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La definizione di criminalità organizzata nella politica criminale italiana ed europea. La prospettiva del rapporto tra criminalità organizzata e confisca allargata. The definition of organized crime in the Italian and European criminal policy. The pe

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(1)

Phd Course

Human person and legal protections

XXIX cycle

Academic Year

2016/2017

La definizione di criminalità organizzata

nella politica criminale italiana ed europea.

La prospettiva del rapporto tra criminalità

organizzata e confisca allargata

Author

Sofia Milone

Supervisor

(2)

1

Indice

Parte I Introduzione alla ricerca ... 7

Capitolo 1 Domanda di ricerca e parametri di riferimento ... 7

Sezione 1 Definizione della domanda di ricerca ... 7

1.1 Perché un’indagine sulla definizione di criminalità organizzata? ... 7

1.2 L’assenza di una definizione di criminalità organizzata nell’ordinamento italiano ... 10

1.3 (Segue) Il caso dell’estensione del doppio binario penitenziario ... 13

1.4 La definizione di criminalità organizzata nel diritto UE ... 16

Sezione 2 Definizione dei parametri di riferimento dell’analisi. ... 19

2.1 Razionalità delle scelte politico-criminali ... 19

2.2 Il rapporto tra principio di razionalità e definizione ... 20

2.3 La ‘razionalità preventiva’ ... 22

2.4 Il principio di proporzionalità come corollario della razionalità politico-criminale... 24

2.5 Il contributo del principio di proporzionalità come parametro di valutazione ... 25

Sezione 3 Gli interventi di politica criminale oggetto dell’indagine ... 27

3.1 Oggetto dell’analisi: ‘misure di diritto penale’ ... 27

3.2 La genesi degli interventi di diritto penale tra istanze securitarie e istanze effettive di tutela. ... 28

3.3 Gli interventi di diritto penale nella politica criminale europea ... 32

3.4 Lo ‘spazio’ della funzione preventiva nel diritto penale ... 34

3.5 Fattispecie associative e offensività tra arretramento dell'intervento punitivo e ‘attivazione’ dei regimi differenziati ... 36

3.6 Gli interventi con funzione di prevenzione ‘nell’orbita’ del diritto penale ... 39

3.7 Gli specifici interventi esaminati: confisca allargata e confisca senza condanna ... 40

Capitolo 2 Rilevanza della ricerca e coordinate metodologiche ... 43

Sezione 1 L’integrazione tra la riflessione penalistica sulla definizione di criminalità organizzata e quella sulla confisca. ... 43

1.1 La sovrapposizione tra ‘mafia’ e ‘criminalità organizzata’ nella letteratura italiana. .. 43

1.2 La difficoltà di definire il fenomeno del transnational organized crime nel diritto UE. ... 46

1.3 Il rapporto tra gli interventi di ablazione patrimoniale e la criminalità organizzata ... 49

Sezione 2 Prospettiva e metodo di indagine. ... 52

2.1 Una duplice prospettiva: ordinamento interno e ordinamento europeo ‘vincolante’ ... 52

2.2 Duplice metodo di analisi ... 54

2.3 Analisi empirica socio-criminologica del fenomeno ed elaborazione di interventi politico-criminali ... 55

(3)

2

Parte II Dallo studio dei fenomeni all’elaborazione delle definizioni. ... 59

Capitolo 3 Il contributo della ricerca socio-criminologica alla razionalità della definizione normativa e degli interventi nei confronti della criminalità organizzata ... 59

Sezione 1 Analisi dei modelli socio-criminologici di criminalità organizzata: impresa e network ... 59

1.1 I modelli socio-criminologici. I caratteri identificativi della criminalità organizzata tra teoria e verifica empirica... 59

1.2 Criminalità organizzata e impresa ... 61

1.3 Caratteristiche del modello ... 62

1.4 Criticità del modello... 64

1.5 Criminalità organizzata e criminalità economica: due categorie sovrapponibili? ... 65

1.6 Rilevanza politico-criminale della distinzione tra impresa lecita e organizzazione criminale ... 67

1.7 Qualità e modalità di offesa ... 70

1.8 Criminalità organizzata e network: un modello neutro sul piano offensivo... 71

Sezione 2 Il modello della governance ... 72

2.1 Criminalità organizzata e sistema di governance degli scambi ... 72

2.2 Caratteristiche del modello ... 74

2.3 Criminalità organizzata e criminalità economica: due categorie distinte ma contigue 76 2.4 Qualità e modalità di offesa ... 77

2.5 Specificità della proiezione offensiva delle mafie ... 78

2.6 Criminalità organizzata e criminalità di tipo terroristico ... 80

Capitolo 4 Dall’analisi socio-criminologica all’elaborazione della politica criminale. Verso una nuova definizione di criminalità organizzata? ... 83

Sezione 1 La rilevanza della questione definitoria nell’ordinamento italiano ... 83

1.1 Criminalità organizzata come governance e interventi politico-criminali ... 83

1.2 Criminalità organizzata come governance e definizione legale. I rapporti con la fattispecie di associazione di tipo mafioso ... 85

1.3 Cenni ai profili applicativi problematici del metodo mafioso... 87

1.4 I limiti del metodo mafioso di intimidazione rispetto all’inquadramento dei fenomeni di criminalità organizzata ... 89

1.5 I rischi della ‘pan-caratterizzazione’ mafiosa ... 91

1.6 La qualificazione dei fenomeni di criminalità organizzata diversi da quello mafioso: verso una nuova fattispecie? ... 92

1.7 La tecnica di incriminazione ... 94

1.8 La ‘razionalizzazione’ della normazione per cataloghi a partire dalla definizione di criminalità organizzata ... 96

1.9 Sull’opportunità di introdurre una norma definitoria della criminalità organizzata .... 97

Sezione 2 La rilevanza della questione definitoria nell’ordinamento UE ... 99

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3 2.2 La ‘neutralità’ della definizione di organizzazione criminale della Decisione quadro

2008/841/GAI. ... 101

2.3 La criminalità organizzata nella dimensione transnazionale: inadeguatezza del paradigma della criminalità mafiosa... 103

2.4 L’elaborazione di interventi politico-criminali mirati ... 105

2.5 L’elaborazione di una nuova definizione legale ... 105

2.6 Gli elementi della definizione. Le modalità di azione ... 107

2.7 (Segue) La proiezione finalistica ... 109

2.8 Una proposta di definizione ... 110

Parte III Dalla valutazione dei regimi normativi alla riflessione sui fenomeni. ... 113

Capitolo 5 Il rapporto tra la ratio della confisca allargata e la definizione di criminalità organizzata nell’ordinamento italiano ... 113

Sezione 1 La genesi della confisca allargata con funzione preventiva in rapporto al suo fondamento politico-criminale ... 113

1.1 Considerazioni preliminari: la questione della definizione di criminalità organizzata dalla prospettiva della razionalità di uno specifico intervento. ... 113

1.2 La confisca allargata ‘con funzione preventiva’ come categoria di intervento ablativo del patrimonio ... 115

1.3 L’introduzione della confisca-misura di prevenzione ... 119

1.4 L’introduzione della confisca allargata-misura di sicurezza ... 121

1.5 Il comune fondamento in rapporto al fenomeno criminale ... 122

1.6 Questioni di compatibilità costituzionale coeve all’introduzione delle misure ... 123

Sezione 2 L’evoluzione del regime applicativo della confisca misura di prevenzione ... 125

2.1 L’estensione dell’ambito soggettivo attraverso l’ampliamento dei destinatari ... 125

2.2 L’applicazione disgiunta rispetto alle misure di prevenzione personali e il venir meno del requisito dell’attualità della pericolosità soggettiva ... 129

2.3 Oscillazioni sulla correlazione temporale tra pericolosità soggettiva e acquisti ... 131

2.4 L’applicazione anche in caso di morte del proposto ... 133

2.5 L’estensione dell’ambito oggettivo di applicazione rispetto alla valutazione di sproporzione e di illiceità ... 134

2.6 Conseguenze della semplificazione dell’accertamento di illiceità: dalla confisca allargata alla confisca generale dei beni? ... 135

