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27-28) per cui il cane viene utilizzato

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Academic year: 2021

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Capitolo 1 Introduzione

1.1 L'INTERAZIONE TRA L'UOMO E IL CANE 1.1.1 L' EVOLUZIONE DEL CANE DOMESTICO

E' evidente la similitudine tra la società umana e quella lupina, entrambe basate sul gruppo familiare per l'allevamento dei piccoli, la capacità di comprendere vicendevolmente espressioni e atteggiamenti che indicano sentimenti e stati d'animo comuni come odio, amore, amicizia, gelosia e il desiderio di comunicare con gli altri; si è creata una fusione sociale tra le due specie il cui prodotto finale e adattativo è il cane domestico (Gallicchio, 2001).

Per capire come sia stata possibile la trasformazione dal canide selvatico all'attuale cane domestico si devono considerare soprattutto alcune caratteristiche esteriori che riguardano la dimensione della taglia che ha subito una diminuzione, la modifica della testa con accorciamento del muso, una piu' o meno marcata fetalizzazione, cioè il mantenimento di una morfologia fetale, che si esprime con faccia piu' corta e larga e capacità cranica ridotta, cui si associa minor volume encefalico (Gallicchio, 2001).

Probabilmente il genere umano iniziò ad addomesticare i lupi circa 12000 anni fa e gli antichi Egizi, già a quel tempo, distinsero diverse razze già esistenti (Clutton-Brock, 1976).

La selezione è stata effettuata dai nostri avi sulla base dell’osservazione che due soggetti aventi uguali caratteristiche funzionali e comportamentali riproducono le stesse doti nella prole.

A proposito dell' evoluzione del cane domestico i coniugi Lorena e Raymond Coppinger, hanno elaborato una teoria secondo la quale tutte le razze create dall'uomo rientrano in una determinata configurazione fisica corrispondente, grosso modo, ad una fase o stadio di sviluppo del cucciolo e del cucciolone e che avrebbe un preciso schema di comportamento statisticamente costante. Il presentarsi nel cane ormai adulto di caratteristiche infantili è definito neotenia.

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Nel cane domestico la selezione artificiale praticata dall’uomo, in particolare verso la fine del secolo scorso, ha prodotto razze con specifiche caratteristiche morfofunzionali volte all’espletamento di diverse attività (Fanfoni, 2003, pp. 27-28) per cui il cane viene utilizzato. La selezione condotta dall’uomo sul cane è stata inizialmente solo ed esclusivamente funzionale, poi, con l’affermarsi di alcuni principi estetici, si ebbero i primi accenni di selezione anche estetica e furono create soprattutto le prime razze da compagnia, fino al momento in cui furono organizzate le prime esposizioni canine (intorno al 1840) che portarono necessariamente a fissare le caratteristiche estetiche della singola razza in uno standard mediante una selezione prevalentemente morfologica. Soltanto all’inizio del 900 si tentò una miscela tra la selezione morfologica e funzionale insieme e vennero create delle razze, specialmente inglesi e tedesche, di bell’aspetto estetico, ma impiegate anche in particolari attività, per esempio il pastore tedesco, il dobermann ed il boxer (Fanfoni, 2003, p. 31).

1.1.2 IL RAPPORTO TRA L' UOMO E IL CANE

L'animale come compagno è un aspetto integrale della vita negli Stati Uniti, con circa 70 milioni di case che reclamano almeno un animale domestico come membro della famiglia (A.C.Nielson, 2002).

Brickel (1986) suggerisce che gli animali procurano “un grande rapporto di fiducia nella vita della persona....piu' consistente e reale del rapporto tra gli uomini”.

Si crea tra animale e proprietario una rapporto di mutualismo (Bradshaw, 1995), cioè i proprietari ritengono non solo di dare amore e affetto ma anche di riceverlo.

Cusack (1988) sostiene che gli animali si offrono come confidenti senza rischi di tradimento.

Il primo rapporto tra gli esseri umani e l'antenato dell'attuale cane domestico si è evoluto in una forma di mutualismo che oggi, fornisce prove scientifiche sul fatto che l'interazione uomo-animale apporta benefici sia agli animali sia alle persone (Lynch e McCarthy, 1969; Lynch et al., 1974; Sato et al.,1993; Odendaal e Lehmann, 2000).

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Oltre a ricevere benefici emozionali, i proprietari migliorano la propria salute fisica e mentale; infatti alcuni studi mostrano che gli animali riducono lo stress, diminuiscono la pressione sanguigna, aiutano a prevenire le malattie cardiache, aiutano a combattere la depressione (APPMA.org). Una possibile spiegazione a questi benefici salutari sta nel fatto che, soprattutto i proprietari dei cani, sono fisicamente più attivi di chi non ha animali (Duncan, 1997).

Effetti positivi, che si estendono dagli aspetti fisiologici (Odendaal, 2000) a quelli endocrinologi (Hennessy et al., 1998), sono stati provati nei cani coinvolti in legami stretti con l'uomo.

L'attitudine dell'uomo verso gli animali domestici ha negli ultimi tempi subito un cambiamento in senso positivo (Serpell, 1986; Ritvo, 1988), dovuto a vari fattori come quelli culturali (Kellert, 1994; Pifer et al., 1994; Laurent, 1995), demografici (Kellert e Berry, 1981; Gallup e Beckstead, 1988; Bowd e Bowd, 1989) così come agli aspetti fisiologici e comportamentali degli animali (Burghardt e Herzog, 1989; Driscoll, 1992).

Da un punto di vista psicologico questa propensione dell'uomo verso gli animali, è ipotizzato che sia determinata soprattutto dal sistema comportamentale parentale (Askew, 2003), diretto, in questo caso, verso un membro di un'altra specie.

Voith (1985) riporta che la maggior parte dei proprietari identifica gli animali non come compagni ma piuttosto come membri della famiglia, principalmente come bambini (Berryman et al., 1985). Perciò sulla base dei loro comportamenti parentali, le persone spesso reagiscono al cane in modo simile a come reagirebbero verso un bambino in certe circostanze, rischiando qualche volta di provocare o mantenere problemi comportamentali nel cane (O'Farrell, 1997).

Da sempre è stato dimostrato che il cane è il più popolare tra gli animali da compagnia (Bucke, 1903). Albert e Bulcroft (1987, 1988) nei loro studi affermano che il 60% dei proprietari di animali da compagnia possiedono almeno un cane e che questa specie è la più desiderata tra coloro che non possiedono animali.

Il cane è il piu' vecchio animale domestico,vivendo con gli umani da circa 10.000 anni (Messent e Serpel, 1981).

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I cani occupano un ruolo significativo nei cuori e nelle vite delle persone. Molti proprietari descrivono un attaccamento ai loro cani forte come quello verso gli amici, bambini e coniugi (American Pet Association, 2002).

Inoltre i proprietari dei cani hanno una maggior attitudine ad antropomorfizzarli rispetto a chi possiede un gatto (Szasz, 1968).

Il cane è ritenuto “il miglior amico dell'uomo” perchè si rappresenta come il modello ideale di compagno grazie alla sua capacità di esibire un' ampia gamma di comportamenti simili a quelli tenuti nei rapporti umani. Le relazioni con i cani spesso si basano su comportamenti che appartengono al rapporto uomo-cane come passeggiare, viaggiare insieme, pulire e allevare l'animale (Zasloff 1996).

Fox (1981) riporta quattro tipi di relazione uomo-cane:

visto come oggetto (con il cane come proprietà)

utilitaristica (con il cane che procura benefici agli umani)

antropomorfizzante (con il cane come surrogato di un compagno o di un bambino) attualizzante (con il cane con un altro significato).

1.1.3 LA COMUNICAZIONE TATTILE

Il contatto è al centro della vita sociale umana. E' il senso piu' sviluppato alla nascita e contribuisce all'apprendimento, allo sviluppo del cervello e delle emozioni durante l'infanzia (Field, 2001; Hertenstein, 2002; Stack, 2001).

I primati non umani usano le carezze per pulirsi, per riconciliarsi dopo un aggressione, per iniziare un incontro sessuale e per placare i conspecifici (De Waal, 1989).

Vengono dati principalmente due significati ai tocchi:i l primo ritiene che il tocco comunichi il tono edonico dell'emozione (Herteinstein, 2005; Herteinstein e Campos, 2001; Jones e Yarbrough, 1985) per cui contiene entrambe le valenze sia positiva di intimità e cordialità, sia negativa di dolore e disagio; il secondo significato ritiene che il tocco rafforzi la comunicazione delle emozioni (Knapp e Hall, 1997).

