I riferimenti autobiografici sono una costante di tutta la produzione di Machen, non solo di questi racconti brevi, e gli esempi che seguiranno sono indicativi di questa tendenza dell’autore. È possibile che in questi primi esperimenti narrativi la loro abbondanza sia dovuta al fatto che Machen è in grado di scrivere soprattutto di ciò che conosce e di descrivere i personaggi attribuendo loro le proprie caratteristiche.

Abbiamo chiuso il paragrafo precedente parlando della concretizzazione di una delle identità del reverendo di “The Autophone”, e il narratore si chiede quali delle sue personalità sia seduta a leggere la Analogy di Butler: «What                                                                                                                

44 Ibidem, p. 68.

45 Ibidem, p. 70.

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  LI  

personality was sitting in that chair, gazing on an open book? Was it a little boy roaming among the woods and meadows in summers long ago?» 46 Per chi abbia letto l’autobiografia Far Off Things è lampante l’analogia con l’infanzia di Machen, che sin da bambino vagava per le vallate e i boschi del Gwent: è possibile pertanto che stesse davvero pensando a sé stesso quando parla del bambino che «vagava per i boschi e i prati». Allo stesso modo, lo stretto rapporto di Machen con la natura è suggerito anche in “A Double Return”, in cui Halswell «had wandered along the deep sheltered lanes from hill to hill, by the orchards already red and gold»47.

In “A Wonderful Woman” uno dei due protagonisti, Villiers48, afferma: «I am a student of London»49. Dalle pagine della sua autobiografia emerge come un simile “studente” fosse lo stesso Machen, che dopo aver imparato a conoscere il Gwent vagando per ogni sentiero, conosciuto o no, fece lo stesso a Londra, perdendosi nei sobborghi e nei vicoli della città, imparandola a conoscere benissimo.

I riferimenti autobiografici aumentano in “A Remarkable Coincidence”, in cui i due protagonisti vivono in un piccolo appartamento all’ultimo piano (come la casa di Machen in Clarendon Road, dove visse dal 1883 al 1885), e cercano di scrivere letteratura mentre fumano quantità ingenti di tabacco, che è esattamente quello che Machen faceva nei suoi primi anni londinesi. Inoltre, entrambi scrivono articoli per un quotidiano, e sappiamo come sia stretto il                                                                                                                

46 Ibidem, p. 69.

47 Ibidem, p. 81.

48 Villiers è anche uno dei protagonisti di The Great God Pan. Potrebbe trattarsi di un riferimento allo scrittore francese di racconti gotici Villiers de L’Isle-Adam, che pubblicò i Contes cruels nel 1883. Machen, traduttore dal francese, poteva benissimo conoscerlo.

49 A. MACHEN, ROS, p. 84.

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  LII  

rapporto col giornalismo per Machen, che si era trasferito a Londra proprio per intraprendere questa carriera.

Infine, una nota curiosa: nell’introduzione a The Hill of Dreams, Machen racconta che l’editore rifiutò il manoscritto perché aveva da poco accettato un romanzo con una trama incredibilmente simile all’opera dell’autore gallese (che poi evidentemente non fu mai pubblicato). Questo accade anche nel secondo capitolo di The Hill of Dreams, ma non solo, perché in “A Remarkable Coincidence” (scritto cinque anni prima che Machen iniziasse a scrivere The Hill of Dreams) il manoscritto dei due protagonisti viene rifiutato dall’editore, che scrive loro una lettera, nella quale li informa che «by an extraordinary coincidence—which he (the publisher) deeply regretted—he had concluded an agreement with an author (who desired strictly to preserve his anonymity) to publish a work which resembled almost to the smallest detail the MS they had so kindly sent him»50. Joshi, facendo riferimento solo a quanto accade nel capitolo del romanzo, afferma: «If this is true, it may make one believe in the supernatural»51; la questione è ancora piú sorprendente considerando anche quanto detto a proposito di “A Remarkable Coincidence”.

4.6. Note di stilistica

La lingua di Machen in questi racconti brevi è semplice, neutra, senza particolari abbellimenti retorici e con frasi brevi: siamo dunque lontani da quella prosa elegante e a tratti complessa e poetica che caratterizza le sue opere migliori dal punto di vista stilistico, ovvero il romanzo The Hill of Dreams e                                                                                                                

50 Ibidem, pp. 78-79.

51 S.T. JOSHI, Arthur Machen: Philosophy and Fiction, cit., p. 26.

(21)

  LIII  

Far Off Things.