2.7 L’applicazione a seguito di amministrazione giudiziaria dell’impresa strumentale ... 138

2.8 La previsione della confisca per equivalente ... 139

Sezione 3 L’evoluzione del regime applicativo della confisca misura di sicurezza ... 140

3.1 L’estensione dell’ambito soggettivo attraverso l’ampliamento dei destinatari ... 140

3.2 L’applicazione giurisprudenziale con sentenza di proscioglimento che dichiara la prescrizione e agli eredi nella fase esecutiva ... 142

3.3 L’ambito oggettivo. La precisazione del concetto di sproporzione e l’assenza di una delimitazione temporale. ... 143

(5)

4

3.4 L’introduzione della confisca per equivalente ... 145

Sezione 4 Il bisogno di una riflessione sul fondamento preventivo della confisca. ... 146

4.1 Il mutamento del volto della confisca all’esito dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale. ... 146

4.2 Il ‘nuovo’ fondamento della prevenzione patrimoniale nella ricostruzione della dottrina e della giurisprudenza interne. ... 147

4.3 La valutazione della Corte europea dei diritti dell’uomo sulla confisca misura di prevenzione. ... 149

4.4 La valutazione della confisca allargata ex art. 12-sexies ... 152

4.5 Questioni da meditare. ... 154

Capitolo 6 La valutazione della confisca allargata secondo il principio di razionalità e proporzionalità. ... 157

Sezione 1 Il controllo di razionalità preventiva ... 157

1.1 La giustificazione preventiva della confisca in senso oggettivo-reale ... 157

1.2 Un raffronto strutturale tra razionalità preventiva e morfologia della misura ... 159

1.3 La presunzione di illiceità dei beni: indice di un giudizio retrospettivo o prognostico? ... 160

1.4 Pars destruens: il ‘significato retrospettivo’ degli elementi della presunzione ... 161

1.5 (Segue) Insufficienza del ‘significato preventivo’ degli elementi della presunzione 164 1.6 Pars construens: gli indici presuntivi di illiceità genetica ... 166

1.7 (Segue) Gli indici presuntivi di illiceità funzionale ... 167

1.8 La caratterizzazione del destinatario del confiscation e del civil forfeiture nel Proceeds of Crime Act del Regno Unito ... 169

1.9 Razionalità preventiva e accertamento del pericolo, tra ricorso a presunzioni e discrezionalità. ... 171

1.10 L’introduzione di una presunzione relativa di illiceità funzionale e un’obbligatorietà ‘temperata’. ... 173

Sezione 2 Il controllo di proporzionalità ... 175

2.1 Il principio di proporzionalità come minimo comune denominatore delle misure limitative di diritti ... 175

2.2 Lo scrutinio di proporzionalità della confisca nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ... 177

2.3 Il sindacato ex art. 1, § 2, I Prot. addizionale alla Convenzione. Il test di legalità della limitazione. ... 179

2.4 Il controllo del fine di interesse generale ... 183

2.5 Il test di proporzionalità ... 184

2.6 Limiti del giudizio della Corte EDU ... 185

2.7 Uno scrutinio autonomo di proporzionalità. L’individuazione del fine legittimo e la valutazione di idoneità ... 186

(6)

5

2.9 Il test di necessità. Il confronto ‘interno’ con le ipotesi di confisca del profitto ... 190

2.10 Il confronto ‘esterno’ con altri tipi di misure patrimoniali ... 193

2.11 Il test di proporzionalità in senso stretto ... 194

Capitolo 7 Descrizione e valutazione della confisca nell’ordinamento UE ... 197

Sezione 1 Il quadro normativo della confisca allargata nell’ordinamento UE ... 197

1.1 La confisca nell’assetto pre-Lisbona ... 197

1.2 La confisca dopo il Trattato di Lisbona. ... 200

1.3 La confisca senza condanna ... 203

1.4 Il mutuo riconoscimento delle confische post-Lisbona ... 206

Sezione 2 Il controllo di razionalità preventiva e di proporzionalità ... 209

2.1 La ratio della confisca allargata: la funzione di neutralizzazione ... 209

2.2 Il tipo di reato presupposto: destinatario razionale? ... 210

2.3 Il controllo di proporzionalità ... 211

2.4 La ratio della confisca senza condanna ... 214

2.5 Il controllo di razionalità e proporzionalità ... 215

Sezione 3 Rilevanza della valutazione ... 216

3.1 Rilevanza sul piano interno all’ordinamento UE ... 216

3.2 Rilevanza sul piano degli ordinamenti nazionali. ... 217

3.3 L’applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’UE ... 219

Conclusioni ... 223

(7)
(8)

7

Parte I Introduzione alla ricerca

Capitolo 1 Domanda di ricerca e parametri di riferimento

Sezione 1 Definizione della domanda di ricerca

1.1 Perché un’indagine sulla definizione di criminalità organizzata?

La ricerca propone una riflessione sulla definizione di criminalità organizzata, scientifica e normativa, allo scopo di favorire l’elaborazione di interventi di politica criminale razionali. Uno studio sulla questione definitoria pare rilevante dal punto di vista della razionalità politico-criminale per le seguenti ragioni: da un lato, la necessità di riconoscere la priorità logica della conoscenza scientifica – soprattutto empirica – dei fenomeni rispetto all’elaborazione della rispettiva definizione legale e degli interventi di contrasto; dall’altro, l’impossibilità di prescindere dalla definizione del disvalore e delle modalità di offesa dei fenomeni criminali nell’ambito di una valutazione di razionalità strumentale e proporzionalità degli interventi politico-criminali ad essi rivolti. L’indagine sulla definizione di criminalità organizzata è svolta lungo due linee di ricerca. Da una parte, la riflessione degli studi criminologici sul fenomeno della criminalità organizzata. Dall’altra, la valutazione, alla stregua dei principi di razionalità e proporzionalità, di uno strumento di politica criminale particolarmente significativo rispetto alla lotta alla criminalità organizzata: l’ablazione patrimoniale mediante confisca. Duplice è anche l’ambito dell’indagine: nazionale ed europeo.

L’interesse per il tema nasce dal timore di un utilizzo ‘distorto’ dell’espressione ‘criminalità organizzata’ nel linguaggio della politica criminale italiana ed europea, in assenza di un costante raffronto con il sostrato empirico di riferimento, foriero di interventi politico-criminali irrazionali. Deve riconoscersi, infatti, che l’espressione ‘criminalità organizzata’ ricorre frequentemente nel linguaggio politico e mediatico e identifica uno dei fenomeni criminali più allarmanti per la nostra sicurezza, come evidenziato dalla riflessione sociologica sulla società postmoderna1. Costituendo una minaccia sul piano tanto dei beni individuali, quanto di quelli collettivi, e attribuita anche ad organizzazioni poste al di fuori

1 Per l’approfondimento di tali riflessioni si rimanda a Zygmunt Bauman, La società dell’incertezza,

Intersezioni 193 (Bologna: Il Mulino, 1999); Roberto Cornelli, Paura e ordine nella modernità, Università degli studi di Milano-Bicocca, Facoltà di giurisprudenza 0046 (Milano: EGEA, Giuffrè, 2008).

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8

dei rassicuranti confini nazionali2, essa è in grado di catalizzare un ampio consenso emotivo

sulla necessità di una vocazione ‘polemologica’ del diritto penale, anche a scapito delle preoccupazioni individual-garantistiche3. D’altra parte, essendo in grado di esprimere un certo disvalore oggettivo, con riferimento alla sicurezza collettiva – spesso identificata, in via generale, con il tradizionale ed evanescente bene giuridico dell’ordine pubblico4 – ed

un’escalation offensiva in grado di attingere l’ordine economico – e, addirittura, l’ordine politico democratico – essa sembra poter fondare la legittimazione di un vero e proprio diritto penale in lotta5.