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Herteinstein (2002) nel suo studio documenta che l'uomo può comunicare distinte emozioni attraverso il contatto e identifica comportamenti tattili specifici per comunicare diverse emozioni dimostrando la ricchezza delle proprietà fisiche dei rapporti. Viene documentato che la comunicazione tattile può descrivere almeno sei emozioni: paura, amore, gratitudine, disgusto, simpatia e rabbia.

Negli animali la comunicazione tattile compare molto precocemente nella vita del cucciolo; durante il periodo prenatale, a circa 45 giorni, il feto risponde ad una stimolazione tattile percependo la pressione esercitata dalla palpazione dell'utero gravido che provoca un movimento di rotazione o la suzione del cordone ombelicale del feto (Colangeli, 2004). Con il prolungarsi nel tempo di questo trattamento la reazione diminuisce sensibilmente, a testimoniare che già nel feto esiste la possibilità di assuefazione a questo stimolo. Secondo Pageat 1999, è logico pensare che questa capacità di abitudine giochi un ruolo nello stabilire le future soglie di sensibilità tattile.

Dopo la nascita il leccamento effettuato dalla madre, così come i contatti effettuati con il tartufo e con la bocca, sono fondamentali per la nascita del legame di attaccamento (Colangeli, 2004). Inoltre, la sensibilità tattile è alla base dell'attività motoria del cucciolo: la direzione dei movimenti del cucciolo è determinata da stimoli tattili provenienti dalla madre o da altri oggetti (James, 1952).

Per Scott, da un punto di vista sensoriale, il cucciolo neonato è fondamentalmente un animale “tattile”: risponde al contatto, al freddo e al dolore. Anche i suoi sensi chimici per essere efficaci richiedono un contatto stretto o una brevissima distanza. Di conseguenza si può dire che il cucciolo interagisce solo con quella parte dell'ambiente che si trova in stretto contatto con lui (Scott e Fuller, 1965).

Secondo Pageat, nei cani adulti si evidenziano:

-contatti che intervengono nell'instaurazione dei rapporti gerarchici, durante le prime fasi dell'interazione sociale fra due individui;

-contatti di rassicurazione che sono effettuati con lo scopo di tranquillizzare un individuo o di stabilire un contatto;

-contatti sessuali che comprendono i comportamenti di corteggiamento.

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E' stato provato che il contatto umano è più sensibile del contatto canino quando usati per calmare cuccioli isolati in un nuovo ambiente (Pettijohn et al,. 1977) e per ridurre la risposta di cortisolo di cani adulti in condizioni simili (Tuber et al,. 1995).

L'interazione umana, in particolare il contatto tattile, rappresenta uno strumento potente per migliorare il distress del cane posto in uno spazio limitato, come visto nello studio di Hennessy (1998), che dimostra che il petting potrebbe avere un'importanza effettiva nel diminuire le risposte dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene del cane alle comuni situazioni avverse come esami medici e procedure di vaccinazione nelle cliniche veterinarie e nei canili.

Nel 1929 è stato dimostrato che quando un uomo accarezza un cane il valore della pressione sanguigna arteriosa dei cani declina (Cusack e Smith., 1984); più di cinquant'anni dopo è stato dimostrato che anche la pressione sanguigna dell'uomo decresce durante l'interazione con i cani (Katcher et al., 1983).

Come un incremento nell'attività del sistema nervoso simpatico è associato con lo stress, il declino nella pressione sanguigna conseguito attraverso il contatto positivo uomo- animale è associato a un decremento nell'attività simpatica e ad un'esperienza rilassante (Ganong., 1995).

Un esperimento ha investigato le correlazioni neurochimiche ormonali per l'affinità comportamentale uomo-cane, basandosi sulla conoscenza disponibile dei cambiamenti neurochimici durante l'interazione con il cane. L'ipotesi era che uno specifico profilo plasmatico di ormoni è alla base della risposta fisiologica associata ad un contatto positivo uomo-cane. La decisione di scegliere la concentrazione plasmatica di beta endorfine, ossitocina, prolattina, betafeniletilamina, dopamina e cortisolo per monitorare si è basata su una ricerca precedente in quest'area (Carter et al., 1997; Liebowitz., 1983).

I risultati di questo studio indicano che la pressione sanguigna arteriosa media tende a diminuire in entrambe le specie durante il contatto positivo.

Il tempo medio richiesto per tale decremento, seguente l'inizio della sessione d'interazione, è di 15 minuti. Con l'interazione positiva entrambe le specie mostrano un incremento significativo nel plasma di betaendorfine, ossitocina, prolattina e dopamina;

il cortisolo decresce negli umani e tende ad aumentare, ma in maniera non significativa,

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nei cani (Odendaal e Meintjes, 2003).

Walsh (1991) ritiene che il bisogno di attaccamento, nutrizione e affiliazione sono radicate nella biologia della specie. Tale necessità può superare le barriere specie- specifiche così come indicato dai similari cambiamenti ormonali in entrambe le specie.

E' stato ipotizzato che la compagnia degli animali può anche diminuire l'ansietà e stimolare il sistema nervoso simpatico fornendo un senso di sicurezza e di conforto al contatto (Friedmann, 1995).

Nelle specie precocial (dove la nascita avviene in uno stadio avanzato dello sviluppo e quindi i giovani nascono più indipendenti), la maggior parte dello sviluppo neurologico avviene mentre il feto è nell'utero.

Le specie atricial, come il cane e il gatto (dove la nascita avviene in uno stadio iniziale dello sviluppo e quindi i giovani nascono relativamente indifesi), sono esposte a stimoli esterni durante i periodi più avanzati dello sviluppo del SNC.

L'ambiente esterno ha perciò una maggiore influenza sullo sviluppo delle connessioni neuronali nelle specie atricial rispetto a quelle precocial, per cui le risposte comportamentali agli stimoli tendono a essere più uniformi nelle ultime (Casey, 2004).

In particolare, nelle specie atricial, la natura dell'ambiente esterno ha un grosso impatto sull'ultimo periodo dello sviluppo neurologico del giovane animale. Questo è un meccanismo altamente adattativo, perchè significa che ciascun individuo si sviluppa in modo da essere il più adatto possibile all'ambiente in cui cresce (Bateson, 1979).

Durante il periodo dello sviluppo cerebrale post partum, quando c'è una maggiore plasticità neuronale (Hovda et al., 1996), ciascun individuo impara ad accettare gli aspetti del suo ambiente sociale e fisico che riconosce come “normali”; è perciò probabile che reagisca con paura ad eventi nuovi, che si presentano successivamente a questo periodio (McCune, 1995). Questo può creare problemi in un ambiente domestico, dove i cuccioli sono sovente allevati in un ambiente differente da quello in cui passeranno la loro età adulta (Appleby et al., 2002).

Ecco perchè il cosidetto periodo di socializzazione è importante nei cani e nei gatti (McCune et al., 1995): essi stanno formando la struttura neurologica portante relativamente a tutto ciò che riconosceranno come “normale” nella loro vita; per cui è

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essenziale che questa struttura portante sia compatibile con la realtà della loro vita da adulti, attraverso un'adeguata esposizione alle attività umane, così come a quelle canine o feline.

Quindi le esperienze durante le fasi di sviluppo influiscono sulla sensibilità della risposta allo stress negli animali adulti (Boissy, 1995).

L'asse ipotalamo-ipofisi-surrene è attivato durante i primi periodi di vita, incluse le fasi prenatali, tant'è che i livelli di ormoni correlati allo stress nella circolazione ematica materna avranno effetto sulla sensibilità del sistema di risposta allo stress della prole, in età adulta (Takahashi et al., 1992). Per questo un certo livello di stress è importante per un normale sviluppo dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene, per cui cagne gravide e cuccioli appena nati dovrebbero essere esposti a diversi tipi di situazioni debolmente stressanti che si verificano normalmente nella vita.

In particolare, l’arricchimento ambientale e le manipolazioni postnatali hanno dimostrato di indurre effetti benefici simili che perdurano per tutta la vita dell’individuo.

Infatti, entrambi queste stimolazioni sembrano aumentare l’attività e il comportamento esploratorio, ridurre l’emozionabilità, la paura e gli stati ansiosi nell’adulto. Secondo Fernandez-Teruel (2002), queste osservazioni deriverebbero da un effetto “ansiolitico”

che rende gli animali meno stressati e quindi più capaci di adattarsi alle situazioni nuove.