Questa semplicità linguistica non sorprende, dato che è la prima volta che Machen scrive narrativa in inglese moderno, e dato che si tratta comunque di opere pubblicate sui quotidiani; pertanto, da un lato, potevano esistere restrizioni sia sul contenuto sia sullo stile da parte della redazione, e dall’altro, non essendo giornali o riviste d’avanguardia, i lettori si aspettavano racconti relativamente facili da leggere. Infatti, se è vero che in un racconto come “A Double Return” sono presenti ambiguità e dettagli che il lettore comune potrebbe non cogliere a una lettura superficiale, è altresí vero che questa stessa lettura superficiale può offrire un racconto se non straordinario, perlomeno piacevole da leggere.

A ogni modo, in quasi tutti i racconti le parti dialogiche sono numerose, e rappresentano un’occasione per Machen per esercitarsi con la lingua orale e colloquiale. Lo stacco con le parti diegetiche è evidente, come testimoniano, per esempio, le molte interiezioni e gli appellativi familiari «old fellow», «old chap», «my boy» (“A Remarkable Coincidence”). In un caso Machen cerca di rendere la varietà diastraticamente bassa di un uomo presente sul treno di Halswell: «You see, them there signals is against us, and if we was to go on we should jolly well go to kingdom come, we should»52 (“A Double Return”).

Le figure retoriche, come si è accennato, sono scarsamente frequenti, e si possono individuare solo sporadici esempi. Ad esempio, in “A Double Return”, nella primissima frase abbiamo una personalizzazione del treno: «The express from the west rushed through Acton with a scream»53; mentre in “A                                                                                                                

52 A. MACHEN, ROS, p. 80.

53 Ibidem, p. 81.

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  LIV  

Wonderful Woman” troviamo una similitudine di carattere “naturalistico” (un altro dettaglio che conferma l’amore di Machen per la natura): «Richardson’s quiet stream of talk sounded idly in his ears, like a brook murmuring far away»54.

Infine, è interessante osservare le scelte lessicali di Machen volte a creare un’atmosfera misteriosa, ambigua o oscura. In “A Remarkable Coincidence”, ad esempio, la casa dei due protagonisti si trova in Handel Street, situata «in the gloomy wilderness of Soho, and in all that queerest of London quarters there is no street shadier, either phisically or morally»55 (sottolineature mie); e al suo interno «mysterious trades were carried on in small rooms»56. È quindi una presentazione dello spazio che dal punto di vista lessicale deve perlomeno mettere in allerta su ciò che succederà.

“An Underground Adventure” ha come protagonista un londinese con una grande curiosità «in anything in the shape of a mystery» e che viene presentato come un giovane che basa molto la sua esistenza sull’immaginazione e quindi, dato che in un racconto cosí breve Machen ha ritenuto necessario evidenziare questa caratteristica, viene quasi da chiedersi se sia tutto vero ciò che ci racconta: in altre parole, se sia un narratore affidabile, altro elemento da considerare sempre quando ci troviamo di fronte a racconti fantastici.

L’atmosfera è di nuovo caratterizzata come oscura, e viene descritta come

«dark, cold, and foggy»57, e il giovane, per non essere visto, si nasconde in un angolo «buio».

                                                                                                               

54 Ibidem, p. 86.

55 Ibidem, p. 77.

56 Ibidem.

57 Ibidem, p. 96.

(23)

  LV  

Per quanto riguarda “The Lost Club” abbiamo già notato, per aiutarci a definire il genere, come Machen faccia ricorso molto spesso al campo semantico dell’oscurità, suggerendo connotazioni negative rigaurdo allo spazio del racconto e alle vicende in generale. Inoltre, una volta introdotti nel circolo, ci troviamo di fronte a persone che camminano, giocano a carte e fumano, ma non sappiamo ancora quale sia la sua peculiarità. Prima di svelarla, Machen anticipa indirettamente che i membri del circolo sono in ansia per qualcosa che sta per accadere: di tanto in tanto qualcuno guarda «anxiously at the door at the other end of the room», e quando sentono dei colpi alla porta «every man started»58.

In conclusione, sebbene a una prima lettura possano sembrare dei racconti semplici, in realtà i testi studiati mostrano l’attenzione di Machen per i dettagli e per la costruzione del racconto. Presentano alcuni difetti (tra cui l’esplicitazione), segno dell’inesperienza dell’autore, ma sono altresí efficaci prodotti di genere.

                                                                                                               

58 Ibidem, p. 92.

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