Per quanto priva di una definizione legale, l'espressione ‘criminalità organizzata’, riveste un ruolo tutt’altro che secondario nell’ordinamento italiano, ricorrendo in numerose disposizioni e operando come ‘fattore di differenziazione’ dell’intervento penale6. Nota,

infatti, è la previsione, nei confronti dei c.d. delitti di criminalità organizzata, di regimi differenziati afferenti tanto al diritto sostanziale quanto a quello processuale, come anche a forme di intervento preventive, almeno apparentemente extra-penali, nell'ambito dell'esecuzione penitenziaria e della c.d. prevenzione patrimoniale7. Tali delitti, però, non

costituiscono un elenco costante di fattispecie etichettate come ‘criminalità organizzata’,

2Stanley Cohen, Folk Devils & Moral Panics: The Creation of the Mods and Rockers, [New ed, repr] (Oxford:

Blackwell, 1987).

3 Si tratta di un Leitmotiv, infatti, della riflessione sull’intervento penale in materia di criminalità organizzata;

ex multis cfr. Giovanni Fiandaca, «Criminalità organizzata e controllo penale», Indice penale, 1991, 14 ss.;

Sergio Moccia, a c. di, Criminalità organizzata e risposte ordinamentali: tra efficienza e garanzia, Studi di Scienze Penalistiche Integrate 6 (Napoli: ESI, Edizioni Scientifiche Italiane, 1999). Di recente la riflessione si è ampliata anche all’ambito europeo; cfr. Paola Maggio, «La lotta alla criminalità organizzata in Europa tra strategie di contrasto e rispetto dei diritti umani», Cassazione penale 53, n. 2 (2013): 808–21; Vincenzo Militello, «Criminalità organizzata transnazionale ed intervento europeo tra contrasto e garanzie», Rivista

trimestrale di diritto penale dell’economia, n. 4 (2011): 821–37.

4 Sulla difficoltà di ricavare uno spazio autonomo come bene giuridico all’ordine pubblico ideale e

sull’opportunità, invece, di porlo a ratio dell’intero sistema penale in quanto esprime i principi posti alla base della civile convivenza v. Sergio Moccia, «Prospettive non emergenziali di controllo dei fatti di criminalità organizzata. Aspetti dogmatici e di politica criminale», in Criminalità organizzata e risposte ordinamentali, di Sergio Moccia (Napoli: ESI, Edizioni Scientifiche Italiane, 1999), 149–74.

5 Diversamente avverrebbe ove si analizzasse un fenomeno che più difficilmente è idoneo ad esprimere offese

reali ai beni giuridici, come quello dell’immigrazione irregolare, rispetto al quale, quindi, gli interventi repressivi paiono ancor più limpidamente frutto di una strumentalizzazione politica del diritto penale rispetto a paure irrazionali, quella delle minacce esterne, del “diverso”. In argomento ci si limita a qualche recente riferimento: tra i tanti cfr. Rosaria Sicurella, «Il controllo penale dell’immigrazione irregolare: esigenze di tutela, tentazioni simboliche, imperativi garantistici. Percorsi di riflessione critica...», Rivista italiana di

diritto e procedura penale 55, n. 4 (2012): 1425–77; Licia Siracusa, «Il diritto penale dell’immigrato: brevi

spunti per una riflessione sul diritto penale della paura», Nuove autonomie 22, n. 2/3 (2013): 365–84.

6 Alessandro Bernasconi, «Criminalità organizzata (diritto processuale penale)», Enciclopedia del diritto,

Aggiornamento, 2000, 501; Vincenzo Conso, «La criminalità organizzata nel linguaggio del legislatore»,

Giustizia penale, n. 3 (1992): 388 ss.

7 Alfredo Bargi, Il «doppio binario» nell’accertamento dei fatti di mafia (Torino: Giappichelli, 2013);

Vincenzo Maiello, a c. di, La legislazione penale in materia di criminalità organizzata, misure di prevenzione

ed armi (Torino: Giappichelli, 2015); Bartolomeo Romano e Giuseppe Tinebra, Il diritto penale della criminalità organizzata (Milano: Giuffrè, 2013).

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bensì compongono elenchi variabili a seconda del tipo di regime. In particolare, accanto ad un ‘nucleo duro’ di fattispecie ricorrenti nelle varie disposizioni rivolte, letteralmente o convenzionalmente, alla criminalità organizzata – tra le quali primeggia l’associazione di tipo mafioso – ne compaiono di volta in volta delle altre, non sempre omogenee rispetto alle prime quanto a disvalore e modalità di offesa. Si potrebbe affermare che, con riguardo all’applicazione di certi interventi politico-criminali, ad una criminalità organizzata ‘in senso forte’ – che ad oggi è possibile cogliere nell’elenco di fattispecie di cui all’art. 51, co. 3-bis c.p.p.8, che ricomprende una serie di fattispecie associative qualificate dal tipo di

delitti-scopo (associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, alla commissione di delitti di contrabbando o di delitti contro la persona come tratta di persone, violenza sessuale, pornografia minorile) – siano progressivamente assimilate forme di criminalità diverse. Queste ultime sembrerebbero, in parte, rifluire in una criminalità organizzata ‘in senso debole’ – quanto alle modalità di azione o al tipo di offesa arrecato –; in parte, sottrarsi ad ogni tentativo classificatorio.

Quanto all’ordinamento UE, la Decisione Quadro 2008/841/GAI contiene una definizione di organizzazione criminale, modellata su quella fornita dalla Convenzione di Palermo delle Nazioni Unite del 2000. Per come formulata, essa, come si vedrà, è applicabile a reati di diverso contenuto offensivo, e non richiede, a fini di incriminazione, l’adozione di particolari modalità di commissione dei reati; il modello associativo, infatti, prediletto dall’ordinamento italiano, non esaurisce le modalità di incriminazione della partecipazione ad un’organizzazione criminale ai sensi dell’art. 2 della Decisione Quadro. Proprio la funzione di differenziazione della categoria ‘criminalità organizzata’ induce a riflettere sulla questione definitoria da una prospettiva di razionalità politico-criminale. Sotto tale prospettiva, infatti, ogni intervento specificamente rivolto ad una forma di criminalità dovrebbe essere funzionale alla sua neutralizzazione; in altri termini, dovrebbe imporsi una corrispondenza funzionale tra la ratio dell’intervento stesso e la ratio di tutela sottesa alle fattispecie cui esso si rivolge. L’assenza di una definizione di criminalità organizzata ancorata ad elementi di disvalore oggettivi, invece, pone il rischio

8 Tale disposizione attribuisce la competenza di pubblico ministero per i reati ivi elencati all’ufficio del

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10

che nel discorso politico9, e talvolta anche giudiziario10, si utilizzino definizioni emozionali,

connotate di volta in volta in modo diverso, al fine di persuadere la sfera pubblica sulla necessità di ricorrere a determinati interventi di tipo securitario11. Sembra derivarne

inevitabilmente un vulnus alla razionalità politico-criminale degli interventi adottati e, conseguentemente, alla loro efficacia e proporzionalità. In questo capitolo si cercherà di illustrare come si pone concretamente la ‘questione definitoria’ della criminalità organizzata nell’ordinamento italiano e UE e di preparare il terreno dell’esposizione attraverso la precisazione dell’oggetto e dei parametri di riferimento dell’analisi.

1.2 L’assenza di una definizione di criminalità organizzata nell’ordinamento italiano

Il legislatore italiano ha utilizzato per la prima volta l'espressione criminalità organizzata nel codice di procedura penale, consapevole, sotto la spinta della dottrina processual-penalistica, della necessità di apprestare degli strumenti di accertamento appositi per certe figure delittuose. In primis, la fattispecie di associazione per delinquere di stampo mafioso di cui all’art. 416-bis c.p., che nel nuovo codice di procedura penale è assurta a cardine delle disposizioni processualistiche sulla c.d. criminalità organizzata12.