I numerosi studi riguardanti le manipolazioni neonatali sono stati, per la maggiore parte, effettuati sui roditori. Esse consistono nel rimuovere il piccolo dalla madre per brevi periodi di tempo (2-3 minuti) durante i quali l’animale riceve stimolazioni tattili da parte dello sperimentatore che lo trasporta da una gabbia all’altra, lo pesa o lo posiziona su substrati diversi. In seguito, i cuccioli sono riportati dalla madre. Questo trattamento è ripetuto ogni giorno per tutto il periodo che precede lo svezzamento (Denenberg, 1964).

Quando effettuate in età precoce, le stimolazioni tattili devono essere considerate comunque come un fenomeno moderatamente stressante in quanto prevedono una separazione dalla madre anche se di breve durata. Questo tipo di esperienza produce animali psicologicamente superiori che resistono meglio a stress fisici, sono meno suscettibili a disturbi emozionali e si possono adattare meglio a situazioni nuove (Denenberg, 1963).

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Infatti, riducono, nell’adulto, l’impatto dello stress sul sistema neuroendocrino e sul comportamento (Anisman, 1998).

Kuhn e Schanberg, nel 1990, notarono che la stimolazione sensoriale e motoria del ratto neonato alterava la regolazione della secrezione dell’ormone della crescita, incrementandola, e Field (1998) riportò gli effetti benefici della stimolazione tattile sull’aumento di peso e lo sviluppo dei prematuri. Recentemente, questi principi sono stati utilizzati per elaborare, in campo umano, i programmi di “Kangoroo-care”, usati nelle unità ospedaliere di cure ai prematuri. Questi programmi consistono nell’aumentare il contatto dei neonati con la madre, attraverso massaggi effettuati dalla madre, che portano a miglioramenti fisiologici e dello sviluppo neurologico dei prematuri in condizioni critiche (Feldman e al., 2002; Appleton, 1997; Catlett e al., 1990).

L’influenza delle manipolazioni postnatali è stata dimostrata sull’attività locomotoria, il comportamento esplorativo, l’emozionabilità e la paura in ambienti sconosciuti o situazioni non abituali (Levine, 1957; Fernandez-Teruel e al., 2002).

Secondo Denenberg, questi effetti si traducono in una minor tendenza dell’animale alla defecazione e all’urinazione in situazioni stressanti, in una maggiore ingestione di alimento, in una migliore capacità di apprendimento nelle situazioni di novità e, infine, in un minor tempo di immobilità quando viene data loro l’opportunità di uscire dalla gabbia per entrare in un ambiente sconosciuto (Denenberg, 1964).

Gli animali manipolati risultano inoltre più docili da manipolare in quanto esibiscono una minore reattività emozionale quando vengono catturati (Fernandez-Teruel et al.,1991; Meerlo et al, 1999).

Questo trattamento, infine, sembra avere anche un effetto protettivo nei confronti dei disturbi cognitivi legati all’invecchiamento (Fernandez-Teruel, 2002) e inibisce l’effetto anoressigeno dello stress e degli stati ansiosi (Levine e Otis, 1958).

Per quanto riguarda gli effetti endocrini.da adulti, gli animali manipolati rispondono agli eventi stressanti con una più modesta secrezione di corticosterone, prolattina e ACTH e un più rapido ritorno alle concentrazioni plasmatiche basali (Meaney e al., 1989).

Sembra quindi che la minor reattività emozionale e la maggiore capacità degli animali ad adattarsi a situazioni stressanti derivino in gran parte dal fatto che le manipolazioni

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degli animali in età precoce riducono in modo duraturo le risposte fisiologiche indotte dallo stress nell’adulto (Levine, 1957, 1962; Meaney e al., 1989).

La modificazione della risposta endocrina allo stress dei soggetti manipolati appare estremamente adattativa per il corpo: la velocità e la breve durata della risposta permette all’organismo di rispondere ed adattarsi rapidamente alle situazioni nuove, evitando allo stesso tempo gli effetti dell’esposizione prolungata agli steroidi, che causano effetti deleteri sul sistema nervoso (Cirulli e al., 2003).

Inoltre gli effetti a lungo termine delle manipolazioni precoci sull’attività surrenale e sul comportamento dipendono, almeno in parte, da cambiamenti permanenti in quelle strutture cerebrali, come l’ippocampo e l’ipotalamo, che sono coinvolte nella regolazione della risposta allo stress (Meaney et al., 1989).

Si deve comunque tenere conto che il periodo neonatale è caratterizzato da un periodo di iporesponsività allo stress.

L’asse ipotalamo-ipofisi-surrenale mostra cambiamenti caratteristici durante lo sviluppo.

Diversi studi hanno dimostrato che, di fronte ad uno stesso stimolo stressante, la risposta dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrenale del neonato è notevolmente ridotta rispetto a quella di un adulto (Sapolsky e Meaney, 1986; Rosenfeld et al., 1992).

Nei neonati di mammiferi, esiste un particolare periodo di tempo durante il quale l’asse HPA è molto depresso e risulta insensibile ad una grande varietà di stressori ambientali, i livelli basali di glucocorticoidi sono bassi e le ghiandole surrenali secernono quantità minime di corticosterone anche quando vengono sperimentalmente stimolate con alte concentrazioni di ACTH (Rosenfeld et al., 1992).

Questo periodo è chiamato “Stress-Hyporesponsive Period” (SHRP) (Sapolsky, 1986).

Anche se i meccanismi alla base di questo fenomeno non sono stati ancora del tutto chiariti, sembra che la parziale immaturità del sistema, insieme ad un processo attivo di inibizione, risulti in un periodo in cui i livelli plasmatici di corticosterone sono relativamente bassi e difficili da incrementare (Rosenfeld et al., 1992).

Nonostante questo stato di iporesponsività allo stress, un singolo episodio di separazione materna prolungata (24 ore), risulta in aumenti dei livelli basali e stress-indotti di corticosterone e di ACTH, in particolare quando i ratti sono testati dopo l’8° giorno di età (Levine et al., 1991; Stanton e Levine, 1988).

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1.1.4 IL BENESSERE ANIMALE

Al momento c'è un pubblico crescente nei riguardi del benessere degli animali addomesticati. Da un lato le condizioni di allevamenti e laboratori di animali sono sempre più criticate e stimolate a migliorarsi; dall'altro tale criticismo sulle condizioni di vita può essere contestato dalle persone che si interessano non solo al benessere degli animali ma che anche, ad esempio, alle condizioni economiche (Beerda, 1998).

Secondo Marinelli et al. (2003) e Bono (2001) il termine “qualità della vita” considera tutti gli aspetti del benessere animale, dalla prevenzione dei maltrattamenti al miglioramento delle sue condizioni di vita.

In passato gli studi etologici ponevano poca attenzione sui parametri dello stato di salute del cane (Marinelli et al., 2007), perché erano ritenuti poco significativi (Broom e Johnson, 1993); attualmente invece sono considerati un ottimo indice per la valutazione della qualità della vita degli animali da compagnia (Marinelli et al., 2007), poiché molti problemi sono determinati dall’interazione stessa tra l’uomo e il cane, come le allergie (Carlotti et al., 1990) e gli effetti negativi della sterilizzazione/castrazione tra cui l’obesità, le dermatiti e l’incontinenza urinaria (Miyake et al., 1998).

Marianelli e colleghi (2007) nel loro studio analizzano la complessità di tutti quei fattori che influiscono sulla qualità della vita di un cane andando a considerare le cure e le attenzioni che il proprietario rivolge al proprio animale (come le visite veterinarie, i trattamenti antiparassitari e il tipo di alimentazione utilizzata per il cane), le condizioni fisiche del cane (mediante una visita clinica effettuata da un medico veterinario) e il livello emotivo del legame tra l’uomo e il cane valutando come le caratteristiche sia dell’uno che dell’altro influiscono sulla qualità della vita dell’animale.

Il benessere animale è una responsabilità umana e un problema etico che si prendono le persone che si interessano agli animali (Odendaal, 1998).

I cani domestici sono animali altamente sociali e la qualità delle relazioni tra conspecifici è una parte integrale della loro vita sociale. Infatti le recenti ricerche sul benessere canino ruotano intorno al ruolo del contatto umano, all'interazione tra cani,

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all'arricchimento ambientale e ai canili (Beerda et al., 1999; Clarck et al., 1997;

Hubrecht, 1995; Hennessy et al., 1997, 1998, 2002; Odendaal e Meintjes, 2003).

