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Qual è la reazione degli storici dell’arte italiani in questo contesto? E, soprattutto, quale la posizione di “seleARTE” e di Ragghianti? La rigorosa posizione critica di

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INTRODUZIONE

La scena del secondo dopoguerra è dominata da profondi cambiamenti. Il conflitto mondiale trasforma gli equilibri politici ed economici, stabilendo una spaccatura tra mondo occidentale, tendenzialmente capitalista, ed asse russo-cinese, di orientamento comunista. Stati Uniti e Unione Sovietica giocano le proprie carte per ottenere consensi e riconoscimento internazionale su molti piani, non ultimi quelli della religione e della cultura. In questo rinnovato scacchiere, l’America costruisce, in modo quasi sistematico, l’immagine della propria arte moderna, portatrice di valori “puri” e “veri”, sostenendo il lavoro del Museum of Modern Art di New York, degli artisti e critici che vi gravitano intorno. Clement Greenberg acquista un potere impositivo sulla scena dell’arte, stabilendo una sorta di canone di qualità per il giudizio delle opere ed accompagnando la poetica espressionista astratta. Accanto a lui, le politiche di comunicazione del MoMA e dei suoi curatori portano all’affermazione del movimento sul piano internazionale, elevando il museo alla condizione, per usare un termine impiegato dagli studiosi statunitensi, di ‘taste maker’, letteralmente “creatore di gusto”.

Conseguentemente, il centro principale della cultura artistica si sposta da Parigi, ormai spossata dalla guerra e dalle vicende del Nazismo, a New York, che già nel periodo bellico aveva accolto molti degli artisti (e dei critici) più propositivi in esodo dalla capitale francese. La Grande Mela detta in qualche modo gli standard di qualità ed attrae artisti di tutto il mondo. Come nota Germano Celant, i più influenti tentativi di ricapitolazione sulle vicende dell’arte del XX secolo, tra i quali quelli di Gombrich, Argan, Hauser, Read, Krauss e Rosenblum, affermano un passaggio del testimone dalla Francia all’America alla fine della seconda guerra mondiale. Tutti questi autori tendono ad applicare un’idea dell’arte come sviluppo verso il nuovo, verso l’originale, verso il rivoluzionario

1

.

Qual è la reazione degli storici dell’arte italiani in questo contesto? E, soprattutto, quale la posizione di “seleARTE” e di Ragghianti? La rigorosa posizione critica di

1 G. CELANT, Un mosaico di identità, in Arte Italiana 1900-1945, catalogo mostra a cura di P.

HULTEN, G. CELANT, Milano- New York, 1989, p. 17

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quest’ultimo, imbevuta di crocianesimo anche se non in modo pedissequo, da una parte lo rende cieco di fronte alle metodologie diffuse in Europa e negli Stati Uniti nella seconda metà del secolo, ed incapace di apprezzare alcuni dei fenomeni più influenti del XX secolo dal Dadaismo e Surrealismo, dal Muralismo Messicano alla Pop Art.

Eppure, lo stesso crocianesimo gli dà la possibilità di aprire i propri orizzonti geografici, di accettare e valorizzare le espressioni di artisti dei paesi extraeuropei, tenuti ai margini degli interessi occidentali nel periodo di “seleARTE”. Il saggio di Said sull’Orientalismo data al 1966, anno di cessazione del periodico italiano come pubblicazione autonoma. L’attenzione verso le realtà esterne all’asse Francia-USA per il moderno e all’Europa in generale per l’antico si diffonde sistematicamente solo dagli anni Sessanta, con il maturare negli Stati Uniti di posizioni opposte al canone di Greenberg, al potere istituzionale e alla propaganda americana.

Ragghianti non aveva mai abbandonato la convinzione che arte di qualità potesse avvenire dovunque. Trattando un argomento affine a quello affrontato da Said, cioè l’arte islamica, “seleARTE” non si spinge a ricostruire dipendenze dall’occidente e non commenta scene figurative nelle quali i corpi orientali potrebbero costituire oggetto di desiderio. Questo tipo di analisi iconologia non incontra il suo interesse. Al contrario, in articoli come Arte Islamica, pubblicato sulla rivista nel 1964, vengono proposti ampi excursus sulla produzione di arti applicate con decorazioni aniconiche, nel tentativo di comprendere non tanto la visione occidentale sull’oriente, quanto l’espressione orientale in sé, che per motivi religiosi privilegia l’arabesco

2

.

New York non coincide con tutto il mondo. Nonostante abbia esportato per alcuni decenni un modello di modernità, questo non significa che quel modello sia stato accettato o che la sua ricezione abbia prodotto ovunque gli stessi risultati.

L’omologazione culturale rimane sempre relativa e, per quanto si possano esportare delle immagini e dei testi, la lettura e l’interpretazione di essi conducono spesso a soluzioni inedite.

Questa considerazione porta ad una nuova concezione della geografia culturale ed artistica del secondo dopoguerra: non è solo la scena newyorkese a dover essere presa

2 Arte orientale islamica, in “seleARTE”, 70, 1964, pp. 57-70

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in considerazione, ma il raggio di interesse si allarga a tutto il mondo. La periferia diventa oggetto di attenzione scientifica, nelle sue dinamiche rispetto al centro e nella sua autonomia. Gli studi di autori come Enrico Castelnuovo, focalizzati su periodi storici diversi, costituiscono comunque un esempio per analisi di questo tipo.

Recentemente, il volume di Thomas Da Costa Kaufmann, dal titolo Toward a Geography of art (Chicago 2004) riflette sugli sviluppi contemporanei della geografia, sulle influenze che riceve dalla filosofia postmoderna, e sulla esigenza di riconsiderare il rapporto tra arte e spazio geografico non tanto alla luce di un relazione gerarchica tra centro e non centro, quanto in relazione alle particolari situazioni ambientali, culturali, sociali e politiche dei diversi luoghi.

Quale strumento migliore, per la comprensione del panorama geografico-culturale degli anni Cinquanta e Sessanta, di una rivista che nasce con l’intenzione di selezionare e diffondere periodicamente notizie e ricerche prodotte su scala mondiale?

“seleARTE”, pubblicata dal 1952 al 1966 dall’Ufficio Stampa Olivetti e diretta da Carlo Ludovico Ragghianti, con l’indispensabile sostegno di Licia Collobi, rappresenta un mezzo straordinario per un lavoro di questo tipo, proprio per la sua attenzione all’arte di una gamma amplissima di paesi. Se lo spoglio delle sue pagine rende evidente, in certi passaggi, l’ombra della Guerra Fredda, l’apertura critica dei Ragghianti si riversa sulla rivista e sul suo accogliere notizie, idee e immagini di moltissime aree differenti. L’approccio verso le manifestazioni artistiche di diverse culture appare scevro di pregiudizi e la visione sul panorama mondiale sempre legata, più che ai trend internazionali, alla personale e forte posizione critica del direttore.

Così seleARTE diventa una finestra sul mondo: grazie ai contatti internazionali di

Ragghianti e della Olivetti, il periodico da una parte ospita interventi ed idee di autori

stranieri, dall’altra esporta modelli italiani e contribuisce a diffondere la conoscenza

dell’arte moderna del nostro paese. La rivista propone un’informazione globale ed i

Ragghianti, ponendo modelli internazionali da applicare sul piano locale, sembrano

anticipare il motto divenuto famoso negli anni Novanta tra i sostenitori dello sviluppo

sostenibile: “think globally, act locally”. Questo approccio rende lo studio di seleARTE

estremamente attuale: la rivista sembra incarnare, ante litteram, valori e riflessioni che,

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sebbene siano nate su altre basi, si sono diffuse in seguito determinando una tendenza nella cultura mondiale.

Con questo studio ho tentato di ricostruire il panorama geografico-culturale e storico-

critico degli anni Cinquanta e Sessanta che affiora dalle le pagine di seleARTE, così

influente sull’opinione di una larga fascia di pubblico italiano, e non solo.

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CAPITOLO I PER UNA SCHEDA TECNICA DI “seleARTE” (1952-1966)

STORIA E CONTESTO

1. IL PRECENDENTE: LO STUDIO ITALIANO DI STORIA DELL’ARTE

La ‘carta di identità’ della rivista “seleARTE” – con le informazioni sul direttore Carlo Ludovico Ragghianti, sulla produzione dell’Ufficio Stampa Olivetti, sulla tipografia Vallecchi, sulla periodicità bimestrale e sul prezzo di 200 lire – appare pubblicata sulla seconda di copertina e sulla seconda pagina di ogni numero, sin dal primo fascicolo uscito nel luglio/agosto del 1952. Questi dati, sinteticamente presentati ma completi, includono nei primi volumi la dicitura: “Direzione, Redazione, Amministrazione presso lo Studio Italiano di Storia dell’Arte, Firenze, Palazzo Strozzi, tel. 29.46.19”

3

.