D’altra parte, l’espressione ha trovato posto anche nella legislazione speciale: frequente è

9 Il discorso politico è fin troppo ricco di esempi di retorica “bellica” nei confronti della criminalità

organizzata, che si appellano tanto alla negazione delle istituzioni democratica quanto alla c.d. ideologia vittimaria; tra le relazioni ai recenti disegni di legge in materia di criminalità organizzata cfr. il d.d.l. S.99, XVII Legislatura (www.senato.it) presentato dall’On. Lumia, “Sospensione e revoca dei trattamenti

pensionistici ai condannati

per reati di stampo mafioso, terrorismo e criminalità organizzata”, in cui si afferma, con toni peraltro manifestamente populistici, che, con riguardo ai soggetti condannati per tali reati, “qualsiasi elargizione è un'offesa a quanti hanno perso la vita nella lotta alla mafia e al terrorismo, ai loro familiari e a tutti i cittadini onesti che vivono nel rispetto delle leggi; un'aberrazione del sistema, inaccettabile sotto il profilo etico e morale, nonché dal punto di vista economico, che abbiamo denunciato più volte in Commissione antimafia. È paradossale che lo Stato eroghi pensioni e contributi assistenziali a coloro che hanno vissuto grazie ai proventi della loro attività mafiosa e criminale, accumulando in molti casi ingenti patrimoni, e che si pongono in contrasto con le stesse istituzioni della Repubblica. Non possiamo non ricordare il lungo elenco di vittime e di attentati stragisti contro uomini delle istituzioni e servitori dello Stato. È indispensabile mettere fine ad una simile anomalia e dare così un segnale forte e rigoroso ai boss e all'opinione pubblica”.

10 Anche il discorso giudiziario si nutre di questa retorica, contribuendo al contempo ad alimentarla; da ultimo

nella giurisprudenza di legittimità cfr. Sez. Un., 26.6.2014 (dep. 2.2.2015), n. 4880, su www.penalecontemporaneo.it, ove per giustificare le recenti riforme che hanno potenziato l’applicazione della confisca di prevenzione fa riferimento a “l’affermazione di linee strategiche di politica criminale colte a farne strumento di efficace contrasto a fenomenologia criminali, mafiose od eversive che fossero, ritenute comunque capaci di mettere in pericolo gli assetti dell’ordinamento democratico” (§ 4.2).

11 La questione della (non)neutralità delle definizioni è nota al dibattito filosofico. V. ad esempio sul concetto

di persuasive definition, inteso come definizione stipulativa di una parola di senso comune capace di orientare il pubblico secondo gli interessi dell’autore, v. Charles L. Stevenson, «Persuasive definitions», Mind 47 (1938): 331–57; Douglas N. Walton, «Persuasive definition», Encyclopedia of Ethics (New York, London: Routledge, 2001).

12 Conso, «La criminalità organizzata nel linguaggio del legislatore», 388. L’art. 416-bis è stato introdotto nel

codice penale con la l. 13.9.1982, n. 646, di fronte alla crescente consapevolezza della diffusione del fenomeno mafioso e della sua pericolosità.

(12)

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il ricorso ad un linguaggio ‘bellico’ nelle rubriche dei decreti legge, del tipo “provvedimenti in tema di lotta” o “misure in materia di contrasto” alla criminalità organizzata o, talvolta, definita mafiosa13.

Le disposizioni di legge ad essa riferibili, anche solo interpretativamente, contengono lunghi elenchi di fattispecie di reato, peraltro non sempre tra loro coincidenti a seconda del settore. Tali elenchi sono generalmente destinatari di una disciplina di segno marcatamente repressivo, derogatoria rispetto a quella ordinaria, in funzione di certe esigenze che il legislatore parrebbe considerare la ‘cifra comune’ della criminalità organizzata14. Ci si riferisce, in particolare, alla complessità dell’accertamento probatorio

da effettuare, alla ritenuta gravità dell’offesa cagionata o alla pericolosità dell’autore. Si spazia dalla competenza e dalla durata delle indagini15 all'applicazione delle misure

cautelari16; dal rito processuale17 e dai termini di prescrizione18 al regime penitenziario19;

13 Si vedano ad es. il d.l. 13.5.1991, n. 152, conv. in l. 121.7.1991, n. 203, recante “Provvedimenti urgenti in

tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa”; il d.l. 8.6.1992, n. 306, conv. in l. 7.8.1992, n. 356, recante “Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa; il d.l. 2.10.2008, n. 151, conv. in l. 28.11.2008, n. 186, recante “Misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all’immigrazione clandestina”.

14 Sulle incongruenze del ricorso alla normazione per cataloghi, soprattutto nel diritto processuale v. di recente

Aniello Nappi, «Il codice dei cataloghi», www.lalegislazionepenale.eu, 11 settembre 2016, 1–8.

15 Si vedano l’art. 51, co. 3-bis, 3-quater e 3-quinquies, c.p.p. che contiene liste di reati per i quali le funzioni

di pubblico ministero nelle indagini sono affidate all’ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente; l’art. 371-bis c.p.p., che prevede l’attività di coordinamento del procuratore nazionale antimafia in relazione ai procedimenti per i delitti indicati dall’art. 51, co. 3-bis (che sembrerebbero costituire dei delitti di criminalità organizzata “in senso stretto”) e in relazione ai procedimenti di prevenzione antimafia; l’art. 407, co. 2, lett. a), che contiene un’elencazione di delitti per i quali la durata massima delle indagini preliminari è di due anni anziché diciotto mesi; l’art. 226 norme di coordinamento al c.p.p., che prevede una disciplina speciale in materia di intercettazioni e controlli preventivi sulle comunicazioni, per i delitti di cui all’art. 51, co. 3-bis e 407, co. 2, lett. a), n. 4 (delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento democratico), c.p.p.

16 Si vedano l’art. 274, lett. c), c.p.p., che individua tra le esigenze cautelari che consentono la disposizione

di una misura cautelare il concreto pericolo di commissione di “delitti di criminalità organizzata”, senza specificare quali possano essere considerati tali; l’art. 275, co. 3, c.p.p., che prevede la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere con riferimento ai delitti di cui all’art. 51, co. 3-bis e 3-quater, c.p.p., nonché in ordine ai delitti di cui agli artt. 575, 600-bis, co., 600-ter e 600-quinquies, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. Tale presunzione è stata temperata da numerose declaratorie di illegittimità costituzionale della disposizione, con riferimento a singoli delitti, nella parte in cui “non fa salva l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte da altre misure”. Da ultimo è intervenuta Corte Cost., 25.2.2015, n. 48, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 275, co.3, c.p.p., nella parte in cui non fa salva tale ipotesi anche con riferimento al concorrente esterno nel reato di cui all’art. 416-bis c.p.

17 Si veda l’art. 444, co. 1-bis, c.p.p., che esclude la possibilità di formulare richiesta di applicazione della

pena su richiesta per i reati di cui all’art. 51, co. 3-bis e 3-quater, nonché per altri delitti contro la personalità individuale o contro la libertà personale.

18 L’art. 157, co. 6, c.p. prevede infatti il raddoppio dei termini di prescrizione per una serie di reati tra cui

l’art. 51, co. 3-bis e 3-quater, c.p.p.

19 Si vedano l’art. 4-bis l. n. 354/1975 (Ordinamento penitenziario, da ora O.P.), che dispone il divieto di

concessione dei benefici per i detenuti ed internati per certi delitti, salvo che collaborino con la giustizia a norma dell’art. 58-ter l. n. 354/1975 e siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti

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dall’applicazione della confisca c.d. allargata20 e delle misure di prevenzione21 alla

responsabilità da reato degli enti22. La recente riforma del 2017 prevede la creazione di un

regime differenziato anche rispetto all’applicazione delle misure di sicurezza personali23.

In assenza di una delimitazione concettuale della categoria, il doppio binario24 del

diritto penale della criminalità organizzata si è esteso a partire dalla criminalità di tipo mafioso ad altre forme di criminalità, anche non legate ad un contesto associativo di azione. Inoltre, una parziale assimilazione di trattamento si è realizzata anche rispetto alla criminalità di tipo terroristico25. Più in generale, si potrebbe dire che il target di riferimento è divenuto la criminalità percepita come allarmante rispetto alla sicurezza della società.In effetti, quand’anche introdotti con riguardo a fattispecie ‘pregnanti’, attraverso interventi legislativi che si appellano all’imperativo autolegittimantesi di preservare la sicurezza della società rispetto alla minaccia della criminalità organizzata, i regimi derogatosi sono stati estesi a destinatari diversi, riconducibili ad una criminalità organizzata ‘in senso debole’ o a tipologie di autore individuale, che per la riprovevolezza del fatto commesso sono ritenute

con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva”; l’art. 41-bis, che prevede la facoltà del Ministero della giustizia di sospendere l’applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla l. O.P. che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e sicurezza, nei confronti dei detenuti o internati per taluno dei delitti di cui all’art. 4-bis, co. 1, o di un delitto commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso; l’art. 58-ter, che prevede il superamento dei limiti di pena per l’applicazione dei benefici di cui all’art. 21, co. 1, 30-ter, co. 4, e 50, co. 2, l. O.P., per i condannati per i delitti indicati nell’art. 4-bis, co. 1, 1-ter e 1-quater, qualora abbiano prestato opera di collaborazione con la giustizia con le modalità descritte nello stesso articolo.