Anche in clinica veterinaria si hanno numerosi trattamenti il cui successo però deve essere valutato anche in base al benessere generale dell'animale che può essere colpito dal trattamento, per possibili cause secondarie o per le condizioni mediche stesse. Per cui l'uso dei più sofisticati trattamenti sottolinea la necessità di valutare non solo il successo del trattamento in sé ma anche le implicazioni dovute alla malattia o al trattamento, che diminuiscono il benessere dell'animale. Perciò la necessità di stimare il benessere animale in un contesto veterinario e lo sviluppo di strumenti adatti per questo scopo è diventata più presente (Wojciechowska e Hewson, 2005).

Alcuni studi considerano il benessere animale o qualità della vita, ma in medicina veterinaria il concetto di “qualità della vita” è spesso uguagliato allo stato di salute (McMillan, 2000).

Nel loro studio, Skurla et al., (2000), rivolgono domande separate circa il benessere e la salute, e sebbene fattori come salute e dolore possono avere un profondo impatto sul benessere (McMillan, 2003; Wiseman-Orr et al., 2004), il concetto di benessere è generalmente considerato più della salute quando è usato nell'etologia applicata (Dawkins, 1980) e può comprendere più aspetti della vita dell'animale in relazione alle cure per l'animale (McMillan, 2003).

E' tuttora presente una discussione relativa al considerare il comportamento e gli stati fisiologici come indicatori dello stato del benessere (Dawkins, 2006), in parte perchè le interazioni tra stress fisiologico e comportamentale sono complesse (Korte, 2001.) e in parte perchè entrambe servono solo come misure limitate a comprendere lo stato emotivo del soggetto. Nel caso del cane domestico, Canis Familiaris, la stima del benessere è inoltre complicata da secoli di selezione delle razze che hanno condotto ad una grande diversità anatomica, morfologica e comportamentale (Wayne, 2001.).

Inoltre la selezione delle razze per avere caratteristiche comportamentali proprie del cane da guardia, del cane da pastore e di comportamenti sociali interspecifici ha probabilmente eliminato l'originale legame adattativo tra meccanismi fisiologici e comportamentali per far fronte allo stress (Barnard e Hurst, 1996; Hewson e Bradshaw, 2007).

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Lo stress cronico è probabilmente il fattore che maggiormente contribuisce a creare uno scarso stato di benessere nel cane, perciò sono necessari metodi attendibili per misurarlo. Quindi c'è bisogno di sapere come questo stress si manifesta nel cane. Studi verso lo stress cronico sono problematici, in quanto, per ragioni etiche, non è ritenuto accettabile applicare tali regimi di stress che impoveriscono il benessere dell'animale sotto esperimento (Beerda et al.,).

Nel suo studio Beerda (1998) ha usato come fonte di stress cronico una limitazione spaziale e sociale che ha indotto comportamenti come postura bassa, comportamenti ripetitivi, autogrooming, vocalizzazioni e sollevarsi sulle zampe, indicativi di stress.

La necessità di trovare un sistema per misurare il benessere animale ha dato luogo a diversi approcci scientifici, che si sviluppano in tre filoni principali:

- Approccio basato sui “feelings”, cioè sulle sensazioni soggettive degli animali; si prefigge di misurare le sensazioni soggettive e utilizza a questo scopo test di preferenza, indicatori comportamentali e fisiologici. Chi opera secondo tale approccio ritiene che il benessere venga compromesso da esperienze soggettive negative quali: il dolore, la paura, la frustrazione, la fame e la sete; al contrario, il benessere animale sarà garantito da situazioni di comfort e dalla soddisfazione e piacere derivanti da certe situazioni sociali.

- Approccio basato sulla possibilità per l’animale di esprimere il proprio repertorio comportamentale “naturale”; è insito il concetto di “telos” come natura propria di ciascun animale. Gli scienziati che hanno utilizzato questo approccio hanno studiato il comportamento degli animali in ambiente selvatico, paragonandolo con quello di analoghe popolazioni in cattività e sostenendo che le eventuali differenze, fossero da attribuire alla deprivazione indotta dalla cattività.

- Approccio basato sulla “normalità” delle funzioni biologiche degli animali;

il benessere animale verrebbe compromesso dalla presenza di patologie, di lesioni, da un cattivo stato di nutrizione, mentre al contrario elevati accrescimenti e una buona attività riproduttiva sarebbero segni di un buon livello di benessere. (Albertni et al., 2008, p.32- 33).

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1.2 LO STRESS

1.2.1 CONCETTO DI STRESS

Sull'enciclopedia medica Pschyrembel si trova la seguente definizione:

“Stress è uno stato dell'organismo caratterizzato da una sindrome specifica (aumento dell'attività del sistema nervoso simpatico, elevata produzione di catecolamine, ipertensione, ecc. ) che può essere scatenata da vari fattori. Sotto il termine Stress si possono comprendere tutti quei fattori esterni a cui l'organismo non si è sufficientemente adattato. Lo stress psichico si sviluppa in seguito ad una discrepanza tra specifiche richieste e la soggettiva possibilità di superarle (coping). Uno stato di stress persistente può condurre a reazioni generali ossia ad una sindrome

generalizzata di adattamento.”

Secondo Selye (1952), è una risposta fisiologica dell'animale che tenta di resistere o adattarsi a una o più influenze avverse o a stressors per cercare di mantenere l’omeostasi; sempre Selye (1974), insieme ad altri autori come Breazile (1987), ha introdotto la distinzione tra tre diversi tipi di stress:

-stress positivo (eustress) che è un'attivazione necessaria dell'organismo che include stimoli che non sono nocivi per l'animale e conducono a risposte che sono utili per il benessere animale e per il mantenimento dello stato omeostatico;

-stress neutrale che non è dannoso né nocivo al soggetto a lungo termine;

-stress negativo (distress) che è un sovraccarico di richieste, dannoso per l'organismo.

Le risposte del distress sono di solito generate nel sistema nervoso centrale e utilizzano numerosi meccanismi neurologici e neuroendocrini; alcune risposte, comunque, sono determinate dall'interazione delle cellule somatiche con il sistema nervoso, ma possono essere anche prodotte senza interessamento nervoso. Il sistema limbico del cervello ha un ruolo centrale nel gestire le risposte di distress (Swanson, 1986).

Molte forme di distress risultano nell'alterazione del comportamento alimentare.

Generalmente lo stress acuto determina un maggior stimolo a mangiare, mentre lo stress

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cronico inibisce la fame. Il meccanismo centrale per lo stimolo della fame risiede all'interno del sistema limbico del cervello, in particolare il controllo della fame e della sazietà è all'interno dell'ipotalamo. I meccanismi endocrini e nervosi (che alterano l'alimentazione durante il distress) comprendono oppioidi endogeni, colecistochinina e dopamina come neurotrasmettitori o neuromodulatori (Bafle, 1986).

Inoltre interferisce con l'attività riproduttiva, in particolare con la libido, la fertilità, la crescita e lo sviluppo dell'embrione e del feto per l'alterazione nel meccanismo del sistema limbico del rilascio dell'ormone luteinizzante (Breazile,1987).

Lo stress in base alla durata dell’esposizione del soggetto all’evento stressante si divide in:

 Stress acuto: quando l’evento stressante dura da qualche secondo a poche ore ed in questo caso si ha l’attivazione della midollare del surrene con la secrezione di catecolamine indotta da una stimolazione del simpatico (Broom, 1988);

 Stress cronico: quando l’evento stressante è di lunga durata ed è dovuto alla persistenza dello stressor stesso oppure il soggetto è sottoposto ad una situazione stressante di breve durata, ma ripetuta con alta frequenza nel tempo (Wiepkema e Koolhaas, 1992).

Il sistema di risposta allo stress è piu' efficace per affrontare stressors acuti o di breve durata, in quanto gli animali sono in grado di allontanarsi da questi stressors o di gestire il problema utilizzando qualche altra risposta comportamentale o interna; questo consente all''animale di rispondere a uno stressor ambientale, manifestando un appropriato pattern comportamentale che allontana efficacemente l'individuo dalla minaccia rappresentata da quel determinato stressor; inoltre l'attività scheletrica coinvolta nella risposta comportamentale rimuove efficacemente e più rapidamente i mediatori della risposta correlata allo stress (Casey, 2004).

La risposta allo stress nei confronti di uno stimolo esterno diventa problematica solo quando un'animale è incapace di controllare la situazione o di sottrarsi allo stressor tramite un'appropriata risposta comportamentale (Weiss, 1972). In questi casi, dove la risposta fisiologica si prolunga o diventa cronica, si verificano prolungati effetti negativi sulla salute sia fisica sia emotiva dell'individuo; il risultato è che si continua a creare una

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risposta neuroendocrina in attesa di attività. Le conseguenze patologiche di maggior peso in termini di stress, nell'uomo e negli animali, si verificano proprio in queste situazioni dove gli individui sono incapaci di avvalersi di un meccanismo comportamentale che riduca la loro fisiologica risposta allo stress (Sapolsky, 1994).

