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1.1 GENERALITA’ SULLA PROPULSIONE SPAZIALE

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA 1

1. INTRODUZIONE

Nel campo spaziale esistono differenti tipologie di propulsori spaziali classificabili in due grandi categorie: i propulsori chimici, basati su di un processo accelerativo di tipo gas dinamico ed i propulsori elettrici basati su processi accelerativi di natura termoelettrica, elettromagnetica o elettrostatica. I propulsori chimici hanno limiti intrinseci, legati essenzialmente alla natura della reazione chimica, che ne limita la quantità d’energia per unità di massa di propellente che può essere rilasciata durante la combustione. Prima diretta conseguenza di questa limitazione è una velocità efficace di scarico dell’ordine di 3km/s, con la necessità quindi di un elevato consumo di propellente per ottenere un dato livello di spinta.

Nell’ambito della propulsione spaziale, l’esigenza di poter ridurre la massa dell’apparato propulsivo e del propellente da esso utilizzato ha indirizzato verso lo studio di sistemi propulsivi alternativi ai tradizionali motori chimici. I propulsori elettrici, aventi velocità di scarico fino a 100 volte maggiori di quelle dei più evoluti motori chimici sono attualmente i candidati per il raggiungimento dei suddetti obiettivi. La propulsione elettrica offre soluzioni molto vantaggiose per lo svolgimento di particolari missioni come ad esempio quelle interplanetarie e l’esecuzione di specifiche operazioni quali il controllo orbitale e di assetto di satelliti. Il presente capitolo comincia con una panoramica sulla teoria della propulsione spaziale passando poi alla breve descrizioni dei propulsori chimici e nucleari, dove vengono messi in evidenza i maggiori limiti connessi al loro utilizzo.

La descrizione e classificazione dei diversi propulsori elettrici viene introdotta nella sezione 1.3 e 1.4.

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA 2

1.1 GENERALITA’ SULLA PROPULSIONE SPAZIALE

In un moto a reazione la spinta è generata per mezzo dell’accelerazione di un fluido di lavoro nella direzione opposta alla spinta stessa. Un endoreattore è un veicolo che porta al suo interno sia il fluido di lavoro che la fonte energetica utile ai fini propulsivi. Il moto di un veicolo spaziale, nell’ipotesi che l’unica forza agente sia la forza propulsiva del motore, può essere descritto dall’equazione di equilibrio:

=

(1.1)

dove M massa totale del veicolo accelerazione del veicolo

portata del propellente in uscita dal motore velocità efficace di scarico del propellente

Nella (1.1) il termine a secondo membro è comunemente denominato come spinta del sistema propulsivo

=

(1.2)

Dalla (1.2) è evidente come la spinta in propulsore spaziale è generata tramite l’espulsione nella direzione opposta al moto di una certo quantitativo di propellente opportunamente accelerato ad una certa velocità.

L’integrale della spinta, calcolato dall’istante di accensione all’istante di spegnimento del motore, è detto impulso totale

=

(1.3)

Risulta quindi chiaro come dovendo compiere una missione che richiede un valore di elevato risulta conveniente cercare di aumentare la velocità di scarico piuttosto che ricorrere all’impiego di un grosso quantitativo di propellente che comporterebbe limitazioni alla massa del carico.

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA 3 Nell’ipotesi di velocità efficace di scarico costante, la (1.3) può essere integrata nella seguente forma:

=

(1.4)

dove variazione di velocità del veicolo massa iniziale del veicolo

massa del veicolo al termine della fase propulsiva

La (1.4) è la nota equazione di Tsiolkovsky, dalla quale è possibile ricavare la frazione di massa di propellente = − necessaria per eseguire un determinato incremento di velocità

= (1 −

!"#$%

)

(1.5)

Storicamente, al posto della velocità efficace di scarico si è soliti utilizzare l’impulso specifico ' definito come il rapporto tra la spinta e la portata in peso del propellente

'

=

) (%

=

()% (1.6)

Dove con * è indicata l’accelerazione gravitazionale, valore del tutto convenzionale nella trasformazione da velocità efficace di scarico a impulso specifico.

Le operazioni spaziali sono definite in termini di necessario alla loro realizzazione. Missioni impegnative come i trasferimenti interplanetari richiedono valori elevati di e ciò comporta un rapporto tra la massa iniziale e finale del razzo necessariamente elevato.

La ricerca di propulsori caratterizzati da velocità efficaci di scarico confrontabili con i richiesti è mirata al contenimento di tale rapporto. Tenendo basso il rapporto tra massa iniziale e finale è infatti possibile utilizzare una maggiore frazione della massa iniziale per il trasporto del carico pagante, con ovvi vantaggi economici.