20 Si fa riferimento alle c.d. Ipotesi particolari di confisca di cui all’art. 12-sexies d.l. n. 306/1992, applicabili

ad un catalogo di reati tradizionalmente ritenuti connessi con la criminalità organizzata, ma in continua espansione.

21 L’art. 4 d.lgs. 6.9.2011, n. 159, contiene un lungo elenco di reati che possono dar luogo ad applicazione di

una misura di prevenzione, personale o reale, da parte dell’autorità giudiziaria, tra cui gli indiziati di appartenere alle associazioni di cui all’art. 416-bis c.p., e di uno dei reati previsti dall’art. 51, co.3-bis, c.p.p.. Del resto l’applicazione delle misure di prevenzione agli indiziati di partenere ad associazioni mafiose, prima ancora che vi fosse la definizione normativa di cui all’art. 416-bis c.p., peraltro secondo un regime derogatorio rispetto a quello originariamente introdotto, fu prevista dalla l. 31.5.1965, n. 575.

22 L’art. 24-ter d.lgs. 8.6.2001, n. 231, introdotto con l. 15.7.2009, n. 94, prevede tra i c.d. delitti-presupposto

della responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato i delitti di criminalità organizzata (è la rubrica stessa dell’articolo a fare riferimento espresso a tale categoria), dando vita così ad una “nuova” lista di delitti ascrivibili alla categoria, in parte per menzione espressa di singoli reati in parte per richiamo alla lista dell’art. 407, co. lett. a), n. 5), c.p.p. (delitti in materia di armi), e suddivisa in due distinte fasce di gravità.

23 V. l. 23 giugno 2017, n. 103 recante modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e

all’ordinamento penitenziario, la quale, all’art. 1, co. 16, lett. c), delega il Governo a rivedere la disciplina delle misure di sicurezza personali. In particolare, si prevede che l’applicazione congiunta di pene e misure di sicurezza personali ai soggetti imputabili – il c.d. ‘doppio binario’ sanzionatorio – sia mantenuta soltanto con riguardo ai soggetti condannati per i delitti di cui all’art. 407, co. 2, lett. a) c.p.p.

24 V., con particolare alla specialità dei profili processuali, Bargi, Il «doppio binario» nell’accertamento dei

fatti di mafia.

25 Da ultimo, deve ricordarsi che, con il d.l. 18 febbraio 2015 n. 7, conv. con modifiche in l. 17 aprile 2015 n.

43, le funzioni di cui all’art. 371-bis c.p.p. del procuratore nazionale antimafia – ora procuratore nazionale antimafia e terrorismo – sono state estese ai delitti con finalità di terrorismo di cui all’art. 51, co. 3-quater, c.p.p.

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da ostracizzare. D’altra parte, come si vedrà nel paragrafo successivo, anche nei casi in cui le disposizioni derogatorie siano state introdotte sulla base di un presupposto fattuale emergenziale, esse, una volta ‘normalizzate’, e quindi ricomprese nella legalità ordinaria, sono state estese ad altre tipologie criminali.

1.3 (Segue) Il caso dell’estensione del doppio binario penitenziario

Un esempio fra tutti di ‘normalizzazione’ di regimi emergenziali rivolti alla criminalità organizzata – rectius, ad una specifica manifestazione di essa, la criminalità di tipo mafioso – è costituito dal doppio binario penitenziario incentrato sulla disciplina in materia di accesso ai benefici penitenziari di cui all’art. 4-bis l. 26.7.1975, n. 354 (Ordinamento penitenziario, d'ora in avanti O.P.)26 e di sospensione delle ordinarie regole

di trattamento di cui all’art. 41-bis, co.2, O.P.27.

L’inserimento di entrambe le disposizioni è avvenuto in corrispondenza di una fase particolarmente turbolenta dei rapporti tra la mafia e le istituzioni, caratterizzata dalle stragi degli anni Novanta28: una situazione di emergenza che rendeva necessario intervenire con

misure drastiche rispetto al regime penitenziario – anche a costo di snaturare la funzione rieducativa della pena, consacrata all’art. 27, co. 3, Cost. – nei confronti di un fenomeno criminale fondato su un vincolo associativo talmente forte da sopravvivere anche all’interno dell’universo carcerario29. La stretta correlazione con il fenomeno mafioso fece

sì che il divieto di accesso ai benefici penitenziari, salva la liberazione condizionale, fosse applicabile ad una specifica cerchia di reati, c.d. ostativi, ad esso riconducibili: l’associazione di tipo mafioso, i delitti commessi al fine di agevolare l’attività di tale tipo

26 Per benefici penitenziari si fa riferimento a tutti quegli istituti che interrompono la segregazione

intramuraria in favore di un trattamento extramurario, come permessi premio, l’assegnazione al lavoro all’esterno e le misure alternative alla detenzione.

27 Le misure restrittive di cui all’art. 41-bis, co. 2, O.P. sono comunemente conosciute come “regime del

carcere duro”. Esse dovrebbero essere limitate al soddisfacimento delle esigenze di ordine e sicurezza e di impedimento di collegamenti con un’associazione “criminale, terroristica o eversiva”, secondo la singolare elencazione alternativa dei tipi associativi contenuta nella disposizione. Le misure adottabili sono elencate al co. 2-quater, ma difficilmente possono essere ricondotte ad un criterio di stretta necessità rispetto alle esigenze da garantire. Cfr. sull’argomento Angela Della Bella, «Il regime detentivo speciale ex art. 41-bis, comma 2, O.P.: alla ricerca di un compromesso tra le esigenze di prevenzione speciale e la tutela dei diritti fondamentali della persona», in Libertà dal carcere, libertà nel carcere, Atti del Quinto Ginnasio dei penalisti (Torino: Giappichelli, 2013).

28 L’inserimento dell’art. 4-bis si deve, infatti, all’art. 1, co. 1, d.l. 13.5.1991, n. 152, recante provvedimenti

urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata, con. con mod. nella l. 12.7.1991, n. 203; quello dell’art. 41-bis, co. 2, all’art. 19 d.l. 8.6.1992, n. 306, conv. con mod. nella l. 7.8.1992, n. 356, che prevedeva, peraltro, una vigenza solo temporanea, della durata di tre anni.

29 Molti attentati di mafia di quegli anni, infatti, erano stati architettati da boss mafiosi detenuti; per la

ricostruzione degli episodi v. Giovanni Falcone e Marcelle Padovani, Cose di cosa nostra (Milano: Rizzoli, 1995), 31.

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di associazione, il delitto di estorsione e quello di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. Per un altro gruppo di reati, ritenuti strumentalmente connessi all’associazione30, si prevedeva, invece, un regime probatorio più severo per ottenere

l’accesso a tali benefici. Ad entrambi i gruppi di reati poteva essere applicato con provvedimento ministeriale il c.d. carcere duro per “gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica”: un regime spiccatamente restrittivo delle possibilità di contatto tra i detenuti e il mondo esterno e sostanzialmente rimesso, quanto alla determinazione dei suoi contenuti, all’Amministrazione penitenziaria31. Per favorire il raggiungimento dell’obiettivo della

dissociazione delle associazioni, d’altra parte, si prevedeva la possibilità di superare la segregazione penitenziaria attraverso delle condotte collaborative con la giustizia32, così

valorizzando nella dinamica dell’esecuzione penitenziaria un elemento del tutto estraneo al traguardo rieducativo – ritenuto utopistico rispetto a soggetti che hanno abbracciato dei valori così antagonisti rispetto a quelli della società da necessitare di un intervento di mera neutralizzazione anziché di un trattamento risocializzativo – bensì rispondente ad un’esigenza utilitaristica di accertamento processuale33.

