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1. Nel solco della riforma dell'assistenza in Europa...20

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I NDICE

ABBREVIAZIONI ...3

INTRODUZIONE ...4

CAPITOLO PRIMO VERSO L ' ISTITUZIONE DELLA R EGIA C ASA DI C ORREZIONE A F IRENZE ...20

1. Nel solco della riforma dell'assistenza in Europa...20

2. Come risolvere il problema della povertà a Firenze tra XVI e XVIII secolo? I tentativi di reclusione dei mendicanti invalidi...31

3. La reclusione dei mendicanti validi, le prime proposte di una Casa di correzione e il ripristino delle leggi sul “discolato” militare durante la Reggenza di Francesco Stefano...37

4. Pietro Leopoldo di fronte al problema di mendicanti, oziosi e “discoli”...46

5. Il progetto di Casa di correzione lungamente dibattuto nella Deputazione sopra gli ospedali e luoghi pii. La gestione della povertà a seguito delle riforme di polizia e giustizia....55

6. Alcune isolate prese di posizione contro la Casa di correzione...85

CAPITOLO SECONDO L A COMPLESSITÀ DEL VISSUTO . V ARCARE LA SOGLIA DELLA C ASA DI C ORREZIONE ...90

1. L'istituzione della Casa di correzione sotto Pietro Leopoldo: disposizioni ufficiali, incongruenze, organizzazione interna...90

2. Gli iter di accesso alla Casa di correzione...109

3. Controllo poliziesco del territorio, correzione familiare dei figli e altri utilizzi...125

4. Una casistica variegata di motivazioni...136

a) Non avere uno “stabil mestiere”, essere “vagabondi e oziosi”...136

b) Furti...157

c) Condotte sessuali scandalose...165

5. Il momento del rilascio...170

(2)

CAPITOLO TERZO

LA FINE DI UN ESPERIMENTO : LA CHIUSURA DELLA C ASA DI C ORREZIONE ...184

1. Ferdinando III granduca di Toscana...184

2. La militarizzazione della Fortezza da Basso...187

3. Le motivazioni garantiste che portarono alla chiusura definitiva...194

4. La giustizia “economica” tra governo leopoldino e governo ferdinandeo...208

CONCLUSIONI ...214

TABELLE E GRAFICI ...228

FONTI ARCHIVISTICHE ...242

FONTI EDITE ...246

BIBLIOGRAFIA ...247

(3)

A BBREVIAZIONI

A SFI Archivio di Stato di Firenze

Dato che la documentazione archivistica proviene quasi tutta da questo archivio, le note prive di qualsiasi indicazione devono intendersi da esso provenienti

Fiscale

Commissari di quartiere Bandi

Buongoverno Fisco

Fortezze e fabbriche Gabinetto

Giustizia Stato

Camera e Auditore Fiscale

Commissari di quartiere di Firenze e Tribunale semplice di polizia. Commissari di quartiere 1777-1808

Leggi e bandi

Presidenza del Buongoverno (1784-1808). Affari Comuni Regio Fisco (1778-1808)

Scrittoio Fortezze e fabbriche, Fabbriche lorenesi Segreteria di Gabinetto

Supremo Tribunale di Giustizia Segreteria di Stato (1765-1808)

A SPI Archivio di Stato di Pisa

C ANTINI Legislazione toscana raccolta e illustrata da Lorenzo Cantini, Firenze, 1800-1808, 32 voll.

D BI Dizionario biografico degli Italiani

Nota

Per una migliore comprensione dei testi trascritti, sono intervenuta per regolarizzare l'ortografia, standardizzare l'utilizzo delle maiuscole e introdurre o correggere la punteggiatura.

All'interno dei testi citati le parentesi quadre segnaleranno eventuali mie aggiunte, a scopo integrativo o esplicativo.

Ho, inoltre, utilizzato il corsivo per evidenziare le informazioni di maggiore rilevanza.

(4)

I NTRODUZIONE

«Qualunque volta dai capi di famiglia, dai capi di bottega, dai curati o da qualunque che abbia interesse d'invigilare sull'altrui condotta saranno avvisati di qualche sconcerto o scandalo che segua, o quando ne abbiano notizia in qualche altro modo, vi ripareranno subito con ammonire, precettare, castigare economicamente, facendosi carico che il pronto riparo alli sconcerti piccoli previene i più grandi e che molte volte le piccole mortificazioni salvano qualcuno dall'incorrere nelle pene le più infamanti».

Bandi, X, n. 90, art. XLVI dell'«Istruzione per i giusdicenti del Granducato di Toscana», 28 aprile 1781.

La storia della Casa di correzione fiorentina, cui ufficialmente Pietro Leopoldo diede vita nella Fortezza da Basso con notificazione del 4 agosto 1782

1

, va letta nel contesto tanto della politica assistenziale, quanto dell'organizzazione della nuova polizia a Firenze, a seguito della riforma del 26 maggio 1777

2

. Da un lato il suo progetto fu, infatti, discusso all'interno della Deputazione sopra gli ospedali e i luoghi pii

3

, istituita dal sovrano il 13 luglio del 1778 per vagliare le possibilità di riforma dell'assistenza cittadina e degli istituti a essa preposti a vario titolo;

dall'altro questa deputazione fu, però, creata soltanto a seguito della riforma cittadina della polizia e fu inoltre diretta dal suo capo, l'Auditore fiscale, segno questo della volontà di Pietro Leopoldo di

«riassorbire i temi dell'assistenza alla povertà nell'alveo più generale della nuova polizia»

4

. L'istituto correzionale, del resto, non fu esente da finalità repressive, accogliendo “discoli”, “vagabondi”,

“oziosi” e, a un anno dalla sua istituzione, anche donne variamente considerate “di malaffare”, non soltanto su richiesta delle famiglie per correggerli dai loro cattivi comportamenti, ma anche per l'autonomo intervento degli appositi ministri di polizia, intenzionati a garantire l'ordine pubblico, con la conseguenza di un aumento e una maggiore intrusività del loro controllo sulla popolazione.

Per cercare di comprendere meglio come fu possibile giungere all'idea di Case di correzione atte a recludere giovani di ambo i sessi i cui comportamenti non si conformavano alle consuetudini morali, sociali, religiose, economiche, etc. e organizzate sul binomio preghiera-lavoro al loro interno, la mia scelta è stata di ripercorrere sommariamente le vicende relative alla riforma dell'assistenza in Europa a partire dagli anni '20 del XVI secolo, con la rivoluzione delle modalità di gestione della povertà che comportò. Mi sembra, infatti, che l'idea sottesa a simili tipi di istituti

1

Bandi, XI, n. 73.

2

Ivi, VIII, n. 58.

3

Cfr. in proposito A. C ONTINI , Le Deputazioni sopra gli Ospedali e luoghi pii del XVIII secolo in Toscana: fonti e contesti in “Popolazione e storia”, n. unico, 2000, pp. 1-23, oltre a I DEM , La città regolata in Toscana nell'Età moderna in C. L AMIONI (a cura di), Istituzioni e società in Toscana nell'età moderna. Atti delle giornate di studio dedicate a Giuseppe Pansini, Firenze, 4-5 dicembre 1992, Roma, Pubblicazione degli Archivi di Stato, 1994, vol. I, pp.

426-508, in particolare nota 127, pp. 468-469.

4

A. C ONTINI , Le Deputazioni sopra gli Ospedali... cit., p. 15.

(5)

possa essere letta come sviluppo settecentesco dell'idea della reclusione dei mendicanti, teorizzata a seguito della riforma dell'assistenza ben due secoli prima.

Tale riforma, studiata in particolare da Michele Fatica

5

, Natalie Zemon Davis

6

, Brian Pullan

7

, che hanno tutti dimostrato come fu comune tanto ai paesi cattolici quanto a quelli protestanti, segno che esponenti di religioni diverse condivisero l'intento di combattere la miseria, ritenendola evidentemente un male ben peggiore delle nascenti controversie religiose e facendo sì che i nuovi esperimenti in materia di assistenza alla povertà si diramassero da una città all'altra, anche superando le barriere confessionali, portò innanzi tutto a distinguere, sulla base della capacità o meno di svolgere un mestiere per assicurarsi la sopravvivenza, i “falsi” dai “veri” poveri, nel tentativo di devolvere assistenza e aiuti soltanto a questi ultimi, mentre i primi dovevano essere obbligati a lavorare.

Ne conseguiva il tentativo di affermare il divieto di chiedere/elargire le elemosine personali, per permettere a organismi appositamente deputati di operare la cernita tra i poveri e prestare assistenza ai soli ritenuti meritevoli a riceverne, evitando gli sprechi e la dispersione delle risorse.