Non viene mai spiegato, però, all’interno del periodico, che cosa sia lo Studio e quale sia il suo legame con Ragghianti, che è l’ideatore, il fondatore ed il direttore di

“seleARTE” durante l’intero corso della sua pubblicazione, dal 1952 al 1966, e che successivamente ne cura una versione ridotta su “Critica d’arte”.

Sembra necessario dunque un lavoro di ricerca finalizzato al recupero di informazioni relative allo Studio ed alle sue attività, con lo scopo di comprendere come il progetto di

“seleARTE” possa essere incluso tra queste ultime. Lo spoglio della filza dal titolo

“Costituzione Studio”, conservata presso la Fondazione Ragghianti di Lucca, ha permesso di ricostruire la storia dell’ente.

La progettazione dello Studio Italiano di Storia dell’Arte avviene nel contesto dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento. Nel 1945, a Ragghianti viene affidata la conduzione di quest’ultimo, che era stato fondato nel 1939 dal governo fascista ed era stato a lungo diretto da Mario Salmi. Salmi aveva orientato gli interessi dell’Istituto verso la storia dell’arte nel suo insieme, escludendo le altre materie

3 Frontespizio, in “seleARTE”, 1 e segg, 1952, p. 2

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umanistiche legate al periodo rinascimentale, ma allargando l’arco temporale. Nel 1947, Ragghianti propone la trasformazione dell’Istituto in Studio Italiano di Storia dell’Arte, confermando l’impostazione storico-artistica che già lo caratterizzava ai tempi del precedente direttore. Nel giugno del 1947, il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, su proposta del Ministero della Pubblica Istruzione e di concerto con il Ministro del Tesoro, sanziona l’istituzione dello Studio Italiano di Storia dell’Arte, al quale destina fondi precedentemente assegnati all’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento

4,

che comunque continua parallelamente la propria attività.

La nostra conoscenza delle attività del nuovo ente è affidata ai materiali illustrativi dello stesso, redatti da Ragghianti in varie occasioni con lo scopo di ottenere fondi e sostegno da associazioni ed amministrazioni. Tra questi documenti, molto ampio appare quello datato 10 febbraio 1951

5

, destinato alla Giunta Comunale di Firenze, che

4 AFR, Filza Costituzione Studio, n. 27 a,b, Decreto di Costituzione dello Studio Italiano di Storia dell’Arte, giugno 1947

5 AFR, Filza Costituzione Studio, Fogli 40 a-s, Ragghianti alla Giunta Comunale di Firenze, 10 febbraio 1951; “Istorico: lo Studio Italiano di storia dell’arte sorse in Firenze nell’anno 1945, per rispondere ad un’esigenza degli studi italiani che non aveva trovato sin allora attuazione.

Fino al 1947 esso fu approvato dal Ministero della PI come trasformazione ed integrazione dell’Istituto di studi sul Rinascimento. Successivamente il Ministero stesso opinò per la distinzione, ed il prof.

Ragghianti, commissario, fu investito della nomina di Direttore incaricato dello STUDIO. Nel 1949, la distinzione fu portata a termine. Nel 1950, il Senato approvava il progetto ministeriale di erezione dello STUDIO in Ente culturale autonomo sotto la tutela del Ministero della PI, con una relazione estremamente documentata e lusinghiera, anche per la qualità degli uomini che l’approvarono. La Camera dei Deputati, invece, respinse il progetto, con una votazione di carattere politico.

Poiché lo STUDIO nel frattempo, col consenso del Ministero della PI si era formato un patrimonio bibliografico (circa tremila volumi fra i quali importantissima la Raccolta Poggi di storia dell’architettura, donata allo studio nel 1946), fotografico (oltre 24.000 fotografie d’arte) e mobiliare, ed aveva inoltre un cospicuo magazzino di pubblicazioni d’arte in continua vendita, poiché infine la sua fama e il suo credito negli ambienti nazionali ed internazionali era assicurato dalle numerose ed importanti iniziative di cultura da esso svolte, col consenso ministeriale si procedette alla richiesta di Ente Morale, che, col patrocinio di S.E. il senatore Ferruccio Parri, è in corso.

È da avvertire che lo Studio possiede anche una solida situazione finanziaria, pure essendogli venuti a mancare negli ultimi due anni i contributi degli Enti pubblici fiorentini. Tuttavia provvede alla propria attività con i redditi della stessa, e con contributi privati.

È regola che ogni distinta attività od associazione od ufficio che fa capo allo Studio si finanzi con mezzi propri, appositamente costituiti (per es. Società Italiana di Estetica; Comité International pour le Cinéma e les arts figuratifs; Società nazionale Amici dell’Arte; etc), per modo da non gravare sulla gestione dell’istituto promotore.

Situazione […]

Attualmente, lo Studio Italiano di Storia dell’arte è retto da un Consiglio Direttivo provvisorio, formato da:

Benedetto Croce, Bernardo Berenson, Francesco Flora, Matteo Marangoni, Giuseppe Samonà, Guglielmo Pacchioni, Cesare Gnudi. Questi illustri studiosi sono proposti anche come facenti parte del Consiglio direttivo regolare dell’Ente Morale […]”

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racconta la storia della costituzione dello Studio, precisando che nel corso del tempo esso aveva raccolto numerosi materiali bibliografici e fotografici, utili all’attività storico artistica. Il testo tende a sottolineare l’autonomia finanziaria dello Studio, che si sostiene, in parte, tramite la vendita delle proprie pubblicazioni e l’organizzazione di eventi culturali di notorietà internazionale e, in parte, tramite donazioni; con una punta di amarezza, il documento denuncia come gli Enti pubblici fiorentini abbiano cessato di versare dei contributi all’istituto. La fama dello Studio all’estero sembra garantita dalle figure di spicco che fanno parte del Consiglio direttivo, che include tra gli altri Benedetto Croce e Bernard Berenson

.

Sotto il cappello dell’istituto sono compresi altri comitati ed associazioni, tra le quali la Società Italiana di Estetica, il Comité international pour le cinéma e la Galleria della Strozzina.

Le numerose attività organizzate sono elencate puntualmente in varie occasioni, ma qui preme descriverne l’entità al momento della pubblicazione di “seleARTE”. Ecco dunque la lista delle iniziative dell’ente in base a quanto risulta da un documento del 25 settembre 1952:

1. “seleARTE”

2. “Borse di studio e soggiorno presso la Villa Fabbricotti, per studiosi italiani e stranieri in Storia dell’arte (ogni anno, con vari contributi, compreso uno di 100.000 L dell’AAT, L. 450.000 e più)

3. Premio Einaudi di storia dell’arte (premio di 250.000 L. e pubblicazione nella Biblioteca d’arte Einaudi) annuale, alla seconda edizione

4. (riga mancante) duali e collegiali fra storici dell’arte, artisti ed anche pubblico colto, terza annata

5. Fototeca (ora chiusa per forza maggiore) di oltre 25.000 fotografie, in continuo incremento, ed in attuale ordinamento

6. Biblioteca e soprattutto ricca emeroteca comprendente tutte le principali riviste italiane e straniere di storia e critica d’arte, di tutte le specializzazioni, destinata alla frequenza pubblica (oltre 90 periodici; per il momento, prestiti privati); la sola emeroteca del genere in Firenze

7. Pubblicazioni: ben note ed apprezzate, si vendono di continuo (Atti del Convegno Arti Figurative, Cataloghi delle Mostre, etc.)

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8. Iniziative varie a proposito di mostre ed esposizioni, patronato ed incremento a varie attività artistiche cittadine ed italiane, etc.

In preparazione per l’anno 1953

a.

Rivista trimestrale di studi critici “La cultura artistica”, organo dello Studio e dell’Istituto di Storia dell’arte dell’Università di Pisa” 6.

Come dicevamo, l’ente è ben conosciuto all’estero: nel 1965, uno studente di Harvard scrive a Ragghianti, per chiedere informazioni sui corsi di storia dell’arte svolti qui.

Questo implica che il critico ha una buona reputazione presso uno dei college più prestigiosi degli Stati Uniti e che viene individuato come punto di riferimento importante per i giovani americani a Firenze

7

.