La stabilizzazione del regime penitenziario differenziato è potuta avvenire, da un lato, grazie alla convinzione politica, supportata da riscontri fattuali, dell’efficacia dell’isolamento carcerario, soprattutto se riguardante i vertici dell’associazione34;

dall’altro, attraverso il ridimensionamento dei profili maggiormente confliggenti con la Carta fondamentale ad opera del timido sindacato della Corte Costituzionale, e dei conseguenti aggiustamenti operati dal Parlamento35. La Corte ha scelto comunque di

legittimare le scelte discrezionali del legislatore nel selezionare i mezzi necessari a

30 Si trattava dei delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale,

dell’omicidio, della rapina aggravata, del sequestro di persona a scopo di estorsione e di taluni delitti in materia di stupefacenti.

31 Per delle riflessioni sulle prime versioni degli artt. 4-bis e 41-bis O.P., v. Adonella Presutti, Criminalità

organizzata e politiche penitenziarie (Milano: Cortina, 1994).

32 Ci si riferisce alle condotte collaborative definite dall’art. 58-ter O.P., cioè all’essersi “adoperati per evitare

che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori” ovvero aver “aiutato concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli autori dei reati”.

33 V. Adonella Presutti, «“Alternative” al carcere, regime delle preclusioni e sistema della pena

costituzionale», in Criminalità organizzata e politiche penitenziarie (Milano: Cortina, 1994), 82 ss.

34 Sebastiano Ardita, «Il “carcere duro” tra efficacia e legittimità», Criminalia, 2007, 258–62.

35 Ci si riferisce, ad esempio, al mutamento della rilevanza della collaborazione con la giustizia, valutata non

più in termini di utilità oggettiva, ma di indicazione di una volontà dissociativa (dando così rilevanza alla collaborazione oggettivamente inutile o impossibile), su cui v. Corte Cost., 27.7.1994, n. 357, in Foro it., 1995, I, 3109 e 1.3..1995, n. 68, in Giur. Cost., 1995, 625; la delimitazione dei contenuti dei provvedimenti ministeriali ex art. 41-bis (da ultimo v. Corte Cost., 20.6.2013, n. 143, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del co. 2-quater lett. b) nella parte i cui prevedeva un limite quantitativo ai colloqui tra il detenuto e il difensore).

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contrastare un fenomeno allarmante per la sicurezza della collettività come quello della criminalità organizzata36.

Nel corso del tempo, però, ai reati associativi ‘in senso forte’ sono stati via via aggiunti altri delitti distonici rispetto alla ratio dell’aggravamento del regime penitenziario di disarticolare l'organizzazione criminale, in primis impedendo ai vertici di continuare a governare la base dagli stabilimenti penitenziari37. Nel catalogo di riferimento, infatti, sono

stati inseriti delitti, anche monosoggettivi, la cui realizzazione non è generalmente connessa all’attività di organizzazioni criminali – ad esempio la pornografia minorile o la violenza sessuale di gruppo – o che, comunque, quand’anche ciò avvenga, non paiono indicativi in base ad una massima di esperienza consolidata della persistenza del vincolo con l’organizzazione criminale durante lo stato di detenzione38. È vero che la congruenza con

l’obiettivo politico-criminale potrebbe comunque essere assicurata dallo scrutinio giudiziale sull’esigenza di disporre il trattamento, ma, quand’anche quest’ultimo si realizzi, a dispetto di ogni automatismo applicativo39, permarrebbe l’irrazionalità di fondo

dell’intervento legislativo.

36 Cfr. Corte Cost., 11.6.1993, n. 306, che afferma come “appare certamente rispondente alla esigenza di

contrastare una criminalità organizzata aggressiva e diffusa, la scelta del legislatore di privilegiare finalità di prevenzione generale e di sicurezza della collettività, attribuendo determinati vantaggi ai detenuti che collaborano con la giustizia”. In quell’occasione la Corte, pur riconoscendo la discrezionalità delle scelte legislative che privilegiano le finalità di prevenzione generale e difesa sociale della pena rispetto a quella rieducativa, a patto di non obliterarla del tutto, ha sottolineato che “la tipizzazione per titoli di reato non appare consona ai principi di proporzione e di individualizzazione della pena che caratterizzano il trattamento penitenziario, mentre appare preoccupante la tendenza alla configurazione normativa di ‘tipi di autore’, per i quali la rieducazione non sarebbe possibile o potrebbe non essere perseguita”. Essa si è però limitata a dichiarare l’illegittimità costituzionale della disposizione che prevedevache la revoca delle misure alternative alla detenzione fosse disposta, in assenza di una condotta di collaborazione con la giustizia a norma dell'art. 58-ter, anche quando non fosse stata accertata la sussistenza di collegamenti attuali dei medesimi con la criminalità organizzata, dato che per alcuni dei reati ostativi, frutto di aggregazioni occasionali o comunque di strutture criminali circoscritte, la mancata collaborazione non avrebbe potuto essere assunta come indice di pericolosità specifica. Cfr. anche Corte Cost. 13.12.2004 n. 417 e 376/1997.

37 Gli stessi sostenitori della legittimità del regime penitenziario differenziato ci tengono a sottolineare che

l'imperativo strategico a cui esso risponde è "ragionare pensando a cosa nostra". V. Ardita, «Il “carcere duro” tra efficacia e legittimità», 258.

38 Si tratta dei delitti elencati all’art. 4-bis, co. 1, O.P., cui rimanda anche l’art. 41-bis, co. 2, O.P.. Oltre ai

delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, all’associazione per delinquere di stampo mafioso, ai delitti commessi avvalendosi delle sue condizioni o per agevolarne l’attività, all’associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi e all’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato di cui all’art. 12 T.U.Imm., sono elencati altri delitti, che pongono maggiori profili di problematicità rispetto alla ratio di individuazione della categoria: riduzione in schiavitù, tratta e commercio di schiavi (artt. 600, 601, 602 c.p.); induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600-bis, co. 1 c.p.); pornografia minorile (art. 600-ter c.p., limitatamente ai co. 1 e 2); violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.); sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.).

39 Il problema si pone in particolare con riferimento al meccanismo di proroga. Ai sensi dell’art. 41-bis, co.

2-bis, O.P. la proroga è disposta “quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno tenuto conto anche del profilo criminale e della posizione rivestita dal soggetto in seno all'associazione, della perdurante operatività del sodalizio

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1.4 La definizione di criminalità organizzata nel diritto UE

Nell’ambito del diritto dell’UE esiste una definizione di organizzazione criminale. Le difficoltà tecniche e politiche del diritto penale europeo40, come si vedrà, hanno comportato l’adozione di una definizione di criminalità organizzata non particolarmente significativa sul piano dell'offesa e scarsamente selettiva.

Inizialmente, un filone di letteratura scientifica41 – poi criticato sulla base della mancanza di un solido fondamento empirico42 – sostenendo l’agevole diffusione della

criminalità organizzata a livello transnazionale grazie alla globalizzazione, ha contribuito al consolidamento dell’obiettivo di lotta a tale forma di criminalità come minaccia globale nell’agenda europea e internazionale e all’adozione dei relativi interventi di contrasto43.

Nel momento, però, in cui si è adottata una definizione comune, sulla cui base gli Stati membri sono stati chiamati a prevedere un’apposita incriminazione per l’ipotesi di partecipazione a tale forma di criminalità, non si è riusciti ad indirizzare l’armonizzazione delle legislazioni verso un modello unitario di incriminazione di criminalità organizzata.

criminale, della sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, degli esiti del trattamento penitenziario e del tenore di vita dei familiari del sottoposto”.La durata del regime detentivo non esclude invece “la capacità di mantenere i collegamenti con l'associazione o dimostrare il venir meno dell'operatività della stessa”.