Per scoraggiare le elemosine private, le classi dirigenti cercarono di promuovere nella popolazione un'idea negativa dei poveri, quella cioè che fossero simulatori e fannulloni, opponendola a quella tradizionale dei “poveri di Cristo”, utili ai ricchi per il dispiegarsi della loro benevolenza e carità e a guadagnare il regno dei cieli. Inutile dire che questo tentativo si risolse costantemente in un insuccesso, perché i poveri continuarono a mendicare nonostante i divieti, che implicavano l'ascrizione del vagabondaggio alla categoria dei reati, causa il fastidio, il disordine e le malattie che poteva comportare, allorché le città dovevano essere mantenute ordinate e pulite

8

.

La volontà di segregare i poveri, che si diffuse in Europa tra XVI e XVII secolo, derivò innanzitutto dal fatto che i provvedimenti presi contro il problema del pauperismo crescente, anche a seguito della riforma cinquecentesca dell'assistenza, non erano stati sufficienti a risolverlo ed esso andava aggravandosi sempre più. La convinzione dei ceti dirigenti, che i poveri fossero spesso i principali responsabili della loro condizione a causa dei loro vizi e del loro ozio, portò a teorizzare che il problema del pauperismo dovesse essere affrontato anche da un punto di vista morale, tramite

5

M. F ATICA , Il «De subventione Pauperum» di J. L. Vives: suggestioni luterane o mutamento di una mentalità collettiva? in I DEM , Il problema della mendicità nell'Europa moderna (secoli XVI-XVIII), Napoli, Liguori, 1992, pp. 1- 30.

6

N. Z EMON D AVIS , Le culture del popolo: sapere, rituali e resistenze nella Francia del Cinquecento, Torino, Einaudi, 1980.

7

B. P ULLAN , Poveri, mendicanti e vagabondi (secoli XIV-XVII), in R. R OMANO , C. V IVANTI (a cura di), Dal

feudalesimo al capitalismo (Storia d'Italia. Annali, I), Torino, Einaudi, 1978 e I DEM , Catholics, Protestants, and the Poor in Early Modern Europe in “Journal of Interdisciplinary History”, XXXV: 3 (Winter, 2005), pp. 441-456.

8

Si sono interessati al problema del pauperismo in Europa in età moderna, tra gli altri J. P. G UTTON , La società e i

poveri, Milano, Mondadori, 1977, B. G EREMEK , La pietà e la forca. Storia della miseria e della carità in Europa,

Roma-Bari, Laterza, 1986 e, più recentemente, M. G ARBELLOTTI , Per carità. Poveri e politiche assistenziali nell'Italia

moderna, Roma, Carocci, 2013.

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una reclusione che prevedesse la loro rieducazione attraverso il lavoro obbligatorio. Questa evenienza ben si accordava, del resto, con il nascere di correnti mercantilistiche che esaltavano l'operosità.

Nel tracciare le origini del sistema penitenziario, negli anni '70 Dario Melossi e Massimo Pavarini, riprendendo idee proprie dei sociologi della scuola neo-marxista di Francoforte Rusche e Kirchheimer, hanno fatto propria questa tesi, mettendo in relazione esperienze quali la nascita di bridewells e workhouses nell'Inghilterra elisabettiana e quella del Rasphuis ad Amsterdam con le esigenze economiche e di mercato del capitalismo mercantile, individuando in loro la rappresentazione borghese della vita e della società, nella convinzione che le istituzioni carcerarie non facciano altro che proporre o esasperare modelli di organizzazione sociale o economica in essa già presenti. Le loro tesi, secondo le quali la segregazione doveva rispondere a esigenze di utilizzazione di forza lavoro e di addestramento alla manifattura, devono tuttavia essere prese con estrema cautela e sono state ridimensionate spesso dalle evidenze della documentazione, che hanno mostrato innanzitutto come i reclusi all'interno di ospedali e luoghi di segregazione costituissero una porzione comunque marginale della popolazione e poi come il lavoro al loro interno non ebbe mai soltanto finalità produttive ed economiche. Gli stessi risultati della produzione erano in genere mediocri per la scarsa qualificazione e volontà di lavorare della mano d'opera, con conseguenti rendimenti irrisori, mentre le manifatture subirono sempre l'accusa di fare una concorrenza sleale agli altri produttori, sfruttando una manodopera a buon mercato e finendo per creare disoccupazione da una parte, nel tentativo di eliminarla da un'altra

9

. A sostegno della segregazione dei poveri non mancavano, comunque, argomentazioni religiose, dato che spesso i mendicanti e i vagabondi erano accusati di non accostarsi ai sacramenti e di vivere al di fuori di ogni regola morale, legittimando l'idea della loro reclusione in istituti pensati appositamente per regolarne e dirigerne l'esistenza. A questo scopo, dovevano essere provvisti di luoghi e ministri di culto per l'insegnamento della dottrina cristiana, con un'evidente volontà di unire a soccorsi materiali anche soccorsi spirituali.

Gli ospedali per il ricovero dei poveri, diffusisi in Europa fino a creare una rete molto fitta, accolsero non soltanto i “veri” poveri che vi si presentavano volontariamente, ma anche i “falsi”

mendicanti sorpresi a questuare illecitamente, con una indistinzione di fondo tra le due categorie.

Agli originari intenti assistenziali della reclusione se ne aggiungevano, dunque, di meramente repressivi, nel tentativo di emendare i “falsi” poveri e prepararne il ritorno in società sia attraverso il lavoro, sia attraverso la preghiera, sia infine attraverso i castighi che era comunque possibile sperimentare al loro interno. La reclusione negli antichi Stati italiani fu tentata, con un

9

Cfr. G. N EPPI M ODENA , Presentazione in D. M ELOSSI , M. P AVARINI , Carcere e fabbrica. Alle origini del sistema

penitenziario, Bologna, Il Mulino, 1977, in particolare pp. 8-10.

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policentrismo di iniziative, già nel XVI secolo, anche se molto spesso si trattò più di un'idea che di un'effettiva realizzazione, dato che gli ospedali dei mendicanti, sebbene istituiti in molte città, non riuscirono a eliminare la mendicità dalle strade. Nel XVII secolo fu la volta della Francia, in merito alla quale Michel Foucault ha parlato di «grande reclusione»

10

per quest'ultimo e per parte del secolo seguente.

Il progetto statale francese seicentesco, indice del fallimento delle iniziative assistenziali tentate nelle città a partire dagli anni '20 del XVI secolo, rappresentò il tentativo di proseguirle, ma con rinnovato vigore. Nel 1614 era stato creato a Lione un ospedale generale che fu poi preso a modello per la creazione dei successivi. Dopo la fondazione di un ospedale generale anche a Parigi nel 1656, l'intervento del potere centrale in campo assistenziale si fece più sollecito e marcato, nella convinzione che la segregazione dovesse estendersi all'intero territorio nazionale, per non creare aree di reclusione da una parte, lasciando che altre città potessero divenire rifugio per i mendicanti e i vagabondi in fuga dall'altra. A questo scopo, nel 1662 Luigi XIV emanò un editto per l'istituzione di ospedali generali in tutte le città di grandi dimensioni del Paese. Tali ospedali iniziarono a diffondersi negli anni '80 del XVII secolo, grazie anche all'azione dei padri gesuiti Honoré Chaurand, Pierre Joseph Dunod e André Guevarre, impegnati a istituire dei bureaux de charité per l'assistenza dei poveri a domicilio nei centri minori, dove la reclusione non era economicamente vantaggiosa, con l'obiettivo di rendere il sistema davvero capillare e pervasivo. Il loro ruolo, essenziale, fu comunque quello di convincere le persone, soprattutto tramite la redazione e diffusione di appositi opuscoli a stampa, a non elargire elemosine ai privati, nel tentativo di reprimere l'accattonaggio nelle città

11

.

Anche nei territori italiani fu grazie all'aiuto dei gesuiti e, in particolare, a quello del padre Giovanni Maria Baldigiani, che una soluzione al problema della mendicità quale quella maturata nel contesto della monarchia assoluta francese venne tentata e presa a modello. Nel 1691, infatti, fu inviato da Cosimo III, granduca di Toscana, presso i confratelli francesi ad apprendere il loro metodo nel fondare ospizi

12

. Nel 1692, prima di fare ritorno a Firenze, dove nel 1701 fondò non un ospedale a causa dell'insufficienza di risorse economiche, ma la Congregazione di S. Giovanni Battista per il soccorso dei poveri a domicilio, Baldigiani fu chiamato a Roma dal pontefice Innocenzo XII, per collaborare alla fondazione e all'organizzazione di un ospizio apostolico in S.

Giovanni in Laterano. Una simile istituzione aveva l'obiettivo di ovviare al problema della

10

M. F OUCAULT , Storia della follia nell'età classica, Milano, BUR, 1976, soprattutto pp. 67-112.

11

M. F ATICA , La reclusione dei mendicanti a Roma durante il pontificato di Innocenzo XII in I DEM , Il problema della mendicità... cit., pp. 161-215, in particolare pp. 175-176.