Per cui quando lo stressor è cronico o imprevedibile in natura, gli animali manifesteranno risposte comportamentali inappropriate o eccessive, al fine di ridurre il livello e, di conseguenza, l'effetto deleterio di una prolungata e fisiologica risposta allo stress (Dantzer e Mormede, 1981). Se ripetuti, i comportamenti anormali possono rapidamente diventare una risposta appresa allo stressor o a stimoli che presagiscono lo stressor, poichè sono efficaci nel ridurre la risposta emotiva negativa e la risposta associata allo stress (Casey, 2004).

Quindi uno stress “incontrollato” può avere una serie di conseguenze per il singolo animale:

- lo sviluppo di comportamenti alternativi che indirizzano l'energia dell'animale verso un'altra attività definita”attività di sostituzione”, come il leccarsi o il grooming (Mason, 1991);

- lo sviluppo di comportamenti ripetitivi, stereotipati o compulsivi (Mason, 1991);

- il perpetuarsi di risposte fisiologiche correlate allo stress, che possono avere effetti deleteri o patologici sull'animale (Cameron et al., 2001).

Lo stress nell'organismo può manifestarsi a tutti i livelli (Nagel e Reinhardt, 2003):

• fisiologico-funzionale: sudorazioni, palpitazioni, ecc;

• comportamentale: aggresività, eccitabilità, ansia;

• esistenziale: nella valutazione del proprio stato, della propria condizione.

Per McEwen lo stress è un evento interpretato come dannoso per l'individuo e che richiede risposte comportamentali e fisiologiche.

Il cervello è il principale responsabile dell'interpretazione dello stress e delle risposte comportamentali e fisiologiche che sono prodotte e al tempo stesso è anche un bersaglio dello stress insieme ai sistemi immunitario, metabolico e cardiovascolare.

Gli ormoni dello stress giocano un ruolo principale facendo da intermediari tra risposte adattive e non e interagendo con gli aspetti fisiologici di ogni tessuto (McEwen, 2000).

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Sebbene lo stress è spesso indicato come negativo e dannoso, recenti studi presentano un'immagine diversa per quanto concerne il cervello e il sistema immunitario in quanto il cervello sembra trattare lo stress ripetuto per settimane mostrando plasticità adattativa nella quale i neurotrasmettitori locali oltre agli ormoni interagiscono a produrre sia cambiamenti strutturali che funzionali.

Il sistema immunitario risponde allo stress acuto mostrando un aumento delle risposte attraverso steroidi adrenalinici e catecolamine, così come da citochine prodotte localmente e molecole di adesione cellulare (McEwen, 2000).

1.2.2 RISPOSTA ENDOCRINOLOGICA ALLO STRESS

Al verificarsi di un evento stressante immediatamente l’organismo reagisce con la liberazione di alcuni ormoni, comunemente chiamati nell’insieme “ormoni dello stress”, che influenzano le funzioni organiche, generalmente in aumento, così da predisporre le risorse adeguate alla reale o presunta maggiore richiesta di energia.

I sistemi fisiologici più studiati che rispondono allo stress sono l'asse ipotalamo-ipofisi- surrene e il sistema nervoso autonomo, in particolare la risposta simpatica del midollo e i nervi simpatici. Questi sistemi rispondono nella vita di tutti i giorni sia agli eventi stressanti sia alle normali attività di riposo ed esercizio. La risposta allo stress può consistere della reazione “combatti o fuggi” o altri tipi di comportamento come mangiare (nell'uomo fumare, consumare alcolici o sostanze stupefacenti) o aumento dello stato di vigilanza, accompagnato, soprattutto nell'uomo, da ansietà e da preoccupazione. La risposta comportamentale allo stress e questi stati di ansietà sono entrambi capaci di esacerbare e potenziare la produzione dei mediatori fisiologici (McEwen, 2000).

In particolare, l'output del sistema autonomo (Schwaber et al., 1982) aumenta l'attività del sistema simpatico e riduce quella del sistema parasimpatico. L'attività autonoma simpatica dà inizio a tutti quei cambiamenti che sono associati alla risposta di “lotta o fuga” come l'aumento del ritmo cardiaco, della gittata cardiaca, della frequenza respiratoria e la diminuzione dell'attività degli organi gastrointestinali riproduttivi, con il risultante effetto di predisporre il corpo per l'azione. Inoltre l'attività del sistema

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simpatico stimola il rilascio di epinefrina (adrenalina) e di norepirefrina (noradrenalina) dalla midollare del surrene e dalle aree subcorticali dell'encefalo (Le Moal e Simon, 1991).

L'epinefrina stimola la glicolisi ed entrambi gli ormoni agiscono incrementando il ritmo cardiaco, la pressione del sangue ed altre attività simpaticomimetiche; la norepinefrina è un importante neurotrasmettitore all'interno del sistema nervoso centrale: le cellule noradrenergiche collegano il sistema limbico con il tronco encefalico e con il prosencefalo, coinvolgendolo nell'avvio e nel riconoscimento della risposta allo stress (Wallace et al., 1992).

L'altra via è mediata dalla Corticotropina (CRH,Corticotropin Releasing Hormon) che ha un ruolo funzionale nella risposta allo stress a livello ipotalamico (Koob e Bloom, 1985; Menzaghi et al., 1993; Turnbull e Rivier, 1997), in quanto controlla il rilascio da parte dell'ipofisi dell'ormone Adrenocorticotropina (ACTH) che a sua volta determina il rilascio di glucocorticoidi, incluso il cortisolo, da parte della zona corticale delle ghiandole surrenali (Menzaghi et al., 1993; Vale et al., 1981).

Il CRH è liberato all'interno dell'amigdala, un'area nella regione limbica del cervello, nella quale produce cambiamenti simili allo stress, incluso aumento della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna, aumento nel plasma di catecolamine e cambiamenti comportamentali (Davis et al., 1994;Dunn e Berridge, 1990).

Queste osservazioni hanno condotto a suggerire che le regioni limbiche del cervello giocano un ruolo nella risposta allo stress (Koob e Bloom, 1985; Menzaghi et al., 1993;

Merali et al., 2001).

Uno stimolo che può indurre stress, come la paura, entrando nel SNC attraverso gli organi di senso è ritrasmesso dal talamo sia alla corteccia sia all'ippocampo; talamo, corteccia e ippocampo hanno tutti proiezione sul nucleo laterale dell'amigdala.

L'informazione proveniente da questi input (che contengono indicazioni riguardo allo stimolo e alla sua intensità e un confronto dello stimolo con una precedente esperienza similare) è trasmessa al nucleo centrale dell'amigdala (Casey, 2004).

Si ipotizza che ci siano due tipi di risposte di CRH nell'amidagla: la prima che risponde ad una paura o allerta (provocabile da uno stimolo identificabile o anche da un messaggio biologico generale) e la seconda che risponde a un senso di ansietà o ad uno

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stress generalizzato (Merali et al., 1998; Pich et al.,1993; Schulkin et al., 1998).

Un aumento dei livelli di glucocorticoidi in circolo esercita un feedback negativo sul rilascio ipotalamico di CRH (Vale et al., 1981; Vale et al., 1983) con conseguente blocco della produzione di cortisolo; alcuni studi suggeriscono che i glucocorticoidi e altri stressori possano sensibilizzare piuttosto che inibire la risposta del CRH nelle regioni limbiche del cervello (Lee et al., 1994; Rosen et al., 1994; Richter et al., 1995).

Il cortisolo ha un notevole effetto sul metabolismo del glucosio: fa crescere i livelli di glucosio nel sangue per fornire un supplemento di energia all’attività muscolare, mediante la scissione di carboidrati, proteine e grassi; inoltre ha un effetto diretto a livello encefalico, poiché stimola l’avvio delle risposte comportamentali, probabilmente incrementando la stimolazione del SNC (Casey, 2004, p. 178).Se però il livello ematico di cortisolo rimane elevato a lungo, si ha la diminuzione delle difese dell’organismo e altri effetti collaterali quali malattie dello stomaco, ulcere, affezioni intestinali con diarrea ed inoltre lo stress cronico può danneggiare gravemente le ghiandole surrenali e il sistema cardio-vascolare (Nagel e v.Reinhardt, 2003, p. 18).