40 Sui limiti del diritto penale europeo ex multis cfr. Carlo Sotis, Il diritto senza codice (Milano: Giuffrè,

2007); Sicurella, Rosaria, «La costruzione della dimensione penale dell’Unione Europea: deriva simbolico-repressiva o occasione di approfondimento di presidi garantistici?», Rivista trimestrale di diritto penale

dell’economia, n. 3 (2013): 452 ss..

41Claire Sterling, Crime without Frontiers: The Worldwide Expansion of Organised Crime and the Pax

Mafiosa, [2nd ed] (London: Warner Books, 1995); Micheal Woodiwiss, «Transnational organized crime: the

strange career of an American concept», in Critical Reflections on Transnational Organized Crime, Money

Laundering and Corruption, a c. di Margaret E. Beare (Toronto: University of Toronto Press, 2003), 3–34.

42 Federico Varese, Mafias on the Move: How Organized Crime Conquers New Territories (Princeton, NJ;

Oxford: Princeton University Press, 2011); Paolo Campana, «Assessing the movement of criminal groups. Some analytical remarks», Global Crime, n. 12 (2011): 207–17.

43 V. EU Action Plan to combat organized crime 1997 (OJ C251, 15.8.1997) § 1

(http://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A51997XG0815): “Organized crime is increasingly becoming a threat to society as we know it and want to preserve it. Criminal behaviour no longer is the domain of individuals only, but also of organizations that pervade the various structures of civil society, and indeed society as a whole. Crime is increasingly organizing itself across national borders, also taking advantage of the free movement of goods, capital, services and persons. Technological innovations such as Internet and electronic banking turn out to be extremely convenient vehicles either for committing crimes or for transferring the resulting profits into seemingly licit activities. Fraud and corruption take on massive proportions, defrauding citizens and civic institutions alike.

In comparison, effective means of preventing and repressing these criminal activities are developing only at a slow pace, almost always one step behind. If Europe is to develop into an area of freedom, security and justice, it needs to organize itself better, and to provide strategic and tactical responses to the challenge facing it. This requires a political commitment at the highest level”.

Si ricorda che l’art. 83 TFUE prevede la competenza di Parlamento e Consiglio a stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle relative sanzioni con riguardo a forme di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale, tra cui appunto la criminalità organizzata.

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Ovviamente, su tale scelta hanno influito la necessità di includere le diverse forme di manifestazione del fenomeno, nonché l’esigenza di raggiungere un compromesso tra armonizzazione e rispetto delle tradizioni giuridiche degli Stati membri. Ne è dimostrazione l’adozione di un duplice modello di incriminazione, fondato sull'anticipazione della tutela, all’art. 2 Decisione Quadro 2008/841/GAI: l’uno riferito alla partecipazione alle attività criminali dell’organizzazione criminale, similmente al modello associativo adottato nell’ordinamento italiano; l’altro all’accordo con una o più persone per il compimento di reati, secondo il modello di dell’inchoate offence di conspiracy44 dei sistemi di common law.

Per “organizzazione criminale” la decisione quadro 2008/841/GAI intende un’associazione strutturata di due o più persone, operante per un certo periodo di tempo, che agisce allo scopo di commettere reati puniti con una pena o misura di sicurezza privativa della libertà personale di durata non inferiore a quattro anni e finalizzati all'ottenimento di un vantaggio finanziario o di un generico vantaggio materiale. Il programma delittuoso è individuato unicamente sulla base della soglia minima di pena massima prevista per i delitti scopo; tale parametro è ovviamente inidoneo a ricavare un catalogo uniforme di reati da Stato a Stato, in quanto la cornice edittale prevista per uno stesso reato varia inevitabilmente a seconda delle valutazioni politico-criminali di ciascun legislatore. Peraltro, nemmeno il requisito strutturale risulta particolarmente significativo, dal momento che, ai sensi dell'art. 1, n. 2, della decisione quadro, esso si riduce al minimum della costituzione non casuale dell'associazione.

Anche in ambito europeo, quindi, vi è il rischio che l’etichetta ‘criminalità organizzata’, dotata sì di una definizione, ma applicabile in larga parte a fenomeni il cui disvalore non corrisponde a quello comunemente attribuitole – come testimoniano gli atti delle Istituzioni europee che ne evidenziano il carattere di minaccia alla “democrazia, al

rule of law e ai diritti umani”45 –, consenta l’applicazione di misure peculiari, da misure di

44Andrew Ashworth, Principles of criminal law, Sixth Edition (Oxford: Oxford University Press, 2009), 448–

57.

45 Cfr. la Risoluzione del Consiglio dell’Unione europea del 21.12.1998 sulla prevenzione della criminalità

organizzata in relazione dell’elaborazione di una strategia globale per la sua repressione; in tal senso, tra gli atti più recenti, cfr. la Risoluzione del Parlamento europeo del 25.10.2011 sulla criminalità organizzata nell'Unione europea.

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polizia a carattere proattivo46 a misure di tipo amministrativo-preventivo47 fino a quelle

repressive48, a fenomeni delittuosi svariati di gravità non assimilabile a quella così

solennemente dichiarata49.

D’altra parte, deve considerarsi con attenzione la possibilità di un’osmosi concettuale tra la categoria “criminalità organizzata” e quella dei c.d. “crimini particolarmente gravi” dal momento che l’agenda politico-criminale ha ultimamente ampliato il proprio oggetto prioritario dall'organised crime ai serious and organised crime (gravi forme di criminalità)50. Tale mutamento è reso evidente dall’art. 83 TFUE, ai sensi

del quale la competenza legislativa delle istituzioni dell’Unione è radicata nella gravità delle forme di criminalità – “particularly serious crime” – oltre che nel loro carattere transnazionale, delle quali la criminalità organizzata costituisce solo un’esemplificazione51.

46 Cfr. ad es. la Convenzione Europol del 1995, che attribuisce particolari competenze alla nuova struttura di

polizia europea per la prevenzione e la repressione del terrorismo, del traffico illecito di stupefacenti e di altre gravi forme di criminalità internazionale, purché sussistano indizi concreti di una struttura o di

un’organizzazione criminale.

47 Cfr. Direttiva 91/308/CEE e 2005/60/CE , relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo

di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo e Corte di Giustizia dell’UE 26.7.2007, n. 305, che ha escluso che l’obbligo di rivelazione dei professionisti previsto dalla direttiva 91/308 violasse il diritto ad un giusto processo rinvenendo la necessità di una lotta al fenomeno del riciclaggio che esercita un’influenza evidente sullo sviluppo della criminalità organizzata.

48 Si tratta, quanto alla stessa decisione-quadro, dell’indicazione di un minimo di pena detentiva per le

condotte di partecipazione all’organizzazione criminale, della possibilità di considerare circostanza aggravante la commissione di un reato grave nell’ambito di un’organizzazione criminale, all’obbligo di contemplare una responsabilità delle persone giuridiche per i reati di partecipazione all’organizzazione criminale e le relative pene, pecuniarie e interdittive, proporzionate e dissuasive, o ancora della possibilità di prevedere mitigazione o esclusioni di pena per i soggetti collaboranti.

Inoltre, la direttiva 2011/36/UE, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, prevede all'art. 4 un aggravamento di pena per i reati relativi alla tratta di esseri umani qualora siano commessi "nel contesto di un'organizzazione criminale" per come descritta dalla decisione quadro 2008/841/GAI. Infine, la direttiva 2014/42/UE, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione Europea, prevede l’applicazione della c.d. extended

confiscation (corrispondente alla nostra confisca allargata ex art. 12-sexies d.l. n. 306/1992) ai reati di

partecipazione all’organizzazione criminale di cui alla decisione quadro appena menzionata.

49 V. le critiche di Elizabeth Symeonidou-Kastanidou, «Towards a new definition of organised crime in the

European Union», European Journal of crime, criminal law and criminal justice 15 (2007): 83–103. La Corte di Giustizia, peraltro, ha ritenuto la lista di reati di cui all’art. 83, par.1, TFUE, di gravità tale da giustificare da parte degli Stati membri misure di allontanamento in deroga alla libertà di circolazione (v. CGUE C-348/09, 22.5.2012, P.I c. Oberbürgermeisterin der Stadt Remscheid).