12

Cfr. D. L OMBARDI , I gesuiti e il principe. Il modello francese nella politica dell'assistenza di fine seicento in F.

A NGIOLINI , V. B ECAGLI , M. V ERGA (a cura di), La Toscana nell'età di Cosimo III. Atti del convegno Pisa-San

Domenico di Fiesole (FI), 4-5 giugno 1990, Firenze, Edifir, 1993, pp. 521-539.

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mendicità, più che mai avvertito a Roma, centro della cattolicità e, quindi, mèta ambita di una moltitudine di pellegrini e di ogni sorta di poveri in cerca di assistenza. Soltanto nel 1693, Innocenzo XII volle a Roma i gesuiti francesi che, come già in Francia, anche qui ebbero un ruolo decisivo nell'elaborazione di opuscoli a stampa, in particolare quello intitolato La mendicità provveduta nella città di Roma..., per promuovere donazioni a favore dell'ospizio e scoraggiare le elemosine ai privati. La vita al suo interno doveva essere organizzata sempre sul binomio preghiera- lavoro, ma rispetto ai confratelli francesi il Baldigiani tentò di profondere nelle attività lavorative un maggior impegno, destinandole a servire non soltanto come fonti di reddito e mantenimento dell'ospizio, ma anche come strumenti di disciplina dei poveri

13

.

Le attività lavorative ebbero maggior peso nella sezione correzionale dell'Ospizio apostolico di San Michele a Ripa, istituito a Roma con motu proprio del 1703 da papa Clemente XI, sebbene ai fini del pentimento non mancarono di essere marcati al suo interno anche gli aspetti dell'isolamento e del silenzio. Tale sezione correzionale fu destinata ai condannati alle galere minori di 20 anni che, considerata la loro età, non potevano scontare una pena così grave prima di averli compiuti; riconosciuto che il periodo di passaggio dall'adolescenza all'età adulta meritava di ricevere un trattamento a sé stante, il pontefice intendeva evitare ai giovani la corruzione di una pena tanto grave. Nella sezione correzionale, però, furono inviati anche, su richiesta delle famiglie, i cosiddetti “corrigendi”, una minoranza di giovani discoli disobbedienti ai genitori o incamminatisi sulla via del vizio. Il regime di reclusione per loro doveva essere meno duro, privo della costrizione al lavoro forzato imposta agli altri reclusi e finalizzato a un veloce reinserimento in famiglia, anche se la distinzione tra le due categorie non riuscì sempre a essere così netta

14

.

In Inghilterra e in Olanda non ebbe luogo la creazione e diffusione di ospedali per mendicanti. Vi sorsero, invece, bridewells e workhouses, istituzioni basate sul lavoro obbligatorio, con caratteristiche più marcatamente repressive che assistenziali, sebbene anch'esse con il fine di offrire una soluzione al problema della mendicità crescente. E' difficile capire quanto realmente si differenziassero dagli ospedali per mendicanti e, più in generale, fornire un quadro generale organico di tutte queste istituzioni; è difficile anche individuare esattamente quale fu l'ispirazione che da ciascuno di questi istituti trassero le varie Case di correzione settecentesche degli Stati italiani, ma è possibile supporre che non fu trascurabile.

13

Cfr. I DEM , Roma e Avignone. Carità privata e carità pubblica durante il pontificato di Innocenzo XII in B.

P ELLEGRINO (a cura di), Riforme, religione e politica durante il pontificato di Innocenzo XII (1691-1700). Atti del convegno di studio (Lecce 11-13 dicembre 1991), Lecce, Congedo, 1994, pp. 211-231.

14

Cfr. G. M. S IROVICH , Correzionale del San Michele e istanze di reclusione a Roma (XVIII – XIX secolo) in “Società e

Storia”, n. 50, 1990, pp. 827-845 e L. C AJANI , Sorvegliare e redimere: la Casa di Correzione di S. Michele a Ripa di

Roma (secoli XVIII e XIX) in I DEM , Criminalità, giustizia, penale e ordine pubblico nell'Europa moderna, Milano,

Unicopli, 1997, pp. 115-139.

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In Inghilterra, dove grazie a un buon sistema di tassazione centrata sulle parrocchie l'assistenza era prevalentemente dispensata a domicilio, motivo che spiega perché non vi sorsero istituti assistenziali come nel Continente, nel 1553 il palazzo londinese di Bridewell fu adibito da Edoardo VI, su richiesta di alcuni esponenti del clero inglese e per motivazioni di ordine pubblico, a luogo di detenzione per vagabondi e oziosi ritenuti volontari, allo scopo di tenere la città sgombra dai mendicanti (abili) e punire i reati afferenti alla sfera della microcriminalità, furti di poco conto soprattutto, compiuti per lo più da indigenti. Al suo interno i reclusi dovevano essere obbligati al lavoro forzato e dagli anni '60 anche un apprendistato per giovani ragazzi poveri fu previsto, sebbene la destinazione d'uso principale dell'istituto rimase quella della emenda, riforma e punizione di vagabondi e oziosi. Istituti che per derivazione da questo si chiamarono tutti bridewells si diffusero nel Paese fin dalla fine del XVI secolo

15

.

Fu, tuttavia, ad Amsterdam che la forma embrionale delle future Casa di correzione assunse fattezze più sviluppate, sebbene non sembrino esistere derivazioni dirette tra i due istituti, tra i quali quindi non sempre è facile o immediato individuare analogie e differenze. Nel 1596 vi fu creato un Rasphuis per la reclusione di uomini da obbligare a lavori di fatica, primo fra tutti quello di raspare un legno proveniente dal Brasile, che gli conferì il nome. Diversamente da quanto accaduto in Inghilterra, la nascita di questo luogo di segregazione era stata determinata dall'esigenza avvertita dai magistrati cittadini di disporre di una punizione intermedia per i giovani disobbedienti, anche di buona famiglia. La composizione dei reclusi finì, tuttavia, per essere molto simile a quella dei bridewells inglesi: anche qui, infatti, furono i poveri a prevalervi – mendicanti, ladruncoli e vagabondi, reclusi a seguito di provvedimenti giudiziari o amministrativi – e non soltanto i giovani.

Questi ultimi, su richiesta delle famiglie, vi furono destinati soltanto con l'apertura di un'apposita sezione nel 1603, organizzata in modo tale da evitare che, a tutela della loro onorabilità, entrassero in contatto con i delinquenti, seppur minori, che vi erano reclusi. Nel 1597 fu aperta in città anche una Spinhius per donne mendicanti, prostitute, ragazze a istanza delle famiglie e spose inviatevi dai mariti a causa della loro cattiva condotta, destinate anche loro a compiere delle attività lavorative al suo interno. Rispetto al Rasphuis, gli intenti caritativi vi furono certamente più marcati, in virtù della maggiore preoccupazione per la conservazione dell'onore delle ragazze

16

.

La storia della Casa di correzione fiorentina, che segue per quanto riguarda gli Stati italiani quelle settecentesche di Roma, ma anche di Milano e di altri istituti di segregazione, improntati a finalità assistenziali e repressive a un tempo – di cui parlerò più diffusamente nel I capitolo – può

15

Cfr. J. I NNES , Prisons for the poor: English bridewells, 1555-1800 in F. G. S NYDER , D. H AY , Labour, law and crime:

an historical perspective, London-New York, Tavistock, 1987.

16

Cfr. P. S PIERENBURG , The prison experience. Disciplinary institutions and their inmates in early modern Europe, New

Brunswick-London, Rutgers University Press, 1991.

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essere ricondotta, con tutte le incertezze del caso, alla loro tradizione e linea di pensiero.

Diversamente dai bridewells inglesi e dal Rasphuis di Amsterdam, indirizzati ai mendicanti vagabondi e oziosi e diversamente anche dalla sezione correzionale del S. Michele, istituita per la reclusione dei minori condannati alle galere, la Casa di correzione di Firenze fu, però, pensata da Pietro Leopoldo primariamente per rispondere alle richieste dei genitori di inviarvi i figli, in virtù del potere di correzione che avevano su di loro

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, quando non erano stati in grado di educarli efficacemente e si mostravano inclini al vizio e ai delitti, facendo temere sia per il buon nome della famiglia, sia per la quiete della società.

Tali richieste dovevano essere rivolte ai quattro Commissari di quartiere cittadini, istituiti in occasione della riforma di polizia e giustizia del 1777. Si trattava di giudici, abitanti ognuno nei quartieri affidati loro, dunque a stretto contatto con i rispettivi abitanti, di cui avevano il compito di sorvegliare i comportamenti per prevenire eventuali delitti, disponendo a questo scopo di un corpo di esecutori materiali di polizia loro sottoposti, incaricati di reperire le necessarie informazioni in proposito; i ministri di polizia potevano, comunque, decidere di inviare gli individui in Casa di correzione indipendentemente da qualsiasi ricorso familiare. In entrambi i casi, era necessaria l'approvazione dell'Auditore fiscale (dal 1784 in poi quella del Presidente del Buongoverno), cui erano sottoposti. Le facoltà di cui si servivano erano quelle “economiche”, che permettevano loro di decidere la punizione, ancorché ritenuta lieve, di reati ancora non verificati, senza passare dalle vie della giustizia ordinaria e dai tribunali, in modo più rapido e non infamante, ma senza garanzie per gli inquisiti.