Un programma così ricco come quello dello Studio ha bisogno, per essere svolto con efficacia, di una sede adeguata. Sin dalla Fondazione, esso è collocato in Palazzo Strozzi, ma Ragghianti mostra presto insofferenza verso la parte dei locali del secondo piano nei quali è inizialmente stabilito. Il 12 febbraio 1951 il direttore si rivolge al sindaco di Firenze, Mario Fabiani, con il quale intrattiene da tempo un rapporto di amicizia. In questa occasione Ragghianti insiste sul problema della sede, mostrando irritazione nei confronti dell’Azienda Autonoma di Turismo di Firenze, che gestisce appunto Palazzo Strozzi: da più di un anno un’ala del secondo e l’intero terzo piano sono “deserti” e nonostante ciò l’A.A.T non risponde alle richieste e sollecitazioni del professore, che vorrebbe ottenere questi spazi per allargare lo Studio

8

. Nonostante il tono deciso della lettera a Fabiani, le pressioni per l’assegnazione di una sede più spaziosa allo Studio sono destinate ad essere iterate.

6 AFR, Filza Costituzione Studio, N. 1 a, Ragghianti a Carmelo Oneto di S. Lorenzo, 25 settembre 1952

7 AFR, 9, 2, n. 5, Frankfurter a Ragghianti, 5 febbraio 1953. “I am an American college student who is interested in studying history of art this summer in Florence. (…) Could you please give me some information about your courses of study, and tell me if I am eligible for the summer session? If so, could you send application materials?”.

8 AFR, Filza Costituzione Studio, N. 38 a,b, Ragghianti a Fabiani, 12 febbraio 1951. “Io credo che vi sia un diritto morale dello Studio ad avere la propria sede a Palazzo Strozzi. Si tenga contro altresì che intorno allo Studio gravitano numerose ed importanti attività, enti ed associazioni la cui efficienza, che ritorna a vantaggio di Firenze, rischia di essere compromessa, così come sinora è stata certamente contrariata. Né si può allegare alcuna ragione valida per la concessione della parte del 2° piano del Palazzo, richiesta tante volte dall’Istituto. La situazione è da me perfettamente conosciuta: e trovo assurdo e ingiustificabile che il 2° piano (parte) ed il 3° piano del Palazzo siano da oltre un anno deserti, mentre l’A.A.T. non si cura nemmeno di rispondere alle sollecitazioni” .

(9)

Il 25 settembre 1952 Ragghianti fa il punto della situazione con il Commissario dell’Azienda autonoma del Turismo

9,

dichiarando di aver richiesto sin dal 1948 un trasferimento dello Studio dal secondo al terzo piano di Palazzo Strozzi, in locali utilizzati fino a quel momento come magazzini. Il critico dichiara che il trasloco è stato ripetutamente approvato dal Comune. In ogni caso, l’A.A.T. non concede facilmente il proprio consenso ed alcuni mesi dopo, il 23 febbraio 1953, Ragghianti scrive ancora al Commissario Carmelo Oneto di S. Lorenzo, dicendosi disposto ad un trasferimento della sede al mezzanino del primo piano, invece che al terzo piano:

“Desidero esporle subito le mie conclusioni, e mi riferisco alla pianta consegnatami dall’Arch. Rossi predetto. Ove dunque sia definitivamente stabilito che il terzo piano del Palazzo è assegnato agli uffici dell’E.P. Turismo, io aderisco alla Sua proposta, rinunziando alla mia preferenza per tali locali più idonei; e ciò faccio anche per venire incontro nel modo migliore e più sollecito possibile alla Sua esigenza di una determinazione conclusiva sull’uso del Palazzo da parte dei vari Enti. Spero che vorrà apprezzare questo mio atteggiamento, che intende facilitare la Sua opera”10.

Ragghianti, nonostante accetti il compromesso del mezzanino, si premura di ribadire la propria preferenza per il terzo piano e richiede la precedenza sui locali là collocati qualora rimanessero liberi ed altri enti ne richiedessero l’utilizzo. Inoltre, afferma la necessità di lavori di lieve ristrutturazione delle stanze del mezzanino e così facendo regala una gustosa descrizione degli ambienti relativi:

“Le stanze utilizzabili del mezzanino sopra il primo piano sono sei, di cui due (quelle prospicienti il cortile), insufficientemente illuminate e non libere. Le estreme d’angolo, che prendono aria e luce dai cessi, non sono utilizzabili se non come magazzini. Vi è poi l’ inconveniente che le stanze sono separate tra loro dalle scale d’accesso; e l’inconveniente della scarsa illuminazione degli altri due ambienti”11.

9 AFR, Filza Costituzione Studio, n. 1 a, Ragghianti a Carmelo Oneto di S. Lorenzo, 25 settembre 1952

10 AFR, Filza Costituzione Studio, n. 15 c, Ragghianti a Carmelo Oneto di S. Lorenzo, 23 febbraio 1953

11 Ibidem

(10)

I lavori murari dovrebbero comprendere “un corridoio divisorio che risolva l’attuale imbottigliamento di tutti gli ambienti, e una maggiore illuminazione delle stanze prospicienti il cortile”

12

. Alla lettera sopra citata sono allegate delle piante del mezzanino, sulle quali sono appuntate le collocazioni degli uffici dello Studio Italiano

13

. A questa data, nel 1953, “seleARTE” è già una realtà, così alla sua redazione ed a quella di “Critica d’arte” è destinata una stanza di 5,40 x 8,00 metri, da arredare con tre scrivanie e due piccoli armadi. Esattamente di fronte all’ambiente dedicato alla composizione dei due periodici si trova una Sala Riviste- Emeroteca (8,60 x 4,00 metri), la funzione della quale scopriremo essere fondamentale per la costruzione di

“seleARTE”, mentre al di là del pianerottolo e del vano scale si trova un Gabinetto Cinematografico (6,80 x 4,80 metri). La pianta del mezzanino include altri vani destinati ad uffici personali ed una sala riunioni.

Gli uffici dello Studio rimarranno a lungo a Palazzo Strozzi, disposti secondo quanto appare nella mappa appena descritta

14

. Il Palazzo costituisce dunque una delle scene principali nella quale si svolge la storia di “seleARTE” e della sua redazione fiorentina nei primi anni Cinquanta ed è tra le stanze del mezzanino che dobbiamo immaginare Ragghianti, Licia Collobi ed i segretari di redazione alle prese con la realizzazione della rivista.

2. ALLA RICERCA DI UN EDITORE: L’INCONTRO TRA RAGGHIANTI E OLIVETTI

Un passo indietro: 1951. Carlo Ludovico Ragghianti ha in testa un progetto innovativo:

realizzare una rivista sulle arti passate e presenti, finalizzata all’educazione di un pubblico allargato.

“Avevo avuto l’idea di sentire il polso della cultura pubblica sul problema dell’arte.

[…] Presentai la proposta ad un editore il quale rifiutò e giudicò spaventoso il fatto che

12 Ibidem

13 AFR, Filza Costituzione Studio, fogli 15 a,b, Piante del mezzanino di Palazzo Strozzi

14 Seguiranno il trasferimento nel 1957 a Palazzo Salimbeni in Santa Trinita, nel 1958 in via Ricasoli 31 e nel 1963-64 in Piazza Vittorio Veneto 4, sempre a Firenze.

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io avessi intenzione di far tirare questa rivista in cinquemila copie, quando le riviste d’arte avevano in genere una tiratura di cinquecento, mille copie. Sentito un altro editore, vidi che non c’era niente da fare. Andai allora da Olivetti che conoscevo sin dal periodo della lotta antifascista, gli dissi della mia idea. Studiata la cosa mi mandò il capo dell’ufficio pubblicità. L’unica obiezione che ebbe fu che cinquemila copie erano poche: almeno diecimila” 15.

Ragghianti descrive così l’inizio dell’avventura di “seleARTE” in un’intervista a Massimo Gasparini del 1980. Nel ricordo lo storico dell’arte sintetizza e rielabora un processo effettivamente più articolato, come dimostra l’analisi della corrispondenza con la Olivetti

16

.