Anche le beta-endorfine sono secrete centralmente durante la risposta allo stress:

provengono dallo stesso precursore dell'ACTH e vengono inoltre rilasciate con tale ormone (Guillemin et al., 1977); le beta-endorfine giocano un ruolo importante nel controllo della percezione centrale del dolore durante la risposta a uno stress acuto (Netto et al., 1987). Inoltre è stato dimostrato che esse siano implicate nell'apprendimento e nella memoria, nei comportamenti alimentari, nella termoregolazione, nella regolazione della pressione sanguigna e nella riproduzione (Brown, 1994).

1.2.3 LA RISPOSTA ALLO STRESS

La risposta allo stress è un meccanismo normale e altamente adattativo, essenziale alla sopravvivenza, che consente all'animale di reagire rapidamente a un evento che cambia il suo status omeostatico (Casey, 2004). L'omeostasi è applicata a un numero limitato di

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sistemi come pH, temperatura corporea, tensione dell'ossigeno che sono componenti dell'ambiente interno essenziali per la vita. I sistemi che mostrano una variazione in seguito all'incontro con richieste percepite/anticipate caratterizzano lo stato dell'organismo in un mondo che cambia e riflette l'azione della maggior parte dei sistemi corporei quando si trovano ad affrontare delle sfide ambientali attraverso fluttuazioni ormonali, frequenza cardiaca e pressione sanguigna, citochine del sistema immunitario e altri mediatori tissutali come neurotrasmettitori e ormoni (McEwen, 2000).

La risposta allo stress dà l'avvio a cambiamenti che forniscono all'individuo le risorse necessarie o per un'immediata attività scheletrica, con ottimizzazione dello stato di vigilanza e della reattività (Weipkema e Koolhaas, 1992) o per far fronte a un evento interno, come la risposta del sistema immunitario a una sfida interna (Ader e Cohen, 1993).

Dal punto di vista filogenetico, la risposta correlata allo stress, è un sistema molto antico, che si è evoluto dalla risposta del primitivo sistema immunitario umorale a una sfida interna o periferica allo status omeostatico dell'individuo; dato che massimizza l'abilità dell'animale nel rispondere al cambiamento, si tratta di un sistema adattivo che è diventato quanto mai necessario nello sviluppo dei vertebrati (Mayer e Watkins, 1999).

Per Selye (1956) la risposta allo stress è essenzialmente una risposta fisiologica che consente all'individuo di recuperare i suoi parametri omeostatici, dopo che questi ultimi sono stati alterati dalla comparsa di stressors provenienti dall'interno o dall'esterno; è un meccanismo in grado di produrre uno stato di eccitazione che prepara l'individuo alla difesa o all'attività.

La reazione allo stress può essere suddivisa in tre fasi:

la fase di allarme: l'impulso nervoso e la produzione ormonale concorrono a creare la preparazione ottimale alla reazione;

la fase di resistenza: in cui l’opposizione all’evento stressante principale si intensifica, mentre si riduce la risposta verso gli altri stimoli secondari e questo significa che il tentativo di superamento del fattore primario compromette la capacità di resistenza verso fattori stressanti concomitanti;

la fase di esaurimento: se lo stress dura troppo a lungo, l’organismo non può reggere nonostante l’adattamento raggiunto in precedenza e i sintomi di allarme della prima fase

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si riattivano, ma a questo punto diventano permanenti. La tensione elevata ed incessante, in concorso con altri fattori di rischio, può portare allo sviluppo di malattie ed in casi estremi perfino alla morte (Nagel e v.Reinhardt, 2003, p. 11).

La risposta cronica allo stress può avere sul corpo effetti negativi ad ampio raggio.

Un recente lavoro (Maier et al., 1994; Maier e Watkins, 1999) ha suggerito che l'effetto di uno stress prolungato sul sistema immunitario non è semplicemente la soppressione dell'attività immunitaria, ma rappresenta piuttosto una ridistribuzione delle cellule immunitarie che si muovono al di fuori della circolazione e nelle aree periferiche del corpo come la pelle,la parete della vescica urinaria e la parete del tratto gastrointestinale (Paik et al., 2000).

Questa risposta aiuta certo a spiegare l'evidente aumento di reazioni periferiche autoimmuni che si verificano nelle forme croniche di stress nell'uomo e negli animali da laboratorio (Thomason et al., 1992), così come la diminuzione della resistenza agli agenti infettivi veicolati dal sangue. E' dunque fondamentale il fatto che gli effetti di un alterato benessere degli animali vanno al di là di quei sintomi immediatamente manifesti,come il cambiamento comportamentale (Tuchscherer e Manteuffel, 2000).

Inoltre gli ormoni, avendo un effetto diretto sull'amigadala, determinano aumento della capacità dell'animale di immagazzinare informazioni nella memoria (Cahill et al., 1995);

ciò ha una funzione adattativa, in quanto l'animale non solo risponde immediatamente all'evento stressante, ma accresce anche la capacità di riconoscere stimoli contestuali o premonitori ed è quindi in grado di evitare in seguito questi stimoli (Cahill e McGaugh, 1998) .

Aumentando i livello di risposta allo stress oltre questo punto, si interrompono i processi di apprendimento e di memorizzazione (McEwen e Sapolsky, 1995).

Tuttavia, alti livelli di cortisolo provocano anche un danno ai neuroni a livello dell'ippocampo che è coinvolto nelle funzioni di immagazzinamento e di recupero della memoria, in quanto si crea una diminuzione della capacità di queste cellule di utilizzare il glucosio (Bodnoff et al., 1995). Questo effetto è ritenuto importante nell'uomo:

individui che soffrono di stress cronico, invecchiando sono più facilmente soggetti a perdita di memoria (Sapolsky et al., 1986). E' probabile che questo si verifichi anche nei

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cani e nei gatti che, in seguito a stress cronico subito, possono essere, in tarda età, maggiormente inclini a deficit cognitivi.

Per quanto riguarda l’analisi delle situazioni specifiche, le ricerche sullo stress si concentrano soprattutto sugli stimoli scatenanti, ossia sui cosiddetti fattori stressanti ( gli

“ stressors”). Nagel e v.Reinhardt (2003) hanno distinto i seguenti stressors:

• fattori esterni: sovraccarico degli organi sensoriali per troppi stimoli o al contrario la loro assenza (detta deprivazione sensoriale), il dolore, le situazioni di pericolo reali o simulate, ecc;

• l’impossibilità di soddisfare le esigenze primarie: la privazione di cibo, di acqua, di sonno e di movimento;

• fattori relativi al rendimento a seguito di pretese eccessive o di inattività forzata:

rimproveri, punizioni;

• fattori sociali, per esempio l’isolamento dato dall’esclusione del cane rispetto alla nostra vita quotidiana;

• fattori psichici come conflitti, assenza di controllo, paura ed insicurezza nelle aspettative; per esempio cambiamenti significativi nelle condizioni di vita del cane come la morte di una persona di riferimento, un trasloco ecc. possono essere vissuti dall’animale come fattori stressanti (Nagel e v.Reinhardt, 2003, p. 10)

Gli stressors psicologici sono quelli che hanno maggior effetto sull'asse ipotalamo- ipofisi-surrene (Mason, 1968), al contrario di quanto sosteneva Selye (1936) che riteneva peggiori gli stressors fisici; alcuni di questi sono: esposizione ad ambienti nuovi e pericolosi (Friedman e Ader, 1967; Hennessy e Levine, 1978; Deinzer et al,. 1997), separazione da oggetti verso cui mostra attaccamento (Mendoza e Mason, 1986;

Hennessy, 1997), imprevedibilità di eventi esterni (Muir e Pfister, 1986; de Boer et al., 1989) e mancanza o perdita di controllo sugli avvenimenti ambientali (Coover et al., 1971; Hanson et al., 1976).

Prolungati o ripetuti aumenti dei livelli ormonali possono avere numerose conseguenze avverse tra cui varie forme di psicopatologia (disordini d'ansietà) come anche stati di malattia e perfino danni cerebrali (Sapolsky, 1992; Schulkin et al., 1994; Sapse, 1997).

Per i cani domestici, in molte nazioni industrializzate, un'esperienza comune che

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presuppone essere un potente stimolo per l'attivazione di quest'asse è il confinamento in un canile; dato che è riconosciuto che l'esposizione dei cani a condizioni ambientali nuove e ristrette possono elevare l'attività dell'asse (Tuber et al., 1995; Beerda, 1997).