In teoria, dovevano essere inviati in Casa di correzione i giovani dai 14 anni in su, sia maschi sia, a un anno dalla sua apertura, femmine. Nella pratica, però, come già a Londra e ad Amsterdam, dove addirittura i giovani costituirono la minoranza degli effettivi, la Casa di correzione fiorentina aprì le sue porte a uno spettro più ampio di persone, anche adulte, sebbene i giovani furono a Firenze comunque maggioritari. Caso a sé stante, il S. Michele di Roma era stato pensato esclusivamente per i giovani, anche se, diversamente dalla Casa di correzione fiorentina, specificatamente per quelli condannati a una pena grave quale la galera, mentre anche al suo interno quelli inviativi su richiesta delle famiglie furono minoritari.

Per la Casa di correzione fiorentina non fu mai possibile identificare una tipologia precisa di delinquenti, dal momento che venivano perseguite, in modo piuttosto generico, l'oziosità e l'esser privi di un mestiere, il vagabondaggio e l'accattonaggio, i furtarelli, la frequentazione di osterie, giochi e postriboli e, dunque, la dedizione ai “vizi della carne”: bere, ubriacarsi e, soprattutto per le donne, darsi a relazioni sessuali illecite e compromettenti, che potevano anche divenire atti di

17

M. C AVINA , Il padre spodestato. L'autorità paterna dall'antichità a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2007.

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pubblico disturbo. All'interno dell'istituto, i corrigendi dovevano essere rieducati all'ordine e all'operosità tramite l'educazione religiosa e l'esercizio di un'attività lavorativa, tratto distintivo della Casa di correzione come già lo era stato del Bridewell londinese, del Rasphuis e della Spinhuis di Amsterdam e della sezione correzionale del S. Michele a Ripa di Roma, sebbene qui fossero stati marcati anche gli aspetti dell'isolamento e del silenzio. Il lavoro doveva garantire l'emenda e il conseguente veloce reintegro dei giovani in famiglia e in società, dove il loro apporto lavorativo era ritenuto fondamentale.

Sono pochi gli studiosi che hanno posto attenzione alla Casa di correzione fiorentina. Primo fra tutti è stato certamente Mario Simondi

18

, che la ha inquadrata mirabilmente fra i mezzi di polizia utilizzati in epoca leopoldina nel Granducato di Toscana, per attuare un preciso controllo sociale sui poveri. Simondi ha innanzitutto mostrato che Pietro Leopoldo, convinto che l'inclinazione al male fosse non irrimediabile, fu orientato ad anteporre la prevenzione dell'atto trasgressivo al momento meramente repressivo. Perciò, almeno a livello progettuale, l'idea sottesa alla Casa di correzione da lui voluta fu più quella della prevenzione che quella della punizione, come del resto dichiarato dalla notificazione della sua istituzione, secondo la quale doveva rivolgersi a chi, «avendo contratto la mala inclinazione al vizio e ai delitti»

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, facesse temere di divenire oggetto di disturbo delle famiglie e della quiete della società. Simondi è stato il primo a mostrare come, in effetti, essa non perseguì mai un tipo preciso di delinquente, ma più variamente reati quotidiani e poco gravi che, come da lui stesso individuato, con la Casa di correzione iniziarono a essere sottratti ai riti processuali ordinari e formali, facendo registrare in epoca leopoldina una flessione della curva della criminalità, poiché soltanto quanto passava per il Supremo tribunale di giustizia veniva preso in considerazione in indagini simili. Perseguì anche semplici presunzioni di reato, aspetto questo accennato da Simondi, ma tuttavia poi dimenticato sullo sfondo.

Simondi è stato inoltre il primo studioso che, limitatamente ai corrigendi maschi e all'anno 1783, rinvenendo dei “ristretti” – registrazioni mensili della permanenza dei reclusi in Casa di correzione, con annesse generalità e informazioni – li ha utilizzati per compilare delle statistiche sulla loro distribuzione per età. Tali statistiche, contrariamente a quanto le disposizioni programmatiche avevano stabilito, hanno rivelato come non furono soltanto i giovani a esservi reclusi, ma anche adulti di ogni età, segno evidente che le finalità che la avevano determinata erano mutate nel frattempo, con perdita di quelle riabilitative e di soccorso e prevalere netto di finalità repressive. Da questa constatazione, Simondi ha tratto la conclusione che la Casa di correzione fu uno strumento disciplinare nelle mani della polizia, impiegato non tanto o non soltanto per la

18

M. S IMONDI , Classi povere e strategie del controllo sociale nel Granducato di Toscana (1765-1790), Firenze, Università degli Studi di Firenze-Dipartimento Statistico, 1983, pp. 71-77.

19

Bandi, XI, n. 73.

(12)

correzione delle lievi insubordinazioni giovanili, ma piuttosto per un più generico controllo del pauperismo, dato che i reclusi furono, a prescindere dall'età, per lo più indigenti e mendicanti validi.

Ulteriore studio di riferimento per la Casa di correzione fiorentina è stato quello rigoroso e dettagliato, utilissimo, di Alessandra Contini

20

, la quale ne ha trattato nell'ambito più ampio delle innovazioni introdotte a Firenze dalla riforma di polizia e giustizia del 26 maggio 1777, cui conseguì un notevole ampliamento dei confini della giustizia “economica”, sulla quale ha insistito forse più precisamente di Simondi. Riprendendo le sue considerazioni circa l'età dei corrigendi e la diversità di intenti attuati dalla Casa di correzione rispetto a quelli originariamente dichiarati, Alessandra Contini ha opposto al consenso popolare da lui ipotizzato nei confronti dell'istituto correzionale non soltanto taluni esempi di serpeggiante malcontento popolare, ma soprattutto una decisa opposizione proveniente da taluni ambienti colti e istituzionali. Simondi aveva ritenuto, infatti, che sia agli occhi dell'opinione pubblica sia a quelli dei ceti dirigenti, la Casa di correzione fosse parsa un carcere esemplare, migliore di quello cittadino delle Stinche, per il valore aggiunto conferitogli dall'obbligo del lavoro forzato, ritenuto utile agli individui e alla società, come anche pena più blanda rispetto ad altre. La Contini, contestando la sua interpretazione, ha invece suggerito di tenere in considerazione a questo proposito, analizzandoli lei stessa, sia i proclami e gli appelli garantisti dell'allora assessore al neo-istituito Supremo tribunale di giustizia Jacopo Biondi

21

– che nel 1784 ne divenne il Presidente – all'interno dell'assemblea dove ebbero luogo le discussioni preparatorie alla creazione della Casa di correzione, la già citata Deputazione sopra gli ospedali...

del 1778, sia un memoriale dichiaratamente rivolto contro l'arbitrarietà della Casa di correzione, probabilmente poco posteriore alla sua istituzione, anonimo ma plausibilmente attribuito a Francesco Maria Gianni

22

, peraltro già studiato da Furio Diaz

23

.

Al di là di questi studi e di pochi altri che ne trattano all'interno di questioni più generali, principalmente quello di Carlo Mangio

24

, utile anch'esso per le riflessioni in materia di giustizia e polizia, di cui ripercorre l'iter legislativo in epoca leopoldina, nessuno studio specifico sulla Casa di correzione fiorentina è stato a oggi condotto

25

. Ricostruire, pertanto, la tipologia di istituto che fu e a

20

A. C ONTINI , La città regolata... cit., pp. 503-505.

21

Buongoverno, 509, n. 14: «Resultato delle sessioni tenute dai deputati», «Riflessioni del Signor Assessore Biondi».

22

Gianni, 16, ins. 335.

23

F. D IAZ , Francesco Maria Gianni. Dalla burocrazia alla politica sotto Pietro Leopoldo di Toscana, Milano-Napoli, Riccardo Ricciardi, 1966, pp. 266 e sgg.

24

C. M ANGIO , La polizia toscana, organizzazione e criteri d'intervento (1765-1808), Milano, Giuffrè, 1988, (La

«Leopoldina». Criminalità e giustizia criminale nelle riforme del '700 europeo. Ricerche coordinate da L UIGI

B ERLINGUER ,, vol. 6), soprattutto pp. 56-57 e 124-126.