Il primo incontro vis à vis con Adriano Olivetti è a Roma il 27 settembre 1951

17

. I risultati del confronto sono riportati in una lunga lettera che Ragghianti invia all’industriale, come promemoria degli argomenti discussi, mirando a sottolineare la comunanza di sensibilità con lui. “Credo di aver fatto bene a proporre a lei questo progetto”, riflette. Per realizzarlo infatti sono indispensabili un uomo di cultura che goda di buoni rapporti e stima diffusa nel contesto italiano e una figura di editore che

“sappia comprendere l’importanza di questi propositi, e possa come mi auguro, sorreggere con la sua presenza e con il suo intervento quest’ opera”

18

. Propositi che sono resi espliciti con la dichiarazione d’intenti che appare alcuni mesi dopo, nel luglio 1952, sul primo numero di “seleARTE”: orientare il pubblico, anche dei non addetti ai lavori, “attraverso una SELEZIONE accurata, responsabile, vasta, chiara; una INFORMAZIONE precisa, attuale, periodica, che ponga il lettore in contatto coi

15 M. GASPARINI, Conversazione con C.L. Ragghianti (1980), in Carlo L. Ragghianti. I critofilm d’arte, a cura di A. COSTA, Udine, 1995, p. 71.

16 AFR, Scatola 9, Filza 1, nn. 3908-3920. Di seguito, AFR, 9, 1. Il corpus qui conservato si compone di tredici lettere, due tra Ragghianti e Olivetti, undici tra Ragghianti ed Ignazio Weiss. Tengo a ringraziare ancora Francesca Pozzi ed il personale della Fondazione Licia e Carlo Ludovico Ragghianti di Lucca per la loro competenza e disponibilità. Lo studio di questi documenti è stato oggetto di recenti pubblicazioni:

S. BOTTINELLI, Dalla teoria alla pratica. La nascita di “seleARTE”, in “Ricerche di storia dell’arte”, 91-92, 2007, pp. 177-186; M. NEGRINI, Il progetto di “seleARTE” nella corrispondenza tra Carlo Ludovico Ragghianti, Adriano Olivetti e Ignazio Weiss, in "Annali di Critica d'Arte", 4, 2007, in corso di pubblicazione.

17 AFR, 9, 1, 3908-a/b: Ragghianti a Olivetti, Firenze, 5 ottobre 1951.

18 Ibidem

(12)

fenomeni artistici più vitali in tutto il mondo”

19

. La missione della rivista si allinea perfettamente con la visione ragghiantiana dell’arte come strumento fondamentale di conoscenza, da acquisire attraverso una dura educazione e raffinando la capacità di ripercorrere il processo creativo dell’artista:

“L’arte è sempre più, nel mondo moderno, parte costitutiva dell’esperienza di ogni uomo. […] Per comune constatazione, l’interesse per l’arte è grande, ma molto modesti e molto rari sono gli strumenti per formarsi il gusto e la capacità di comprensione dei problemi artistici. La stessa informazione è inadeguata […]. È necessario allargare lo spazio per l’arte. È necessario aumentare la circolazione dei valori e dei problemi dell’arte, che sono fattori essenziali della civiltà”20.

La volontà di diffondere competenze e notizie culturali sposa la concezione di Adriano Olivetti, che impersona il ruolo dell’imprenditore illuminato, committente di opere di architettura e design, editore di riviste e approfondimenti, impegnato da un punto di vista politico e sociale. Inoltre la concezione allargata dell’arte come espressione della creatività umana a 360 gradi, che caratterizza l’approccio di Ragghianti, include un forte interesse nei confronti del disegno industriale, dell’architettura e dell’urbanistica, discipline sentitamente sostenute da Olivetti. Non a caso, nella rivista le recensioni e gli articoli dedicati a queste materie sono straordinariamente numerosi rispetto agli standard delle riviste di arti figurative di ieri e di oggi. Nel luglio-agosto 1957, un bilancio sull’attività svolta da “seleARTE” sottolinea la presenza fino ad allora di 21 approfondimenti sull’architettura e l’urbanistica e 18 sulla grafica, contro i 59 focalizzati sulla pittura e 29 sulla scultura

21

.

La concomitanza di interessi e prospettive tra Ragghianti e Olivetti trova un suo humus fertile nel clima del secondo dopoguerra, che vede il rinascere dell’editoria con una particolare attenzione alle riviste di cultura ad ampia diffusione. Gli intellettuali credono nella possibilità di stimolare un’allargata coscienza critica attraverso la divulgazione capillare delle idee e in questo sono sostenuti da alcune figure di editori,

19 Ragioni della rivista, in “seleARTE”, 1, 1952, p. 2.

20 Ibidem.

21 “seleARTE” anno sesto, in “seleARTE”, 31, 1957, p. 3.

(13)

mecenati e investitori

22

. Il progetto di rivista che Ragghianti sottopone all’attenzione di Adriano Olivetti ha dunque tutte le chance per essere preso in considerazione. E così accade. Come Ragghianti dichiara nell’intervista a Gasparini già citata, l’imprenditore di Ivrea affida ad Ignazio Weiss e all’Ufficio Pubblicità e Sviluppo della propria azienda il compito di discutere con lo storico dell’arte per arrivare a definire una formula che risulti sostenibile dal punto di vista finanziario e soddisfacente a livello qualitativo. Inizia uno scambio epistolare, prezioso per gli studiosi di oggi, tra Weiss e Ragghianti, che si apre il 22 gennaio 1952 e si conclude, almeno per quanto riguarda la fase di impostazione della rivista, il 3 marzo dello stesso anno. È documentato un incontro di persona a Firenze il 2 febbraio e nelle ultime lettere fra i due si accenna ad un secondo appuntamento, di cui non rimane testimonianza scritta, ma che evidentemente serve a fissare i termini ultimi della questione.

3. L’IMPOSTAZIONE CRITICA DI “seleARTE”

La prima idea di Ragghianti prevede che la rivista si chiami “Mondo Artistico” o

“seleARTE”

23

. Il titolo che viene scelto, “seleARTE”, è una fusione tra le parole

‘Selezione’ e ‘Arte’; Ragghianti introduce così nell’editoria italiana l’abitudine già sfruttata ampiamente dalla pubblicità di fondere termini diversi per creare accostamenti evocativi e significativi.

La struttura del periodico, secondo quanto Ragghianti prevede nella lettera ad Adriano Olivetti del 5 ottobre 1951, deve essere agile e presentare un panorama degli eventi internazionali di interesse artistico, cioè riguardanti “Pittura Grafica Arti decorative e industriali Arti della visione”, come espresso nel sottotitolo della rivista. “Il contenuto, in relazione al programma di formazione estetica come condizione di liberazione spirituale e di distinzione ed equilibrio delle attività umane, come fattore di sviluppo sociale, deve essere di larghissimo orizzonte, nello spazio come nel tempo, nella

22 F. BIZZOTTO, La pubblicistica anni Cinquanta, frammenti di cronaca e di critica, in Venezia 1950- 1959, il rinnovamento della pittura in Italia, catalogo mostra a cura di M. G. MESSINA, Ferrara, 1999.

L. CAVALLI, Un’età dell’oro dell’editoria italiana, in Anni Cinquanta, Firenze, 2005, pp. 51-55; C.

Pellini, “seleARTE” e il pubblico, in “Luk. Nuova serie”, , 7/8, 2003, pp. 104 e segg.

23 AFR, 9, 1, 3919-a/i: Ragghianti a Weiss, Firenze, 3 febbraio 1952.

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diversità dei problemi e delle esperienze”

24

. La pubblicazione si deve offrire come strumento di osservazione sugli avvenimenti riguardanti il campo dell’arte e, secondo Antonino Caleca, si modella sul periodico “Selezione del Reader’s Digest”

25.

Questo mensile, che presenta una serie di recensioni e riduzioni di pubblicazioni nei più svariati campi del sapere, nasce nel 1948 e costituisce la versione in lingua italiana del

“Reader’s Digest”, periodico statunitense fondato nel 1922. Nel citare i propri modelli, Ragghianti include anche il “Politecnico” di Carlo Cattaneo, “almeno quanto al fine sociale, che e’ lo stesso, al modo di svolgere, quando ve ne sia bisogno, i doveri sociali della cultura”

26

.

Dato che il tipo di informazione che “seleARTE” vuole fornire mira ad essere oggettiva e sintetica, la rivista deve contenere per lo più lavori non firmati, cioè “rendiconti redazionali esaurientemente informativi, e, al caso, non privi di una nota critica”

27

, da pubblicare in una serie di rubriche dense di brevi interventi; accanto ad essi sono previsti pochi saggi originali appositamente scritti, che “possono essere richiesti a personalità note del mondo internazionale: Berenson, Cassou, Wright, Longhi, Venturi, Croce, Longhi (sic), etc. Possono giovare al prestigio della rivista e debbono essere relativi a problemi attuali”

28

. Ragghianti propone sin dall’inizio delle cifre per il pagamento degli studiosi e chiarisce il tipo di impegno finanziario richiesto, da recuperare in parte, almeno secondo l’idea originaria, tramite la pubblicità: pensa di offrire un compenso di 20.000 lire per i contributi originali e 10.000 lire per i collaboratori ordinari che scrivano articoli ad hoc.