Si deve anche considerare l'impatto negativo a lungo termine che questa esperienza potrebbe avere sul comportamento e/o sulla fisiologia dell'animale; infatti è stato visto che il trauma associato all'abbandono può condurre ad alcuni problemi comportamentali comunemente riscontrati nei cani adottati nei canili (Voith e Borchelt, 1985; Wells e Hepper, 1992).

Studi effettuati nei canili (Coppola, 2005; Hennessy et al., 1997, 1998) hanno mostrato che l'interazione umana può essere un efficace metodo per ridurre la risposta allo stress nel cane; questi studi sono d'accordo con Hubrecht (1993) e Coppinger e Zuccotti (1999) che hanno concluso che l'isolamento sociale è il principale fattore di stress in un canile e che le persone sono un importante risorsa per i cani.

Hubrect (1993) ha aggiunto anche che la socializzazione con l'uomo è fondamentale per i cani che vivono in casa da soli.

Per cui in un canile, il rapporto con altri cani e con l'uomo è essenziale per un adeguato benessere psicologico, dato che l'isolamento sociale o la restrizione è considerato il principale stressor per una specie sociale come il cane (Wolfe, 1990).

La privazione del contatto umano e/o di un altro conspecifico può essere dannoso per la salute mentale soprattutto in cani abituati a tale contatto (Fox, 1986); il rapporto umano può essere anche più importante del contatto con un altro cane (Wolfe, 1990).

Con il tempo riducendo il contatto uomo-animale si può anche arrivare ad una distruzione dell'omeostasi psicologica e comportamentale (Bergamasco et al., 2010).

L'ambiente del canile normalmente non promuove una positiva interazione sociale con l'uomo, che però determinerebbe un decremento della riposta allo stress e faciliterebbe l'adattamento all'ambiente e ai suoi agenti stressanti. Inoltre, meno stress durante il primo periodo di permanenza nel canile porterebbe ad un maggior benessere totale (Coppola, 2005).

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1.2.4. LA MISURAZIONE DELLA RISPOSTA ALLO STRESS

I livelli di stress possono essere misurati usando parametri fisiologici e comportamentali: l’utilizzo contemporaneo di entrambi è considerato un indicatore più affidabile del livello di stress o del grado di benessere del soggetto (Mason e Mendl, 1993); infatti i pattern comportamentali, manifestati dall’individuo per far fronte ad eventi stressanti, riducono la risposta fisiologica allo stress e quindi, misurando solo questi ultimi non avremo un quadro clinico veritiero del soggetto. Allo stesso modo, un animale che è inattivo dal punto di vista comportamentale, cioè incapace di affrontare uno stressore attraverso il comportamento, potrebbe essere al contrario fortemente stressato (Duncan e Filshie, 1979).

La risposta allo stress può essere misurata mediante il diretto controllo della pressione sanguigna, del ritmo cardiaco e del ritmo respiratorio, ma queste risposte non sono specifiche dello stress, in quanto possono aumentare anche con l’esercizio fisico (Casey, 2004 p. 184).

Test comportamentali, rilascio di cortisolo e attivazione del sistema nervoso simpatico possono essere usati come indicatori etologici, fisiologici e ormonali per stimare e monitorare il benessere animale (Bergamasco et al., 2010).

Parametri fisiologici:

La variabilità della frequenza cardiaca è un indicatore della funzionalità del nodo del seno atriale e permette una misura, non invasiva, dell'attività sistema simpatico cardiaco e del sistema nervoso vagale (Akselrod, 1995).

La frequenza cardiaca alta è attribuita al nervo vagale mentre la bassa frequenza riflette entrambe le influenze sia vagali che simpatiche. Nei cani a riposo, gli effetti vagali sul cuore predominano sugli effetti simpatici (Little et al., 1999).

Quindi la variabilità della frequenza cardiaca è principalmente un risultato dell'influenza del nervo vagale sul nodo seno atriale (Bergamasco et al., 2010).

La variabilità della frequenza cardiaca è stata applicata nella ricerca di modificazioni nell'equilibrio simpaticovagale relativo a condizioni patologiche (Calvert e Jacobs, 2000; Pomfrett et al., 2004), stress (Korte et al.,1999; Geverink et al., 2002; Mohr et al., 2002; Kuwahara et al., 2004; Rietmann et al., 2004), disfunzioni comportamentali

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(Bachmann et al., 2003), stati emozionali e temperamento (Visser et al., 2002; Desirè et al., 2004).

La variabilità della frequenza cardiaca è un buon indicatore per una stima non invasiva dell'attività del sistema nervoso autonomo in risposta allo stress psicofisiologico (Tiller et al., 1996).

Un calo della variabilità della frequenza cardiaca è stata spesso riportata durante eventi stressanti fisici o emotivi (Sgoifo et al., 1999, 2001).

Il tono vagale alto è stato legato all'efficiente attività autonoma che permette ad un organismo di aumentare la sua sensibilità e la sua risposta a cambiamenti fisiologici e ambientali (Porges et al., 1996; Friedman e Thayer, 1998).

Inoltre il tono cardiaco vagale può anche essere un' indicatore degli stati emozionali positivi e recentemente sono stati studiati altri casi di riduzione della variabilità della frequenza cardiaca negli animali da allevamento in risposta a stressors, con alterazioni comportamentali e nel contesto della valutazione conoscitiva (Bachmann et al., 2003;

Desirè et al., 2004; Kuwahara et al., 2004).

Più comunemente la risposta allo stress viene misurata tramite l’attività del sistema ipotalamo-ipofisi-surrene attraverso:

La valutazione del cortisolo, che è considerato il principale indicatore di alterati stati fisiologici in riposta a stimolazioni stressanti, nella maggior parte dei mammiferi,inclusi i cani (Kirschbaum e Hellhammer, 1989).

Questo ormone può essere misurato nel plasma, nella saliva, nelle urine e nel pelo.

Nelle urine i livelli di cortisolo riflettono la risposta allo stress nelle 4-8 ore precedenti e dipendono dal periodo di raccolta delle urine in vescica mentre la misurazione fecale di tale ormone non è una procedura ancora convalidata negli animali da compagnia (Casey, 2004, p. 184). Accorsi e colleghi (2008) nella loro ricerca hanno dimostrato che è possibile valutare la concentrazione del cortisolo anche nel pelo degli animali.

Il cortisolo salivare ha come peculiarità il fatto di:

-essere usato come metodo non invasivo per la misura dello stress acuto e cronico nei cani (Beerda et al., 1998, 1999);

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-essere ben correlato con le concentrazioni plasmatiche in parecchie specie incluso l'uomo (Kirschbaum e Hellhammer, 1989) e il cane (Vincent e Michell, 1992; Beerda et al., 1996);

-essere una misura migliore della funzione della ghiandola surrenale in termini di indicatore fisiologico dello stress rispetto al cortisolo plasmatico (Cook et al., 1996;

Groschl et al., 2000) perchè da una diretta immagine della porzione biologicamente attiva del cortisolo totale (Cook et al., 1997).

Per la stima del cortisolo plasmatico spesso si affrontano problemi etici e metodologici per la richiesta di campioni di sangue (Kirschbaum e Hellhammer, 1989); inoltre uno svantaggio della misura del cortisolo plasmatico è che il metodo di prelevamento del sangue potrebbe essere esso stesso causa di stress negli animali (Blackshaw e Blackshaw, 1989; Beerda et al., 1996).

Anche gli effetti dei trattamenti possono essere evitati se i campioni di saliva sono prelevati entro quattro minuti (Kobelt et al., 2003); normalmente un campione di saliva per essere prelevato richiede solo circa 30 secondi, ma se un cane è resistente alla procedura, Kobelt ha dimostrato che si possono assegnare fino a 4 minuti per prelevarlo.

Vincent e Michell (1992) hanno ipotizzato un ritardo nell'aumento della concentrazione di cortisolo nella saliva a paragone del sangue; invece Berda et al. (1996) documenta che alti livelli di cortisolo salivare sono correlati in maniera significativa con alti livelli di cortisolo plasmatico e non visualizzano nessun ritardo nelle risposte del cortisolo salivare rispetto a quello plasmatico. Una differenza si potrebbe visualizzare se viene paragonato l'intero siero con la saliva che contiene solo la frazione libera di cortisolo (Kirschbaum e Hellhammer, 1989).

La concentrazione dei glucocorticoidi circolanti mostra un'oscillazione circadiana (Apanius, 1998) con il picco più alto previsto nella mattina nei cani (Beerda et al., 1999).

Per diminuire la variabilità nella misura del cortisolo è preferibile fare campioni in più di un'occasione e per più giorni (Kobelt et al., 2003).