25

Costituisce un'eccezione P.G. E RCOLE , La Regia Casa di correzione (1782-1794), tesi di diploma della Scuola di

Statistica, Università di Firenze, a.a. 1977/78, trovata citata in V. P ANZANI , L’assistenza religiosa in carcere, tesi di

laurea in Giurisprudenza, relatore Danilo Zolo, Università degli studi di Firenze, a.a. 1997/1998, disponibile on-line al

sito http://www.altrodiritto.unifi.it/ . Non mi è stato possibile reperire in alcun modo, nonostante alcuni tentativi, questa

tesi sulla Casa di correzione fiorentina, complice il fatto di non essere mai giunta a pubblicazione e di essere stata

redatta in un periodo in cui non era obbligatorio depositare le tesi nelle rispettive Università.

(13)

quali bisogni tentò di provvedere, a chi intese rivolgersi, perché in un certo momento storico fu avvertita l'esigenza di crearlo, come funzionò, quanto rispettò i propositi e gli intenti originari, quale considerazione si meritò da parte della popolazione e dei ceti dirigenti, etc. non sempre è stato semplice, sia perché nell'Archivio di Stato di Firenze non esiste un fondo specifico a esso appositamente dedicato, evenienza che ha reso problematico il reperimento delle informazioni in proposito, sia perché non sempre a determinate dichiarazioni e propositi seguirono realizzazioni corrispondenti, ma vi furono spesso delle discrepanze, sia infine perché ogni funzionario di volta in volta chiamato a presentare il proprio progetto di Casa di correzione ne aveva in proposito la propria idea, ciò che ha contribuito a evidenziarne costantemente una molteplicità di funzioni – assistenziali, correzionali, repressive – che mi sembra siano poi state mantenute anche una volta che la Casa di correzione prese corpo sull'unica base delle indicazioni leopoldine, determinandone la complessità.

Nel tentativo di indagare meglio tale complessità, prendendo le mosse dagli studi appena citati, ho cercato innanzitutto, pur tenendo conto dell'autonoma iniziativa dei ministri di polizia di inviare gli individui in Casa di correzione, di focalizzare la mia attenzione sulle richieste familiari di inviarvi i propri figli – su cui non si sono soffermati gli studi precedenti – perché indicate nella notificazione della sua istituzione come le principali procedure di accesso. Ho cercato, in secondo luogo, di evidenziare come l'esercizio del controllo poliziesco non fu rivolto soltanto alla punizione di reati quali il vagabondaggio, infrazioni lievi, furtarelli di poco conto, inosservanza ai precetti, etc., ma anche alla prevenzione dei reati, che fu esplicitamente prevista quale attività di competenza dei Commissari di quartiere

26

. La necessità di evitare che i reati avvenissero comportava che anche il loro semplice sospetto o comportamenti quali ad esempio l'ozio e il non avere un mestiere stabile potessero essere perseguiti. A integrazione delle analisi e valutazioni intraprese da Mario Simondi sui “ristretti” dei reclusi, inoltre, anch'io ne ho effettuate relativamente al periodo febbraio 1782- marzo 1784 per quanto riguarda gli uomini

27

, dicembre 1783-marzo 1784 per quanto riguarda le donne

28

e per l'intero 1792 per quanto riguarda entrambi

29

. Sulla loro base ho costruito una tabella e dei grafici, collocati nella sezione Tabelle e grafici posta a conclusione del presente studio, non soltanto relativamente alla loro distribuzione per età, ma anche ad altri parametri, nel tentativo di interpretarli e di fornire un'analisi quantitativa in merito.

La questione che mi pare di massimo interesse è che, tramite la Casa di correzione, finalità

26

Bandi, X, n. 90: Istruzione per i Giusdicenti del Granducato di Toscana, 28 aprile 1781.

27

Fisco, 846, 1782, «Regia casa di correzione, ordini e negozi dell'anno 1782», n. 59: “Approvazione per la condotta di ciascun individuo per ogni mese”, 15 marzo 1782; Fiscale, 2938, 2939, e 2940, tutti relativi all'anno 1782; Ivi, 2962, 1783; Ivi, 2986, 1784, n. 583.

28

Ivi, 2986, n. 583.

29

Fisco, 857, 1792.

(14)

repressive vennero esercitate non soltanto nei confronti di reati a tutti gli effetti, ma anche nei confronti di quelli che i consiglieri di Ferdinando III, nel suggerirne la chiusura a motivo dei suoi arbitri, il 20 gennaio 1794 definirono «semidelitti»

30

: una vasta gamma di insubordinazioni e comportamenti ritenuti scorretti, dannosi e illeciti, che pure non comportavano esplicitamente una pena determinata, ma per i quali era comunque avvertita l'esigenza di scoraggiarli affinché non si trasformassero in reati. Nel far questo, ho strutturato la tesi in tre capitoli che corrispondono alle tre fasi dell'esistenza della Casa di correzione: la fase preparatoria e precedente all'istituzione, quella del funzionamento effettivo e quella, infine, della sua chiusura.

Nel I capitolo, ho cercato di indagare il processo che portò, sia nel lungo sia nel breve termine, all'istituzione della Casa di correzione a Firenze. Oltre a ripercorrere la storia precedente di istituti assistenziali e segregativi tanto europei quanto italiani, nel collocarne la nascita all'interno delle misure prese per dare un'adeguata risposta al problema della mendicità, ho voluto accennare più nello specifico ai provvedimenti che in merito furono presi a Firenze. Mi sono, dunque, servita dello studio di Daniela Lombardi per focalizzare come e quando fu tentata per la prima volta in città, con un certo ritardo rispetto alla maggior parte delle altre città italiane, la reclusione dei mendicanti invalidi con la fondazione della Pia casa dei mendicanti nel 1621 – a seguito di una crisi economica particolarmente drammatica

31

– e come un ulteriore ripensamento delle misure assistenziali cittadine fu tentato nel 1701, con la creazione della Congregazione di S. Giovanni Battista sul soccorso dei poveri, per fornire loro assistenza a domicilio, a opera del padre gesuita Baldigiani. Il progetto di un ospizio per invalidi a Firenze fu nuovamente preso in mano nel 1736, quando il granduca Gian Gastone riconvertì a quello scopo l'ospedale di S. Giovanni Battista di Bonifazio, affiancandolo alla Congregazione quale strumento per il controllo della mendicità cittadina, sebbene la realizzazione fu molto ridimensionata rispetto al progetto iniziale

32

.

Le proposte per l'istituzione di una Casa di correzione in città, per costringere al lavoro e distogliere dall'indolenza i mendicanti validi – soprattutto giovani – e quale pena di media entità, necessaria per dare un'adeguata risposta al problema della microcriminalità, furono avanzate con questo retroterra assistenziale alle spalle. Dei progetti in tal senso vennero presentati ancor prima dell'avvento al potere di Pietro Leopoldo nel 1765, ma tutti caddero nel vuoto. Alla loro realizzazione, infatti, era necessaria una più ampia riforma delle magistrature criminali e del codice

30

Stato, 622, prot. 3, n. 27, 1: Rappresentanza del Consiglio relativo alla soppressione della Casa di correzione del 20 gennaio 1794 sottoposta a Ferdinando III.

31

Cfr. D. L OMBARDI , Povertà maschile, povertà femminile. L'ospedale dei Mendicanti nella Firenze dei Medici, Bologna, Il Mulino, 1988.

32

Cfr. L. C AJANI , L'assistenza ai poveri nella Toscana settecentesca in G. P OLITI - M. R OSA - F. D ELLA P ERUTA (a cura di), Timore e carità. I poveri nell'Italia moderna, Atti del convegno «Pauperismo e assistenza negli antichi stati italiani»

(Cremona, 28-30 marzo 1980), Cremona, Libreria del Convegno, 1982, pp.185-210.

(15)

legislativo, che richiedeva però la presenza effettiva del sovrano in città. Durante la Reggenza toscana Francesco Stefano, nel tentativo di distogliere dall'ozio i giovani vagabondi e oziosi, si limitò a farlo tramite la disciplina militare, incentivando la pratica del “discolato” in teatri di guerra lontani, su richiesta delle famiglie o in modo coatto

33

, utile ad assolvere certamente anche altri scopi, ma ugualmente resa possibile dal diritto di correzione dei figli detenuto dai padri. Il

“discolato” militare come tentativo di arginare il vagabondaggio e l'oziosità talvolta fu pensato dai contemporanei come alternativa alla creazione di un istituto correzionale apposito

34

.

La pratica del “discolato” militare continuò anche per tutto il primo decennio di governo leopoldino, sebbene l'arrivo del sovrano a Firenze nel pieno di una grave carestia rinnovasse l'urgenza di sperimentare nuove misure contro la povertà, incentivando ulteriori progetti per una Casa di correzione, che tuttavia per il momento rimasero tali. E' legittimo chiedersi se una volta istituita anche la Casa di correzione durante il secondo decennio di governo leopoldino, la pratica del “discolato” militare abbia subito o meno un ridimensionamento, sebbene le sopravvisse molto più a lungo, essendo attestata ancora nei primi decenni del XIX secolo, durante il Regno di Etruria (1801-1807)

35

e nel 1848

36

, mentre la Casa di correzione fu chiusa da Ferdinando III nel 1794.