L’Ufficio Pubblicità e Sviluppo non mette penna sull’impostazione critica di

“seleARTE”. L’analisi dei fascicoli editi conferma infatti una precisa rispondenza con le prime proposte del critico, che dimostra di aver avuto sin dall’inizio un’immagine chiara e solida del tipo di pubblicazione che gli interessa realizzare. Nel primo numero compaiono le rubriche Notizie dal mondo, Pagine critiche, Biblioteca, Arti della visione, Mostre musei gallerie, Acquaforte, Il collezionista, accanto ad articoli lunghi

24 AFR 9, 1, 3919-a/i: Ragghianti a Weiss, Firenze, 3 febbraio 1952.

25 A. CALECA, Carlo Ludovico Ragghianti storico dell’arte universale, in Ragghianti critico e politico, a cura di R. BRUNO, Milano, 2004, p. 152.

26 AFR, Corrispondenza, 15, 25

27 AFR, 9, 1, 3908-a/b: Ragghianti a Olivetti, Firenze, 5 ottobre 1951.

28 Ibidem.

(15)

firmati da Le Corbusier, Steven Spender e Hans Richter, brevi saggi non firmati (Scultura etrusca, Pissarro e il dramma del Divisionismo, La città e il suolo urbano, Sedia di Chiavari vecchia e nuova, Anatomia per architetti di interni, Cartier Bresson fotografo artista) ed un ampio approfondimento sulla Biennale di Venezia del 1952, la trattazione della quale rientrava tra gli obiettivi discussi nel carteggio tra Ragghianti e Weiss: “vorrei possibilmente far coincidere un numero colla prossima Biennale che, comunque sia organizzata, riscote (sic) sempre un grande interesse pubblico”

29.

La scelta degli argomenti dipende in parte dalla partecipazione di Ragghianti all’organizzazione degli eventi recensiti: ad esempio il saggio sulla Scultura etrusca prende spunto dalla mostra su questo tema allestita nei Chiostri delle Oblate a Firenze ed ordinata dalla Soprintendenza insieme allo Studio Italiano di Storia dell’Arte

30

; l’articolo su Bresson, invece, esce in concomitanza con l’esposizione dedicata al fotografo dalla Strozzina. Scrive Ragghianti a Bresson il 30 ottobre 1952: “tengo ancora a ringraziarla per la bellissima mostra della Sua Opera fotografica che abbiamo potuto fare alla Strozzina, e mi fa piacere che abbia gradito l’articolo che abbiamo consacrato alle sue fotografie in “seleARTE””

31

.

La struttura della rivista rimane fino alla fine coerente con l’impostazione del primo fascicolo, presentando scritti di varie discipline – firmati da collaboratori esterni o non firmati – e rubriche informative sul panorama internazionale. La vastità degli argomenti trattati e la semplicità di linguaggio rispondono perfettamente alle intenzioni progettuali che traspaiono dalla corrispondenza con l’editore Olivetti.

4. IL FORMATO ED IL DESIGN

Per “seleARTE” Ragghianti pensa ad un formato piccolo, come quello del periodico

“Le vie d’Italia” pubblicato dal Touring Club Italiano (27 x 16 cm), con illustrazioni in rotocalco fuori testo, di buona ma non eccellente definizione. Infatti, il direttore sostiene di apprezzare la dimensione tipo “Selezione del Reader’s Digest”, che è stata scelta per le pubblicazioni Olivetti. La misura e la qualità della stampa devono aiutare a

29 AFR, 9, 1, 3915-a/c: Ragghianti a Weiss, Firenze, 15 febbraio 1952.

30 R. CHIARELLI, La scultura etrusca in una mostra a Firenze, in “Emporium”, 693,1952, pp. 99-108

31 AFR, Lettera C, 1952, Filza Artemobile, n. 510, Ragghianti a Cartier Bresson, 30 ottobre 1952

(16)

contenere i costi di produzione, che non dovrebbero superare un quarto del prezzo di copertina

32

. Fino al secondo dopoguerra i formati delle riviste d’arte sfoggiavano grandi dimensioni e preziose immagini, che contribuivano in maniera determinante al prestigio delle pubblicazioni. Abituato allo standard precedente, Olivetti manifesta alcune perplessità sulla scelta di un formato ridotto, “circa il quale Lei [ndr: Adriano Olivetti]

avanzò qualche riserva, sembrandole esiguo per le esigenze di una rivista come quella proposta”

33

. L’argomento non viene però più ripreso e “seleARTE” esce alla fine nella misura quasi tascabile proposta dal suo direttore.

Del resto “il piccolo formato era cordiale, maneggevole, era adatto alle ristrette abitazioni del dopoguerra”

34

. Per poter inserire un adeguato apparato illustrativo ed una consistente quantità di notizie all’interno di pagine di ridotta grandezza è indispensabile un progetto grafico efficiente. Per quanto l’argomento non sia trattato nella corrispondenza tra Ragghianti e la casa editrice Olivetti ad oggi consultabile, appare evidente che la cura e l’attenzione riservate al design grafico di “seleARTE” sono elevatissime. “La tipografia è risolta con pochi tipi, utilizzati anche in corpi minimi, desueti per i testi dei saggi, fino al corpo 6; numerose sono invece le varietà di tipi riservate ai titoli. Le testatine delle rubriche, fisse su tutti i numeri, molto attenzionali, sono concepite graficamente con chiaro riferimento a certa pubblicità coeva, e realizzate con cliché”

35

. Le immagini occupano molto spazio nell’organizzazione compositiva della pagina e fanno riferimento ad opere specifiche, per puntualizzare ed esemplificare quanto trattato nei testi, che spesso non si soffermano sulle opere ma presentano un taglio ampio o sono tesi ad incuriosire il lettore con racconti biografici.

Le copertine, prive di immagini, presentano il titolo “seleARTE” “collocato non casualmente e non banalmente in posizione paracentrale”

36,

sullo sfondo di campi monocromi dai colori brillanti, unico aspetto che varia di numero in numero. Il risultato appare sobrio ma attraente, con una concezione fortemente innovativa per il suo tempo e allo stesso tempo di economica realizzazione.

32 AFR, 9, 1, 3908-a/b: Ragghianti a Olivetti, Firenze, 5 ottobre 1951

33 Ibidem

34 L. BAGLIONI, “seleARTE”, rivista piccola, grande progetto grafico, in “Luk. Nuova Serie”, 2003, 7/8, p. 68

35 Idem, p. 69

36 Ibidem

(17)

Non è ancora chiaro chi sia l’ideatore della grafica delle copertine e della struttura interna delle pagine, ma per via attribuitiva si è più volte pensato a Giovanni Pintori; il suo nome appare in effetti parzialmente confermato dalla lettera che Ragghianti invia a Riccardo Musatti nel 1958, in cui si auspica una consulenza di Pintori per il disegno di una nuova copertina di “seleARTE”

37

.

Il disegnatore inizia la collaborazione con la Olivetti nel 1936 e nel 1940 diviene direttore dell’Ufficio Tecnico Pubblicità dell’azienda di Ivrea, con il quale la nostra rivista risulta in contatto diretto. Dato il suo ruolo, Pintori appare dunque la figura più plausibile per rivestire l’incarico di ideatore della struttura grafica del periodico.

5. LE QUESTIONI PRATICHE: TIRATURA, DISTRIBUZIONE E PERIODICITÀ

Se la Olivetti lascia piena libertà a Ragghianti sull’impostazione critica e la scelta del formato, non soprassiede su altri aspetti, che implicano un maggiore impegno economico da parte dell’editore. Il punto nodale della discussione con Ignazio Weiss riguarda la questione della distribuzione e del numero di copie da stampare. Ragghianti mira a raggiungere una diffusione capillare di “seleARTE”; non lo spinge solo la coerenza con la missione del progetto, ma anche il fatto che “un omaggio non equivale in tutto ad un prodotto venduto, anche nel campo intellettuale. Una rivista in vendita ha maggiore responsabilità e maggior prestigio, io credo”

38

. La Olivetti non è d’accordo.