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA 4

Tipo di missione +, manovre [m/s]

Terra – L.E.O. (270 km di quota) 7600

L.E.O. – G.E.O. (42227 km di raggio) 4200

L.E.O. – Fuga dalla terra 3200

L.E.O. – Orbita lunare ( 7 giorni ) 3900

L.E.O. – Marte (0.7 anni) 5700

L.E.O. – Nettuno (29.9 anni) 13400

NSSK 50/anno

EWSK 2-3/anno

Tabella 1.1 - Incrementi di velocità per alcune missioni di interesse

1.2 GENERALITA’ SULLA PROPULSIONE CHIMICA E NUCLEARE

Il principio di funzionamento dei propulsori chimici è basato sullo sviluppo di calore in camera di combustione in seguito a reazioni chimiche esotermiche ed alla successiva espansione ed accelerazione in un ugello dei prodotti della reazione ad alto contenuto entalpico. Un limite intrinseco della propulsione chimica è il contenuto energetico dei reagenti, che limita l’impulso specifico massimo raggiungibile dal propulsore. Un’ altra problematica che limita notevolmente le prestazioni dei propulsori chimici sono gli elevati carichi termici agenti sulla struttura.

Il processo di accelerazione gas dinamico può in alternativa avvenire utilizzando una sorgente di energia nucleare che permetterebbe un incremento dell’impulso specifico fino a 800-1000 s . In questo caso la fonte di energia sarebbe costituita da una reazione di fissione nucleare. Lo sviluppo di questa tecnologia è tutt’oggi lento e difficoltoso a causa dei notevoli problemi di sicurezza e di peso ad essa connessi.

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1.3 GENERALITA’ SULLA PROPULSIONE ELETTRICA

La differenza sostanziale tra la propulsione chimica ed elettrica consiste nel modo con il quale si fornisce energia al propellente. Nei motori chimici l’energia risiede nel fluido di lavoro stesso che tramite una reazione esotermica provoca l’aumento di entalpia del gas. Nei propulsori elettrici la fonte energetica è esterna e quindi disaccoppiata dal fluido lavoro, con la conseguente possibilità di trasferimento illimitato al fluido. I propulsori elettrici a differenza di quelli chimici quindi, necessitano la presenza di un impianto di generazione di potenza che fornisca in modo opportuno l’energia necessaria al propellente. L’inserimento di questo nuovo componente nell’apparato propulsivo comporta una forte penalizzazione legata la fatto che, volendo incrementare notevolmente la velocità di scarico , si avrà bisogno di un impianto sempre più grande e gravoso in termini di massa aggiunta, tanto più maggiore sarà la richiesta energetica.

E’ possibile tenere di conto di quest’ultimo aspetto, introducendo un nuovo parametro chiamato rendimento di spinta η , definito come

- =

/0 (%.

=

(/0% 1 (1.7)

dove con P si identifica la potenza elettrica assorbita dal propulsore.

Si definisce, inoltre, la massa specifica α come la massa dell’impianto di potenza per unità di potenza elettrica generata

2 =

034 (1.8)

Per una missione di durata , ipotizzando che si svolga a spinta T costante, la massa di propellente necessaria è inversamente proporzionale all’impulso specifico

= =

1 5(%

=

61 57 )

(1.9) Dalle (1.7) e (1.8) è possibile ricavare la seguente espressione per la massa dell’impianto di potenza

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8

= 2 9 =

: ) 1 6/ ; 7 (1.10)

Di seguito sono riportate in un grafico le due espressioni (1.9) e (1.10) dove si può evidenziare la presenza di un valore ottimo dell’impulso specifico ' in corrispondenza del quale si ha un minimo per la somma della massa del propellente e dell’impianto di potenza.

Figura 1.1 - Ricerca dell'impulso specifico ottimale [1]

Tale valore ottimo dipende dal parametro di massa 2, dal rendimento di spinta η e dalla durata della missione .

̅' = =) >/;: ?=// (1.11) Spingendo ' oltre tale valore di ottimo, la massa del generatore di potenza diventa eccessivamente gravosa. Risulta evidente dall’espressione di ' la necessità di avere alti rendimenti di spinta e basse masse specifiche dei generatori di potenza.

L’elevato impulso specifico caratteristico dei propulsori elettrici ne rende vantaggioso l’impiego rispetto ai propulsori chimici convenzionali, soprattutto per missioni di lunga durata, consentendo un minor consumo di propellente e quindi

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA 7 una maggior frazione di massa disponibile per il carico utile. Di seguito sono riportate le prestazioni sperimentali raggiunte dai propulsori elettrici.

Figura 1.2 - Potenza richiesta in funzione dell’impulso specifico [1]

1.4 CLASSIFICAZIONE DEI PROPULSORI ELETTRICI

Una semplice classificazione dei propulsori elettrici può essere fatta in base al processo accelerativo utilizzato, si hanno cosi le tre categorie di propulsori:

- Elettrotermici;

- Elettrostatici;

- Elettromagnetici.