Sebbene, infatti, proprio durante l'epoca leopoldina il “discolato” avesse trovato la sua sanzione ufficiale in Toscana

37

, resa possibile dal progressivo affermarsi in quel lasso di tempo di misure

“economiche” di giustizia, basate cioè su una repressione extra-giudiziale dei piccoli crimini, come ha messo in luce Nicola Labanca, uno dei primi studiosi a tentare di inquadrare la pratica del

“discolato” in Toscana nella sua dimensione sociale oltre che militare

38

, lo storico ottocentesco Antonio Zobi ha collegato la nascita della Casa di correzione alla soppressione dell'esercito a Firenze

39

l'11 aprile 1780 e nelle principali città del Granducato, con l'eccezione di Livorno e Portoferraio, il 12 settembre 1781

40

. Se, conseguentemente al ridimensionamento ulteriore degli

33

Cfr. L. S ANDONI , Il “discolato” in Toscana nella prima età leopoldina (1765-1776). Origini e funzionamento di un'istituzione per il disciplinamento giovanile, tesi di laurea magistrale in Storia Moderna, relatore Franco Angiolini, Università di Pisa, a.a. 2011/2012.

34

Reggenza, 48, n. 158, dispaccio della Reggenza al sovrano, 16 giugno 1744. Il Consiglio di Reggenza fiorentino, nel proporre al granduca Francesco Stefano di Lorena un progetto di “discolato” militare, lo ritenne «molto necessario […]

tanto più che non vi sono qua Case di correzione o pubblici travagli, ai quali si possa destinare senza pericolo di fuga la gioventù viziosa».

35

Reggenza, 1048, n.55: «Rapporto del Presidente del Buoon governo per ristabilire la polizia in quel grado di energia in cui vigeva sotto il governo del Gran Duca Leopoldo», 12 settembre 1805. Cfr. il testo integrale anche nell'Appendice XI in C. M ANGIO , La polizia toscana... cit. Il nuovo Presidente del Buongoverno Pardini, rimpiangendo la soppressa Casa di correzione, ricordava come, tra altri mezzi a disposizione della polizia, restasse anche quello della «destinazione alla milizia».

36

Cfr. in proposito L. S ANDONI , Il “discolato”... cit. soprattutto pp. 7-8.

37

Ivi, pp. 134-144.

38

Cfr. N. L ABANCA , Le Panoplie del Granduca. Per una storia delle istituzioni militari toscane (1737-1815) fra Stato, politica e società in “Ricerche storiche”, XXV (1995), n. 2, pp. 295-362, secondo quanto citato ancora da L. S ANDONI , Il “discolato”... cit., p. 11.

39

A. Z OBI , Storia civile della Toscana: dal 1737 al 1748, Firenze , Luigi Molini, 1850, vol. II, pp. 263-265.

40

A. W ANDRUSKA , Pietro Lepoldo. Un grande riformatore, Firenze, Vallecchi, 1968, p. 347.

(16)

eserciti toscani, non è detto che la pratica del “discolato” militare abbia perso di consistenza

41

, può quanto meno essere avanzata l'ipotesi di una sua progressiva insufficienza o inadeguatezza al recupero di tutti i discoli. Quelli con difetti fisici, uomini o troppo giovani o troppo anziani, infine le donne non erano chiaramente adatti al militare. Tale insufficienza/inadeguatezza potrebbero aver favorito la nascita di uno strumento ulteriore diretto per alcuni versi al medesimo scopo. Ulteriori studi in proposito sono, tuttavia, auspicabili e sarebbero necessari per approfondire la questione; a interessarsi del “discolato” militare nel Granducato è stato, infatti, Luca Sandoni, ma la sua indagine si è fermata alla prima età leopoldina (1765-1776). Egli ha pertanto potuto indicare soltanto sommariamente come, dopo l'approvazione sovrana di un ultimo progetto in proposito il 13 ottobre 1767, la pratica venne attuata a livello generale soltanto per punire i tumultuanti fiorentini del 1790, pur continuando a essere impiegata a livello individuale, ma chiaramente con una incisività minore

42

.

Ritengo che i progetti per dar vita a una Casa di correzione a Firenze abbiano iniziato ad assumere maggiore consistenza con l'esortazione leopoldina a stenderne uno nuovo in proposito, inviata all'Auditore fiscale il 26 agosto 1776, da Vienna

43

, dove il sovrano doveva avere sotto gli occhi un esempio di istituto analogo. Non va dimenticato che durante quel suo soggiorno viennese Pietro Leopoldo prese visione del materiale che gli fu poi necessario ad attuare la riforma di polizia e giustizia a Firenze nel 1777 e che i due aspetti non furono disgiunti. Fu però a partire dall'estate del 1778, all'interno della Deputazione sopra gli ospedali e luoghi pii, che tale progetto venne definitivamente precisato, esplicitando la volontà di dare una risposta alle richieste di correzione dei genitori verso i propri figli, che gli ultimi progetti non avevano ancora previsto. Pietro Leopoldo cercò di orientarne la redazione fornendo alla deputazione in particolare una sua opera, autografa ancorché diffusa in forma anonima, i «Pensieri sopra il modo di soccorrere i poveri in Firenze e lo stabilimento di una Casa di correzione»

44

, redatti prima della riforma di polizia del maggio 1777, forse con la collaborazione dello stesso Auditore fiscale

45

. Per la prima volta dopo molto tempo

46

,

41

Un precedente ridimensionamento degli eserciti toscani dopo la fine della Guerra dei sette anni e il venir meno in Toscana di imminenti minacce belliche all'orizzonte aveva, infatti, riacceso paradossalmente la necessità di reclutamenti forzati di discoli per completare i ranghi delle truppe toscane, dato che la pratica permetteva un risparmio consistente di risorse economiche. Cfr. ancora L. S ANDONI , Il “discolato”... cit., pp. 119-121.

42

Ivi, pp. 134-144.

43

Gabinetto, 138, Dispaccio del sovrano all'Auditore fiscale del 26 agosto 1776.

44

Ivi, 111, ins. 5: «Pensieri sopra il modo di soccorrere i poveri in Firenze, e lo stabilimento di una Casa di Correzione».

45

Per l'attribuzione a Pietro Leopoldo e la datazione del documento cfr. D. T OCCAFONDI , La soppressione leopoldina delle confraternite religiose tra riformismo ecclesiastico e politica sociale in “Società Pratese di Storia Patria”, 1986, pp. 143-172, in particolare p. 165, nota 37.

46

Un progetto dell'abate Pompeo Neri datato probabilmente al 1746, per la verità riguardante il risanamento della

Maremma, aveva già previsto la creazione di una Casa di correzione per venire incontro alle richieste delle famiglie di

inviarvi i propri figli vagabondi e scansafatiche. Si trova pubblicato nell'Appendice III in A. Z OBI , Storia civile... cit.,

vol. II, col titolo di «Proposizioni tendenti a render coltivate e popolate le maremme toscane del celebre consiglier

(17)

nel progetto era avanzata l'idea di un istituto correzionale che dovesse prima di tutto rispondere alle richieste di correzione dei figli provenienti dalle famiglie.

I membri che facevano parte della deputazione – in particolare Giuseppe Giusti e Jacopo Biondi, entrambi assessori del neo-istituito Supremo tribunale di giustizia, che nel 1784 divennero rispettivamente Presidente del Buongoverno l'uno e del Supremo tribunale di giustizia l'altro – non condividevano, però, la volontà sovrana di servirsi dei rinnovati mezzi polizieschi per gestire il problema della povertà, su cui esprimevano serie riserve e preoccupazioni. A farlo era soprattutto il Biondi, che esponendo tesi garantiste tendenzialmente più all'avanguardia di quelle promosse dal sovrano illuminato per antonomasia, si schierò nettamente contro la proposta di realizzarla

47

, che proveniva in definitiva unicamente dal sovrano. Tutte le opposizioni, comunque, non servirono a niente e la semplice volontà di Pietro Leopoldo fu sufficiente a istituire la Casa di correzione dapprima in via ufficiosa e provvisoria il 4 febbraio 1782 – secondo la prassi da lui sempre attuata, di introdurre qualsiasi innovazione con prudenza e in modo graduale – infine resa ufficiale con la notificazione già citata del 4 agosto.

Nel II capitolo ho trattato specificatamente della Casa di correzione fiorentina, fornendo informazioni in proposito innanzitutto alla notificazione che le dette vita, al regolamento e, dunque, all'organizzazione interna che le fu propria, servendomi dei relativi documenti a stampa, dei dispacci tra sovrano e Auditore fiscale/Presidente del Buongoverno, suoi responsabili ultimi e della documentazione prodotta dal “Regio fisco” – un ufficio amministrativo addetto alla riscossione e all'amministrazione delle entrate fiscali, ricco di annotazioni preziose sulla Casa di correzione di carattere tecnico, logistico, economico e amministrativo – consultato benché non inventariato, grazie alla cortese collaborazione dei responsabili dell'Archivio di Stato di Firenze

48

.