Già durante l’incontro tra lo storico dell’arte e Weiss a Palazzo Strozzi a Firenze il 2 febbraio 1952 emerge la discordanza di opinioni tra le due parti coinvolte. Nonostante alcuni anni dopo scrivesse di non aspettarsi che la rivista ottenesse tanto successo

39

, dall’analisi dei documenti emerge quanto Ragghianti, sin dalle prime fasi della progettazione di “seleARTE” punti in alto: vorrebbe stampare almeno 15.000 copie e destinarle alla vendita, cosa che garantirebbe un ritorno economico all’editore. La Olivetti invece è meno fiduciosa nelle potenzialità della rivista e insiste per destinarla

37 AFR, Ragghianti a Musatti, 1 luglio 1958, Filza “seleARTE” 1958, faldone Luglio-Agosto-Settembre 1958, n. 1. “La nuova copertina, francamente, mi pare meno riuscita. Se mai, una cosa opportuna era quella di alzare il titolo, perchè si veda meglio nelle edicole e nelle vetrine. Studio un po’ la cosa, e farò magari qualche proposta che sottoporrai al Pintori”.

38 AFR, 9, 1, 3915-a/c: Ragghianti a Weiss, Firenze, 15 febbraio 1952

39 AFR, “seleARTE” 1956, scatola 2, faldone 1, Filza 5, n. 4, Ragghianti a Nardini-Saladini, 7 maggio 1956

(18)

unicamente ai clienti dell’azienda, a titolo gratuito, come forma di pubblicità. Il dibattito continua a lungo per corrispondenza. Ragghianti propone tre alternative, ma insiste affinché venga presa in considerazione la vendita:

“1° caso - La Società Olivetti stampa la rivista e la distribuisce gratuitamente come propria pubblicità. 2° caso - la Società Olivetti si riserva la pubblicità sulla rivista, saldando la differenza tra costo e introito da vendite. 3° caso - La rivista oltre alla pubblicità Olivetti inserisce altra pubblicità qualificata, di buon rendimento (qui gioca il fattore tiratura)”40.

Consultandosi con la tipografia Vallecchi in Firenze, Ragghianti arriva a calcolare un preventivo preciso di spesa e ad ipotizzare il prezzo di un fascicolo. “Sul prezzo di vendita di 200 lire, considerata anche una spesa di distribuzione (percentuale massima 40%), resterebbe un piccolo margine, valevole a coprire l’invenduto ed a ridurre considerevolmente la differenza del bilancio”

41

. Per ammortizzare i costi di stampa e distribuzione, Ragghianti si spinge a proporre di produrre 30.000 copie per numero, producendo sei numeri l’anno invece che 12, ma più voluminosi. Dopo aver parlato con Adriano Olivetti a Roma, Weiss ribadisce l’intenzione iniziale: “La rivista dovrebbe essere inviata in omaggio dalla Olivetti a 10.000 clienti e non messa in vendita”

42

. Lo storico dell’arte non cede e insiste, proponendo alcune appetibili soluzioni per indurre Olivetti a riprendere in considerazione l’ipotesi: “Ho interpellato anche Vallecchi. […]

Credo di poter dire che almeno 5.000 copie sarebbero vendute, numero per numero.

Nelle condizioni in cui la rivista si farebbe, il prezzo potrebbe essere relativamente bassissimo (anche 100 lire, per esempio). L’invenduto potrebbe essere distribuito, con la leggera spesa dell’incartonatura, alla fine dell’anno, come volume in omaggio. […]

Un’altra ipotesi. Fermo restando che la Olivetti dona le 10.000 = copie in omaggio, si tirano 5.000 copie in più (il cui costo lievemente si riduce) e un Editore debitamente autorizzato da voi le mette in vendita, ad un prezzo di copertina molto basso”.

40 AFR, 9, 1, 3919-a/i: Ragghianti a Weiss, Firenze, 3 febbraio 1952

41 AFR, 9, 1, 3917: Ragghianti a Weiss, Firenze, 6 febbraio 1952

42 AFR, 9, 1, 3916-a/b: Weiss a Ragghianti, Ivrea, 11 febbraio 1952

(19)

Bisognerebbe lasciare un margine alla vendita, cioè “fare un’analisi del Vostro indirizzario, per escludere gli acquirenti probabili o certi”

43.

Al serrato braccio di ferro che si svolge nelle prime due settimane del febbraio 1952, segue una fase di riflessione da parte dell’editore, che prende tempo in attesa di un incontro di persona con Ragghianti. Quest’ultimo, probabilmente temendo di aver compromesso l’affare con la sua insistenza, in una lettera del 3 marzo 1952 sente il bisogno di puntualizzare: “Torno a precisare che, a mio vedere, la decisione dell’ing.

Olivetti di fare 6 numeri l’anno con distribuzione gratuita può senz’altro essere attuata, con la certezza di compiere un gesto importante per la cultura pubblica. Si può cominciare anche così, se non si vuole subito avviarsi per la strada suggerita da me e da Vallecchi (distribuzione parziale in vendita, o l’altra formula indicata), ci si può riservare: vale a dire verificare l’incontro che l’iniziativa avrà, per provvedere in un secondo tempo agli eventuali sviluppi”. La discussione per corrispondenza si interrompe a questo punto; fondamentale deve essere stato il confronto avvenuto successivamente vis à vis. Le decisioni conclusive sono verificabili tramite l’analisi dei primi numeri di “seleARTE”.

La determinazione di Ragghianti ottiene effettivamente successo e la rivista viene in parte destinata alla vendita. Il primo fascicolo esce nel luglio-agosto 1952 in 3000 copie (da intendersi come copie in vendita), al prezzo di 200 lire, secondo quanto precisato nel frontespizio del primo numero. Nell’editoriale “seleARTE” anno sesto, apparso nel fascicolo 31, si legge che il primo numero è stampato in 10.000 copie (probabilmente sia in vendita che in omaggio), con una ristampa di 4.000 copie dovuta alla continua richiesta da parte dei lettori. Alla fine del 1954, “seleARTE” “tira 28.000 copie, di cui 12.000 sono in vendita e si vendono al pubblico nelle librerie e nelle edicole dei giornali, e gli abbonati sono oltre cinquemila (questa cifra subirà un probabile accrescimento nel 1955). Il resto dell’edizione viene acquistata dalla Società Olivetti, e distribuito da essa in omaggio, specialmente all’estero”

44

. Evidentemente la soluzione mista proposta da Ragghianti, con una parziale distribuzione come omaggio e una parziale distribuzione commerciale, risulta ottimale ed incontra un notevole successo di

43 AFR, 9, 1, 3915-a/c: Ragghianti a Weiss, Firenze, 15 febbraio 1952

44 AFR, “seleARTE” 1954, scatola 2, faldone 1, Filza 3, n. 15/a-c, Ragghianti a Degenhart, 4 dicembre 1954

(20)

pubblico: nel suo periodo di maggiore diffusione, nel maggio-giugno 1958, la rivista tocca una punta di 54.544 copie. L’apprezzamento di “seleARTE” è confermato dalle numerosissime lettere di consenso che la redazione riceve nel corso degli anni da parte di artisti, storici dell’arte, intellettuali e persone comuni

45

. Tra le prove della richiesta di

“seleARTE” anche da parte di un pubblico non specializzato, interessante appare la lettera del Cappellano delle Carceri Penali di Fossombrone-Pesaro, Vincenzo Tizi:

“Oserei chiedere, a nome dei miei carcerati, ‘spedizioni omaggio’ di eventuali residui della vostra bella rivista. Si tratta di venire incontro alle esigenze morali e culturali di menti bizzarre e disorientate che negli articoli della vostra pubblicazione troverebbero un sicuro imbrigliamento e un sano indirizzo poiché tra menti rozze ed impreparate ne esistono molte altre veramente avide di spiragli intellettuali e morali”46.

La priorità ragghiantiana di impiegare la rivista come strumento di diffusione della cultura artistica, col fine di sviluppare la consapevolezza culturale e formare i cittadini, non poteva incontrare niente di più soddisfacente di questa richiesta di “seleARTE”

come lettura moralmente edificante.