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA 8 1.4.1 PROPULSORI ELETTROTERMICI

I propulsori elettrotermici sfruttano l’energia elettrica per riscaldare il gas che viene poi accelerato con un processo gasdinamico attraverso una espansione in un ugello. La spinta che si ottiene è quindi frutto di un processo accelerativo di tipo gasdinamico. Il riscaldatore può essere l’utilizzo di un elemento resistivo, che funge da riscaldatore, posto in contatto diretto o indiretto con il gas da espandere e portato ad alta temperatura per effetto Joule (resistogetto) oppure attraverso un arco elettrico tra due elettrodi e sfruttando l’energia termica associata a questo fenomeno per riscaldare il gas (arcogetto). In Figura 1.3 e 1.4 sono riportati gli schemi di un resistogetto e di un arcogetto. L’impulso specifico tipico di un resistogetto è di 200- 400 s, mentre per un arcogetto si ha 450-1000 s.

Figura 1.3 - Schema di un resistogetto

Figura 1.4 - Schema di un arcogetto [1]

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA 9 1.4.2 PROPULSORI ELETTROSTATICI

I propulsori elettrostatici impiegano energia elettrica e processo accelerativo elettrostatico. Tra questi si fa riferimento a propulsori a bombardamento elettronico e propulsori ad emissione ad effetto di campo (FEEP) .

Nei propulsori a bombardamento elettronico (Figura 1.5) gli ioni ottenuti dal bombardamento di un gas propellente , come Xeno o Mercurio, da parte di elettroni emessi per effetto termoionico da catodi incandescenti, sono accelerati da un campo di forza elettrostatico, generando così la spinta. L’impulso specifico tipico di questo tipo di propulsori è di 3000-4500 s.

Figura 1.5 - Schema di un propulsore a bombardamento elettronico

Nei propulsori ad emissione ad effetto di campo , FEEP (Field Emission Electric Propulsion), piccole quantità di propellente liquido sono portate, per capillarità, verso regioni dove un intenso campo elettrico strappa gli ioni dalla superficie del liquido, secondo un meccanismo detto dei coni di Taylor, e quindi li accelera fino ad ottenere un impulso specifico di circa 4000-9000 s.

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA 10 Figura 1.6 - Schema di un propulsore FEEP

1.4.3 PROPULSORI ELETTROMAGNETICI

Nella propulsione elettromagnetica il processo accelerativo è una conseguenza dell’interazione di un plasma con un campo elettrico e un campo magnetico, secondo la legge di Lorentz. Si distinguono in propulsori MPD (Magneto-Plasma-Dinamici) a campo magnetico autoindotto ed applicato e propulsori ad effetto Hall. Negli MPD a campo magnetico autoindotto (Figura 1.7) il propellente viene ionizzato dalla scarica di corrente presente tra anodo e catodo e l’interazione tra la corrente che attraversa il fluido ed il campo magnetico autoindotto dalla corrente stessa produce una forza che accelera il fluido fornendo la spinta. I propulsori MPD con campo magnetico applicato si differenziano dai precedenti dalla presenza di un solenoide avvolto all’esterno dell’anodo che si occupa di fornire il campo magnetico desiderato (Figura 1.8). In questo tipo di propulsori il forte campo magnetico assiale ostacola il flusso di elettroni verso l’anodo, forzandoli a seguire traiettorie che si protraggono ben a valle della sezione di uscita. Nelle zone dove le linee di corrente curvano assumendo una componente radiale più marcata, la forza di Lorentz presenta una componente azimutale, che aiuta il sostentamento del moto spiraleggiante degli elettroni. La corrente generata da questo moto, provocata dall’interazione fra campo elettrico e campo magnetico e definibile come corrente di Hall, interagisce con il campo magnetico dando vita,

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA 11 nelle regioni dove il campo diverge, ad una componente assiale di spinta. In questo tipo di propulsori si può quindi differenziare la spinta in due componenti essenziali, una dovuta all’interazione lorentziana (sulla quale si basa il modello a campo autoindotto) e una dovuta all’effetto Hall generato dal campo magnetico esterno.

Figura 1.7- Schema di un propulsore MPD a campo magnetico autoindotto [2]

Figura 1.8 - Schema di un propulsore MPD a campo magnetico esterno [2]

Nei propulsori ad effetto Hall, (Figura 1.9) il campo magnetico, generato da due magneti circolari, ha componente prevalentemente radiale. Gli ioni, creati

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA 12 all’interno della camera di ionizzazione tramite collisioni elettrone-neutro, vengono accelerati da un campo elettrico in direzione del catodo. Gli elettroni, sotto l’azione di campo elettrico assiale e del campo magnetico radiale, si muovono all’interno della camera di ionizzazione anulare con un moto di deriva azimutale spiraleggiante. La presenza di questi elettroni favorisce il proseguimento della ionizzazione del propellente immesso dall’anodo.

Figura 1.9 - Schema di un propulsore ad effetto Hall [3]

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