Ho poi focalizzato la mia attenzione sulle procedure di accesso/uscita nella/dalla Casa di correzione, servendomi principalmente dei “Negozi di polizia” del fondo dei “Commissari di quartiere”, i destinatari delle richieste dei genitori di invio dei figli in Casa di correzione, cui giungevano anche le informazioni sulle condotte degli abitanti dei quartieri, reperite dagli esecutori materiali di polizia loro sottoposti. Ho quindi vagliato in quali casi fosse praticato il ricorso all'istituto correzionale, da parte di chi, con quale legittimità e con quali risultati, cercando di scoprire chi vi fu effettivamente inviato e perché, sondandone motivazioni, circostanze relative al contesto, caratteristiche, modalità di permanenza, tentativi di esserne rilasciati etc., non mancando di integrare la precedente documentazione con i “ristretti” sui reclusi presenti in Casa di correzione

Pompeo Neri», pp. 8-34, in particolare pp. 14-15 (art. IX-XII), ma soprattutto pp. 27-28 (note dei rispettivi articoli).

47

Buongoverno, 509, n. 14: «Riflessioni del Signor Assessore Biondi», cit.

48

In particolar modo le archiviste dr.ssa Concetta Giamblanco e Loredana Maccabruni, responsabili nell'Archivio di

Stato di Firenze per l'epoca lorenese (1737-1859), rispettivamente nell'anno 2013 e 2014.

(18)

rinvenuti, impiegati anche, come già accennato, per la costruzione di grafici funzionali ad avviare un'analisi quantitativa in merito.

Nel III capitolo ho trattato, infine, della chiusura della Casa di correzione leopoldina dopo dodici anni di esistenza, formalizzata con motuproprio del 28 marzo 1794

49

e fissata al primo di giugno, sotto Ferdinando III, al governo in Toscana a seguito della partenza di Pietro Leopoldo il primo marzo 1790, per divenire imperatore a Vienna. Ho cercato di delineare il contesto in cui tale chiusura ebbe luogo, in un momento storico delicato e complesso dal punto di vista sia della politica internazionale, per gli eventi legati alla Rivoluzione francese, sia da quello della politica interna, a causa dei moti popolari annonari scoppiati poco dopo la partenza di Pietro Leopoldo

50

.

Entrambe queste circostanze determinarono l'esigenza di riarmare la Toscana, da tempo priva di un esercito, causando un mutamento di volontà relativamente alla destinazione d'uso della Fortezza da Basso sede della Casa di correzione, che nell'estate del 1790 iniziò a essere oggetto di una riconversione militare progressiva negli anni che, se non la determinò effettivamente, probabilmente contribuì almeno ad accelerarne la chiusura, per l'impossibilità di continuare a funzionare bene determinata dalla riduzione progressiva degli spazi, con la conseguente difficoltà di garantire come in passato l'applicazione al lavoro dei corrigendi, suo tratto distintivo.

La chiusura della Casa di correzione, tuttavia, fu determinata essenzialmente dalla volontà sovrana di correggere gli abusi e gli arbitri commessi nell'applicazione della giustizia nel Granducato negli anni immediatamente precedenti. Dichiaratone il fallimento per non avere raggiunto gli scopi che si era proposta, i consiglieri di Stato Antonio Serristori, Bartolomeo Martini ed Edoardo di Gilkens condividevano con il sovrano un più radicale garantismo, che li spingeva ad accusare la Casa di correzione di essere stata una pena arbitraria e infamante

51

. Si trattava, infatti, di una pena che era stato possibile comminare non in presenza di reati o trasgressioni verificate, ma di fronte alla semplice presunzione di/incamminamento al delitto. Ciò contraddiceva le convinzioni divulgate con immenso successo in Europa da Cesare Beccaria nella sua opera più famosa, il Dei delitti e delle pene, 1764, secondo il quale i reati dovevano essere chiaramente stabiliti dalle leggi e le pene loro strettamente proporzionate, per non essere arbitrarie e lontane dalla giustizia. Beccaria aveva dedicato un apposito capitoletto della propria opera, il XLI, proprio alla prevenzione dei reati, definendola sì pratica migliore della loro punizione e fine di ogni buona legislazione, ma contestando che i mezzi impiegati fino ad allora per metterla in pratica avessero di fatto contraddetto al fine preposto. Per quanto ne scriveva, infatti, «il proibire una moltitudine di azioni indifferenti non è prevenire i delitti che non possono nascere, ma egli è un crearne dei nuovi, egli è

49

Stato, 622, prot. 3, n. 27, 2: Minuta del motuproprio di soppressione, 28 marzo 1794.

50

Cfr. G. T URI , «Viva Maria». La reazione alle riforme leopoldine (1790-1799), Firenze, Leo S. Olski, 1969.

51

Stato, 622, prot. 3, n. 27, 1 cit.

(19)

un definire a piacere la virtù ed il vizio». Queste considerazioni lo portavano a chiedere espressamente: «a che saremmo ridotti, se ci dovesse essere vietato tutto ciò che può indurci a delitto? Bisognerebbe privare l'uomo dei suoi sensi»

52

. La prevenzione dei delitti derivava per lui tanto dalla chiarezza, semplicità, infallibilità delle leggi, quanto dalla dolcezza delle pene e dalla proporzionalità loro relativa. Alla luce di tutte queste considerazioni, per i consiglieri di Ferdinando III la privazione della libertà conseguente all'invio in Casa di correzione non poteva assolutamente essere inflitta per dei «semidelitti»

53

come era avvenuto fino ad allora, senza far ricorso ad alcuna procedura di giustizia ordinaria nei tribunali competenti. Le facoltà “economiche” dei ministri di polizia venivano, quindi, apertamente criticate.

Con la soppressione della Casa di correzione fu richiamato in osservanza in materia di castighi “economici” il rispetto puntuale della Leopoldina. Il sovrano aveva manifestato tale esigenza già in precedenza, obbligando il Presidente del Buongoverno Giuseppe Giusti ad abolire, suo malgrado, con motuproprio del 27 agosto 1791

54

, la circolare scritta il 13 febbraio 1787

55

per ridefinire le competenze dei ministri di polizia – che la Leopoldina aveva a parere di molti fortemente ridimensionato – stabilendo che i delitti dovessero essere di competenza esclusiva del Supremo tribunale di giustizia.

Quest'evenienza conduce a ridimensionare il giudizio degli storici, condiviso anche dai contemporanei, secondo cui il governo ferdinandeo fu meno innovatore di quello leopoldino, del resto non soltanto per la diversa caratura morale di padre e figlio ma, necessariamente, per il mutato contesto storico che portò, con la nuova legislazione criminale, la Ferdinandina del 30 agosto 1795, a confermare in un codice organico la reintroduzione della pena di morte e dei reati di lesa maestà, pure già ripristinati da Pietro Leopoldo a seguito dei moti popolari toscani il 30 giugno 1790, segnando un netto ritorno al passato rispetto alle ultime conquiste in campo penalistico. In materia di giustizia “economica”, però, esso fu probabilmente più all'avanguardia, tanto da giungere, con le motivazioni garantiste che la determinarono, alla chiusura effettiva della Casa di correzione

56

.

52

C. B ECCARIA , Dei delitti e delle pene, (a cura di) F. V ENTURI , Torino, Einaudi, 1973, p. 96.

53

Stato, 622, prot. 3, n. 27, 2 cit.

54

Bandi, XV, n. 17, 27 agosto 1791.

55

Ivi, XIII, n. 69.

56

Cfr. M. D A P ASSANO , Dalla «mitigazione delle pene» alla «protezione che esige l'ordine pubblico». Il diritto penale

toscano dai Lorena ai Borbone (1786-1807), Milano, Giuffrè, 1988, (La «Leopoldina»... cit., vol. 10).

(20)

C APITOLO PRIMO

VERSO L ' ISTITUZIONE DELLA R EGIA C ASA DI C ORREZIONE A F IRENZE (1782- 1794)

1. Nel solco della riforma dell'assistenza in Europa

La Casa di correzione a Firenze fu istituita da Pietro Leopoldo nella Fortezza di S. Giovanni Battista, oggi Fortezza da Basso, con notificazione sovrana del 4 agosto 1782

57

. Non esistono, in proposito, che limitate pubblicazioni e studi piuttosto generali

58

; ricostruire pertanto che tipo di istituto fosse e a che tipo di bisogni intese provvedere, a chi doveva rivolgersi e perché fu avvertita l'esigenza di crearla è stato tutt'altro che semplice e ha costituito per me una delle maggiori difficoltà nel corso di questo studio.