La questione della periodicità e del numero di pagine costituisce un altro aspetto che sta a cuore a Ragghianti. Subito dopo l’incontro con Weiss del 2 febbraio 1952, egli scrive:

la rivista dovrà essere stampata ogni mese, meglio 10 mesi l’anno, escludendo cioè luglio ed agosto, con volumi di pagine “da 64 a 112 a 128”

47

. Quattro giorni dopo illustra il preventivo di Vallecchi e calcola il prezzo per fascicoli di 64 pagine, proponendo l’eventualità di raddoppiare lo spessore e dimezzare le uscite. La Olivetti abbraccia l’idea della bimestralità, ma puntualizza che le pagine di ciascun esemplare dovranno oscillare sempre tra le 70 e le 80

48

. Questa rimarrà l’ultima parola, nonostante un altro timido tentativo di Ragghianti di riproporre la periodicità mensile con vacanze,

“come in uso in America”

49

.

45 “seleARTE” anno sesto, cit., p. 3.

46 AFR, Tizi a “seleARTE”, 14 dicembre 1964, Filza 1964, n. 11

47 AFR 9, 1, 3919-a/i:Ragghianti a Weiss, Firenze, 3 febbraio 1952

48 AFR, 9, 1, 3916-a/b: Weiss a Ragghianti, Ivrea, 11 febbraio 1952

49 AFR, 9, 1, 3915-a/c: Ragghianti a Weiss, Firenze, 15 febbraio 1952

(21)

6. LA REDAZIONE

Per convincere Olivetti del basso costo dell’impresa di “seleARTE”, nella sua proposta iniziale Ragghianti immagina di ridurre al minimo i componenti della redazione.

Ritiene però il problema dell’organizzazione del lavoro di basilare importanza. Sin dalle prime mosse della corrispondenza con l’ancora potenziale editore dichiara necessaria la presenza di un direttore, “che deve dare l’impostazione prospettica dell’annata”, un redattore capo e un segretario di redazione o un redattore fisso, “molto capaci”, e due o tre redattori corrispondenti, “pagati a tariffa per il lavoro di traduzioni, compendio, rielaborazione svolta su ordinazione. Ci vuole un ufficio, perciò, che abbia un archivista e uno stenodattilografo”

50

. Il 3 febbraio 1952 ritorna sulla questione, affermando la possibilità di limitare il numero dei componenti della redazione:

“Occorre oltre al direttore un redattore capo abile e anche buon scrittore, oltre che conoscitore della materia. Occorre un segretario di redazione, anche per la corrispondenza e l’archivio. Eventualmente, uno stenodattilografo. La redazione assicura l’elaborazione di tutto il materiale della rivista, salvo i saggi firmati. Le traduzioni compendiate e le riduzioni sono affidate a collaboratori fissi, compensati secondo il lavoro prestato”

51

. Weiss cerca di tagliare ancora sul personale: mette in conto solo il direttore, un redattore ed “una signorina segretaria”, cioè una persona in meno di quanto previsto anche dalla più essenziale proposta di Ragghianti

52

. Che come al solito preme, sostenendo che sarebbe meglio, con un piccolo aumento di spesa, includere due redattori con compiti diversi

53

.

La conclusione della vicenda è significativa. A livello ufficiale, esisteranno solo il direttore ed il segretario di redazione, come specificato alla fine di ogni numero di

“seleARTE”. Di fatto, Ragghianti si servirà moltissimo di un’irrinunciabile spalla: sua moglie, Licia Collobi

54

. Appare significativo quanto Pier Carlo Santini nota nel descrivere l’organizzazione del personale:

50 AFR, 9, 1, 3908-a/b: Ragghianti a Olivetti, Firenze, 5 ottobre 1951

51 AFR, 9, 1, 3919-a/i: Ragghianti a Weiss, Firenze, 3 febbraio 1952

52 AFR, 9, 1, 3916-a/b: Weiss a Ragghianti, Ivrea, 11 febbraio 1952

53 AFR, 9, 1, 3915-a/c: Ragghianti a Weiss, Firenze, 15 febbraio 1952

54 Licia Collobi Ragghianti compare come redattrice dal 1956, anno in cui va in pensione dalla Soprintendenza, e diventa condirettrice nel 1965, per i numeri 74, 75, 77/78.

(22)

“Io a “seleARTE” ero ufficialmente il Segretario di Redazione. In realtà ero un passacarte, cioè uno che prendeva le carte dalle mani di Ragghianti e le passava al tipografo scrivendo sopra i corpi e i caratteri da usare, perché allora la Vallecchi aveva tutti i caratteri del mondo. Mi ricordo che io usavo i neretti corpo otto e corpo sei a seconda della simpatia che avevo per gli artisti e Ragghianti mi diceva: stia attento perché qui succede un vero casino se noi diamo il corpo otto neretto a Marini e poi diamo il corpo otto chiaro a Manzù; bisogna stare attenti ad equilibrare bene le cose a

“seleARTE”. Questo è da dire come testimonianza mia diretta, “seleARTE” l’ha fatta lui e la Licia. E’ tutta scritta da loro. Questo lo dico in modo ufficiale perché non si abbiano più dubbi sull’attribuire quello che si trova sulla rivista, è stata tutta scritta da loro, tranne gli articoli firmati che venivano recuperati da riviste di tutto il mondo, tradotti e presentati in Italia”55.

Come Licia Collobi stessa afferma nel 1965, in risposta alla richiesta della direttrice del Museo di Zagabria, la mole maggiore del lavoro è coperta da lei:

come avrà visto, mettiamo il nome dell’autore soltanto in determinati e ben definiti casi. Alla sua gentile richiesta, risponderò, in via confidenziale, che il pezzo sulle miniature jugoslave (come, del resto, quasi tutto, quasi sempre) è mio56.

Inizialmente non prevista da Olivetti, ‘la Signora’, come Ragghianti usava chiamarla, svolge di fatto la maggior parte del lavoro di selezione e commento

57

. Nel 1956 si avvale della recente legge sul prepensionamento e lascia la direzione della Galleria di

55 P.C. SANTINI, Per Ragghianti, in Omaggio a Carlo Ludovico Ragghianti, Critica d’Arte in atto, il ruolo delle riviste in Italia oggi, a cura di R. VARESE, Firenze, 1997, pp. 79-80

56 AFR, Collobi a Munk, 18 gennaio 1965, Filza 1965, n. 140. Il ruolo di Licia Collobi è confermato ulteriormente dalla lettera che “La signora” spedisce, il 15 luglio 1989, a Laura Dugoni, allora lauranda all’Università di Genova con una tesi su “seleARTE”, relatrice Marisa Dalai Emiliani. Raccontando la propria biografia, dettata al figlio Francesco da un letto di malattia, Licia Collobi scrive come “nel 1956 sono andata in pensione, avvalendomi della legge recentissima sul prepensionamento e ho potuto occuparmi a pieno tempo di “seleARTE”. Ho scritto molti articoli, anche in altre riviste, ma la massima parte in “Critica d’arte”, fino all’ultimo numero testé uscito; per non parlare di una gran percentuale della parte anonima di “seleARTE””. Ringrazio Francesco Ragghianti e Laura Dugoni per avermi concesso di leggere e citare questa lettera.

57 G. DALLI REGOLI, Ricordo di Licia Collobi Ragghianti, in “seleARTE” IV serie”, 11, 1991, pp. 11- 15. Anniversari di Licia Collobi Ragghianti, (breve nota autobiografica di L.C.R) in “LUK. Nuova serie”, 4/5, 2004, pp. 101- 102

(23)

Palazzo Pitti per dedicarsi interamente alla rivista. Il suo pagamento viene ricavato riorganizzando i fondi inviati dalla Olivetti. Le annotazioni ad una raccomandata per Ragghianti accompagnata da un assegno di 420.000 lire (per il mese di novembre 1954) sono rivelatrici; l’editore ripartisce la cifra così: 200.000 lire per il direttore, 150.000 lire per il redattore e 70.000 lire per le spese. E Ragghianti corregge, annotando a lato con una penna biro blu: “cioè io: 180; Licia: 80; Santini

58

70; Righi: 30; Onorari e spese: 60”

59

. Evidentemente la costruzione di una rivista così sostanziosa e ricca di notizie non poteva essere effettuata con forze tanto ridotte quanto quelle preventivate dalla Olivetti. Perciò il direttore si adegua solo formalmente e cerca poi le soluzioni adatte quasi sottobanco, dato che il budget consuntivo che l’editore gli offre è più che decoroso.