50 Cfr. Decisione Consiglio UE 2002/187/GAI che istituisce Eurojust per rafforzare la lotta contro le gravi

forme di criminalità (serious crimes); Decisione Consiglio UE 2009/371/GAI, che istituisce Europol definendo come obiettivo dell’Ufficio europeo quello di “sostenere e rafforzare l’azione delle autorità competenti degli Stati membri e la loro cooperazione reciproca, per prevenire e combattere la criminalità organizzata, il terrorismo e altre forme gravi di criminalità che interessano due o più Stati membri”(art. 3); Consiglio UE 2010 Ciclo programmatico dell’Unione Europea per contrastare la criminalità organizzata e le forme gravi di criminalità internazionale, che definisce per il periodo 2013-2017 obiettivi e metodologia del programma politico-criminale dell’Unione. Esso prende avvio dalla valutazione della minaccia rappresentata dalla criminalità organizzata e dalle forme gravi di criminalità effettuata da Europol (SOCTA 2013).

51 Letizia Paoli, «How to tackle (organized) crime in Europe? The EU policy cycle on serious and organized

crime and the new emphasis on harm», European Journal of crime, criminal law and criminal justice, n. 22 (2014).

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L’utilizzo di tale categoria parrebbe indicare un mutamento del criterio posto a fondamento dell’intervento penale UE: dalla modalità offensiva alla gravità offensiva52. Se letto nella

prospettiva di una progressiva valorizzazione della dimensione dell’offensività nella politica criminale europea, tale mutamento dovrebbe indurre ad elaborare una nuova definizione di criminalità organizzata incentrata sulla specifica gravità offensiva di tale fenomeno, anziché sulla mera modalità plurisoggettiva di commissione dei reati, su cui sembra invece basarsi l'attuale definizione della decisione quadro.

Sezione 2 Definizione dei parametri di riferimento dell’analisi.

2.1 Razionalità delle scelte politico-criminali

La questione definitoria della criminalità organizzata può essere considerata un problema di (ir)razionalità politico-criminale. Per razionalità, in questo studio, si intende la c.d. razionalità strumentale, o razionalità di scopo; l’ideale, attinente al rapporto mezzi-fini, che dovrebbe orientare l’agire umano secondo canoni di efficienza ed efficacia53. La

razionalità, in questo senso preludendo all’effettività dell’azione, può essere considerata un criterio di legittimazione delle scelte politiche in generale, e di quelle di diritto penale in particolare54. Essa, quindi, dovrebbe fungere da canone strutturale di tali scelte, tanto in

fase di elaborazione, quanto in fase di controllo, dal momento che la relazione di coerenza e appropriatezza ipotizzata ex ante è anche suscettibile di un controllo ex post.

L’idea di razionalità degli interventi penalistici di politica criminale deve essere calata nel contesto della Carta Costituzionale. Ne deriva che le scelte di politica criminale non solo devono essere effettivamente idonee a neutralizzare il fenomeno criminale, ma devono anche realizzare la massima economia possibile dei ‘costi’ che il diritto penale

52 Per una riflessione su tale mutamento dell’agenda politico-criminale europea v. Nicholas Dorn, «The end

of organised crime in the European Union», Crime, Law and Social Change 51 (2009): 283–95. L’Autore ritiene che il passaggio dell’attenzione della politica criminale dalla categoria di “criminalità organizzata” a quella di “criminalità grave” risponde alle difficoltà di definire la criminalità organizzata oltre che alla diversa percezione della gravità dei fenomeni criminali tra i vari Stati membri. Esso avrebbe il pregio di alimentare il dibattito in seno alle istituzioni e agli attori sociali sulla gravità dei reati che giustificano l’intervento politico-criminale UE.

53 Per una definizione di razionalità di scopo nel senso weberiano, in contrapposizione alla c.d. razionalità

rispetto al valore, v. Herbert Schnädelbach, «Razionalizzazione», Enciclopedia delle scienze sociali (Treccani, 1997), http://www.treccani.it/enciclopedia/razionalizzazione_(Enciclopedia-delle-scienze-sociali)/. Sul concetto di razionalità strumentale, sia pur nel senso della sua non esaustività, v. Robert Nozick,

The Nature of Rationality (Princeton: Princeton University Press, 1993).

54 Carlo Enrico Paliero, «Il principio di effettività del diritto penale», Rivista Italiana di Diritto e Procedura

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20

comporta in termini di limitazione dei diritti dell’individuo55. Adottare una prospettiva di

razionalità strumentale rispetto alla realizzazione degli obiettivi di politica criminale non significa accogliere un fondamento esclusivamente utilitarista del diritto penale56. Si

ritiene, invero, che la dimensione strumentale del diritto penale debba essere ancorata alla sua dimensione deontologica di risposta punitiva ad un’offesa provocata da un agente moralmente libero di agire57, e quindi vincolata da una serie di principi – offensività e

materialità dell’offesa, colpevolezza, proporzionalità tra pena e fatto di offesa – che fanno del diritto penale la Magna Charta del reo58. Peraltro, anche al di fuori dei confini formali

del diritto penale l’argomento utilitarista non sembra ragione sufficiente ad esaurire la legittimazione dell’intervento limitativo statale. Esso deve essere integrato da una dimensione deontologica propria di qualunque intervento limitativo dei diritti. Rispetto a quest’ultima, nel corso dell’analisi, verrà preso in considerazione il principio di proporzionalità.

2.2 Il rapporto tra principio di razionalità e definizione

Pare opportuno chiarire in che senso una riflessione sulla definizione di un fenomeno criminale è rilevante rispetto all’esigenza di razionalità politico-criminale.

55 V. in questo senso le riflessioni di Antonio Cavaliere, «Effettività e criminalità organizzata», in Criminalità

organizzata e risposte ordinamentali, a c. di Sergio Moccia (Napoli: ESI, Edizioni Scientifiche Italiane,

1999), 291–301; Paliero, «Il principio di effettività del diritto penale»; Luigi Ferrajoli, Il paradigma

garantista (Napoli: Editoriale scientifica, 2014), 42–50. In questa prospettiva la pena deve essere inflitta non

solo ne peccetur, ma anche ne punietur.

56 Ci si riferisce all’opzione filosofica, fondata sul pensiero di Jeremy Bentham (Bentham, Jeremy. An

Introduction to the Principles of Morals and Legislation. Bentham, Jeremy, 1748-1832. Works. 1968.

Oxford: Clarendon Press, 1996) e di John Stuart Mill (Mill, John Stuart. On Liberty [electronic Resource]. London: Electric Book Co, 2001. http://www.ebrary.com/landing/site/bodleian/index-bodleian.jsp?Docid=10015071.), che giustifica la pena in ragione delle sue conseguenze secondo il principio di utilità.

57 È l’approccio intermedio sostenuto da Ashworth, Andrew e von Hirsch, Andrew. «The justification for

punishment’s existence: censure and prevention». In Proportionate sentencing, 12–34. Oxford University Press, 2005. Gli Autori, infatti, sostengono la necessaria complementarietà della ragione morale (censure) e della ragione strumentale (prevention) dell’intervento punitivo. In altre parole, e condivisibilmente, non può accogliersi un fondamento deontologico retributivo della pena come male intrinsecamente giusto, ma un fondamento strumentale rispetto alla prevenzione del crimine rispetto al quale la dimensione deontologica funga da limite.

58 È la celebre espressione utilizzata da Franz von Liszt, Über den Einfluss der soziologischen und

anthropologischen Forschungen auf die Grundbegriffe des Strafrechts, in Strafrechtliche Aufsätze und Vorträge, I, Berlino, 1905, 78 ss., per contrapporre la politica criminale come lotta contro il delitto e il diritto

penale come suo limite. Il pensiero di Liszt in proposito è riportato da Domenico Pulitanò, «Politica criminale», Enciclopedia del diritto (Milano: Giuffrè, 1985), 75. Per il superamento della contrapposizione tra politica criminale e diritto penale, e le sue implicazioni nella teoria generale del reato, si rimanda a Claus Roxin, «Politica criminale e sistema del diritto penale», in Politica criminale e sistema del diritto penale, a c. di Sergio Moccia (Napoli: ESI, Edizioni Scientifiche Italiane, 2009), 37–79.

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