Le discussioni governative che portarono alla sua creazione si svolsero all'interno della Deputazione sopra gli ospedali e i luoghi pii

59

, istituita da Pietro Leopoldo con motuproprio del 13 luglio 1778

60

, per discutere delle istituzioni fiorentine in sollievo dei poveri e vagliare le possibilità di intervento per una più efficace gestione dell'assistenza cittadina, che fino ad allora si era caratterizzata per una molteplicità di ospedali gestiti da luoghi pii, compagnie, confraternite. Il sovrano intendeva iniziare a controllarli e dirigerli tutti in modo centralizzato, affinché lo Stato si sostituisse loro col fine dichiarato di rendere la rete ospedaliera esistente realmente vantaggiosa al

“pubblico”. Le discussioni relative alla Casa di correzione, dunque, si svilupparono all'interno di preoccupazioni propriamente assistenziali, per ciò che più limitatamente concerneva i “falsi poveri”, ritenuti per lo più responsabili della loro miseria perché in grado di svolgere un mestiere e, ciononostante, privi di un'occupazione.

La Casa di correzione, però, destinata ai giovani – dapprima soltanto ai “discoli”,

“vagabondi” e “oziosi” ma poi, a un anno dalla sua istituzione, anche a donne variamente considerate “di malaffare” – nell'accogliere quell'«insieme articolato e poco controllabile della marginalità sociale»

61

sì costituì a tutti gli effetti quale pena, sebbene ritenuta più blanda rispetto ad altre e anche se non è immediatamente chiaro né chi né cosa intendesse correggere. Non dovevano

57

Bandi, XI, n. 73.

58

V. nota 25. Le opere che trattano della Casa di correzione fiorentina all'interno di tematiche più vaste verranno citate via via nel testo.

59

Cfr. in proposito A. C ONTINI , Le Deputazioni sopra gli Ospedali... cit., oltre a I DEM , La città regolata... cit., nota 127, pp. 468-469.

60

Buongoverno, 509, n. 1: «Motuproprio con cui viene creata la deputazione sopra gli Spedali».

61

A. C ONTINI , Le Deputazioni... cit., p. 15.

(21)

finirvi, infatti, giovani che avevano commesso reati, ma soltanto quelli che si erano resi autori di una condotta disdicevole sotto molteplici punti di vista, specialmente su richiesta delle famiglie. Sia i maschi, sia le femmine dovevano esservi rieducati all'ordine e all'operosità tramite la disciplina religiosa e l'esercizio di un mestiere, che dovevano garantire loro, come suggerisce anche il nome di

“correzione”, l'emenda e il conseguente reintegro in società. La Deputazione sopra gli ospedali...

era stata creata, del resto, in rapporto alla riforma del 26 maggio 1777 con cui a Firenze era stata data vita a una nuova polizia

62

e fu, infatti, controllata al vertice, non casualmente, dal suo capo – l'Auditore fiscale, cui più tardi la Casa di correzione doveva essere sottoposta – a dimostrazione di come fosse stata «marcata l'indicazione data alla deputazione di riassorbire i temi dell'assistenza alla povertà nell'alveo più generale della nuova polizia»

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. Le sue funzioni, assistenziali, correttive e repressive a un tempo ne resero complessa la destinazione d'uso, che non coincise perfettamente nella realizzazione con la teoria e con le volontà che l'avevano animata in origine.

Per cercare di comprendere meglio, ho tentato di contestualizzare e leggere la storia della Casa di correzione fiorentina nell'ambito della riforma dell'assistenza che, rivoluzionando le modalità di gestione della povertà, molte città, alcuni Stati europei e, tra questi, quelli italiani sperimentarono a partire dagli anni '20 del XVI secolo. Ritengo, infatti, che la storia delle Case di correzione possa essere letta come sviluppo settecentesco dell'idea della reclusione dei mendicanti, che fece la sua comparsa in Europa a seguito della riforma dell'assistenza ben due secoli prima. Per cominciare a delinearne gli intenti, mi sembra che occorra districarsi prima all'interno di quel panorama variegato di istituti e alberghi per i poveri che in Europa e nella penisola italiana iniziarono a essere creati dagli inizi del XVI secolo. La complessità delle funzioni della Casa di correzione fiorentina fu loro analoga o quanto meno comparabile. All'interno di tali istituti rivolti ai poveri, a una chiarezza di intenti e di aspirazioni spesso proclamata negli statuti istitutivi – i mendicanti oziosi dovevano essere obbligati al lavoro, mentre i “veri mendicanti” dovevano venire rinchiusi in appositi ospedali – generalmente seguì nella pratica una gran confusione

64

, per cui spesso aprirono le loro porte a entrambe le categorie di persone, perdendo ben presto la loro ragione d'essere e finendo così per fallire di fronte all'incapacità di liberare le strade dai mendicanti che le affollavano. Benché la loro reclusione come unica soluzione possibile al problema della mendicità si rivelasse, dunque, tutt'altro che un'idea vincente alla prova dei fatti, ciò non impedì a questo tipo di modello assistenziale di riproporsi immutato anche nei secoli successivi.

La riforma dell'assistenza del XVI secolo, che nel Continente interessò città della Germania, dei Paesi Bassi, della Francia e dell'Italia settentrionale, in concomitanza e parallelamente alla

62

Bandi, VIII, n. 58.

63

A. C ONTINI , Le Deputazioni... cit., p. 15.

64

B. P ULLAN , Poveri, mendicanti... cit., p. 1019.

(22)

riforma religiosa protestante

65

, mentre anche l'Inghilterra ne sperimentò una simile, ma con modalità e tempi che rendono il suo caso autonomo e a sé stante, fu determinata dalla necessità delle autorità locali di risolvere il problema di una mendicità crescente, modificando sia il loro approccio verso i poveri, sia gli istituti preposti al loro soccorso. Tra la fine del XV e la prima metà del XVI secolo, infatti, l'intera Europa aveva conosciuto un'espansione demografica non accompagnata da un adeguato aumento dei beni di prima necessità, che comportò un generalizzato rialzo dei prezzi, favorito anche da carestie ed epidemie che presero a susseguirsi negli anni '20-'40 del XVI secolo

66

.

Presupposto essenziale per mettere in atto le nuove pratiche assistenziali fu la distinzione – divenuta una sorta di «ossessione universale»

67

nelle discussioni politiche del XVI secolo e nella trattatistica coeva – tra “veri” e “falsi” poveri, cioè rispettivamente meritevoli di soccorso e immeritevoli, a seconda che avessero o meno la capacità di svolgere un mestiere per assicurarsi la sopravvivenza. Sulla base di tale distinzione, le autorità competenti dovevano dispiegare una «carità restrittiva»

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, fornendo assistenza soltanto ai primi, che non riuscivano a procurarsi il necessario sostentamento per impedimenti legati all'età, a menomazioni fisiche o a malattie, mentre gli altri, sani e in grado di svolgere un mestiere, non meritavano alcun soccorso e anzi dovevano essere puniti e obbligati al lavoro, impedendo loro di beneficiare ingiustamente di qualsiasi forma di assistenza; si abbassava, così, la soglia di tolleranza verso gli oziosi. I provvedimenti assistenziali non potevano essere rivolti a tutti indiscriminatamente e certamente non a coloro che venivano ritenuti diretti responsabili della propria disgraziata condizione, anche se le accuse frequentemente rivolte ai poveri in età moderna, di preferire volontariamente la mendicità all'esercizio di un'attività lavorativa, vanno in realtà fortemente ridimensionate: più che di oziosi, infatti, si trattava spesso di sottoccupati, per la maggior parte certamente involontari.

La povertà non era stata considerata sempre un disvalore, ma l'aumento dei poveri e la loro mobilità stimolarono diffidenza e paura. Nella penisola italiana, fin dal XIII secolo tanto i membri degli ordini religiosi, come i francescani che si spogliavano di tutti i loro averi, quanto i laici nelle vesti di pellegrini avevano cercato di imitare la povertà di Cristo, ritenendola condizione di santità

69

. Il mendicante, figura positiva in epoca medievale, si identificava con il pauper Christi, colui che poteva far guadagnare ai ricchi il regno dei cieli rendendo possibile il dispiegarsi della loro benevolenza e che, perciò, era loro indispensabile tanto quanto i ricchi con i loro atti di carità lo erano a lui, secondo un ordine provvidenziale stabilito lontano dall'essere messo in discussione. La

65

M. F ATICA , Il «De subventione Pauperum»... cit., pp. 1-2.

66

M. G ARBELLOTTI , Per carità.... cit., p. 15.

67

Cfr. F. B ARONCELLI , G. A SSERETO , Introduzione di I IDEM , Sulla povertà: idee, leggi, progetti nell'Europa moderna, Genova-Ivrea, Herodote, 1983, in particolare p. 8.

68

L. D AL P ANE , Storia del lavoro in Italia, vol. IV: Dagli inizi del secolo XVIII al 1815, Milano, Giuffré, 1944, p. 256.

69

B. P ULLAN , Poveri, mendicanti… cit., p. 997.

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