Le due figure principali che animano “seleARTE”, Carlo Ludovico Ragghianti e Licia Collobi, rimangono al timone dal primo all’ultimo numero, imprimendo un indirizzo coerente e costante al periodico. Cambiano invece i segretari di redazione, che sembrano trovare qui una sorta di trampolino di lancio verso incarichi di maggiore responsabilità. Il primo segretario è Pier Carlo Santini, che lascia “seleARTE” dopo la realizzazione del numero 29, nel 1957, per trasferirsi a Ivrea, dove va ad occuparsi della collana d’arte delle Edizioni Comunità e collabora con i Servizi Culturali Olivetti, organizzando già nel 1957 una retrospettiva di Ottone Rosai. Probabilmente anche Alfredo Righi collabora occasionalmente con la rivista, come emerge dalla ricevuta di pagamento sopra citata, ma il suo nome non figura ufficialmente sulle pagine edite. Nel 1957, entra al posto di Santini Giacinto Nudi, uno degli allievi di Ragghianti all’Istituto di Storia dell’arte di Pisa che inizia prestissimo a collaborare alle attività del maestro;

dopo l’esperienza di “seleARTE”, Nudi si trasferisce a Pisa come assistente volontario, per poi frequentare la Specializzazione alla Scuola Normale nel 1962-64 ed intraprendere la carriera accademica, divenendo assistente, prima straordinario e poi di ruolo, e professore a Pisa. Nudi copre il ruolo di segretario fino al 1959 e lavora ai fascicoli compresi tra il n. 33 ed il n. 43. Già prima di andare a far parte del personale, Nudi collabora con “seleARTE”, firmando la traduzione e riduzione di un saggio su

58 Pier Carlo Santini era nel 1954 segretario di redazione.

59 AFR, Ufficio Direzione Pubblicità e Stampa Olivetti a Ragghianti, 1 dicembre 1954, “seleARTE”

1954, 2, 1, 3, n. 14.

(24)

Rembrandt di Josef Gantner

60

. Dopo di lui, è Lara Vinca Masini ad entrare in redazione, dove rimane fino al 1964, occupandosi dei volumi 44-72. In questo periodo, la Masini si afferma sempre maggiormente sul panorama critico fiorentino prima ed italiano poi, assumendo nel 1963 la curatela del Premio del Fiorino, cominciando a collaborare come autrice con riviste di attualità artistica come “NAC” e preparandosi alla direzione del Centro Proposte di Firenze nel 1965. Negli ultimi anni, è Francesco Ragghianti, figlio di Carlo Ludovico e Licia, a svolgere i compiti di segretario, e sarà poi lui, come vedremo, a fondare “seleARTE quarta serie”.

7. LE RUBRICHE, LE LOTTE PUBBLICHE E LE INIZIATIVE COLLATERALI

Durante la pubblicazione della prima serie della rivista, la struttura dei volumi è articolata come sappiamo nell’alternarsi di testi di approfondimento e di rubriche.

Queste ultime enucleano le aree di interesse, orientando immediatamente il lettore sui contenuti dei brani e permettendo una scelta veloce degli articoli di eventuale interesse.

Alcune rubriche, come Biblioteca, Notizie dal mondo, Pagine Critiche o Mostre musei gallerie, hanno una funzione soprattutto informativa e presentano recensioni di una selezione di eventi e pubblicazioni internazionali. Altre invece hanno un taglio più critico ed editorialistico ed ospitano interventi stesi perlopiù dal direttore su questioni di attualità, politica dell’arte o didattica. Rientrano in questo insieme Camillo, Capoversi ed Acquaforte. Tutte le rubriche fin qui citate hanno una fortuna lunghissima nell’ambito di “seleARTE” e persistono dai primi agli ultimi numeri. Costante successo ha inoltre la rubrica Il collezionista, che propone, in calce ad ogni numero, immagini di opere che verranno battute nelle principali aste di tutto il mondo. Il testo si riduce a pochi commenti sugli oggetti nelle didascalie e la rubrica si appoggia essenzialmente sulla forza comunicativa delle immagini. Sullo stesso principio si basa la sezione Arte Contemporanea, che propone un ricco apparato illustrativo, attraente e, almeno apparentemente, di veloce consultazione da parte del pubblico. Questa colonna viene introdotta solo con il fascicolo 32, ma continua ad essere inclusa nell’indice di

“seleARTE” fino all’ultimo numero. Non tutte le rubriche infatti accompagnano la

60 J. GANTNER, Rembrandt e la critica, in “seleARTE”, 14, 1954, pp. 37-50

(25)

storia della rivista dall’inizio alla fine. Ad esempio Aneddoti sembra un esperimento iniziale non andato a buon fine, se l’ultimo episodio è pubblicato nel quinto numero.

Questa sezione ha infatti la funzione di riempire, con materiali leggeri e persino spiritosi, le pagine solo parzialmente occupate dalla conclusione di altri articoli.

Evidentemente l’aumento della mole di testi pubblicabili rende meno utile l’impiego degli Aneddoti. Lo stesso scopo hanno le Citazioni, che appunto vanno a morire già nel quarto volume.

Aneddoti, in “seleARTE”, 3, 1952, p. 34

Per motivi differenti, viene interrotta Idee e problemi del tempo, che si conclude nel numero 34 con l’articolo Si distrugge l’Italia: il ruolo di questa rubrica verrà infatti assorbito da Capoversi e dalla più specifica Inchieste. Una buona riuscita hanno nella prima metà della storia di “seleARTE” le rubriche Riviste, intrapresa dal fascicolo 7 in seguito alla richiesta di un corrispondente di Camillo, e Urbanistica e architettura, di maggior successo nel momento della ricostruzione post-bellica, poi trasformata semplicemente in Architettura. Si sviluppano invece soprattutto negli anni centrali della pubblicazione Film sull’arte, diretta da Francis Bolen e Problemi Italiani, che affronta essenzialmente il tema dell’edilizia scolastica. Accanto a queste rubriche, si profilano le sezioni dedicate in modo specifico alle diverse tecniche, ricalcando le parole del sottotitolo della rivista: Pittura, scultura, la già citata Architettura, Grafica, Industrial design, sono le intestazioni di colonne che assumono pesi diversi nell’economia di

“seleARTE” a seconda delle annate, ma che diventano rappresentative della concezione

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allargata dell’arte che interessa la rivista. Va notato che queste sezioni si distinguono dalle altre ed appaiono fondamentalmente delle etichette apposte agli articoli lunghi.

I testi delle rubriche sono quelli che esprimono maggiormente la voce dei redattori, mentre gli approfondimenti più spesso presentano compendi di studi altrui (che pure, va riconosciuto, vengono spesso inseriti nelle maglie dell’attualità). Sono non a caso le rubriche che ospitano gli interventi più aspri di Ragghianti, dai quali hanno origine in certe situazioni delle vere e proprie battaglie di politica culturale. “seleARTE” può contare su (ed influenzare l’opinione di) un numero di lettori senza precedenti ed il direttore mostra di capire il potenziale impatto del successo mediatico. E’ dalle pagine della rivista che lancia inchieste scottanti su questioni nodali per la cultura italiana, oltrepassando a volte i confini dell’opinionismo e prendendo attivamente le redini di lotte pubbliche.

Nel numero 9, novembre-dicembre 1953, esce l’articolo Si distrugge l’Italia, che documenta il grave stato di conservazione di una consistente parte del patrimonio artistico nazionale e chiede al Parlamento e al Governo riforme legislative ed amministrative. La redazione riceve molte approvazioni e nel numero 10, gennaio- febbraio 1954, bandisce un referendum nazionale per sondare la possibilità di richiedere una Commissione d’inchiesta “che possa presentare al Paese il risultato sulle sue indagini e le sue conclusioni entro questo anno 1954”. I risultati del referendum, di grande successo, sono pubblicati nel n. 11, marzo-aprile 1954. Ragghianti porta dunque la documentazione raccolta all’on. Martino, Ministro per la Pubblica Istruzione, il quale promulga il decreto costitutivo della Commissione d’inchiesta. Il 29 settembre 1955 l’on. Marangone formula la richiesta parlamentare e l’on. Rossi incarica il Presidente del Consiglio Segni di nominarla il 5 gennaio 1956. Nel numero 34, all’inizio del 1958, Ragghianti riferisce sullo svolgimento del lavoro, arrivato quasi alla conclusione, commentando che però non ha dato i risultati sperati.

Quella sulla commissione d’inchiesta non è la sola battaglia pubblica sferrata dalle

pagine di “seleARTE”. Rientra in questo ambito anche l’inchiesta relativa alla didattica

della storia dell’arte, portata avanti negli anni Sessanta, nel momento critico della

riforma del sistema scolastico, che avrebbe poi introdotto le Scuole Medie, e delle

prime inquietudini studentesche che sarebbero poi sfociate nei movimenti del

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