Dato che reazioni e risposte precedenti alla raccolta dei campioni, che non sono indicative di stress (Murphree, Peters e Dykman, 1967; Lynch e McCarthy, 1969), possono influenzare le reali risposte allo stress e condurre ad errori di interpretazione,

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Beerda et al. (1996) ha valutato l'efficacia di procedure di prelievo non invasive che possono minimamente disturbare il soggetto sotto studio e in parte impedire risposte precedenti e non specifiche di stress; inoltre hanno il vantaggio che i campioni sono raccolti facilmente. In questo studio ha esaminato oltre al cortisolo salivare, i livelli di cortisolo e di catecolamine nelle urine che è un modo per investigare lo stress, in quanto questi ormoni riflettono l'attività dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene e del sistema simpatico che sono responsabili dello stress. Per questo scopo ha usato l' ipoglicemia indotta da insulina per stimolare l'asse ipotalamo-ipofisi-surrene e soprattutto la componente adrenalinica dell'asse simpatico-midollare-adrenalina (Goldstein et al., 1993).

Il test di stimolazione con ACTH: la corticale della ghiandola surrenale modifica la sua sensibilità in conseguenza della stimolazione cronica con ACTH (Restrepo e Armario, 1987); quindi, misurando la risposta corticale all’ACTH prima e dopo un periodo di stress cronico è possibile evidenziare un cambiamento nella risposta, correlato al grado di stimolazione addizionale che si è verificato durante questo periodo (Casey, 2004, p.

184). Il test di stimolazione con ACTH viene anche utilizzato per la diagnosi dell’iperadrenocorticismo (Peterson, 2007). Come nel caso della misurazione diretta del cortisolo la stimolazione con ACTH ha come risultato ampie variazioni all’interno di una specie e sono quindi necessarie misurazioni ripetute perché i risultati siano significativi (Casey, 2004, p. 184).

Parametri comportamentali:

La misurazione dei parametri comportamentali coinvolti nella risposta correlata allo stress ha il vantaggio di non essere invasiva e consente di fare una valutazione sulle risposte individuali (Casey, 2004, p. 184). Il problema che impedisce di effettuare confronti tra tali parametri è l’alto grado di variazione individuale dipendente dall’età, dal sesso, dalle caratteristiche ereditarie e dalle precedenti esperienze di ciascun individuo (Broom, 1988).

Secondo Casey (2004) tra le più comuni e normali risposte comportamentali, che i cani presentano di fronte a situazioni stressanti, ritroviamo:

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- Reazioni di evitamento - Aggressione difensiva

- Ansimare

- Salivazione

- Camminare velocemente - Attività eccessiva

- Esplorazione visiva

- Eliminazione di urina e feci - Pupille dilatate

- Vocalizzazione - Nascondersi

- Ricercare il contatto umano o con altri cani

- Comportamenti di richiesta di attenzione ( per esempio appoggiare la zampa sul proprietario)

- Postura bassa ( indica sottomissione) - Posizione appiattita delle orecchie - Posizione bassa della coda

- Anoressia

- Scavare

I parametri comportamentali possono identificare una mancanza di benessere nei cani che vivono in casa o in dei ricoveri e possono essere usati per identificare lo stress, ma richiedono ulteriori esami per essere certi che siano segni di stress come la valutazione dei livelli di cortisolo salivare e la frequenza cardiaca (Beerda, 1997); nel suo studio Beerda utilizza stimoli considerati negativi per i cani come l'essere contenuto (Knol, 1989; Muelas et al., 1993), rumori forti (Bueno et al., 1989; Engeland et al., 1990), shock elettrico (Anderson e Tosheff, 1973; Church et al.,1966) e punizioni (Schwizgebel, 1982) che vengono inseriti in situazioni che i cani incontrano nella vita di tutti i giorni. E viene documentato che i comportamenti come scrollarsi, accoccolarsi, atteggiamenti orali, sbadigliare, agitarsi e postura bassa sono indicativi di stress acuto nei cani.

Studi precedenti hanno riportato un incremento della vocalizzazione, ansimazione,

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sollevamento della zampa e tremore (Corson, 1971; Schwizgebel, 1982; Solomon e Wynne, 1953).

Comunque non è facile distinguere comportamenti associati allo stress da altri che non lo sono; in conclusione,i parametri comportamentali possono aiutare a identificare lo stress acuto nei cani,ma possono essere male interpretati (Beerda et al., 1998).

1.3 TECNICHE DI RILASSAMENTO

Il DAP (Dog Appeasing Pheromone), il ferormone calmante il cane, è una miscela sintetica di acidi grassi basata sulle sostanze contenute nelle secrezioni delle ghiandole sebacee, nel solco intermammario di cagne dopo il parto (Pageat e Gaultier, 2003).

Queste secrezioni appaiono 3-4 giorni dopo il parto e normalmente persistono per 2-5 giorni dopo lo svezzamento (Pageat e Gaultier, 2003).

Questo analogo sintetico è disponibile e può essere erogato nell'ambiente per vari scopi;

infatti è stato documentato che il DAP ha effetti rilassanti sul cane in un ampio range di situazioni stressanti incluse quelle relative alla separazione del proprietario (Pageat e Gaultier, 2002), alla paura dei fuochi d'artificio (Sheppard e Mills, 2003), al viaggio in macchina (Gaultier e Pageat, 2003) e alla permanenza in canile (Tod et al., 2004).

Mills et al. 2005 hanno valutato l'effetto del DAP sul comportamento e sull'apparente stato emozionale di cani con problemi di aggressività legata a paura nella pratica veterinaria, verificando un elevato stato di rilassamento.

Uno studio effettuato da Coppola (2006) dimostra come il contatto umano possa ridurre lo stress nei cani introdotti nei canili. La sessione di contatto includeva: giocare fuori con il cane, passeggiare al guinzaglio, attività di pulizia, giocare all'interno con dei giochi, obbedire ai comandi, offrire la ricompensa, contatto verbale e tattile. La durata della sessione era in media di 45 minuti con differenze dovute alle variazioni individuali riguardanti la paura, la socializzazione, la recettività e la giocosità.

Essendo i primi tre giorni quelli più stressanti per i cani, perchè non si sono ancora ambientati e devono affrontare nuove situazioni, lo studio è stato effettuato il secondo giorno di permanenza nel canile determinando una diminuzione dello stress sul seguente

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giorno .

Le interazioni con l'uomo possono essere capaci di alleviare la risposta allo stress (Hennessy, 1997;Hennessy et al., 1997) ed è stato documentato che semplicemente il petting è capace di eliminare lo stress, manifestato tramite tachicardia, indotto da l'elettroshock (Lynch e McCarthy, 1967), indicando che il contatto con l'uomo può moderare o impedire la riposta degli assi agli stressors acuti.

Anche altri studi (Hennessy, 1997, 1998) hanno mostrato una riduzione della risposta allo stress nei cani portati nei canili, che interagivano con l'uomo, determinata attraverso la valutazione comportamentale e la misurazione del cortisolo. Il cortisolo plasmatico misurato durante il primo giorno rivela livelli tre volte superiori a quelli di cani che vivono in casa con il proprietario; inoltre non si evidenziava un declino significativo della concentrazione di cortisolo fino al quarto-quinto giorno di confinamento. Questo evidenzia una continua attivazione dell'asse ipotalamico-ipofisi-surrene durante i primi tre giorni. Hennessy nel suo studio esamina i livelli di cortisolo prima e dopo 20 minuti di contatto con l'uomo (soprattutto petting) mostrando differenze con un uomo o una donna; evidenziando che solo l'interazione con la donna impediva che l'iniziale procedura di prelievo ematico producesse un'ulteriore aumento di cortisolo.

Un altra tecnica utilizzata per ridurre lo stress nel cane è l'EHIP (Enhanced Human Interaction Program), un'intenso programma di interazione umana che include passeggiate e petting con i cani. Uno studio ha valutato gli effetti dell'introduzione e dell'interruzione di questa interazione uomo-cane nell'ambiente del canile (Normando et al., 2004).

Con questo programma, si evidenzia un aumento dello sguardo e dello scodinzolio verso le persone, una diminuzione dei comportamenti agonistici verso gli altri cani e questi effetti sembrano conservarsi anche con l'interruzione del programma.

Però è stato visto che l'interruzione del programma porta i cani a mostrare un aumento significativo della locomozione e dell'autogrooming che potrebbero essere interpretati come segni di distress.

Per cui è stato concluso che l'HIP ha effetti positivi ma si deve fare attenzione ad evitarne l'interruzione, con conseguenti effetti negativi (Normando et al., 2004).

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